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Psicologia - Processi mentali ed esperienze interiori.
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Vecchio 05-06-2007, 12.01.15   #1
querelle
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Mi si presenta nuovamente un'occasione che si presta a nuovi spunti di crescita/riflessione. Abbandonato dalla donna che amo (sparita per un altro/a) mi rendo conto, nell'oceano della mia sofferenza, di quanto passi la vita alla ricerca di qualcosa da cui "dipendere". E' come se intimamente si facesse avanti una sensazione di profondo vuoto col quale non riesco proprio a farci amicizia. Da lì i + svariati tentativi, + o meno sottili, di fuga. Si và dalla dipendenza affetiva, all'eccessiva enfasi dei miei interesi. Parto da un stato di disperazione che mi fà aggrappare al primo scoglio disponibile. Peccato che ne percepisca l'inconsistenza...insommma, nemmeno io ci credo + ai vari anestetizzanti. Questo è disperante. Sò di avere paura di qualcosa dalla quale inevitabilmente fuggo e la fuga produce sofferenza.
Arrivo addirittura a dirmi che questo stesso tentativo di razionalizzazione sia a sua volta un modo per fuggire.
Ma che succede se non faccio proprio niente e mi prendo a braccetto sta sofferenza ancestrale che mi porto dentro?
Non c'entra la volontà credo,voi cosa ne pensate?
querelle is offline  
Vecchio 05-06-2007, 12.46.51   #2
voluttà
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Mi si presenta nuovamente un'occasione che si presta a nuovi spunti di crescita/riflessione. Abbandonato dalla donna che amo (sparita per un altro/a) mi rendo conto, nell'oceano della mia sofferenza, di quanto passi la vita alla ricerca di qualcosa da cui "dipendere". E' come se intimamente si facesse avanti una sensazione di profondo vuoto col quale non riesco proprio a farci amicizia. Da lì i + svariati tentativi, + o meno sottili, di fuga. Si và dalla dipendenza affetiva, all'eccessiva enfasi dei miei interesi. Parto da un stato di disperazione che mi fà aggrappare al primo scoglio disponibile. Peccato che ne percepisca l'inconsistenza...insommma, nemmeno io ci credo + ai vari anestetizzanti. Questo è disperante. Sò di avere paura di qualcosa dalla quale inevitabilmente fuggo e la fuga produce sofferenza.
Arrivo addirittura a dirmi che questo stesso tentativo di razionalizzazione sia a sua volta un modo per fuggire.
Ma che succede se non faccio proprio niente e mi prendo a braccetto sta sofferenza ancestrale che mi porto dentro?
Non c'entra la volontà credo,voi cosa ne pensate?


non lo so se la vontà c'entra, forse se così fosse una soluzione se pur difficile ci sarebbe... ma ho paura che non sia così.
razzionalizzare per fuggire, questo invece è un classico, ma nemmeno questo porta da nessuna parte...
non so cosa dirti, mi viene in mente solo una frase scitta da non mi ricordo quale romantico autore che recitava più o meno così:

" E' l'ora di ubriacarsi!!!"
Per non essere gli schiavi
martirizzati del tempo, ubriacatevi;
Ubriacatevi senza smettere!
Di vino, di poesia o di virtù, a piacer vostro.

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Vecchio 05-06-2007, 12.47.40   #3
catoblepa
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Mi si presenta nuovamente un'occasione che si presta a nuovi spunti di crescita/riflessione. Abbandonato dalla donna che amo (sparita per un altro/a) mi rendo conto, nell'oceano della mia sofferenza, di quanto passi la vita alla ricerca di qualcosa da cui "dipendere". E' come se intimamente si facesse avanti una sensazione di profondo vuoto col quale non riesco proprio a farci amicizia. Da lì i + svariati tentativi, + o meno sottili, di fuga. Si và dalla dipendenza affetiva, all'eccessiva enfasi dei miei interesi. Parto da un stato di disperazione che mi fà aggrappare al primo scoglio disponibile. Peccato che ne percepisca l'inconsistenza...insommma, nemmeno io ci credo + ai vari anestetizzanti. Questo è disperante. Sò di avere paura di qualcosa dalla quale inevitabilmente fuggo e la fuga produce sofferenza.
Arrivo addirittura a dirmi che questo stesso tentativo di razionalizzazione sia a sua volta un modo per fuggire.
Ma che succede se non faccio proprio niente e mi prendo a braccetto sta sofferenza ancestrale che mi porto dentro?
Non c'entra la volontà credo,voi cosa ne pensate?

Aggrapparsi a qualcosa per contrastare il dolore è assolutamente normale e necessario, per non cedere ad una disperazione senza ritorno e quindi pericolosa; ci si può aggrappare al lavoro, ad una persona (che in qualche modo "sfruttiamo" perchè in quel momento ci serve un appoggio), ad uno sport, ad un hobby, ecc...non ci vedo nulla di male. Più che la volontà credo si tratti di una delle sfaccettature dell'istinto di sopravvivenza....
Ah, mi auguro per te, che quando parli di "anestetizzanti" tu non intenda sostanze "particolari"...quelle non sono la soluzione, ma anzi la strada per rafforzare il dolore. Un saluto.
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Vecchio 05-06-2007, 13.24.40   #4
visir
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Scuola dura, scuola giusta.

L'uomo ordinario impara solo dalla sofferenza.

Questa è la mia esperienza.

La sofferenza di cui parli c'è sempre, anche quando credi di essere felice.
Ora semplicemente sei meno distratto.

Ti sembrerà una schifezza un mondo combinato così, ma è solo una incomprensione, una distorsione di quello che io chiamo:un sano vedere il mondo per come è.
Tutti ricercano la felicità e fanno poi una vita di merda.
Un motivo ci sarà, non credi?
Qualche cosa di sbagliato in questo processo, in questa ricerca, ci sarà...
Oppure pensi che gli altri sono dei fessi?
Semplicemente io penso che se si parte da presupposti errati non si può arrivare a nessuna verità (realtà direi più esattamente).

La vita sembra un mostro, a quello toglie un piede a quell'altro porta via un figlio, la suocera appare eterna e inossidabile anche ai radicali liberi.
Follia.
Non ho risposte...solo domande, ma posso dirti che ci sono passato e quindi posso parlare.
Devi digerire il malloppone, anche se pesa, anche se fa male...tutto fino in fondo e alla fine devi pure dire grazie (un grazie sincero).

Questa è la sola via che conosco, altrimenti vivi come tutti gli zombi di questo pianeta che hanno paura di morire e non hanno mai veramente vissuto.

Ricorda che al peggio non c'è mai limite, un motivo ci sarà.

Siamo soli, ma il cielo copre tutti e anche per questo un motivo ci sarà...
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Vecchio 05-06-2007, 13.57.33   #5
querelle
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...e se la sofferenza fosse generata dall'illusione stessa di potersene sbarazzare?
Mi sembra che Visir ponga l'accento su un aspetto fondamentale, la sofferenza,o meglio la differenza tra essa e l'idea che ne abbiamo.
Sarebbe il caso, una volta per tutte prendersela a braccetto (con mandare giù il malloppo credo intendesse questo Visir) ma dov'è questo mondo incantato al di là dei concetti, al di là delle scelte?
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Vecchio 05-06-2007, 15.16.44   #6
vagabondo del dharma
a sud di nessun nord
 
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Mi si presenta nuovamente un'occasione che si presta a nuovi spunti di crescita/riflessione. Abbandonato dalla donna che amo (sparita per un altro/a) mi rendo conto, nell'oceano della mia sofferenza, di quanto passi la vita alla ricerca di qualcosa da cui "dipendere". E' come se intimamente si facesse avanti una sensazione di profondo vuoto col quale non riesco proprio a farci amicizia. Da lì i + svariati tentativi, + o meno sottili, di fuga. Si và dalla dipendenza affetiva, all'eccessiva enfasi dei miei interesi. Parto da un stato di disperazione che mi fà aggrappare al primo scoglio disponibile. Peccato che ne percepisca l'inconsistenza...insommma, nemmeno io ci credo + ai vari anestetizzanti. Questo è disperante. Sò di avere paura di qualcosa dalla quale inevitabilmente fuggo e la fuga produce sofferenza.
Arrivo addirittura a dirmi che questo stesso tentativo di razionalizzazione sia a sua volta un modo per fuggire.
Ma che succede se non faccio proprio niente e mi prendo a braccetto sta sofferenza ancestrale che mi porto dentro?
Non c'entra la volontà credo,voi cosa ne pensate?

La sofferenza, il vuoto, l'isolamento, potrebbero essere tutti sinonimi. Quando si viene lasciati (ti comprendo in pieno) la sofferenza pincipale è generata dal sentirsi isolati, allora si cerca in tutti i modi di distrarsi da quella sofferenza con "anestetizzanti" vari. La società richiede che noi ci affidiamo a queste soluzioni per chiudere un capitolo e ripartire sperando di trovare un'altra storia, un'altra opportunità. La maggior parte funziona così e forse è un atteggiamento del tutto funzionale e sano, per dirla in termini psicologici.

Ma l'essere lasciati soli, avvertire una profonda solitudine, può essere anche una grande opportunità per sentirci in contatto con una parte estremamente sensibile che abbiamo in noi. Quella sofferenza, che noi attribuiamo alla situazione dalla quale siamo appena usciti sconfitti, proviene dal passato e rappresenta il risultato cumulativo di tanti dolori, molti subiti in tenera età, che riemergono con tutta la loro forza. La ferita profonda viene solleticata nel presente ma ci parla anche del passato. Occorre accogliere questa sofferenza e vedere cosa ci vuole dire, altrimenti è molto facile che ricadiamo in uno schema che si ripeterà anche in futuro perchè si è già ripetuto in passato.
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Vecchio 05-06-2007, 15.24.53   #7
visir
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l'isola che non c'è

Con la poca umiltà che ho potrei dirti che ognuno se la deve cercare da solo.
Ma sarebbe comodo e quindi non lo faccio.

Svuotare la mente, come nell'attimo che la spada è levata contro di te (per usare un'espressione un po' samurai) è la prima cosa, costruire un corpo senza buchi e un cuore ampio che possa contenere ogni cosa.

Già sarebbe un buon inizio....

Sopra ogni cosa: se si vuol andare lontano bisogna viaggiare leggeri, ma se vuoi volare immagina quanto leggero devi essere.

Personalmente arranco nel fango dell'esistenza non cerco più isole, mi basta stare dove sono, lì è la mia casa.

Ogni tanto alzo lo sguardo e vedo un cielo pieno di stelle, a volte mi parlano: "noi un tempo eravamo come te", mi dicono e ci scappa da ridere.
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Vecchio 05-06-2007, 18.34.08   #8
lordalbert
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Quello che ho sempre pensato, è che l'amore serve per colmare dei vuoti interiori. delle mancanze.
Prima di impegnarsi in una storia, secondo me bisogna essere apposto con se stessi. Non cercare in altri quello che ci manca. Ma rinforzarci autonomamente.
Se vogliamo vedere, l'amore può essere la stessa cosa che è Dio per Feuerbac. Cerchiamo all'esterno quello che non abbiamo all'interno, quello che vi manca, o semplicemente quello che vorremmo avere, che desideriamo...
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Vecchio 05-06-2007, 19.55.06   #9
pallina
...il rumore del mare...
 
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Arrivo addirittura a dirmi che questo stesso tentativo di razionalizzazione sia a sua volta un modo per fuggire.
Ma che succede se non faccio proprio niente e mi prendo a braccetto sta sofferenza ancestrale che mi porto dentro?
Non c'entra la volontà credo,voi cosa ne pensate?

La sofferenza, il dolore, che proviamo per un mal di testa, per un mal di pancia, ci mette in contatto con una parte ben definita, conosciuta, del nostro corpo.
Il dolore invece provocato da un abbandono, dalla fine di un amore, dalla morte di una persona cara ci mette in contatto con il nostro esistere, facendocelo percepire in modo netto, lacerante, straziante. E' un dolore che ci porta a prendere coscienza del succedere delle cose e immediatamente dopo della nostra impossibilità a controllarle. Il senso di vuoto che proviamo è solo senso di impotenza e di angoscia.....Ma questa è la vita che ci vive!!! E che ci ricorda quanto siamo fragili, soli e quanto abbiamo bisogno dell'altro(anche se tentiamo di dire a noi stessi che così non è e di comportarci come se non fosse affatto vero) . L'unico modo per non farsi coinvolgere così profondamente e così dolorosamente è imparare a vivere con una ottima dose di cinismo e di ironia, mettendo in atto un sano distacco dalle persone e anche dalle cose. Vivere quasi alla giornata, progettando il minimo indispensabile, godendo fino in fondo, fin quando è possibile, degli amori che ci attraversano la vita senza caricarli di nessun altro significato se non quello di valere per il momento in cui vengono vissuti, conoscere i limiti, le debolezze, le risorse che ognuno ha e quali sono i vuoti che si possono riempire e quelli che, invece, niente e nessuno potrà mai colmare.
pallina is offline  
Vecchio 06-06-2007, 00.02.02   #10
marco gallione
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ciclo e riciclo

Prima di tutto voglio dire a querelle che mi dispiace per quello che gli è successo.

Poi volevo dire una ovvietà. Sono convinto che vi sia una ciclicità dello stare bene e dello stare male. E’ ovvio – ve l’avevo anticipato -, ma è esattamente così.
Noto anche che non si tratta necessariamente di una ciclicità ripetitiva, ritmica. Più frequentemente la ciclicità è schizofrenica, e ben può essere ingiusta, inesorabile (si dice di solito .. ma va’ che sfiga che c’ha quello lì! oh gli capitan tutte…).

Il singolo ciclo (star bene/male) può essere lungo, o breve. Dipende dalle circostanze esterne, e da persona a persona, cioè da come uno sta dentro di sé. E’ ovvio anche questo. Ma è così.
Se uno ha molto culo nella vita, ed è anche un tipo poco riflessivo, avrà tipicamente il ciclo dello star bene lungo, e il ciclo dello star male corto, oltre che un ciclo dello star male poco ricorrente di default. Viceversa, chi non ha tanto culo, ed è ponderoso per carattere, avrà – ahi lui – cicli meno fortunati.
Va da sé che al cul non si comanda; magari però sulla ponderosità uno ci può pure lavorare sopra, e provare a migliorarsi.

L’alternarsi dei cicli (come tanti altri fenomeni) spesso non è a somma zero. C’è Gastone che di solito vince la lotteria dei cicli; c’è invece chi gli va male. Questo è profilo più triste, sebbene nel lungo termine non è difficile che i cicli possano tendere alla compensazione reciproca (speriamo..).

Non si scappa però dal profondo del Ciclo-Nero, che tutti noi conosciamo. Il Ciclo-Nero è quello del lutto. Il lutto vero (un caro, un amico, un conoscente, ma anche qualcuno che si conosce poco, che non può lasciarci impassibili nella sua solenne tragicità).
E poi c’è l’altro Ciclo-Nero del “quasi-lutto”, meno drammatico, meno duro, ma pur sempre duro in tanti e tanti casi; lo conosciamo tutti anche questo: è il lutto amoroso, o l’insuccesso amoroso (nelle sue varie fatte), quando si sente il rumore sordo della mazzata devastante che spesso ci colpisce (perchè querelle non è il solo che l’ha subita… mal comune mezzo …).

Insomma, è un casino…
Nel ciclo dello star male, nel ciclo-nero, e peggio ancora nel ciclo-nero del lutto, non c’è niente di consolante. Salvo che da quelle situazioni si impara… sì, ma si impara che?!

Si impara che il ciclo dello star bene, che deve arrivare prima o poi, va apprezzato, e carezzato come un gattino (a chi gli piacciono i gatti; a me fan schifo), pur nel suo essere effimero (ciclico, appunto).
Mi sa che io – e forse molti di voi – nemmeno si accorge(gono) più di quando si sta vivendo un ciclo dello star bene. Lo si riconosce solo perchè lo si rimpiange quando si è ormai entrati nel ciclo dello star male. Questo credo sia un errore.

Ma cosa fare quando si è nel bel mezzo del ciclo negativo?
Mi han detto tempo fa un’altra ovvietà, che poi ho scoperto che non era solo una ovvietà: accettare e aspettare (il ciclo buono direi).

Metà della bruttura della fase dello stare male dipende dal panico. Il panico che viene – a tutti noi – quando si pensa, o si ha la confusa sensazione che la fase dello stare male sia irreversibile.
Lo stare male diminuisce di una buona metà se solo si pensa che passerà.
Metà dello stare male, o forse più, lo ripeto è panico stupido. Ossia paura irrazionale e ingiustificata della irreversibilità del ciclo.

Passerà. E’ come il mal di denti.
Pensare che passerà è l’Aulin della mente. Cura i sintomi dolorosi, ma è anche antiinfiammatorio, e aiuta a guarire davvero. Non è solo un palliativo..

Lo abbiamo imparato tempo dopo il più duro dei lutti, quando lo abbiamo superato.
Lo abbiamo imparato vedendo la nostra ex (o il nostro ex)che tanto ci ha fatti soffrire, e che ora non ci rappresenta proprio più nulla…. Possibile - ci chiediamo - che fossi così inamorato di questo essere che ora mi appare così grigio e sbiadito?

Diciamoci la verità: sono stati d'animo che tutti noi abbiamo provato.
Saremo tutti scemi?
Ma va. Siamo tutti sulla stessa barca.
marco gallione is offline  

 



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