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 La Sfinge e Dintorni - Commenti sugli articoli della omonima rubrica presente su WWW.RIFLESSIONI.IT - Indice articoli rubrica


Vecchio 12-12-2012, 11.46.58   #1
sgiombo
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Demarcazione tra scienza e non-scienza

Trovo questo articolo Demarcazione tra scienza e non-scienza. Come delimitare il pensiero scientifico? veramente splendido perché chiarisce sia le conquiste e le potenzialità della scienza sia i suoi limiti, con molto equilibrio (che oggi é merce alquanto rara a mio parere).
La conclusione mi lascia un po' perplesso:

"Direi, avvicinandoci alla conclusione, che quando siamo lontani da procedure osservative condivise e dalla possibilità di costruire modelli confrontabili con quella che abbiamo definito la resistenza del mondo, abbiamo bisogno di altri giochi culturali e non della scienza. Inevitabile fare un riferimento all’idea di Dio. Può esserci un fisico teorico come Frank Tipler (tra l’altro solitamente molto bravo, ve l’assicuro) che ha costruito una sua “teologia scientifica” basata su uno scenario teorico di cosmologia quantistica, ma naturalmente la sua identificazione della singolarità finale in cui collasserà e si conserverà tutta l’informazione finale dell’universo con Dio (e della funzione d’onda d’universo con lo Spirito Santo), è assolutamente arbitraria, dunque non direi che ha fatto della teologia una scienza, piuttosto ha mischiato due linguaggi diversi, credo mortificandoli entrambi. E’ bene che di Dio continuino a parlare i mistici ed i teologi, che hanno un loro “rigore” – come i letterati e gli artisti -, che è altro rispetto a quello scientifico".

Perché sarebbe inevitabile fare riferimento all' idea di Dio?
Secondo me esistono altri possibili atteggiamenti filosofici più razionalistici che le teologie e le religioni per indagare i limiti delle conoscenze scientifiche e oltre tali limiti i problemi che esse non possono affrontare, come quello delle coscienza (intesa in senso proprio, "in prima persona", non come comportamento -anche- cosciente, esaminabile "in terza persona": il "problema arduo" della coscienza, per dirlo con D. Chalmers).
Credo che dell' idea di Dio si possa (N.B. non: si debba, obbilgatoriamente) benissimo fare a meno.
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Vecchio 12-12-2012, 15.29.59   #2
Il_Dubbio
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Originalmente inviato da sgiombo

Perché sarebbe inevitabile fare riferimento all' idea di Dio?

Anch'io ho provato molta soddisfazione nel leggere l'articolo di Licata, ma non mi sono limitato a leggerlo una sola volta. Sono già alla terza e voglio rileggerlo ancora per un motivo molto semplice... perchè parla di complessità.

Per quanto riguarda il quotato, credo che Licata volesse fare riferimento all'idea di Dio per dire il contrario e cioè che non si può far riferimento a Dio parlando di scienza poichè i due linguaggi (quello scientifico e quello teologico) sono diversi. Ho letto il libro di Tripler (quello a cui si fa riferimento) e mi sembra che Licata sia stato fin troppo buono. Mischiare le due cose (per esempio tentare di spiegare in maniera scientifica il concepimento di Gesù dalla Madonna "vergine") mi è sembrata un'operazione a dir poco forzata. Comunque credo si possa dare, a questo incredibile tentativo, un voto ottimo per il coraggio. E non solo. Per il sol fatto che arriva da uno scienziato, che, come dice Licata, è un ottimo scienziato, è visto come ottimo tentativo per conciliare in qualche modo, anche se non in termini scientifici, questi due approcci. In fondo probabilmente si voleva far passare questo messaggio: tutti gli inspiegabili racconti all'apparenza fantasiosi, potrebbero avere spiegazioni scientifiche. Secondo me il messaggio di Tripler è ancora più subliminale, vuol dire cioè che Dio (l'entità in cui credono i fedeli) usa la scienza per far quelle cose inspiegabili che sembra poter fare solo Dio. Ad un certo punto vien fuori che il "potere" scientifico è più forte di Dio stesso. A questo punto la demarcazione tra scienza e fede in Dio non c'è. Per Tripler esiste solo la spiegazione scientifica, mentre Dio, per fare Dio, deve usare la scienza altrimenti gli sarebbe stato impossibile fare le cose che ha fatto o che fa. Tutto sommato è un'opinione rispettabile anche se non credo sia del tutto condivisibile. Per questo, suppongo, Licata preferisca non mischiare i due approcci.
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Vecchio 12-12-2012, 17.33.10   #3
sgiombo
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Riferimento: Demarcazione tra scienza e non-scienza

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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Anch'io ho provato molta soddisfazione nel leggere l'articolo di Licata, ma non mi sono limitato a leggerlo una sola volta. Sono già alla terza e voglio rileggerlo ancora per un motivo molto semplice... perchè parla di complessità.

Per quanto riguarda il quotato, credo che Licata volesse fare riferimento all'idea di Dio per dire il contrario e cioè che non si può far riferimento a Dio parlando di scienza poichè i due linguaggi (quello scientifico e quello teologico) sono diversi. Ho letto il libro di Tripler (quello a cui si fa riferimento) e mi sembra che Licata sia stato fin troppo buono. Mischiare le due cose (per esempio tentare di spiegare in maniera scientifica il concepimento di Gesù dalla Madonna "vergine") mi è sembrata un'operazione a dir poco forzata. Comunque credo si possa dare, a questo incredibile tentativo, un voto ottimo per il coraggio. E non solo. Per il sol fatto che arriva da uno scienziato, che, come dice Licata, è un ottimo scienziato, è visto come ottimo tentativo per conciliare in qualche modo, anche se non in termini scientifici, questi due approcci. In fondo probabilmente si voleva far passare questo messaggio: tutti gli inspiegabili racconti all'apparenza fantasiosi, potrebbero avere spiegazioni scientifiche. Secondo me il messaggio di Tripler è ancora più subliminale, vuol dire cioè che Dio (l'entità in cui credono i fedeli) usa la scienza per far quelle cose inspiegabili che sembra poter fare solo Dio. Ad un certo punto vien fuori che il "potere" scientifico è più forte di Dio stesso. A questo punto la demarcazione tra scienza e fede in Dio non c'è. Per Tripler esiste solo la spiegazione scientifica, mentre Dio, per fare Dio, deve usare la scienza altrimenti gli sarebbe stato impossibile fare le cose che ha fatto o che fa. Tutto sommato è un'opinione rispettabile anche se non credo sia del tutto condivisibile. Per questo, suppongo, Licata preferisca non mischiare i due approcci.

Sono d' accordo sull' inammissibilità (incorrettezza logica, incoerenza; non "divieto" o censura, per carità!) di mescolare ciò che é scienza con ciò che scienza non é. Mi sembra pacifico per tutti ...tranne che per Tipler, a conferma del fatto che ottimi scienziati possono benissimo essere pessimi filosofi (e viceversa).
La mia obiezione riguardava la limitazione di qualunque sapere che non sia scienza alla sola teologia (comunque alla religione), metre io penso che esistano svariate filosofie, anche diverse da (e per importanti aspetti contrarie a) quelle teistiche, e a mio modesto avviso rispetto a queste ultime molto più razionalistiche e preferibili (da patre mia, essendo razionalista).
Volevo anche dirimere un mio dubbio: l' autore di questo inetressante articolo pensa forse che la scienza sia il solo sapere razionale, al di fuori del quale si può solo finire nella religione o peggio nella superstizione (atteggiamento positivistico)?
Io non sarei d' accordo, in quanto penso che anche la riflessione filosofica possa essere razionalistica; non necessariamente quella di fatto praticata -se e quando la praticano- dai ricercatori di professione (e il caso di Tipler me lo conferma; ma anche a mio avviso il molto che da parte di vari scienziati é stato scritto sul "principio antropico").
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Vecchio 13-12-2012, 09.18.56   #4
Il_Dubbio
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l' autore di questo inetressante articolo pensa forse che la scienza sia il solo sapere razionale, al di fuori del quale si può solo finire nella religione o peggio nella superstizione (atteggiamento positivistico)?

Penso che il ragionamento fatto abbia questi presupposti: non è possibile oggi dividere in modo netto la scienza dalla non scienza per il semplice fatto che prima, la scienza, aveva alcune caratteristiche fondamentali che oggi non ha più, in quanto deve affrontare problemi "complessi". Per esempio la previdibilità. Siccome non sempre è possibile prevedere in modo netto e direi "scientifico" (per come è stato sempre inteso) un evento futuro, la scienza oggi si ferma alla "sola" comprensione dei fenomeni in atto. E' chiarmante una questione epistemologica, cioè della filosofia della scienza, o almeno a me così pare.
Quel che ho compreso io, alla luce di quanto fin'ora letto, è che anche la scienza sia attualmente un sistema complesso e l'epistemologia non può trovare (come credo sia stato il tentativo nel passato da parte di famosi epistemologi) criteri netti di demarcazione tra quel che scienza è e quel che scienza non è.
Siamo in un certo senso in una situazione di stallo, in cui l'evoluzione scientifica trova ogni giorno, ognuno nel suo ambito, i criteri più giusti per continuare a comprendere il mondo. Ma non c'è un criterio che ne è anche un "principio" assoluto e per tutti valido.
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Vecchio 16-12-2012, 09.54.50   #5
Il_Dubbio
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La conclusione è che “scienza” non è parola monolitica ed univoca, indica una pluralità di linguaggi, un’ecologia di strategie cognitive in cui è centrale la ricerca, tramite la scelta delle osservabili e la costruzione di modelli, di forme di attrito con il mondo.


A mio avviso questa "pluralità di linguaggi" suscita qualche perplessità quando si devono affrontare problemi etici o quando ci sia da decidere cosa, tra le tante idee di ricerca, finanziare. Direi che questo problema non riguarda tanto la scienza in se, ma il suo rapporto con il mondo sociale e civile. Non so però se i molteplici linguaggi della scienza aiutino questo rapporto. Esiste anche un ente (che spesso non si sa da chi sia composto) che vien chiamato "comunità scientifica", che indirizza e detta alcuni processi invece di altri. Probabilmente sarà quest'ente a collegare la società civile e la scienza, ma alcune volte sembra anche essere di ostacolo alla libera ricerca e per ultimo alla applicazione di ricerche scientifiche già svolte.
Mi chiedo con quale "metodo" o linguaggio svolge questo compito?
Io ne dico solo uno (che mi pare il più veritiero): conservativo. Fa un po' le veci del Dna che tende a conservarsi, mentre l'errore di trascrizione (che fa evolvere in meglio o in peggio un'unità biologica), viene rappresentato dalla nuova ricerca o peggio da una nuova idea. In questo modo la scienza diventa un "potere", in mano ad una fantomatica "comunità scientifica", che indirizza, ma non è detto per migliorare, la ricerca scientifica.

Quindi la scienza non sarà monolitica, però da l'impressione di essere abbastanza "granitica".
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Vecchio 16-12-2012, 12.06.58   #6
sgiombo
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La conclusione è che “scienza” non è parola monolitica ed univoca, indica una pluralità di linguaggi, un’ecologia di strategie cognitive in cui è centrale la ricerca, tramite la scelta delle osservabili e la costruzione di modelli, di forme di attrito con il mondo.


A mio avviso questa "pluralità di linguaggi" suscita qualche perplessità quando si devono affrontare problemi etici o quando ci sia da decidere cosa, tra le tante idee di ricerca, finanziare. Direi che questo problema non riguarda tanto la scienza in se, ma il suo rapporto con il mondo sociale e civile. Non so però se i molteplici linguaggi della scienza aiutino questo rapporto. Esiste anche un ente (che spesso non si sa da chi sia composto) che vien chiamato "comunità scientifica", che indirizza e detta alcuni processi invece di altri. Probabilmente sarà quest'ente a collegare la società civile e la scienza, ma alcune volte sembra anche essere di ostacolo alla libera ricerca e per ultimo alla applicazione di ricerche scientifiche già svolte.
Mi chiedo con quale "metodo" o linguaggio svolge questo compito?
Io ne dico solo uno (che mi pare il più veritiero): conservativo. Fa un po' le veci del Dna che tende a conservarsi, mentre l'errore di trascrizione (che fa evolvere in meglio o in peggio un'unità biologica), viene rappresentato dalla nuova ricerca o peggio da una nuova idea. In questo modo la scienza diventa un "potere", in mano ad una fantomatica "comunità scientifica", che indirizza, ma non è detto per migliorare, la ricerca scientifica.

Quindi la scienza non sarà monolitica, però da l'impressione di essere abbastanza "granitica".

Penso che questa comunità scientifica non sia però aroccata in una torre d' avorio, ma sia fortemente intrecciata con la società e dunque di fatto fortemente condizionata soprattutto dagli interesssi e dai settori sociali dominati. Spesso negativamente per la società nel suo complesso: produzione di armi (per esempio quelle nucleari o chimiche) ma anche invenzione di tecnologie "civili" (per esempio quelle che incrementano incontrollatamente l' anidride carbonica atmosferica o che riducono drammaticamente la biodiversità) che (col determinante contributo dei rapporti sociali di fatto vigenti e della loro logica "illimitatamente produttivistica-consumistica") mettono seriamente a repentaglio la sopravvivenza delle stessa specie umana (oggi gli effetti negativi di scete a mio avviso anche solo di finanziamento e indirizzo della ricerca teorica pura -ma di fatto inseparabile dalle sue potenziali applicazioni pratiche- possono essere catastrofiche in conseguenza delle stesse conquiste e progressi già realizzati dalla scienza e dalla conseguente potenza trasformatrice -tanto in bene quanto in male- conseguita delle loro applicazioni tecniche pratiche: una volta richiava di saltare in aria col suo laboratorio lo scienziato imprudente e /o sfortunato; oggi rischiano di far satare in aria l' umanità intera).
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Vecchio 02-01-2013, 18.27.14   #7
and1972rea
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Comprendere se la natura prenda forma attraverso di noi e ci dica quel che vogliamo sentirci dire, oppure, se essa si comporti come un testimone reticente fornendo elementi riguardo ad un fatto reale ,ma ugualmente utili a costruire verità processuali e teoremi e disegni fra loro non sovrapponibili o addirittura antitetici per spiegare il mondo, oppure , ancora,se la natura esista gia' formata nella materia di cui si occupano le scienze fisiche ( che per alcuni e' il Reale...) e si tratti soltanto di liberarne michelangiolescamente il contenuto usando solamente l'arte del cesello vuotatore, credo sia la missione piu' affascinante e stimolante per un filosofo della scienza; l'approccio metodologico alla complessità delle apparenti forme del mondo in cui viviamo diviene, quindi, quasi automatico ( come spiega mirabilmente il fisico nel suo articolo), anche se radicalmente diverso, sia nel contesto di una nostra attuale inadeguatezza nel comprendere il significato del reale in cui siamo apparentemente immersi ( che non vuol dire “non sostanzialmente” immersi) , sia nel momento in cui dovessimo riuscire a cogliere logicamente questo significato ancor prima di definire l'architettura del reale in ogni suo aspetto piu' o meno formale.
La demarcazione tra scienza e non-scienza non puo' passare, a mio avviso, oltre la comprensione filosofica della relazione fra noi e l'apparenza del mondo che ci circonda, fra noi e la realta', fra l'io ed il non-io, fra il razionale ed il reale.
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Vecchio 03-07-2013, 20.03.38   #8
ulysse
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SCOPO DELLA RICERCA SCINTIFICA E METODO.
Per non menare il can per l'aia credo di possa pragmaticamente definire lo scopo della attività che chiamiamo ricerca scientifica, cioè l'attività del perseguire la conoscenza della origine, della struttura, della evoluzione e funzionalità dell'universo o di possibili vari universi...costituiti e definiti da materia piu' o meno oscura, campi di energia, leggi, fenomeni, ecc...

In particolarem affinchè tale attività sia definita "scienza" (scienza galileana) è necessario che essa sia perseguita col "metodo della scienza"...originalmente definito in nuce da Galileo con le sue metodologie di ricerca e nella sua opera: "Dialogo sui due massimi sistemi del mondo"

Cioè, oltre la tradizionale definizione dell'argomento fenomenico di ricerca...eventulmente compreso in più vaste teoria... ed oltre la intuizione (pensiero logico e laterale), osservazione, raccolta dati.. ecc...occorre progettare ed espletare la sperimentazione del fenomeno sotto studio.

Le risultanze della sperimentazione, espresse in termini matematici,(scienza di primo livello) o, almeno, in termini logici...(scienze derivate o di secondo livello)... andranno a costituire l'enunciato scientifico della risultanza perseguita (il "trovato")....naturalmente se la sperimentazione ha successo...cioè se realizza quanto previsto...o anche l'imprevisto...qundo sia comunque congruente col fenomeno di ricerca e leggi fisiche di base.

Se la sperimentazione fallisce significa che, o è stata mal progettata e mal condotta e occorre rifare...o magari trarne indicazioni per ulteriori future sperimentazioni ...oppure significa che proprio siamo fuori.

Comunque il fatto fondamentale resta che senza misura di entità concrete e senza sperimentazione non c'è scienza.
Ne consegue che ove non vi sia appiglio di misura la scinza non alligna.

Non ci sarebbe scienza nemmeno se si dubitasse che gli oggetti della sperimentazione, cioè i fenomeni del "reale universo là fuori", fossero irreali.
In proposito le ipotesi della filosofia sono ininfluenti per la scienza.

Naturalmente si ammette però che gli enunciati scientifici nel loro insieme (il sapere della scienza in definitiva) non rapresentino completamente, per ora, il reale universo là fuori...ma che lo possano rappresentare sempre più col proceredere della ricerca...fino al limite della coincidenza... fra un anno, cento anni, mille anni, ecc....
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Vecchio 14-08-2013, 11.22.58   #9
Parva
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Trovo questo articolo Demarcazione tra scienza e non-scienza. Come delimitare il pensiero scientifico? veramente splendido perché chiarisce sia le conquiste e le potenzialità della scienza sia i suoi limiti, con molto equilibrio (che oggi é merce alquanto rara a mio parere).
La conclusione mi lascia un po' perplesso:

"Direi, avvicinandoci alla conclusione, che quando siamo lontani da procedure osservative condivise e dalla possibilità di costruire modelli confrontabili con quella che abbiamo definito la resistenza del mondo, abbiamo bisogno di altri giochi culturali e non della scienza. Inevitabile fare un riferimento all’idea di Dio. Può esserci un fisico teorico come Frank Tipler (tra l’altro solitamente molto bravo, ve l’assicuro) che ha costruito una sua “teologia scientifica” basata su uno scenario teorico di cosmologia quantistica, ma naturalmente la sua identificazione della singolarità finale in cui collasserà e si conserverà tutta l’informazione finale dell’universo con Dio (e della funzione d’onda d’universo con lo Spirito Santo), è assolutamente arbitraria, dunque non direi che ha fatto della teologia una scienza, piuttosto ha mischiato due linguaggi diversi, credo mortificandoli entrambi. E’ bene che di Dio continuino a parlare i mistici ed i teologi, che hanno un loro “rigore” – come i letterati e gli artisti -, che è altro rispetto a quello scientifico".

Perché sarebbe inevitabile fare riferimento all' idea di Dio?
Secondo me esistono altri possibili atteggiamenti filosofici più razionalistici che le teologie e le religioni per indagare i limiti delle conoscenze scientifiche e oltre tali limiti i problemi che esse non possono affrontare, come quello delle coscienza (intesa in senso proprio, "in prima persona", non come comportamento -anche- cosciente, esaminabile "in terza persona": il "problema arduo" della coscienza, per dirlo con D. Chalmers).
Credo che dell' idea di Dio si possa (N.B. non: si debba, obbilgatoriamente) benissimo fare a meno.

Mi piacque molto ciò che disse Einstein in proposito che più o meno suonava:

"La religione è un giocattolo per bambini impauriti, ciononostante mi danno fastidio gli atei convinti della loro presunzione di conoscere il cosmo"

Trovo che la domanda fondamentale possa essere: ma il cosmo è intelligente o solo casuale?
Il fatto che possa essere intelligente non significa che si occupi di noi più di quanto noi ci occupiamo delle cellule epiteliali che ci cadono in terra ogni giorno. Forse il problema è la nostra mente, che cerca di vedere il mondo da fuori, cioè con la mente, senza entrarci dentro.

La mente separata dall'anima diventa ossessiva. L'anima separata dalla mente diventa delirante e visionaria. Forse per rientrare nel cosmo da cui siamo separati occorre riunificare mente e anima.

La conoscenza è sempre semplicissima e coi piedi per terra.

Perchè il dolore nasce dalla separazione, non dalla mamma umana come hanno scritto psicologi visionari, ma dal cosmo (Iside utero d'oro, Apuleio aveva capito)..
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Vecchio 28-08-2013, 16.36.40   #10
mariodic
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La conclusione è che “scienza” non è parola monolitica ed univoca, indica una pluralità di linguaggi, un’ecologia di strategie cognitive in cui è centrale la ricerca, tramite la scelta delle osservabili e la costruzione di modelli, di forme di attrito con il mondo.


A mio avviso questa "pluralità di linguaggi" suscita qualche perplessità quando si devono affrontare problemi etici o quando ci sia da decidere cosa, tra le tante idee di ricerca, finanziare. Direi che questo problema non riguarda tanto la scienza in se, ma il suo rapporto con il mondo sociale e civile. Non so però se i molteplici linguaggi della scienza aiutino questo rapporto. Esiste anche un ente (che spesso non si sa da chi sia composto) che vien chiamato "comunità scientifica", che indirizza e detta alcuni processi invece di altri. Probabilmente sarà quest'ente a collegare la società civile e la scienza, ma alcune volte sembra anche essere di ostacolo alla libera ricerca e per ultimo alla applicazione di ricerche scientifiche già svolte.
Mi chiedo con quale "metodo" o linguaggio svolge questo compito?
Io ne dico solo uno (che mi pare il più veritiero): conservativo. Fa un po' le veci del Dna che tende a conservarsi, mentre l'errore di trascrizione (che fa evolvere in meglio o in peggio un'unità biologica), viene rappresentato dalla nuova ricerca o peggio da una nuova idea. In questo modo la scienza diventa un "potere", in mano ad una fantomatica "comunità scientifica", che indirizza, ma non è detto per migliorare, la ricerca scientifica.

Quindi la scienza non sarà monolitica, però da l'impressione di essere abbastanza "granitica".
Secondo me tra l'allacciarsi le scarpe e farei ipotesi sugli sviluppi di un processo storico non v'è differenza qualitativa ma solo quantitativa. La quantità in parola è quella della Conoscenza; certo questa misura è problematica ma, credo, possibile. L'Osservatore, nell'una e/o nell'altra dei due atti osservativi -apparentemente tanto diversi-, prima messi confronto genera la "vita" del Suo Universo su Sé medesimo, secondo un ciclo autoreferente coinvolgente Singolarità Osservante col resto dell'Universo.
mariodic is offline  

 

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