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Psicologia - Processi mentali ed esperienze interiori.
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Vecchio 15-02-2008, 12.34.01   #1
arsenio
Ospite abituale
 
Data registrazione: 01-04-2004
Messaggi: 1,006
Chi è ... "l'uomo che è"?

La vita è un'attesa e ognuno deve contrastare il suo mal-essere con riempitivi per raggiungere momenti di ben-essere . Per alcuni tale stato sono soltanto, o in prevalenza, le compensazioni materiali, assunte quali antidoto alle frustrazioni, ma intese pure come affermazioni della personalità. Molti ritengono sia lodevole dare la precedenza, nella scala dei valori, alle doti spirituali, ma sovente si tratta di parole che ad una verifica, non corrispondono ai fatti. Ormai certi condizionamenti della societa produttivo-consumistica sono modelli di vita a cui difficilmente si rinuncia.
La vita è futilità, tempo dissipato e noia, vissuti senza una piena consapevolezza. Si deve scegliere tra penetrare la realtà - quotidiana e non metafisica! - o negarla con autoingannevoli ipocrisie.
L'"essere", se inteso con un senso esistenziale fu già un topos della saggezza classica. Per Aristotele la realizzazione umana è il godimento etico-estetico, ma anche l'elevazione individuale, l' autoconoscenza, la contemplazione.
Ma quanti oggi si preoccupano di discernere tra un tempo sperperato e un tempo impiegato per sviluppare la personalità nell'arco della vita?

Ad un certo punto della nostra vita, come consiglia Hillman in "la forza del carattere" (2000), si deve rivalutare il tempo con l'arricchimento raggiunto attraverso i propri vissuti, per una "terapia dell idee", dove più contano la curiosità, gl 'itinerari interiori, l' immaginazione che rianima anche i rapporti d'amore. Ci si esplori, tralasciando le acquisizioni materiali, per scoprire una propria unicità, plasmata da ricordi, errori , perdite, su cui lavorare per aumentare l'introspezione e l'intelligenza. E' negativo solo un carattere indistinto e l'incapacità di scoprire ora "chi si è" diventati, per verificare ciò che è stato percepito, appreso, e come ha modellato la nostra visione del mondo e di conseguenza i comportamenti.
Oggi non solo i più giovani si dedicano a interessi vuoti, diventando sempre più inabili a una comunicazione logico-concettuale ed emotiva. E ' trasversale ad ogni età l'incapacità di raggiungere una maturazione che consenta di demistificare gl' inganni della realtà, esprimendo equilibrati giudizi e reinterpretazioni, reinquadrando più idee da mettere a confronto. Come sarebbe possibile, se non ci si è mai posti una rielaborazione di conoscenze, autoriflessioni e vaglio dello stile delle proprie interazioni sociali? Manca un'"avventura delle idee" da intraprendere più precocemente possibile. Che non è incamerare informazioni disordinate, per combinatorie arbitrarie e incoerenti, con l'illusione di sapere.

Non si equivochi sul senso del "ciò che si è". Si tratta della nostra essenza,e non delle apparenze, che pure oggi sono le uniche ad ottenere incondizionati consensi e modelle imitativi. Mentre è solo la nostra personalità che c'individualizza. E' l'educazione dell'intelligenza e dei valori intellettuali che determinano il nostro modo d'impiegare il tempo senza sciuparlo. Una ricchezza interiore salva anche dai momenti di solitudine. Non si sarà mai relegati in una vita volgare che punta sull'esteriorità, su ruoli falsi, scopi tramite finzioni ed invenzioni, senza mai proporsi un'analisi o una sintesi di conoscenze.

Essere, apparire, avere sono categorie contrapposte dai pensatori d'ogni tempo. Ricordo soprattutto Schopenhauer (Parerga e Paralipomeni, 1851). Per "essere" intende la ricchezza interiore di chi percepisce il mondo con sensibilità e intelligenza. Se mancano, è inevitabile che le conversazioni siano scadenti, e i passatempi dozzinali. La stoltezza che va in cattedra ha sempre attirato; il simile finisce sempre per seguire il simile. Ma prima o poi ci sarà qualcuno che scopre che dietro le apparenze si nasconde una misera commedia. A tal proposito ricordo sempre la "volpe e la maschera" di Fedro, che si accorge di "quanta appariscenza nasconda il vuoto". Sopravvalutando il "ciò che si rappresenta " ci si distacca dal contemplare, pensare, sentire, poetare, imparare, leggere, meditare, ecc.

In tempi più recenti anche Fromm indagò l'"essere", l'avere e l'apparire. Stranamente nel suo saggio non c'è alcun accenno a Schopenhauer, che è un precedente di cui doveva pur tenere conto.
Ai tempi del filosofo mancava la manipolazione organizzata, e per "ciò che si è" intendeva un'identità ricca,sensibile, mutevole. Fromm è un neofreudiano che vede la natura umana determinata dalla pressione dei modelli culturali dell'"inconscio sociale". L'"Essere" è antitetico alle acquisizioni consumistiche, quale sperpero del superfluo dell'uomo contemporaneo manipolato nei gusti, opinioni, sentimenti. Da governi, industria culturale pubblicità e mass media. In un'epoca che si profila popolata da edonisti infelici, lieti di fruire d'un tempo passivo e non impiegato per un'elevazione individuale. Che non puo passare attraverso uno scriteriato uso di tivù, spettacoli d'infimo livello, automobili , viaggi con occhi da turista frettoloso,fruizioni di una realtà mediata dalle immagini, Internet quale luogo di compulsive dipendenze
L'"individuazione" del singolo fuori dalle imposizioni e suggestioni collettive fa parte pure di una teoria junghiana, come maturazione dell'uomo eterodiretto che ha raggiunto l'autenticità di ciò che propriamente "è".
L'"essere" è divergenza dall'abituale, che rifugge dalle apparenze per un vitale ed autentico rapporto con il mondo, visto con indipendenza critica.
Fromm pensa all'avvento di un neoumanesimo; per Schopenhauer, più preveggente, sempre e dappertutto prevarranno gli stolti. Oggi ci sono altri osservatori dell'omologazione tecnologica, che oggettivizza l'uomo, privando si senso la vita, se non inteso come l'efficienza dell'uomo ridotto a mezzo.

Ma chi, in definitiva è l'uomo che è"? uno studioso, un genio, un filosofo profetico? Non direi. Usando parole di Fromm, sarebbe chi si propone di conoscere non molte cose - e oggi penso alle menti frastornate del caos indotto dalla sovrabbondanza delle informazioni. Viceversa si propone di vedere in profondità,senza accumulare dati che non seleziona, non assimila, non accosta per ricombinazioni.

"L'uomo che è" è un trasgressivo solitario, se pensiamo all'attuale deriva politica e culturale che ottiene i maggiori consensi. Chi si propone d'indagare certe realtà incute paura. Diventa interprete di una dimensione profonda che si contrappone alle superficialità collettive. Chi è lungimirante, che comprende più di noi dove siamo e dove rischiamo di finire, ha sempre inquietato. Sono sempre stati definiti "cattivi maestri";ieri Schopenhauer, oggi i nostri migliori intellettuali; che hanno poco spazio in tivù, e nemmeno potrebbero competere con calciatori, veline, presentatori.
arsenio is offline  

 



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