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Vecchio 29-09-2004, 12.08.02   #1
viandanteinattuale
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I pacifisti sono i peggiori nemici della pace.

I pacifisti sono i peggiori nemici della pace. Quest’affermazione così estrema, che potrebbe risultare provocatoria, appartiene, invece, a secoli di riflessione filosofica rafforzata dall’esperienza storica.
È un concetto che incrocia grandi pensatori, alcuni si potrebbe dire “insospettabili” nel senso che per indole e vicenda personali erano lontani da ogni apologia della guerra. Quindi lasciando da parte un grande scrittore come Giovanni Papini che scrisse “Amiamo la guerra!” vale la pena fare una sintetica ricognizione.
La parola pace, dal latino pax, pacis ha una radice che deriva dal verbo “pangere” che significa “fissare, pattuire”. Dunque, il grande diritto romano, che tutti i giuristi continuano a ritenere la base della civiltà occidentale, ebbe chiara una nozione: non c’è pace se non nella giustizia.
La pace, in altre parole, non significa solo uno stato di non belligeranza ma significa soprattutto giustizia. Del resto appartiene alla latinità il celebre motto “si vis pace para bellum”, se vuoi la pace prepara la guerra.
La netta distinzione tra pace e pacifismo, non solo semantica, ma soprattutto concettuale, appartiene a secoli di filosofia e di pensiero. I primi furono Omero e Tucidite, Ulisse è l’eroe della libertà e della giustizia, non ama la guerra, sogna la pace, ma imbraccia le armi perché deve difendere il suo onore. Lo storico della filosofia Emilio Bodrero in proposito scrisse un famoso saggio.
Tra le virtù che Macchiavelli chiede al Principe c’è quella di defensor pacis, di fare il difensore della pace ricorrendo alle armi quando è necessario.
La guerra, per il fiorentino che fu il primo politologo, della storia è uno strumento dialettico della politica.
L’estremo realismo di Macchiavelli può far inorridire ma chiarisce bene che alla pace si lavora, spesso, “mostrandosi forti e decisi”.
Thomas Hobbes nella sua opera fondamentale, il Leviatano, chiarisce che pace e sicurezza camminano insieme e che spesso nella storia si può “decidere di fare la guerra per difendere la pace”.
Quello che appare subito chiaro nella storia del pensiero è la lotta tra libertà e pace, perché spesso per difendere il diritto ad essere liberi e sicuri occorre prendere le armi.
Non ha dubbi da che parte stare il sommo poeta, Dante Alighieri.
Gli ignavi, coloro che non hanno voluto prendere posizione, sono nell’inferno “senza infamia e senza lode”. E c’è appunto Ponzio Pilato.
Non solo, nel Paradiso fra i santi ci sono alcuni che hanno combattuto una guerra per una giusta causa.
Del resto Dante è il poeta della cristianità e per secoli la teologia e la Chiesa hanno riconosciuto non il pacifismo come valore assoluto, bensì la pace giusta, per cui spesso è lecito, anche nella morale religiosa, doversi difendere. Il proposito si esprimono San Tommaso d’Aquino e Sant’Agostino.
In anni molto recenti, tre studiosi come Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino, distinguono nel Dizionario della politica, alla voce “pace”, fra una “pace negativa e una positiva”, nel senso che spiegano come “fare la pace non significhi solo cessare dalle ostilità e non fare più la guerra, ma anche instaurare uno stato giuridicamente regolato che tende ad avere una certa stabilità”.
Lo stesso Bobbio, vale la pena di ricordarlo, si schierò a favore della Guerra del Golfo del ’90.
Il pacifismo non piace a tutta la generazione d’intellettuali che anima il Risorgimento, a cominciare da Ugo Foscolo e Vittorio Alfieri. Di pacifismo non vuol sentir parlare Giuseppe Mazzini per il quale “il primo dovere è la Patria”. Ma il più chiaro sarà Alessandro Manzoni, per il quale contro le prepotenze di Don Rodrigo e quelle dei dominatori spagnoli è lecito prendere la spada. Il Don Chisciotte di Miguel de Cervantes difende con le armi la sua dignità. Nietzsche che contempla la “guerra come rimedio”, ricordando il diritto alla difesa quando “la fauce protesa dell’Asia vuole inghiottire la piccola Europa”.
Alla vigilia della Prima guerra mondiale su tutti i grandi giornali italiani invalse l’uso di un aggettivo di cui oggi si è persa la memoria: “pacifondai”. Era il termine con cui gli interventisti indicavano polemicamente coloro i quali in nome di un’astratta pace non volevano la partecipazione dell’Italia alla Grande guerra.
Il filosofo Benedetto Croce che per latri motivi non auspicava l’intervento, volle precisare di non aver nulla a che vedere con i pacifisti – pacifondai.
E, infatti, allo scoppio della guerra si schierò dalla parte della nazione.
Il pacifismo peloso era stato bersaglio preferito si tutta una generazione d’intellettuali e di avanguardie, a cominciare da D’Annunzio, passando per Papini, Prezzolini, Marinetti, Soffici, Corradini, Missiroli, Boccioni, Serra, Slataper, e tutti gli altri futuristi e vociani.
Molti fecero seguire alle parole i fatti, Prezzolini che si era fatto riformare, grazie a una “raccomandazione” all’età della leva, partì volontario negli arditi. Molti di questi scrittori moriranno sulle trincee del Podgora.
Anche autori insospettabili presero posizione: Riccardo Bacchelli, l’autore del mulino del Po, scrisse che la “pace è civile e corrompe”, mentre talora la “guerra è barbara ma promuove la civiltà”. Oppure Luigi Einaudi che fu aperto interventista alla vigilia della Prima guerra mondiale, nel 1950 poi l’economista liberale scrisse un aperto intervento a favore del mantenimento delle spese militari.
Palazzeschi, invece, è chiarissimo quando scrive:” gridare: evviva questa guerra, vuol dire anzitutto: abbasso la guerra”.
Non è da credere che l’avversione al pacifismo appartenga solo a pensatori, per così dire, di destra.
Marx e soprattutto Lenin si scagliano contro la guerra borghese ma in nome della violenza rivoluzionaria proletaria. Che Guevara, invece, la cui immagine vediamo spesso campeggiare nelle manifestazioni pacifiste, fu il teorico della guerra che esporta la rivoluzione!
Tutti gli studiosi di diritto internazionale sono concordi nel ritenere che lo Statuto di San Francisco delle Nazioni Unite del 1945 e altri fondamentali trattati come la Convenzione di Ginevra del 1949 e i Protocolli aggiuntivi del 1977, riconoscano un jus belli ac pacis, un diritto alla guerra per la pace. In altre parole il diritto al mantenimento della sicurezza internazionale attraverso operazioni militari.
viandanteinattuale is offline  
Vecchio 30-09-2004, 19.22.46   #2
Marco Cicuta
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Data registrazione: 30-09-2004
Messaggi: 14
a proposito dell' analisi: pace e pacifisti

Ciao Samuele,
i migliori complimenti per il tuo messaggio. Sintetico e tuttavia denso di riferimenti, molto ben articolato e coerente.
Io non ho purtroppo conoscenze specifiche nel campo della filosofia politica (come in altri - aime´ troppi - settori). Pero´ il titolo del tuo intervento, volutamente provocatorio (fino a quando non se ne vede la consequenzialitá leggendo la tua analisi), mi invoglia a abbozzare una risposta, magari sgangherata ma sincera.

La tesi: I pacifisti sono i peggiori nemici della pace. La tua analisi accosta, fin dal titolo, due elementi: pace e pacifisti, e ha evidentemente un "bersaglio", un punto di confronto o di riferimento nel contemporaneo movimento pacifista. Diciamo che intendi proporre ai pacifisti di oggi uno sforzo di riflessione sul significato originario del termine "pace", sulla base della storia del Pensiero.

Pace e pacifisti dunque. Occorre definire questi due termini e tu lo fai molto precisamente.
La pace "ha una radice che deriva dal verbo “pangere” che significa “fissare, pattuire”". A cio´va legato che "non c’è pace se non nella giustizia." Questa definizione e´buona, condivisibile, e possiamo giustamente prenderla come punto di partenza. (Faccio solo una piccola nota a margine, perche´ se e´ vero che la definizione e´ buona (e per me lo e´!), non mi e´ chiaro come viene creata. La tua frase e´ "La parola pace, dal latino pax, pacis ha una radice che deriva dal verbo “pangere” che significa “fissare, pattuire”. Dunque, il grande diritto romano, che tutti i giuristi continuano a ritenere la base della civiltà occidentale, ebbe chiara una nozione: non c’è pace se non nella giustizia." Passi dall´etimologia al concetto di essa nel diritto romano, legando il passaggio con un Dunque che non ha ragione di essere. Perche´ dunque? i due concetti, cosi´ come li presenti, non sono legati. Pace vuol dire fissare, dunque vuol dire giustizia, dunque "no stato di non belligeranza ma significa soprattutto giustizia". Se non spieghi quel primo Dunque, manca qualcosa, il ragionamento non tiene Mava bene, d´altra parte la non consequenzialita´ quel passaggio non inficia l´accettabilitá della premessa).
Abbiamo dunque una definizione e ne seguiamo il ricorrere nelel diverse epoche, scoprendo che nella storia del Pensiero politico occidentale la linea rossa e´ "se vuoi la pace prepara la guerra".

Non ti curi purtroppo con altrettanta perizia della definizione di "pacifisti". Mi spiego. se vuoi parlare ai o dei pacifisti, che sono un´entita´ vivente, attuale, devi in qualche modo proporre una definizione in cui loro possano riconoscersi, sforzarti di capire i loro modelli e i loro valori. Se vuoi far loro capire che l pace non e´ stare fermi immobili per evitare di farsi male, devi conoscere le loro opinioni. Tu sai certamente come faceva Socrate, non si muoveva di un passo nell´argomentazione se l´interlocutore non era disposto a suggellare il passaggio con un "si sono d´accordo", oppure "si, lo penso anch´io". In un dialogo, anche ideale, bisogna cercare di conoscere l´interlocutore, non presumere di conoscerlo. Parlando ai moderni pacifisti, usi soltanto definizioni di Dante ("ignavi") e degli interventisti pre prima guerra mondiale "pacifondai". Per favore, un po´ di attenzione. Per quanto il tuo racconto possa essere interessante, nessun pacifista ti prendera´ mai sul serio con queste premesse. Sembra che i loro punti di riferimento non ti interessino o non li conosca, e cosi´ sara´ facile per i pacifisti rigettare in toto le tue citazioni... Perche´ non hai chiesto il loro consenso sui termini fondamentali del confronto!
I pacifisti di oggi vedranno nel tuo scritto soltanto una lista di persone famose (o importanti Pensatori) che pensavano tutti che, insomma, la pace assoluta e´ un´utopia, in molti casi non ci si puo´ tenere indietro, e molte situazioni si possono risolvere solo o meglio con l´uso delle armi, ecc. Scusami, ma le stesse cose le dicono oggi Feltri, Fini e compagnia, non c´e´bisogno di scomodare i Grandi.
E allora? dove si nasconde la riflessione? io non la vedo. Qual´e´l´argomento che dovrerbbe convincere il pacifista? solo il fatto che lo pensavano Macchiavelli Bobbio e Lenin? un po´pochino.

Mi dispiace, volevo scrivere una puntuale critica filosofica del tuo intervento, ma mi rendo conto che non presenti argomenti a cui possa appigliarmi. L´argomentazione della tua tesi mi sembra un po´un ipse dixit, scusami se mi sbaglio, anzi ti prego di farmi vedere se ho perso qualche passaggio argomentativo determinante.

I protagonisti. Vorrei farti notare che i riferimenti interlocutori che tu idealmente accosti, i grandi Pensatori e i pacifisti, sono entita´ molti diverse, vorrei dire ontologicamente, se non avessi paura di sbrodolarmi. Far si che possano interagire logicamente, anche se solo nella nostra testa, e´ un´opera meritoria, una sfida di analisi e di comprensione, e come primo passo bisogna tenere presente che gli uni aleggiano coriacei e maestosi nella storia del Pensiero, mentre gli altri si muovono e agiscono nella storia delle idee, che é una cosa ben diversa. Le parole dei Pensatori, che non si discostano piu´ di tanto dal vecchio precetto del diritto domano (e in questa rilevazione di immobilita´ del pensiero dei Grandi e´ il vero merito del tuo intevento), si basano su concetti secolari che pacifisti non ritengono validi ipso facto (si dice cosi´?).

Per concludere, un suggerimento per un tuo auspicabile prosieguo analitico sulle ragioni dei pacifisti, dopo la carrellata sulle ragioni dei Pensatori. Il nucleo della posizione pacifista secondo me e´molteplice. Innanzitutto l' antimilitarismo, la dottrina della non violenza e della resistenza passiva, molto presenti nella storia delle idee del secolo scorso, e che ha forti collegamenti (e di lunga data) con il messaggio evangelico, e inoltre la conoscenza storica, sociale, di quale massacro di poveracci sia ogni guerra. Certo, se ti limiti (e limiti il nostro discorso) ai manuali di storia della filosofia, o ai dizionari, tutte opere per definizione accademiche, sarà difficile che trovi qualcosa a questo proposito.Leggiti piuttosto i libri di Emilio Lussu, un anno sull´altipiano, oppure le lettere dei prigionieri italiani nella pgm, o ascolta i canti popolari sulla guerra nati tra l´800 e il 1918, come ad esempio la splendida O Gorizia tu sei maledetta. Diversifica le tue fonti, confrontale, che solo con la storia delle Idee dei Grandi, come vedi, non si va molto piu´ in la´dei grandi stessi, figuriamoci parlare ai pacifisti..

un saluto cordiale.

Marco
Marco Cicuta is offline  
Vecchio 02-10-2004, 00.20.41   #3
r.rubin
può anche essere...
 
Data registrazione: 11-09-2002
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Salve a tutti, cercherò di proporre un’umile intervento, spero in qualche modo utile a questo interessante dibattito.
“si vis pace para bellum”, se vuoi la pace prepara la guerra, recita il diritto romano in cui la nostra civiltà trova terreno fertile per il suo fiorire, dove il fiorire è illuminato e così reso possibile dalla luce della giustizia. La guerra infatti, a volte, può essere resa necessaria dal criminale tentativo di offendere la natura intrinsecamente pacifica della società stessa, che si regge su accordi, su contrattazioni rispettose di diritti e doveri attraverso le quali ci si scambiano i beni di cui tutti necessitano per la propria, migliore, sopravvivenza. Non possiamo allora, in quanto cittadini civili, tollerare alcun tentativo di mettere in pericolo la struttura stessa della società, linfatica e salutare: la nostra stessa sopravvivenza verrebbe messa in serio pericolo, e ciò, se esiste un diritto alla vita, non è giusto, ed è quindi un nostro diritto e anzi, in rispetto delle stesse norme di reciprocità che reggono l’organismo sociale alla cui sopravvivenza contribuiamo e che a sua volta ci permette di sopravvivere, è nostro dovere agire, anche con la forza se necessario.
Per riaffermare ancora una volta lo stretto rapporto, addirittura naturale, esistente tra violenza e ingiustizia, direi anche che, se è vero che la psicologia ha dimostrato l’esistenza di emozioni fondamentali nel genere umano, al di là di ogni determinazione particolare dovuta ai condizionamenti culturali, e se è vero che tra queste rientra la rabbia, emozione provocata dalla convinzione di aver subito un’ingiustizia, e caratterizzata quando esacerbata da reazioni violente, possiamo concludere che la violenza è naturalmente collegata all’ingiustizia.

E se tutto questo è vero, pace e bene ai pacifisti, possiamo concludere che la guerra e la morte, a volte, permette la vita, e anche la loro: perché se l’organismo sociale mi permette di sopravvivere, e questo organismo sociale funziona al meglio in condizioni di pace, chiunque minacci questa pace minaccia anche me, e se preferisco fare l’imboscato tra le bandiere in piazza e sottrarmi al dovere che mi lega ad ogni mio concittadino, bene, sono solo un codardo opportunista, che quando c’è da mangiare mi siedo a tavola insieme agli altri, ma quando c’è da lottare per il cibo lascio andare solo gli altri.

Questa sarebbe poi, in sostanza, la guerra di difesa, no? Giustificabilissima.
Ma esiste anche, per forza, la guerra d’attacco, ovvero quella che gli Stati muovono ad un altro Paese per conquistarlo, provocando la sua organizzazione militare difensiva.
La guerra di difesa è giustificabile e quella d’attacco no? E perché mai?
Esistono casi in cui una guerra offensiva è resa necessaria dalle stesse cause che provocano la guerra di difesa: ossia la sopravvivenza.
È questo il caso in cui il Paese da cui parte l’aggressione aggredisce per necessità di risorse, risorse che nella madrepatria scarseggiano minacciandola di povertà, miseria, carestia, morte. Quel Paese attacca mosso dall’istinto e dal diritto (sempre che lo sia) di sopravvivenza.
Sicuramente il Paese aggredito non si farà conquistare per un eccesso di benevolenza, di sicuro non permetterà all’aggressore di sottometterlo per l’insopportabile angoscia causatagli dal pensiero della miseria a cui altrimenti sarebbero condannati: si difende, giustamente, difende la sua vita.

In questi casi entrambi, quindi, hanno le loro ragioni, e condivisibilissime, fondate sul diritto alla vita… che ahimè, a volte, contempla anche la morte, con buona pace dei pacifisti, ma anche di chi accusa il “nemico” ritenendolo semplicemente un arrogante che merita la fine del topo. Per carità, sentimento necessario, ma, in questi casi, razionalmente contraddittorio.

Quindi insomma, il diritto alla sopravvivenza, della società, del cittadino (anche pacifista ad oltranza) giustifica alcuni tipi di guerra.
Ma se la sopravvivenza la giustifica, la giustifica anche la volontà di mantenere un alto livello di vita, la volontà di mantenersi nel benessere?
Perché sembrerebbe proprio che alcuni paesi, senza fare nomi, portino guerra e distruzione e non davvero perché, poverini, rischiano di morire… ma perché rischiano di non mangiare più hamburger al Mc Donald’s, spaparazzarsi nei cinema a guardare i film di miliardari hollywoodiani, bere il caffè e poi mangiare il cioccolatino.

È giusto mangiare un cioccolatino e così far morire un bambino?
Allora chiudiamo subito quell’industria del cioccolato, licenziamo centinaia di operai impiegati dirigenti che si riverseranno nelle strade magari non riuscendo più a trovare un lavoro, ruberanno, così che i derubati avranno meno soldi per comprare il pane, il panettiere meno soldi per comprare la farina… perché la struttura in cui il sistema sociale è organizzato è si, flessibile, ma volendo modificarlo evitando che l’industria che crolla faccia crollare anche quella di fianco e così via, è necessaria una certa prudenza, altrimenti si rischia povertà, miseria, carestia, morte. E questo, come ho detto, se esiste un diritto alla vita, non è giusto.

Per fortuna e purtroppo, innalzandosi il livello del benessere, aumentano i consumi, e con loro lo sfruttamento delle risorse. Anche ammettendo che un paese avanzato riesca a svilupparsi magnificamente grazie allo risorse che trova nel suo paese, queste prima o poi finiranno, e una volta finite si renderà necessario, per mantenere in piedi la struttura che fino a quel momento si è andata formando, l’invasione di un paese ricco di quelle risorse di cui ha bisogno.
E se il paese che parte alla conquista è più forte, la legge del più forte ha già stabilito la collocazione di entrambi tra i vinti e i vincitori.

È brutto, è peggio, ma purtroppo e per fortuna è così.



(ps: non so dire di preciso il numero di cavolate che ho sparato, perché tra le tante zone di ignoranza ho praticamente tutta quella economica, e verosimilmente anche delle mie idee, visto che non mi aspettavo proprio di concludere così… tra l’altro in un altro forum difendevo le ragioni dei non violenti…)
r.rubin is offline  
Vecchio 02-10-2004, 10.42.52   #4
viandanteinattuale
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X r.rubin...

quello che scrivi è amarissimo...ma vero!
viandanteinattuale is offline  
Vecchio 02-10-2004, 19.19.33   #5
dana
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non c'è pace se non nella giustizia

Citazione:
Messaggio originale inviato da r.rubin
Per fortuna e purtroppo, innalzandosi il livello del benessere, aumentano i consumi, e con loro lo sfruttamento delle risorse.

E le risorse non sono illimitate: quindi noi paesi sviluppati e benestanti, non volendo cambiare il nostro stile di vita ed i nostri consumi, soprattutto energetici, abbiamo il diritto di difenderli fino ad attaccare i poveri del mondo che invece insidiano il nostro benessere?
No, grazie, non sono d’accordo.

Se vogliamo sconfiggere il terrorismo, le dittature e le minacce per la pace mondiale, bisogna prima fare i conti con le ingiustizie sociali e le enormi disuguaglianze economiche che ci sono tra i paesi ricchi e i paesi poveri (l’80% della popolazione mondiale).
E questo vuol dire cambiare in qualche modo i nostri stili di vita, perché l’eventualità che 6 miliardi di persone vivano come noi non è assolutamente sostenibile.
Le risorse non bastano per tutti: immaginiamo solo se avessero tutti il numero di automobili che abbiamo noi: non ci sarebbe benzina per tutti.
Non è accettabile che ci siano ancora oggi persone che muoiono di fame, non è accettabile che una buona parte della popolazione mondiale non abbia accesso all’acqua potabile: le risorse che il mondo ha e le conoscenze tecniche raggiunte non permetterebbero forse, con una più equa distribuzione, di raggiungere un livello minimo di sussistenza per tutti?
Anziché usare la forza e le bombe per difendere il nostro benessere economico, non potremmo utilizzare la nostra presunta superiorità per ridurre le ingiustizie sociali ed economiche nel mondo, anche se questo ci costringesse a ridimensionare il nostro stile di vita?
Questo è costruire la pace (secondo me).
La legge del più forte lasciamola all'uomo delle caverne...
dana is offline  
Vecchio 02-10-2004, 19.43.29   #6
r.rubin
può anche essere...
 
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Re: non c'è pace se non nella giustizia

un altro mondo è possibile, rivoluzioniamo i laboratori dove centinaia di scienziati lavorano alla ricerca della nuova miscela esplosiva, la nuova bomba intelligente, trasformiamoli in laboratori per un nuovo assetto mondiale. un altro mondo è possibile.

è davvero possibile?
un mondo più equo, dove non regni incontrastato l'arido cinismo della legge del più forte, l'avidità, ma la fratellanza. non più una società del potere piramidale, ma una comunità d'amore.

ideali molto cristiani, di quei cristiani che hanno costruito immense e rilucenti catterdrali d'oro massiccio, che girano con pesanti crocifissi d'oro parlando di carità per i poveri.

sembra quasi che, l'ideale e il reale, siano due piani che faticano a sovrapporsi. di solito sembra vincere il reale.

è davvero possibile?
non saprei proprio, il mondo in cui stiamo è enormemente complesso, non credo sarebbe facile riorganizzarlo.
ma, seppur difficile potrebbe essere possibile, e lo spero proprio.

certo però che, dana, possiamo sperare in qualsiasi cosa, ma è con la possibilità che dovremmo fare i conti. nel senso proprio di "fare i conti".

cazzarola, per condurre sensatamente questo discorso bisognerebbe saperne di economia.
r.rubin is offline  
Vecchio 02-10-2004, 19.47.25   #7
Brucus
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X Dana

"La legge del più forte lasciamola all'uomo delle caverne..."

Purtroppo le nostre società occidentali non si reggono tanto nella legge del più forte, contro la quale si può pur sempre fare qualcosa, ma nella legge dell'indifferenza, che è la peggiore di tutte.

brucus
Brucus is offline  
Vecchio 02-10-2004, 20.12.39   #8
dana
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Re: Re: non c'è pace se non nella giustizia

Citazione:
Messaggio originale inviato da r.rubin
è davvero possibile?
un mondo più equo, dove non regni incontrastato l'arido cinismo della legge del più forte, l'avidità, ma la fratellanza. non più una società del potere piramidale, ma una comunità d'amore.

Lasciamo stare la religione, un mondo più equo può essere anche un ideale laico.
E il mondo si sta dividendo sempre di più tra i pochi che diventano sempre più ricchi e i molti che diventano sempre più poveri.
Non vedo molte altre soluzioni, se non credere che un altro mondo è possibile: il nostro stile di vita occidentale è agli sgoccioli, non è più sostenibile, non può durare ancora a lungo.
E la pace è una necessità per tutti, ha un valore inestimabile.

“la terra ha abbastanza per il bisogno di tutti, ma non per l’ingordigia di tutti”. Gandhi
dana is offline  
Vecchio 02-10-2004, 23.01.30   #9
r.rubin
può anche essere...
 
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gran frase quella di Ghandi.

comunque la religione non c'entra, era solo un esempio di come le belle parole e i buoni sentimenti non sembrano, nella realtà, avere successo.

Citazione:
"La legge del più forte lasciamola all'uomo delle caverne..."


la tentazione irresistibile è di rispondere a questa frase con "però i luoghi comuni lasciamoli fuori dal forum di filosofia".
perchè, prova a pensare un attimo a questa malvista legge... non sta alla base della civiltà stessa? la civiltà, intesa nel senso se vogliamo materialistico del termine, società tecnologica, caratterizzata da un aumento considerevole di benessere rispetto alla vita dei trogloditi... come funziona la selezione dei cervelli da inserire nei programmi di ricerca più avanzati? non funziona attraverso una selezione che apre le porte ai migliori e le chiude ai peggiori? e così per tutto il resto. ok, d'accordo, non sempre passano proprio i migliori...diciamo che passa chi da il meglio al momento della selezione.... comunque la legge del più forte sembra mantenere una certa forza, così tra gli animali, così tra gli uomini.

Citazione:
E il mondo si sta dividendo sempre di più tra i pochi che diventano sempre più ricchi e i molti che diventano sempre più poveri.
Non vedo molte altre soluzioni, se non credere che un altro mondo è possibile: il nostro stile di vita occidentale è agli sgoccioli, non è più sostenibile, non può durare ancora a lungo.
E la pace è una necessità per tutti, ha un valore inestimabile.


come non darti ragione?
tra l'altro, considerando la forza che ho, mi appare chiaro che sarò tra i più deboli.
a parte questo, credo che forse potremmo abitare questo mondo in un modo incredibilmente migliore.
ho tanti altri sogni, ma proviamo ad argomentare queste nostre posizioni, altrimenti le frasi gettate al vento servono a ben poco, anche tu brucus, porta pazienza ma non si capisce cosa intendi..
r.rubin is offline  
Vecchio 03-10-2004, 15.05.35   #10
Fool:
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leggete per favore (può sembrare un attacco ma è solo un invito a riflettere)

LA VOSTRA VISIONE DI PACE E' MOLTO EGOISTICA...

pace deriva dalla parola pattuire, e i romani dicevano che per ottenere la pace devi fare la guerra, certo, se per pace intendi il quieto vivere del tuo stato, mi spiego, i romani intendevano come
periodo di pace, un periodo in cui i confini dell'impero non erano messi a rischio da nessun attacco barbarico e all'interno dell'impero si viveva serenamente e senza guerre, ma le missioni di espansione, sempre presenti, non erano considerate come non-pace, l'importante era che all'interno dell'impero tutto filasse liscio, e che nessuno avesse il potenziale necessario per mettere in pericolo l'integrità dell'impero. Questa quindi era una visone soggettiva di pace, basti pensare ai popoli che venivano invasi, essi non potevano dire di essere in stato di pace, ma a noi sono arrivate solo le notizie di ciò che pensavano i romani, non studiamo la cultura barbarica, quindi vediamo come buoni i romani, come quelli che combattevano per la pace, ma per la pace di chi?
Per la pace di se stessi, ecco di chi! Comportamento egocentristico che non pernde in considerazione se sia giusto o meno copromettere la pace dell'altro, ma pensa solo a garantire la propria. Ma questo ragionamento all'epoca dei romani poteva anche essere giustificato, date le credenze e la poca cultura media dell'epoca, i romani erano inconsapevoli di ciò che facevano: è facile essere portati a pensare che se un impero è così grande è appoggiato da qualche divinità che ne vuole il predominio sul mondo, quindi è buono, quindi è giusto che combatta contro i nemici (i cattivi), ma fare un ragionamento del genere oggi mi sembra ridicolo, anzi, chi di voi pensa che noi siamo i buoni e gli altri siano i cattivi dovrebbe solo vergognarsi, anche essi pensano la stessa cosa di noi, e anche tu se saresti nato li vedresti il tuo attuale mondo come una minaccia alla tua pace, ma dalla loro parte può essere anche giustificato (c'è ancora molta ignoranza lì) ma da noi esseri acculturati questa è una grande dimostrazione di superficialità e menefreghismo, la definizione di pacifista oggi per me non è "ASSICURARSI LA PROPRIA PACE" ma è "ASSICURARE CHE OGNI POPOLAZIONE VIVA IN MODO LIBERO" noi non siamo nessuno per poter dire di sterminare una popolazione perche minaccia la nostra pace, farlo è da egoisti, e non dobbiamo prendercela con loro se sono poco istruiti e molto legati alle tradizioni, e quindi vorrebbero sterminarci perche ci vedono come una minaccia, ma bensì essendo più istruiti e autonomi mentalmente il nostro compito sarebbe quello di fargli capire che stanno sbagliando, rispondere nello stesso modo mostra che stiamo sbagliando più di loro, e in modo più consapevole quindi più sbagliato ed EGOISTA.



ps.
qualcuno ha detto che le risorse stanno per esaurisrsi e non bastano a "GARANTIRE CHE OGNI POPOLAZIONE VIVA IN MODO LIBERO", cosa che condivido, ma eliminare una popolazione per
garantire la propria sopravvivenza non fa altro che rimandare il problema, infatti si arriverà ad un punto in cui le risorse non basteranno neanche per garantire la sopravvivenza di un solo popolo, che quindi sarà costretto a farsi la guerra da solo. (questo è un paradosso sui cui riflettere...)
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