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Psicologia - Processi mentali ed esperienze interiori.
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Vecchio 10-08-2015, 22.24.27   #1
Galvan 1224
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Il signore delle mosche

Wiki: Il signore delle mosche (titolo originale Lord of the Flies) è il più celebre romanzo, nonché sua prova d'esordio, dello scrittore Premio Nobel per la letteratura 1983 William Golding; scritto nel 1952 e pubblicato due anni dopo, con 14 milioni di copie vendute nei soli paesi anglofoni…


Se avete del tempo potete visionare una o entrambe le versioni cinematografiche. Personalmente ritengo migliore quella di Brook a cui il bianco e nero conferisce qualcosa che (oltre ad altri fattori) il colore toglie…


wiki: Il signore delle mosche (Lord of the Flies) è un film del 1963 diretto da Peter Brook, presentato in concorso al 16º Festival di Cannes.[1] È ispirato all'omonimo romanzo di William Golding, scritto nel 1952 e pubblicato nel 1954. Il film ha avuto un remake, sempre intitolato Il signore delle mosche, diretto nel 1990 da Harry Hook.


Continuando a leggere wiki si arriva al punto attorno al quale fu costruita l’opera:

Wiki: Il tema predominante del romanzo riguarda la provocazione pessimista, circa la concezione dell'uomo, che egli crede irrimediabilmente "cattivo", sia in natura che in società. Difatti, lo stesso Golding scriverà che: "L'uomo produce il male come le api producono il miele".

…Il pessimismo di Golding sta proprio in questo concetto: gli eroi negativi non sono adulti, non hanno alle spalle devastanti esperienze di mondo; ma sono bambini. Questo dimostra come un'anima umana lasciata a sé, senza modelli di vita e senza educatori più o meno severi, isolata e allontanata da ogni altra forma di pensiero, sviluppi in sé, rapidamente e senza tante domande, un'indole 'cattiva'.
In pratica Golding arriva a una concezione diametralmente opposta rispetto a quella di Rousseau, secondo il quale è la società a corrompere l'uomo che, per natura, sarebbe buono.



Secondo voi?
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Vecchio 11-08-2015, 05.38.26   #2
acquario69
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Riferimento: Il signore delle mosche

Citazione:
Originalmente inviato da Galvan 1224
Wiki: Il signore delle mosche (titolo originale Lord of the Flies) è il più celebre romanzo, nonché sua prova d'esordio, dello scrittore Premio Nobel per la letteratura 1983 William Golding; scritto nel 1952 e pubblicato due anni dopo, con 14 milioni di copie vendute nei soli paesi anglofoni…


Se avete del tempo potete visionare una o entrambe le versioni cinematografiche. Personalmente ritengo migliore quella di Brook a cui il bianco e nero conferisce qualcosa che (oltre ad altri fattori) il colore toglie…


wiki: Il signore delle mosche (Lord of the Flies) è un film del 1963 diretto da Peter Brook, presentato in concorso al 16º Festival di Cannes.[1] È ispirato all'omonimo romanzo di William Golding, scritto nel 1952 e pubblicato nel 1954. Il film ha avuto un remake, sempre intitolato Il signore delle mosche, diretto nel 1990 da Harry Hook.


Continuando a leggere wiki si arriva al punto attorno al quale fu costruita l’opera:

Wiki: Il tema predominante del romanzo riguarda la provocazione pessimista, circa la concezione dell'uomo, che egli crede irrimediabilmente "cattivo", sia in natura che in società. Difatti, lo stesso Golding scriverà che: "L'uomo produce il male come le api producono il miele".

…Il pessimismo di Golding sta proprio in questo concetto: gli eroi negativi non sono adulti, non hanno alle spalle devastanti esperienze di mondo; ma sono bambini. Questo dimostra come un'anima umana lasciata a sé, senza modelli di vita e senza educatori più o meno severi, isolata e allontanata da ogni altra forma di pensiero, sviluppi in sé, rapidamente e senza tante domande, un'indole 'cattiva'.
In pratica Golding arriva a una concezione diametralmente opposta rispetto a quella di Rousseau, secondo il quale è la società a corrompere l'uomo che, per natura, sarebbe buono.



Secondo voi?


lessi il libro già parecchi anni fa,e mi rimase molto impresso.
in effetti lo scrittore mette in risalto un tema credo parecchio controverso; l'uomo e' per sua natura "buono o cattivo"?

io credo che un punto fondamentale su cui partire sia quello che l'uomo a differenza delle altre creature abbia la facoltà di scegliere.
allora mi verrebbe da dire che nasciamo "neutri" ma nel corso della nostra esistenza spetterà a noi decidere.

nel romanzo mi ricordo che dopo una breve parentesi pacifica di convivenza cominciarono ad emergere alcune personalità più aggressive,col desiderio di sopraffazione
(qui secondo me si aprirebbero due questioni: la prima riguarderebbe l'ego spropositato,che per alcuni prenderebbe da subito il sopravvento,la seconda,che e' pure strettamente legata alla prima,sul modello organizzativo stesso,dove per sua natura finisce per generare diseguaglianze sempre più marcate con la tendenza che i "forti" prevalgono sui più "deboli")

quindi se di bene o male possiamo dirne qualcosa,credo che il cosiddetto male sia fondamentalmente il prevalere dell'ego e per questo non penso vi sia nemmeno la stretta necessita di aver avuto esperienze negative alle spalle,essendo qualcosa che potrebbe emerge di per se,sempre pero con la premessa che questa sia dovuta comunque a una scelta originaria.
penso se ne avrebbe anche la conferma sul fatto che non sempre un educatore possa riuscire a trasmettere delle facoltà ma che queste spettano unicamente alla decisione ultima dell'educando di volerle ricevere

per me vi sarebbe pure un altra nota curiosa;
questo libro ha avuto un fortissimo successo sopratutto nei paesi anglosassoni dove la mentalità rispecchia secondo me molto del messaggio trasposto nell'opera stessa di Golding,e cioè quella che tende a formare il singolo individuo come un entità "superiore" e conseguentemente separata da tutto il resto,quindi ovviamente competitiva,così che le ragioni di queste non possano mai incontrare ostacoli di diversa natura,non riuscendo nemmeno più a riconoscerle…e a me sembrerebbe oltretutto evidente che sia la stessa che oggi prevale incontrastata.
acquario69 is offline  
Vecchio 12-08-2015, 00.54.10   #3
Jacopus
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Riferimento: Il signore delle mosche

Ci sono autorevoli scrittori che appoggiano l'idea di Plauto: "Homo homini lupus". Basti ricordare Hobbes, Nietzsche, Freud. Ciascuno con la sua gradazione e il suo punto di vista ma in fondo concordi nel definire l'uomo egoista. Questa idea forse, nella sua accezione moderna, si sviluppa da Cartesio e dalla sua visione dell'uomo che pensa e che in questo modo crea la propria identità.
La visione opposta, a sua volta è stata abbracciata da altri: Rosseau è il più citato e al suo seguito tutto il pensiero marxista in fondo ritiene l'uomo. dopo un sofferto cammino storico, in grado di trovare il suo vero volto pacificato e cooperativo.
Questa per dire che il dibattito è antico.
Recentemente molte scuole di pensiero psicologico stanno però rivalutando la possibilità che l'uomo sia originariamente "cooperativo". D'altronde il nostro successo biologico deriva proprio dalla nostra capacità di cooperare e questa capacità non sembra derivare dalle costrizioni della società che in qualche modo ci educano e mettono le redini ai nostri istinti bestiali.
Il discorso che ora è fondato anche da esperimenti basati su test di risonanza magnetica funzionale applicati a bambini è anche logico. La nostra capacità cooperativa, all'alba della storia, deve essere stata per forza antecedente allo sviluppo delle istituzioni "castratrici" dei nostri istinti animaleschi.
Credo invece, un pò come ha accennato Acquario, che l'idea di essere geneticamente egoisti sia fondata sul tipo di società capitalistico, che si esprime al meglio proprio sviluppando l'idea che si possa e si debba sfruttare il prossimo più debole, che si debba preparare una guerra continua di prezzi, di economia, o anche militare per affermare la propria potenza. Sapere che noi siamo fatti così, giustifica le peggiori atrocità, perché se non le facciamo noi, le fanno a noi: non resta che far torto o patirlo, come dice Manzoni nell'Adelchi.
Ovviamente se passerà ancora qualche milione di anni in questa condizione, ciò che ora è solo ambientale, finirà inevitabilmente per diventare genetico, finendo per confermare la visione di Hobbes.
Un'altra visione, che sarebbe invece piaciuta a Dostoevskij e che non dispiace neppure a me è che queste due tensioni convivono nell'uomo. Ne parlava anche un altro filosofo, credo Shopenhauer, nella famosa metafora dei ricci.
Per chi volesse approfondire la tematica degli studi sull'altruismo, cito M. Tomasello, Altruisti nati, Bollati Boringhieri, 2010.
Jacopus is offline  
Vecchio 16-08-2015, 02.46.35   #4
jolly666
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Riferimento: Il signore delle mosche

L'uomo nasce da solo insieme ai suoi istinti, quindi per natura alla nascita è egoista, l'altruismo è qualcosa che si apprende successivamente, se identifichi amo all'egoismo la cattiveria ed all'altruismo la bontà, l'uomo allora nasce cattivo e successivamente diventa buono, la condivisione non è un processo strutturale ma societario in cui sempre il proprio egoismo una volta adibito di ccapacità cognitive sà che ne può trarne un vantaggio, non ho mai visto far fare niente alle persone anche in età adulta o in amore, che non ne tragga un vantaggio personale, l'uomo nasce e muore egoista, solo che avvolte le cose che fanno star bene le persone possono essere considerate ssocialmente buone ed altre volte socialmente cattive, l'amore è la massima espressione di egoismo...
jolly666 is offline  
Vecchio 28-08-2015, 22.20.59   #5
marcoriccardi1980
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Riferimento: Il signore delle mosche

secondo me l'uomo diventa buono e cooperativo in situazioni dove soltanto attraverso la collaborazione con i suoi simili riesce a sopravvivere, mentre invece diventa egoista quando ha tutti i comfort per vivere senza l'aiuto di nessuno. Lo sanno bene gli ambienti militari, laddove la disciplina è molto rigida, l'addestramento sfiancante e le sanzioni all'ordine del giorno tra commilitoni si crea maggiore spirito di collaborazione.
marcoriccardi1980 is offline  
Vecchio 01-09-2015, 17.43.34   #6
Galvan 1224
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Riferimento: Il signore delle mosche

Nel ringraziare gli intervenuti a cui risponderò (quando mi si sarà formata la risposta…) riporto qui sotto un intervento di qualche anno fa che postai in un altro forum, ritenendolo ancor valido oggi (anzi, di più). Con la speranza che possa fornire spunti per dialogare, la primaria ragione di un forum e questo in particolare, la cui esistenza dipende da noi.
Non siate timidi, condividete i vostri pensieri.


..............................

Come tutti mi alzo al mattino e mi raggiungono le notizie dal mondo.
Non potrei dire se siano più scoraggianti dei tempi addietro, in quasi tutti gli ambiti, non serve un compendio.
Le atrocità che l’essere umano è capace di infliggere paiono non aver limiti, e mi rammento di quando bambino ascoltavo dei giochi circensi nell’antica Roma, al Colosseo.
Tempi nei quali una persona, uno schiavo (si raccomandava esser ben muscoloso), veniva usato per temprar la lama di una spada rovente, trapassandolo mortalmente.

Oggi scompaiono migliaia di bambini destinati ai mercati d’organi e inorridiamo al vedere le immagini di condannati all’iniezione letale, messi in croce in orizzontale anziché in verticale, con tutta quella messinscena delle siringhe motorizzate che spingon nel corpo i veleni mortali a dar l’impressione che si muovano quasi da sé, senza che alcuno abbia pigiato il pulsante.

Ma fino a un paio di secoli addietro si giustiziava con modalità di una ferocia assoluta (se reggete all’orrore leggete Wiki alla voce “squartamento, metodo inglese”), tanto che la macabra ghigliottina (che in Francia lo sostituì) può considerarsi “compassionevole”.
Non vado oltre, mi par un miracolo esser vivo e vivere qui.
E non aver dovuto assistere in prima persona a tutte le crudeltà che avvengono nel mondo e di cui si ha notizia.

Sono un privilegiato, me ne rendo ben conto.
Ma mi chiedo, tutta questa violenza, questo orrore, seppur non mi tocca nella carne e nei sensi, ha effetto in qualche modo su di me?
Com’è che io come (quasi) tutti riesco a viver la mia vita e sperar e parlar di cose anche belle e interessanti, nonostante la barbarie continui e a volte s’intensifichi?

Tutte queste memorie spaventosamente cruente, come riusciamo ad isolarle, a metterle da parte, affinché la loro carica negativa non ci schiacci?

E sono davvero “al sicuro”, quasi circoscritte e contenute come una chiazza di petrolio nero dalle barriere galleggianti?
Non è che basta s’alzi l’onda e tutto trasborda?

Vi racconto un episodio.

Sono stato in quella che un tempo era la Jugoslavia e molti anni fa come forse ricorderete, le entità politiche confederate si son fatte la guerra.
Sì che oggi riabbiamo Croazia, Serbia e via dicendo.
Gli orrori non son stati da meno, non lo sono mai quando si rompono gli argini.

Ricordo di aver visto le immagini iniziali del conflitto, con la gente comune che a Spalato estraeva dai carri armati i soldati, giustiziandoli su due piedi.
Giovani ragazzi incapaci di reagire, senza via di scampo.

Una sera conobbi una giovane coppia che per circostanze fortuite aveva fatto in tempo a lasciare quei luoghi e chiesi se avessero avuto sentore dell’orrore che stava profilandosi. Mi risposero che non era neppur pensabile e che quando l’han visto era troppo tardi, i giovani son diventati soldati e su opposti fronti si son scannati.

Hanno aggiunto, vedendo il mio disappunto, di non credere che una tal cosa non possa accadere anche da noi, c’è un punto oltre il quale vien perso l’equilibrio.
Non crediate non possa accadere dovunque, in ogni momento.

Tutte le memorie accumulate nella nostra coscienza, nella coscienza dell’uomo, conservano la loro energia, il loro momentum.
Non scompariranno da sole.
Non verrà qualcuno o qualche energia a spazzarle via.
In qualche posto ci potrà esser qualche bell’evento, l’armistizio e la pace… ma da qualche altra parte la guerra continua.
Non lo dico io, lo dice la storia. E quella non è pessimista o ottimista.

Forse per trovare una risposta anche a questo ho camminato per tanti anni in quello che vien definito “mondo spirituale”, confidando in passato nella possibilità (addirittura) di una “nuova coscienza”.

Vi risparmio di raccontar la pochezza che ho visto, sotterfugi, imbrogli, egoismi e ben di peggio… né più né meno che quello che s’incontra in ogni parte, dovunque vi siano degli uomini, che dentro son tutti eguali.
Il buon vecchio proverbio che l’abito non fa il monaco val più di sedicenti guru, proclami e tecniche d’ogni tipo.

Cosa ci rimane, al dunque?

Una sola cosa, di veder le cose per quel che sono e non per come vorremmo che siano.
Siamo come pedine di un gioco, che per la maggior parte non ha il minimo sentore d’esser tali.

Qualcosa arriva in noi, forse nel nostro cervello fisico, una sorta di segnale, l’impercettibile sensazione di un movimento da qualche parte.
E un pensiero all’istante s’approvvigiona dalle memorie presentando una o più direzioni.

Mentre ci spostiamo nello spazio e nel tempo (o nell’etere, in una qualsivoglia realtà multidimensionale, olografica, delle varianti o di altro tipo…) abbiamo l’impressione che dipenda da noi il farlo e che volendo si possa agire diversamente.
Il nostro movimento crea altre memorie che vanno ad accumularsi a quelle precedenti, personali e collettive.

È difficile immaginare il potere che hanno; rispondete a questa semplice domanda: le vedete le vostre e altrui memorie?

Non quelle che si muovono nella mente, in forma di pensieri, ma proprio qui, nel mondo materiale?

Ritorniamo a quello che vi ho raccontato sulla Jugoslavia (ma ogni altro luogo è lo stesso), c’erano Serbi e Croati, Sloveni, Bosniaci… i ragazzi facevano il servizio militare assieme, le diverse etnie lavoravano e si spostavano nei luoghi delle altre, comperavano casa, a volte si sposavano tra loro.
Si può dire che seppur non familiarizzassero pienamente erano abbastanza integrate.

Ma non è stato sufficiente, perché?

Guardate a dove vivete voi, alla vostra città.
Un domani quando ve ne andrete, al termine della vita o prima per qualche motivo, pensate che qualcosa cambierà per chi continuerà a risiederci?
La sensazione di vivere a Roma, Napoli, Milano, in un piccolo paesino… il modo in cui si vive e ci si relaziona non continuerà come sempre?
Continuate a rivedere nella vostra mente dove vivete: le chiese (se ci sono), le case, il paesaggio modellato da millenni d’intervento dell’uomo, le strade, l’arredamento e mille altre cose… cosa sono se non memorie fissate nella materia?

Il contributo di generazioni e generazioni di persone che ci hanno preceduto, ognuna trovando il suo posto e adattando la propria vita ai luoghi fisici… ai valori, alle credenze, al giudizio del posto. In più lasciando e imprimendo essi stessi il proprio, più spesso rafforzando che indebolendo.

Ci vuole tanto tempo per cambiare le cose, per smorzare il momentum della memoria.
Ancor più se v’è una successione continua di persone.
Invisibili fili collegano ogni cosa, potete comprar casa in Provenza o all’Elba, in Inghilterra, e viverci magnificamente, ma non sarete mai collegati ai fili di quei luoghi.

Voi avete i vostri, le vostre radici.

A quelle tornerete, fisicamente o col pensiero, nei momenti difficili dell’esistenza.
Le memorie hanno la tendenza (e la forza) per resistere al nuovo, che a sua volta diverrà memoria, rimpiazzando se non cancellando quelle precedenti.
La maggior parte di chiese e monasteri sorge su siti pagani; quasi subito se un’invasione ha successo vengono tolti di mezzo i simboli che identificano i credi e le culture soccombenti.

Dicevamo che ci vuol tempo, non ne era trascorso abbastanza in Jugoslavia; pur se le singole persone non sentivano d’appartenere in tal grado a un’etnia in particolare, la memoria dei luoghi e l’altra… quella che agisce nei nostri pensieri, attendevano il momento del riscatto per riveder la luce.

Tutto è memoria, informazione in un certo senso.
Tutto quello che riguarda l’uomo e il suo vivere, le sue città, le sue società, i suoi credi… anche le sue speranze.
Tutto ha origine dalla memoria, difficilmente incontrerete qualcosa di veramente nuovo, lo fosse non sapreste riconoscerla, come gli indigeni che non videro giungere le enormi navi di legno dei conquistadores.

Questo mondo si può considerare un gioco – un terribile gioco, ne convengo – in cui tutti noi ci troviamo.
Ci son pedine fortunate a fronte della maggior parte che ha poche chances, appena qualche mossa e con gran dolore.
Le cose stanno così e tutti i sovvertimenti, le ribellioni, giuste azioni e quant’altro riprodurranno alfine sempre la medesima situazione, uno squilibrio… dal quale ripartirà un’altra ribellione… non è spirito, è storia.

In questo passar di posizione in posizione, di casella in casella in attesa d’uscire dalla scena, incontrate qualcosa, a volte casualmente.

Nei casi più fortunati un compagno, un amico… un figlio, i vostri genitori.
La musica, l’arte… il mare, i monti… un fiore… l’indaco del cielo di notte nel quale si perde il nostro sguardo, accompagnato dalla silenziosa domanda di… cosa arriva in noi… una sorta di segnale, l’impercettibile sensazione di un movimento da qualche parte… che sollecita la nostra pedina a muoversi nel gioco.


Galvan 1224 is offline  
Vecchio 01-09-2015, 23.14.11   #7
Jacopus
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Riferimento: Il signore delle mosche

In una domenica oziosa ho riletto il signore delle mosche. C'è un nesso forte con l'ultimo post di Galvan.
Nel libro l'evento della caccia, unito ad un certo tipo di personalità, risultato di una certa storia individuale, produce una deviazione della società "ideale" verso meccanismi di potere fondati sulla violenza, incarnati dalla figura di Jack. La stessa dinamica, mutatis mutandis, che ha determinato la guerra nella ex-Jugoslavia. E' il ritorno alla barbarie originaria, che presuppone anche il percorso inverso, di raffinamento dell'umanità.
In questo secondo senso possiamo fare riferimento alla filosofia della storia, ovvero alla ricerca di un percorso storico che volga dall'uomo brutale all'uomo solidale o, per dirla con le parole di Elias, che comporti la Zivilisation (https://it.wikipedia.org/wiki/Il_pro...ivilizzazione).

L'immagine è quella di una strada che l'umanità può percorrere nei due sensi, verso una maggiore solidarietà, connessa a meccanismi di autocontrollo e di mitezza o verso un maggiore egoismo, connesso a meccanismi di eterocontrollo e di autoritarismo.
In realtà ogni società si trova in punti diversi di questa strada ed ogni fatto storico contribuisce allo spostamento in una direzione o in un'altra, non escluso, data la complessità sociale, anche a contemporanei movimenti nei due sensi.
Inoltre ciò che storicamente accade, come ha sottolineato Galvan, non accade solo una volta ma getta una potente ombra sul passato e sul futuro e solo un fortunato ciclo temporale sufficientemente lungo, permette il risanamento di ferite e di violenze perpetrate. Basti pensare, tanto per fare un esempio, che il disagio sociale del meridione d'Italia, proviene da fatti accaduti nel 600 e nel 700 e che sono stati la premessa di ulteriori fatti che hanno prodotto l'attuale sud-Italia.
Ritorno all'immagine della strada: Civilizzazione da un lato, imbarbarimento nell'altro senso. Talvolta è accaduto però un fenomeno curioso: il processo di civilizzazione è stato reso possibile perché le barbarie venivano esercitate in parti lontane dal centro della società: è la storia di tutti i colonialismi e neo-colonialismi. Come se il cammino verso la civilizzazione fosse spinto da risorse materiali che venivano estratte attraverso processi violenti che al centro della società venivano esecrati.
Questo "stratagemma", una volta scoperto, ha contribuito a fenomeni noti come i totalitarismi dello scorso secolo ed oggi, rotto l'incantesimo dei due mondi che si reggevano sulla loro contrapposizione, rischia di riportarci indietro verso la strada della barbarie. Come al solito qui si pone una questione: quanta barbarie vogliamo tollerare in cambio del nostro benessere? Oppure quanto benessere riteniamo non essenziale per poter far arretrare la barbarie?

Un ultima considerazione sul libro di Goulding: Il nucleo della banda violenta di Jack nasce, è vero, da una riscoperta ancestrale come la caccia ma è anche composto dai membri della banda musicale, che si presentano all'inizio del romanzo muniti di uniforme e strumenti musicali, cioè in qualche modo portatori del mondo militare che unisce disciplina e tecnologia. Il messaggio di Goulding è quindi sublimamente ambiguo e pertanto attuale: il ritorno al "cattivo selvaggio" è un derivato della società organizzata o è un impulso sempre presente dentro di noi, che a certe condizioni si sblocca, o entrambi?
Grazie per l'attenzione.
Jacopus is offline  
Vecchio 30-10-2015, 22.05.44   #8
Galvan 1224
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Riferimento: Il signore delle mosche

Verso il 530 d. C. , un frammento della celeberrima cometa di Halley- che periodicamente si ripresenta nelle vicinanze della Terra- si sarebbe frantumata nella nostra atmosfera diffondendo un’enorme nube di polvere che provocò un improvviso abbassamento delle temperature. Il drastico cambiamento climatico determinò effetti devastanti: seguì un periodo di siccità che a sua volta innescò carestie e le popolazioni debilitate dalla fame vennero poi sterminate dalla “Peste di Giustiniano”, che fece strage tra il 541 e il 542.
Questa drammatica sequenza di eventi è stata ricostruita dalla Abbott grazie alle analisi del ghiaccio della Groenlandia: un carotaggio nelle calotte permanenti ha mostrato, nello strato attribuibile ai primi decenni del VI secolo d. C., un’elevata percentuale di polvere di provenienza extraterrestre per almeno 7 anni di seguito. Determinate caratteristiche chimiche- quali, ad esempio, l’abbondante presenza di stagno - le hanno permesso di attribuirne l’origine per l’appunto ad una cometa.

http://www.extremamente.it/2013/12/2...tano-sfortuna/




La cometa C/2010 X1 (Elenin) era una cometa non periodica scoperta dall'astronomo russo Leonid Elenin il 10 dicembre del 2010 grazie all'osservatorio robotico International Scientific Optical Network nei pressi di Mayhill, nello Stato del Nuovo Messico, U.S.A.
La C/2010 X1 si frantumò giunta al perielio (avvicinamento massimo al Sole) il 10 settembre del 2011 a una distanza di circa 0,48 UA. Il 16 ottobre del 2011, gas e altri frammenti della cometa passarono a circa 0,23 UA (35.000.000 km) dalla Terra[2] alla velocità relativa di 85.000 Km/h.[2].

https://it.wikipedia.org/wiki/C/2010_X1





Appunto nel 2011 ho iniziato ad interessarmi alle comete, sull’onda del clamore suscitato da C/2010 X1.
Ho voluto ascoltare ogni parere al riguardo, mettendo sullo stesso piano quelli scientifici sino a quelli dei cosiddetti “catastrofisti” che in occasione di qualsivoglia evento inusuale o raro lo interpretano… appunto come segno di imminente sciagura se non della fine prossima del mondo (per come lo conosce e ci vive la specie umana).
Il primo link riporta che riguardo le comete gli ancestrali timori hanno una base scientifica.

Fosse accaduto nel 2011 qualcosa di simile (o peggio…) di quello illustrato dalla Dott.sa Abbott… beh, la storia dell’uomo sarebbe stata ben diversa da quella che conosciamo oggi.
Così (avendo le capacità tecniche) cercai di capire, nel caso fossi fortunatamente sopravvissuto, di cosa avrei avuto bisogno… viveri, attrezzature, ausili medici, tecnologie… dove e come rifugiarsi, con chi… quali i pericoli futuri ecc.
Ho calcolato le quantità, individuato le modalità di conservazione dei cibi… le sementi… e mi sono addentrato nello studio degli aspetti psicologici riguardanti i sopravvissuti.
Non ci volle molto a comprendere che non sarebbe valsa la pena di sopravvivere nelle nuove condizioni, salvo per un unico motivo: dare una possibilità a qualche giovane vita, una speranza per il futuro della specie umana.
Solamente in seguito venni a conoscenza che il risultato del mio studio era stato ben anticipato:

The Road è un film del 2009 diretto da John Hillcoat.
Il film è un adattamento cinematografico del romanzo di Cormac McCarthy La strada, pubblicato nel 2006 e vincitore del Premio Pulitzer nel 2007.
Protagonisti della pellicola sono Viggo Mortensen e Kodi Smit-McPhee, che interpretano padre e figlio in viaggio verso sud, cercando di sopravvivere in uno scenario post apocalittico.

https://it.wikipedia.org/wiki/The_Road_(film)




A mio avviso uno dei film che ha maggiormente toccato le profondità dell’animo umano, mettendone in mostra ogni contenuto, dai più ignobili ai più elevati.
Ho pochi dubbi che in simili circostanze le cose procederebbero proprio come le racconta il film/romanzo.

Il signore delle mosche non attende che l’occasione di prendere il comando… dategli un dito e vi ritroverete presto senza il braccio (e oltre…).


un saluto.
Galvan 1224 is offline  
Vecchio 31-10-2015, 12.18.38   #9
paul11
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Riferimento: Il signore delle mosche

Caro Galvan,
quel valore aggiunto umano chiamato mente pone dei problemi nel capire se per natura l’uomo è buono o cattivo.
Già questa mia frase è contraddittoria, così come è contraddittorio lo sviluppo di eventuali tesi.
La natura ha regole fisiche, chimiche, ecologiche,ecc. che l’uomo tenta di interpretare e conoscere scientificamente, ma che in sé e per sé non sono morali.E’ appunto la nostra mente che cerca simboli, sensi e significati, costruendo da eventi temporali percorsi di senso che li uniscono in una sua teoria anche personale che ognuno di noi ha.
L’uomo è biologia delle regole naturali e cultura che può “staccarsi” più o meno da queste regole, ma costruendo comunque un piano diverso.
Lo studio della psicanalisi è mentale, tentando di identificare le strutture del nostro profondo che emergono nel comportamento, nelle motivazioni, negli atteggiamenti.
La morale, il giudizio valoriale , nasce già dalla natura umana oppure è un’interpretazione culturale?
Detto in termini della struttura psicanalitica, l’Io come media l’Id e il Super-IO? L’energia della pulsione viene deviata o meno dalla struttura del Super-Io e ciò che emerge è il nostro IO. Il percorso a ritroso nell’analisi psicanalitica è i tentativo di trovare la causa ad una problematica che emerge nell’IO. Ma ciò può essere giudicato giusto o sbagliato, la malattia o la sanità psichica chi può giudicarla in assoluto?
Quando nella psicologia nacque il comportamentismo, si negò l’ontologia della natura umana e l’aspetto mentale; l’analisi andava fatta su ciò che emerge e quindi metodologicamente reso possibile di essere scienza attraverso esperimenti. Watson ,Pavlov, Skinner, ne furono autori. Il cognitivismo compie una svolta opposta,stabilisce che la nostra mente costruisce credenze e di conseguenza si fa un’idea di realtà, un’idea di mondo, un’idea di se stesso che filtra qualunque sensazione gli venga dal mondo sensibile da quella struttura fisica che è il cervello e nello stesso tempo in quel filtro vi è il “meme”, inteso come condizione culturale che ci arriva dalla tradizione che è il sedimento culturale.
E’ quindi difficile dare risposte compiute a domande sulla natura umana se nell’uomo è presente la mente che veicola in simbolismi l’universo della sua psiche, tanto da contribuire a quello che definiamo linguaggio.
Altrettanto è difficile dare risposte definitive ad una base fondativa concettuale sulla morale.
Etica e morale sono spostate nella prassi umana,come ciò che si evidenzia socialmente come fossero prive di una teoria fondativi ,ontologica. Siamo ancora nell’antitesi fra comportamentismo e cognitivismo,in ciò che non fu sciolto dalla psicanalisi

Specifico che io tendo a distinguere l’etica sociale, che è una sovrastruttura, alla morale che intendo come un incontro fra pulsione e meme, fra bios e cultura. La mia è una suddivisione se si vuole del tutto personale, ma che mi ha aiutato a capire alcune cose.

Il signore delle mosche è una narrazione, è un’interpretazione della natura umana, da chi ha nella propria coscienza il giudizio di giusto e sbagliato.

Noi viviamo nella contraddizione fra ciò che è interpretato come regola naturale e che giustifica o meno il comportamento umano, e ciò che giudica nelle etiche sociali o nelle morali personali quello stesso comportamento da prospettive diverse.
Ciò che può essere a-morale per natura e corretto come comportamento dentro un’interpretazione (ed è qui che nasce la contraddizione della scienza che diventa pseudo scienza), un’etica sociale può considerarlo nocivo e a sua volta la morale del singolo individuo umano può avere un’ idea contrastante ancora.
Siamo nella storia in cui la coscienza umana è tautologica come evidenza in ciascuno di noi, ma non è scienza sperimentabile. Ma la scienza interpreta segnali, informazioni, che sono le nostre emozioni, i nostri sentimenti, ciò che trasporta emotivamente il concetto logico per dargli quel senso narrativo che è la nostra esistenza. Allora la morale per ciascuno di noi è quel comportamento, atteggiamento che ci fa stare bene nel mondo, ma che di nuovo non è detto che corrisponda alle etiche sociali che impongono e costringono o alle scienze che potrebbero giustificare un comportamento a-morale.
Siamo narrazione dentro un oceano di contraddizioni.

Vedo ,caro Galvan, che nel simbolo della cometa sei vicino alle interpretazioni di ciò che è scritto nei testi vedici ,biblici, nelle tradizioni scritte e orali delle diverse latitudini.
L’uomo ha da sempre guardato i cielo come atto anticipatore di un segno che poteva portare prosperità o miseria. La cometa che porta i magi del culto persiano fino al bambin Gesù, il Toro che segna i miti cretesi , il Pesce che indica il pescatore di uomini, Gesù.
Non sono da scambiare per gli insulsi oroscopi moderni , erano segnali ciclici che la volta celeste indicava alla terra, agli umani .Sapevano in anticipo la stagione della semina e della caccia, oppure per le popolazioni non sedentarie il tempo di migrare, il tempo delle piogge. Quel cielo indicava loro il motivo del comportarsi ,di aspettarsi dal futuro abbondanza o scarsità. Quel cielo era un ‘immensa interpretazione di segni raccolti nei simboli dei miti,l’antico linguaggio delle scienze antiche
Anche questa è una narrazione .
paul11 is offline  
Vecchio 03-11-2015, 00.20.39   #10
Galvan 1224
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Riferimento: Il signore delle mosche

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Originalmente inviato da paul11
Caro Galvan,
quel valore aggiunto umano chiamato mente pone dei problemi nel capire se per natura l’uomo è buono o cattivo.
Già questa mia frase è contraddittoria, così come è contraddittorio lo sviluppo di eventuali tesi.
La natura ha regole fisiche, chimiche, ecologiche,ecc. che l’uomo tenta di interpretare e conoscere scientificamente, ma che in sé e per sé non sono morali.E’ appunto la nostra mente che cerca simboli, sensi e significati, costruendo da eventi temporali percorsi di senso che li uniscono in una sua teoria anche personale che ognuno di noi ha.
L’uomo è biologia delle regole naturali e cultura che può “staccarsi” più o meno da queste regole, ma costruendo comunque un piano diverso.
Lo studio della psicanalisi è mentale, tentando di identificare le strutture del nostro profondo che emergono nel comportamento, nelle motivazioni, negli atteggiamenti.
La morale, il giudizio valoriale , nasce già dalla natura umana oppure è un’interpretazione culturale?
Detto in termini della struttura psicanalitica, l’Io come media l’Id e il Super-IO? L’energia della pulsione viene deviata o meno dalla struttura del Super-Io e ciò che emerge è il nostro IO. Il percorso a ritroso nell’analisi psicanalitica è i tentativo di trovare la causa ad una problematica che emerge nell’IO. Ma ciò può essere giudicato giusto o sbagliato, la malattia o la sanità psichica chi può giudicarla in assoluto?....



Caro paul,

nel tuo intervento c’è di tutto e di più (… è una caratteristica della tua polivalenza) e mi piacerebbe rispondere ad ogni annotazione non fosse altro per ricambiare del tempo e impegno spesi per postarlo, ma non riuscendo a tenere il tuo passo confido ti possa accontentare se lo faccio (per il momento) solo per un argomento.

… sulla malattia e sanità mentale son sicuro tu conosca il lavoro sia di Franco Basaglia che dell’altro grande uomo che fu Mario Tobino (nato in quel di Viareggio), illustre letterato oltre che psichiatra di pari valore.

Di quest’ultimo son rimasto colpito della sua umanità e dedizione alla causa dei “malati” mentali… Gli ultimi giorni di Magliano dovrebbe esser testo proposto nel ciclo di studi delle scuole di secondo grado, a mio avviso.
Ben prima che la legge 180 decretasse la fine dei “manicomi” mise in guardia del prezzo che avrebbe comportato per i pazienti lasciati in balia delle loro nevrosi… e, solo contro tutti, fu l’unico che tenne l’inventario delle innumerevoli morti conseguenti… si può parlar di suicidi quando era del tutto evidente l’incapacità di costoro di adattarsi alla nuova realtà?

Con ciò non voglio dire che Basaglia (che stimo anch’esso… il bel film C’era una volta la città dei matti rende conto di quanto innovativa fu la sua visione) ne abbia la responsabilità morale.
Nella sua visione appunto non c’erano “malati” ma individui emarginati e la responsabilità della società.
Ma i tempi non erano maturi e la politica del tempo si impadronì della questione.
A quel tempo quasi tutto era scontro politico.

C’erano manicomi lager ed elettroshock, lobotomie come metodi di cura… ma anche luoghi come Magliano (Lucca) dove l’uomo era rispettato a prescindere.
Tolti quelli (discorso a parte son quelli giudiziali… terribile realtà) i “matti” son ritornati a vivere nella società, a patto di tenerne controllato il potenziale distruttivo per sé stessi e gli altri a mezzo di psicofarmaci, senza i quali quasi nulla dell’innovazione Basagliana poteva realizzarsi.
Argomento meritevole di approfondimento, ma chi più s’oppone oggi alle “pastiglie” che vengon prescritte anche ai bambini irrequieti?

Quindi, nello specifico, giusto o sbagliato?
La verità, se c’è, forse sta nel mezzo, o almeno non tutta spostata da una parte.
Funzionalismo, comportamentismo, cognitivismo ecc. ognuno di questi approcci apporta qualcosa al quadro che si è andato e si va delineando della psiche umana.
Ma, ad esempio, citando Watson:

« Datemi una dozzina di bambini sani, ne potrei fare dei buoni dottori, magistrati o artisti »

... mi verrebbe da dire che neppure il Cristo ottenne il pieno successo sui 12 che si scelse…

Naturalmente non si può non apprezzare Freud e la schematizzazione (Es, io, Super-io) a mezzo della quale orientarsi in quel territorio in gran parte inesplorato che è la sfera psichica.
Ma separando, dividendo in parti si vien a perdere l’interezza del fenomeno e ne sfugge il senso più profondo.
Un esempio, l’entomologia agraria studia il comportamento delle api (e ovviamente come far loro produrre maggiormente l’ambito nettare, il miele) e facendolo ha via via scoperto le danze del cibo ed altre loro incredibili abilità, i compiti precipui di operaie, bottinatrici, fuchi e regine… i mediatori chimici (feromoni) coinvolti e così via.
Ma tutti questi insiemi non rendono conto dell’organismo “globale” che è un alveare, oggi paragonato a una “mente”, un unicum.


Ricomponendo il quadro psichico la schematizzazione allora lascia il posto a una visione diversa...

Cit. ‘La nostra mente come un alveare‘ riprende il discorso affermando che ‘a dispetto della nostra sensazione di essere agenti singoli, dentro di noi c’è una sorta di mente-alveare, un cervello ronzante di molteplici programmi e interessi spesso in conflitto, che è necessario gestire‘.

http://marcobenini.it/blog/2012/08/mente-alveare/


Dunque non va bene Freud oppure Jung ecc.?
Vanno bene tutti, in contesti e ambiti (per quanto grandi) circoscritti sono mappe per navigare nel mare, ma non possono descrivere il mare a meno di non esser più mappe… ma qualcosa d’altro, e quello non è il loro scopo né intenzione e soprattutto per descriverlo bisogna esser come un pesce… che ci vive dentro…


Un caro saluto
Galvan 1224 is offline  

 



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