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Psicologia - Processi mentali ed esperienze interiori.
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Vecchio 09-12-2014, 00.22.42   #11
Jacopus
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Estremamente interessante questo post!
Dai precedenti interventi rilevo la contrapposizione fra perdono nella dimensione individuale o al massimo intersoggettiva, come se si trattasse di un rapporto fra due soggetti implicati in qualche relazione malevola superabile proprio attraverso il perdono e perdono nella sua dimensione collettiva, laddove esso viene considerato negativamente, perché confligge con la ipotizzata struttura retributiva del male al quale ci si deve opporre con altrettanto male, seppure sottratto alla furia cieca ma amministrato dalle corti di giustizia.
Vorrei mettere al corrente chi non lo sapesse che esistono molti filoni di ricerca che invece inseriscono "percorsi di perdono" all'interno dei processi penali, mettendo in discussione la precedente contrapposizione.
Il più famoso è quello della cosiddetta "mediazione penale", che viene già esercitata nel campo penale minorile sia in Italia che in altri paesi e che è stata generata dai processi post-apartheid in Sudafrica.
Per saperne di più allego questo link:

http://www.ristretti.it/areestudio/g...ediazione2.htm
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Vecchio 09-12-2014, 10.23.09   #12
nikelise
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Originalmente inviato da Jacopus
Estremamente interessante questo post!
Dai precedenti interventi rilevo la contrapposizione fra perdono nella dimensione individuale o al massimo intersoggettiva, come se si trattasse di un rapporto fra due soggetti implicati in qualche relazione malevola superabile proprio attraverso il perdono e perdono nella sua dimensione collettiva, laddove esso viene considerato negativamente, perché confligge con la ipotizzata struttura retributiva del male al quale ci si deve opporre con altrettanto male, seppure sottratto alla furia cieca ma amministrato dalle corti di giustizia.
Vorrei mettere al corrente chi non lo sapesse che esistono molti filoni di ricerca che invece inseriscono "percorsi di perdono" all'interno dei processi penali, mettendo in discussione la precedente contrapposizione.
Il più famoso è quello della cosiddetta "mediazione penale", che viene già esercitata nel campo penale minorile sia in Italia che in altri paesi e che è stata generata dai processi post-apartheid in Sudafrica.
Per saperne di più allego questo link:

http://www.ristretti.it/areestudio/g...ediazione2.htm
Si , nel solo caso di minori appunto c'e' questo atteggiamento e solo per loro .
Poi c'e' l'indulto , l'amnistia , la grazia ma sono veramente tutte eccezioni che confermano la regola .
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Vecchio 09-12-2014, 12.48.11   #13
Patrizia Mura
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Originalmente inviato da Jacopus
perdono nella sua dimensione collettiva, laddove esso viene considerato negativamente, perché confligge con la ipotizzata struttura retributiva del male al quale ci si deve opporre con altrettanto male[/url]

Non credo, con la parola "giustizia", di aver (parlo per me perché sono la persona che si è espressa con più durezza) inteso che si debba
"restituire male per male".

Non mi risulta, ad esempio, che in nostro sistema giudiziario commini la pena di morte per il reato di omicidio.

Ciò che indichi è molto interessante, andrebbe applicato a mio avviso proprio ai reati di abuso intrafamiliare, dove, ad esempio, per quanto grave ed imperdonabile a livello di relazione individuale possa essere il reato, tuttavia nessun figlio abusato vorrebbe vedere il proprio padre o la propria madre in carcere, espropriato dei propri beni, et varie ed eventuali.
Ciò che si vuole che venga riconosciuto -sia da colui che ha commesso il reato che dalla collettività- è che quella persona ha commesso un reato (gesto non corretto e quindi non lecito) ledendo qualcuno, che quella persona venga impegnata a riparare il possibile del reato commesso, e che vengano riconosciute delle facoltà a chi lo ha subito (es. sostituire il genitore con un tutore di propria scelta nel proprio processo educativo).

Spesso non si giunge ad una denuncia proprio perché la penalizzazione è troppo pesante. Ci sono di mezzo altri figli, parenti, mogli, fratelli, sorelle, etc. e tutto ciò che la vittima chiede è il riconoscimento che gli atti commessi contro di lei siano stati illeciti, che cessino, che non sia più obbligata nè a subirli nè a rischiarlo (quindi event. sollevata dall'obbligo di convivere e sottostare all'abusante) che ne siano riconosciuti e riparati gli effetti negativi, che non si ripetano, che non si ripetano magari su altri componenti della propria famiglia, e che si sia sollevati dal dover subire imposizioni educative errate da parte di un genitore evidentemente non in grado di gestire la sua podestà genitoriale (senza con ciò dover subire per forza altri educatori sgraditi), nonché essere tutelati e protetti da future ritorsioni. Resta poi alla vittima la facoltà di non ristabilire relazioni "affettive" con il proprio abusante.

"Giustizia" serve proprio a non dover arrivare a ritrovarsi nelle sole condizioni possibili di dover restituire male per male.

Personalmente resto tuttavia ben lungi dall'utilizzo di questa parola - perdono - di matrice cristiano cattolica con la quale si è soliti richiedere agli altri di lasciarsi crocifiggere anche benedicendo.
Vi sono tante altre descrizioni valide di processi possibili di gestione delle situazioni e non vedo proprio perché usarne una - perdono - che appartiene a quanto mai opinabili ambiti religiosi non da tutti condivisi (soprattutto da chi, e ritengo più che giustamente, non crede che vi sia un al di là in cui ci venga restituito alcunché di quanto si sia stati privati nell'al di qua).

Ciò che sarebbe interessante poi, e mi par che nel testo proposto non sia specificato, è capire per quali reati penali si applicano queste procedure.

Reati di mafia? omicidio? sfruttamento della prostituzione? pedofilia? pedopornografia?

Non so, lo vogliamo proporre per Pacciani o per l'omicidio di Borsellino, perché è stato usato per l'apartheid? Davvero?

Questa "mediazione" che descrivi, fra l'altro è abbastanza "antica" e conosciuta e praticata anche dall'islam:

http://english.alarabiya.net/article...14/243752.html

solo che è considerata una "facoltà" ma non un obbligo, e c'è una grande differenza fra - eventualmemente, volendo continuare ad usare tale termine - il perdono come facoltà e il perdono come pretesa da chiunque esso sia preteso, a mio avviso.

Ultima modifica di Patrizia Mura : 09-12-2014 alle ore 19.29.15.
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Vecchio 09-12-2014, 22.44.01   #14
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@Patrizia Mura:
Parto dal basso del tuo intervento e lentamente lo risalirò.

La mediazione penale può essere adottata per qualsiasi tipo di reato minorile. E' un percorso extra-giudiziale e lascia pertanto completamente libera la decisione del collegio giudicante. Nella pratica però un percorso di mediazione penale positivo incide fortemente nella decisione adottata. Per questo motivo chi valuta la mediazione penale deve essere assolutamente ben preparato e capace a sua volta di auto-valutare il proprio operato.
La mediazione penale può essere avviata solo con il consenso della vittima, altrimenti si blocca sul nascere.
Come i criminologi sanno per alcuni tipi di personalità come gli antisociali e i narcisisti la mediazione penale è inefficace.
Concludendo non si tratta della soluzione di ogni problema ma uno strumento in più da adottare in determinati casi e che può rivelare la sua efficacia. E' sufficiente promuovere degli studi di follow-up, di cui però non sono a conoscenza.
Sono però a conoscenza dell'alto valore di recupero di un altro strumento "mite" minorile, la messa alla prova. Chi viene inserito in un programma di messa alla prova ha una possibilità di recidiva molto più bassa di chi viene condannato alla reclusione. In questo caso ci sono i dati e una letteratura abbondante anche in rete.
Mi fermo qua, ma ovviamente quello che sto dicendo apre altri discorsi.

Ad un certo punto dici che "giustizia serve proprio...a non dover restituire male per male".
Questo punto merita un approfondimento. Ovviamente è vero. L'istituzionalizzazione della giustizia evita il ricadere nella violenza vendicativa, nella faida. Il giudice è sempre "terzo".
Però in tutto ciò vi è una sottile ideologia "borghese". Sottratto alla critica per la supposta neutralità, l'istituzione può fondare una giustizia retributiva, che nella sua rigorosa retribuzione si dimentica o finge di dimenticarsi del "povero" raccontato qualche post più in alto.
Hobbes la dipinge in un altro modo che però è molto illuminante. Il Leviatano è l'istituzione di tutti che si oppone al "bellum omnium contra omnes", che è rappresentata dal Beemoth. Ma entrambi sono mostri biblici, sia l'ordine del Leviatano che l'entropia egoistica del Beemoth. Hobbes sembra indicarci che il potere è sempre mostruoso e sempre speculare.
La lingua tedesca (favolosa) distingue due tipi di potere, Macht (forza senza legittimazione, come hybris) e Gewalt (forza legittima) ma una testa mozzata è fisicamente mozzata sia nell'uno che nell'altro caso.

Per questo il perdono, per quanto sia un concetto religioso, non è, a mio parere da buttare via insieme alla religiosità. Te lo dico da una posizione estremamente laica e anticlericale, credimi. D'altronde non credo che sia da buttare via neppure la religiosità. E sotto sotto neppure il clero, almeno una parte di esso.

Sull'adozione della mediazione penale in famiglia come soluzione ideale, bè sicuramente può essere utile ma è proprio la vicinanza parentale, i legami simbolici, materiali, culturali interconnessi fra i componenti di una famiglia a rendere ardua questa soluzione. Il mediatore rischia di essere un estraneo percepito con ostilità piuttosto che come un aiuto esterno al conflitto.
Inoltre questa soluzione sottende di nuovo l'adozione di un paradigma "borghese". E' un pò come dire "i panni sporchi ce li laviamo in famiglia, fuori della famiglia vige il codex iuris Justinanei".
Credo che la difficoltà maggiore consista proprio nell'essere questi strumenti distonici rispetto ad un mondo dove tutto e misurabile, quantificabile ed eventualmente acquistabile.
Qual'è il prezzo di un reo che piange di fronte alla sua vittima che piange anch'essa?
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Vecchio 10-12-2014, 00.49.28   #15
Patrizia Mura
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Originalmente inviato da Jacopus
@Patrizia Mura:
Ad un certo punto dici che "giustizia serve proprio...a non dover restituire male per male".
Questo punto merita un approfondimento. Ovviamente è vero. L'istituzionalizzazione della giustizia evita il ricadere nella violenza vendicativa, nella faida. Il giudice è sempre "terzo".
Però in tutto ciò vi è una sottile ideologia "borghese". Sottratto alla critica per la supposta neutralità, l'istituzione può fondare una giustizia retributiva, che nella sua rigorosa retribuzione si dimentica o finge di dimenticarsi del "povero" raccontato qualche post più in alto.

Un pezzettino alla volta, perché da poche parole sta nascendo una riflessione corposa.

Quando dico che la "giustizia serve proprio a non dover restituire male per male" mi riferisco ad un aspetto soprattutto psicologico.
A mio avviso chi subisce un torto ha bisogno in prima istanza per la sua salute e la conservazione primariamente del suo equilibrio psichico che chi ha commesso l'atto lo riconosca come causa di sofferenza e se non è lui a farlo diventa necessario che qualcun'altro glielo sottolinei.
Diversamente ci si viene a trovare in una particolare condizione psicologica per cui il "restituire male per male" non è tanto una "vendetta" (che la vendetta non risarcisce di nulla, fra l'altro) ma un atto dimostrativo, come a dire: lo vedete? lo riconoscete o no che fa male se accade a te/voi?
Diversamente si genera un gap psicologico per cui se nè l'agente nè alcun altro riconoscono/confermano che l'atto subito è causa di sofferenza ed in tal senso negativo (non sto parlando di "colpa" bada bene) chi lo subisce si sentirà da un lato "sciocco" e "sbagliato" per averne sofferto, forse persino disapprovato, e da qui ad assumere poi il comportamento come "giusto" e quindi riadottabile a propria volta il passo è breve [edit. ciò si verifica in modo particolarmente evidente nei fenomeni di bullismo di gruppo (il branco); inoltre perché mai si dovrebbe continuare a comportarsi bene se i comportamenti negativi altrui vengono "approvati" e procurano maggiore successo?]

Questo intendo primariamente per "giustizia" e questo vedo come primo ruolo del sistema giudiziario stesso: prima ancora della "pena" il riconoscimento, il dire "si" ciò che hai subito è realmente lesivo e causa di sofferenza.
E già questo è, a mio avviso, un potente "salvavita", già in grado di ridurre il danno, per chi ha subito la lesione, ma anche per la comunità.

Poi tu parli di "ideologia borghese", credo di capire cosa intendi, ma non sono sicura. Non importa.

Colgo il seguito:

"l'istituzione può fondare una giustizia retributiva, che nella sua rigorosa retribuzione si dimentica o finge di dimenticarsi del "povero" raccontato qualche post più in alto."

Ecco, qui il mio punto, che è qualcosa sul quale il sistema giudiziario non so se mi potrebbe mai soddisfare.

Infatti se mi ruba un povero disgraziato che non ha casa, non ha lavoro, non ha avuto opportunità, è rimasto "schiacciato" dalla macina dell'ingiusto sistema sociale in cui si vive, allora lì mi infastidisce alquanto che magari venga sbattuto in galera mentre continuano a star fuori tutti quelli che vivono di speculazione, che non gli hanno dato lavoro, che quando glielo hanno dato lo hanno sfruttato, che lo hanno privato di opportunità etc. etc. etc.

In questo senso chi commette questo crimine avrebbe il sacrosanto diritto di essere assistito e non punito, ed io avrei anche la pretesa che ciò fosse fatto.

Qui si dovrebbe si, parlar di giustizia, ma di giustizia sociale.

Ho un'amica che fa (o perlomeno faceva, ora è un po' che non la sento) la volontaria a Rebibbia e mi raccontava tante cose, che già ben immaginavo: ad esempio un abilissimo ebanista anche capacissimo di restauro di antiquariato ma privo delle condizioni adeguate per costruirsi un'attività sufficiente a dargli un minimo di tranquillità e lui, come molti, appena terminata la pena compie scientemente qualche piccolo reato alla luce del sole in modo da farsi proprio beccare per poter ritornare subito dentro.
Lei gli chiese: ma perchè?
E lui, insieme ad altri rispose: perché qui sono al sicuro, certamente avrò da mangiare e non dovrò passare notti in mezzo alla strada senza saper dove dormire.

Tristezza infinita!

Per il momento questo. Poi torno.


Ultima modifica di Patrizia Mura : 10-12-2014 alle ore 12.08.16. Motivo: ho corretto un errore ortografico
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Vecchio 11-12-2014, 08.36.38   #16
Patrizia Mura
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@Patrizia Mura:

Sull'adozione della mediazione penale in famiglia ...

Purtroppo questo sarebbe un discorso un po' lungo e complesso da esaminare. Richiederebbe un capitolo a sé e soprattutto andrebbe affrontato considerandolo anche alla luce di una comparazione con altre società e diversi modi di considerare la famiglia.

Gran parte delle società si sente figlia del mito di Abramo padre obbediente ad un un Dio che - secondo lui o veramente - gli chiede di uccidere suo figlio.
In più una parte di questa si sente figlia di un Dio padre che sacrifica la vita del proprio figlio.

Le metafore son metafore e possono avere anche dei significati anagogici che per qualcuno possono anche essere interessanti.

"Coloro che sono attaccati alla vita di famiglia continuano a masticare il gia' masticato."

Io preferisco miti e simbologie orientali come il mito di origine vedico del Prajapati o quello di Nrsimha e Prahlada, che per me sono altamente significative ma, soprattutto il secondo, assolutamente "scandaloso" per le società della "sacra famiglia".


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Originalmente inviato da Jacopus
Per questo il perdono, per quanto sia un concetto religioso, non è, a mio parere da buttare via insieme alla religiosità. Te lo dico da una posizione estremamente laica e anticlericale, credimi. D'altronde non credo che sia da buttare via neppure la religiosità. E sotto sotto neppure il clero, almeno una parte di esso.

Sull'adozione della mediazione penale in famiglia ...


Le religioni sono il tema di cui mi interesso di più, e quindi mi guarderei bene dal buttarle via, al contrario. Hanno però quasi tutte un grande difetto che è quello di voler essere omnipervasive, ciascuna ritiene se stessa l'unica assoluta autentica valida medicina per tutti e per tutti i mali del mondo, e con ciò tutte si falsificano.
Un po' come il chirurgo che se fosse per lui risolverebbe qualunque patologia con un intervento chirugico.

Il perdono per me non è altro che l'altro lato della medaglia di un concetto errato di giustizia, quindi, di una - di fatto - assenza di questa ultima.
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Vecchio 11-12-2014, 12.18.44   #17
marionne
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Buongiorno, concordo pienamente con quanto detto da lei. Il problema per me sorge quando non si sa perdonare (ovviamente parliamo di gravi offese). Anche quando l'altro riconosce il torto, rimane la delusione per aver riposto la fiducia in una persona non meritevole che, anzi, l'ha calpestata. Se "dare" il perdono potesse ripristinare lo stato precedente allora si potrebbe anelare al rimedio. Ma non sapendolo fare solo il tempo può attutire il danno subito. Ed è ovvio che bisogna lasciar perdere, ma l'uno non vuol dire l'altro. Non perdonare è escludere dalla propria vita la persona, non lasciar perdere potrebbe anche dire ricambiare il torto subito.
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Originalmente inviato da Duc in altum!
Perdonare non significa dimenticare il torto o l'offesa ricevuta (anche perché impossibile, forse potrebbe sbiadire un po' col tempo), ma non permettere che, quell'azione cattiva ricevuta, possa diventare un ostacolo per lo sviluppo della relazione futura con colui/colei che ce l'ha propinata.
Solo che, siccome "molte volte" la persona che ha infierito non chiede scusa o perdono, il perdono diventa più difficile da elargire, ed in questi casi solo la dimensione spirituale può consolare e far rincontrare la pace perduta (perché in fin dei conti di questo si tratta: l'aver perso la pace interiore non per colpa nostra).
Il lasciar perdere, a mio avviso, è circostanziale.
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Vecchio 11-12-2014, 19.59.31   #18
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@marionne

Non si sa perdonare perché per elargire questo sentimento c'è bisogno di coraggio, parlo di coraggio morale non quello pazzesco, sciocco, sconsiderato.
Le alternative sono tre (volendo includere anche l'indifferente lasciar perdere, poiché in fin fine lasciando perdere non è che si ottiene la pace nel cuore), o si perdona o si serba rancore.
Quindi se non si perdona o si decide di non perdonare, il male ricevuto corroderà la nostra serenità, la nostra allegria, addirittura il nostro obiettivo terrestre.
Apprendere a perdonare, ripeto, specialmente quando la parte che lede non chiede scusa o neanche se ne accorge del danno creato, non è possibile senza la fede nella dimensione trascendentale (è puro stoicismo inefficace), specialmente quella cristiana, poiché in essa le due più opzionabili alternative si fondono, e la vendetta si consuma col perdono.

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** Non credere a una sola parola di ciò che dico. Sperimentalo! - (Satprem Yogi)

Ultima modifica di Duc in altum! : 11-12-2014 alle ore 20.53.50.
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Vecchio 12-12-2014, 12.02.50   #19
marionne
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Allora sono una causa senza coraggio. Io non ci riesco proprio a perdonare, mi sembra di calpestare per l'ennesimo volta il mio io già così tanto mortificato. Trovo già tanto coraggioso allontanare e non meditare vendetta. Ci abbasseremmo all'altrui comportamento e non potremmo più distinguerci. Un'anima ferita non guarisce neanche col perdono dato ma mi sembrerebbe una ingiusta assoluzione, un considerare accettabile una gratuita crudeltà inferta. Certo, non trovando nella capacità di perdonare la propria rinascita, si rimane feriti e senza fiducia.
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Originalmente inviato da Duc in altum!
@marionne

Non si sa perdonare perché per elargire questo sentimento c'è bisogno di coraggio, parlo di coraggio morale non quello pazzesco, sciocco, sconsiderato.
Le alternative sono tre (volendo includere anche l'indifferente lasciar perdere, poiché in fin fine lasciando perdere non è che si ottiene la pace nel cuore), o si perdona o si serba rancore.
Quindi se non si perdona o si decide di non perdonare, il male ricevuto corroderà la nostra serenità, la nostra allegria, addirittura il nostro obiettivo terrestre.
Apprendere a perdonare, ripeto, specialmente quando la parte che lede non chiede scusa o neanche se ne accorge del danno creato, non è possibile senza la fede nella dimensione trascendentale (è puro stoicismo inefficace), specialmente quella cristiana, poiché in essa le due più opzionabili alternative si fondono, e la vendetta si consuma col perdono.

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Vecchio 12-12-2014, 20.25.20   #20
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Vorrei mettere al corrente chi non lo sapesse che esistono molti filoni di ricerca che invece inseriscono "percorsi di perdono" all'interno dei processi penali, mettendo in discussione la precedente contrapposizione.
Il più famoso è quello della cosiddetta "mediazione penale", che viene già esercitata nel campo penale minorile sia in Italia che in altri paesi e che è stata generata dai processi post-apartheid in Sudafrica.
Forse è a questo punto necessario vedere la cosa nella sua molteplicità dimensionale in bilico tra la questione sociale e quella psicologica individuale nei termini di risarcimento per l'offesa (ove l'offesa potrà essere risarcita sia dalla vendetta del male per male, sia dal pentimento fattuale del reo che potrà in ragione di questo essere reinserito nel corpus sociale) o superamento del tutto gratuito da parte del soggetto offeso del dolore di una ferita che chiede giustizia.
Sono dimensioni interconnesse, ma che si mantengono su piani diversi in quanto il sociale mira, anche con il perdono (la grazia, l'amnistia ecc,), al mantenimento della coesione della propria dimensione evitando il propagarsi della distruttività vendicativa tra i suoi elementi nel contesto culturale di riferimento, l'individuale invece fa appello al proprio intimo sentire che può ammettere o meno la gratuità incondizionata di un perdono che non chiede proprio nulla in cambio (né in termini di punizione né in termini di redenzione per via rieducativa del reo).
Certamente l'esigenza sociale è causata dalla compromissione originaria di rapporti individuali prevaricatori che rischiano se non arginati e mediati di espandersi violentemente in tutta la società, certamente il perdono sociale avrà come requisito irrinunciabile quello di evitare questo espandersi violento e a tale scopo il recupero di un rapporto individuale leso a mezzo di una comprensione mediata tra le parti potrà essere intesa come quanto mai utile e benefica, ma il discorso individuale resta nella sfera di competenza del sentimento del singolo nella sua psiche e il discorso individuale di base sta forse proprio nella disponibilità della psiche dell'individuo offeso alla gratuità del perdono (che proprio e solo in tal senso è un lasciar perdere) o piuttosto alla garanzia di una remunerazione che compensi la perdita dolorosa procurata dall'offesa (che dunque non può essere lasciata perdere) e riequilibri i bilanci. Queste possibilità stanno nel "cuore" dell'individuo, nella sua essenza più intima, non nel suo intelletto, volontà, cultura o educazione prese di per se stesse. anche se insieme concorrono a determinarlo.

Citazione:
Originalmente inviato da Duc in altum!
(volendo includere anche l'indifferente lasciar perdere, poiché in fin fine lasciando perdere non è che si ottiene la pace nel cuore)
Il lasciar perdere, inteso nel senso di non avvertire la necessità di una remunerazione per quanto si è perso, non è indifferenza, perché l'offesa fa male comunque, ma è un diverso modo si sentire che avverte la vacuità di questo male e permette la gratuità del proprio pensare e agire (senza che lo si pianifichi altrimenti è finzione). E' uno stato dell'anima che non è volto a ottenere la pace nel cuore, ma è già pace nel cuore. Solo se essa già sussiste infatti si potrà lasciar perdere, altrimenti nulla potrà venire lasciato perdere e la rivendicazione di una remunerazione attuale o futura per il proprio risentimento resta inalterata.
maral is offline  

 



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