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Vecchio 05-03-2008, 12.18.37   #1
visechi
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Laicità, ingerenze e dittatura della maggioranza

Riferimento https://www.riflessioni.it/dal_web/la...aggioranza.htm


Credo che il concetto di Stato laico debba essere riformulato, altrimenti si perde il vero senso del problema più generale.

LO Stato, anche qualora dovesse essere guidato esclusivamente da cittadini profondamente religiosi, ha il preciso dovere di garantire che il governo della cosa pubblica non sia minimamente condizionato dalle intime inclinazioni religiose dei propri governanti. Davvero qui il rischio è quello di scivolare nella teocrazia. La cosa pubblica attiene al sociale, alla collettività, anzi, riguarda le diverse comunità, uniche sue vere proprietarie e fruitrici. La religiosità attiene, invece, esclusivamente all’intimo e all’individuo. Non può essere che il bisogno spirituale del singolo, anche se dovesse convergere in una collettività maggioritaria, possa condizionare il governo del sociale. Il sociale impone relazioni anche discordanti, comunque diversificate, che spesso prescindono dalle intime esortazioni di matrice spirituale di ciascun individuo che compone la collettività – non siamo, in definitiva, né mormoni né quaccheri -. Le regole che sottendono il vivere civile non possono essere inferite dai dettami della coscienza individuale, ancorché maggioritaria, che, proprio perché si parla d’interiorità personale, mai e poi mai può essere perfettamente collimante e identica l’una all’altra – anche fra appartenenti alla medesima comunità -. Lo Stato deve garantire e preservare le diversità, esaltarle e stimolarle, ne va della libertà dei singoli, perché solo nella diversità si massimizza la libertà, e solo nella libertà si rende un prezioso servizio anche all’interiorità individuale. Se da un lato esistono soverchie giustificazioni di carattere razionale e pratico a sostegno della necessità di assicurare la più estesa laicità dello Stato, dall’altro ne esistono forse più profonde di matrice spirituale. Infatti, la garanzia costituzionale di vivere in uno Stato laico si dispone non già e non solo a beneficio di un sacro rispetto verso le minoranze, ma soprattutto perché operando diversamente si produrrebbe una pericolosissima omogeneizzazione delle masse, con gravissimo impoverimento delle diversità e delle sue istanze, con conseguente contrazione della possibilità di avere una libera espressione della coscienza individuale, anche quella religiosa. Dovrebbe, quindi, essere pretesa anche della maggioranza confessionale, e non solo della minoranza atea, la richiesta e la difesa della laicità, la quale ultima è un valore di tutti, non solo delle minoranze a-religiose o di diversa religione.


Citazione:
Argomento 1:
Il libero stato può trovarsi d'accordo con la Chiesa e dunque può promulgare leggi che siano concordi ai precetti religiosi della Chiesa.

Il primo argomento e la relativa confutazione mi sembrano piuttosto deboli, ricorrendo, infatti, sovente il caso che un politico d’estrazione cattolica, per esempio, possa condividere in assoluta libera coscienza l’orientamento ecclesiastico su un determinato problema e non in altre circostanze, e che, in forza di questa sua libera e convinta adesione alle perorazioni della Chiesa, ritenga opportuno legiferare conformemente al dettato della sua coscienza. IN ciò non rileverei costrizione alcuna da parte della Chiesa, né palese né occulta. Il problema, forse, può essere abbordato diversamente. Partendo dall’innegabile presupposto che all’interno di uno Stato laico, per esempio, non tutti i cittadini facciano riferimento alla religione cattolica, potendo una cospicua parte essere addirittura atea. L’ateismo non è un delitto o un crimine da dover censurare, almeno – fortunatamente – non lo è più da tanto tempo. Lo Stato e il politico (anche qualora dovesse essere cattolico) hanno il preciso dovere di valutare ed analizzare il problema e fornire un’adeguata risposta alle lecite istanze provenienti anche dalle minoranze (sociali, etniche…). Qualora la legge da approvare e richiesta dalla minoranza non dovesse limitare l’esercizio confessionale della maggioranza, non vedo il motivo che impedirebbe al politico, anche religioso, e allo Stato di aderire alle richieste della minoranza dei cittadini. E’ il caso, per esempio, del matrimonio fra gay, della tutela giuridica delle coppie di fatto, oppure dell’eutanasia, o anche dell’inseminazione artificiale, o addirittura della pillola del giorno dopo, che nulla impongono o limitano in tema di professione della propria fede ai cittadini religiosi, ma garantisce una più ampia gamma di diritti alle lecite richieste di altri individui che ritengono non moralmente riprovevole il ricorso a queste possibilità. Alla maggioranza religiosa non resterebbe altro da fare che perdonare il presunto peccato, o riprovare la scelta operata dalla minoranza, credo che alla minoranza potrebbe benissimo importare poco della riprovazione altrui.

Forse posso dire che con questo argomento ho esaurito anche il terzo.

Citazione:
Argomento 2
Quello che fa la Chiesa è agire all'interno della democrazia. Non costringe nessuno a votare, semmai convince.

Qui si entra in un’altra delicatissima questione, annosa quanto lo è il concetto di Chiesa. Qual è il compito della Chiesa che esercita la sua professione di fede all’interno di uno Stato non confessionale? Io, in materia, non ho proprio dubbi. La Chiesa ha il sacrosanto diritto, inscritto nella sua natura – da preservare con ogni mezzo lecito –, di spronare i propri fedeli verso il Dio che ama. Di far crescere il sentimento religioso, di trasmettere il più conformemente possibile la parola della Scrittura cui fa riferimento, d’accendere, rinfocolare ed espandere la speranza ultraterrena nell’animo dei propri fedeli e di tutti in genere (in fin dei conti è la sua naturale missione terrena), di officiare in santa libertà i propri riti, le proprie liturgie e di somministrare i sacramenti su cui si fonda la fede. Tutto ciò in spazi riservati e garantiti dallo Stato laico (si chiamano Chiese), in assoluta libertà e concordia con quest’ultimo. E’ un diritto irrinunciabile e inalienabile, che un paese civile deve garantire a minoranza e maggioranza. E’ uno degli elementi precipui che istituiscono e sono la cifra del livello di civiltà raggiunto da una nazione. Ma questo è davvero l’unico ambito d’ingerenza che mi sentirei d’assicurare con tutto me stesso alla Chiesa, rifiutandole, nel contempo, sempre con tutto me stesso, qualsiasi ingerenza nelle cose pubbliche, rifiutandole, ancora una volta con tutto me stesso, finanziamenti, sostegni economici ed esenzioni fiscali ingiustificabili. Assicurandole, invece, il giusto ed equo compenso esclusivamente per quelle innegabili e benemerite opere sociali che surrogano le altrettanto indubitabili manchevolezze dello Stato. Equo compenso che sia perfettamente in linea con quello riconosciuto ad altrettante benemerite istituzioni laiche. Nulla di più, nulla di meno. Non tollererei che la Chiesa proferisse verbo – necessariamente di parte – sulle questioni sociali, quali matrimonio omosex, riconoscimento dei diritti civili delle coppie di fatto, eutanasia, pillola del giorno dopo, divorzio, inseminazione artificiale, uso del preservativo. O perlomeno, in un accesso di buonismo, lo Stato potrebbe richiedere un parere etico non vincolante e men che meno tollererei che la Chiesa, attraverso l’arma del ricatto morale – la propria morale -, condizioni le libere scelte di uno Stato che la ospita.
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Vecchio 05-03-2008, 15.15.58   #2
visechi
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Riferimento: Laicità, ingerenze e dittatura della maggioranza

L’annoso e spigoloso problema dell’aborto.

La vita è un dono di Dio! Afferma con enfasi la Chiesa per giustificare la sua campagna mediatica avversa alla legge 194, e uno Stato non ha il diritto di disporre della vita altrui, soprattutto quando ad essere colpito nel suo diritto di vivere è un innocente.
Le ragioni della Chiesa non sono acqua fritta, e uno Stato civile non le può accantonare o ricusare con una semplice alzata di spalle… si dà il caso che la Chiesa potrebbe anche aver ragione. Devono, almeno in questo caso, essere prese in considerazione, esaminate, soppesate e valutate con cura. Qui, con tutta evidenza, si parla di uno dei diritti fondamentali – forse il più fondamentale – dell’essere umano. Non è oltretutto irrazionale sostenere che la legalizzazione dell’aborto possa essere giudicata alla stregua della legalizzazione di un omicidio.

La Chiesa, almeno in questa circostanza, credo abbia pieno titolo a far sentire la sua voce.

Su questa materia, varie sono le considerazioni e le riflessioni da sviluppare, alcune di tenore etico, altre sociali, altre ancora scientifico-biologiche.

La vita cosa è?

Pare che né la scienza, né la Chiesa, tanto meno il pensiero speculativo filosofico siano ancora giunte a definire concordemente e con precisione millimetrica il momento in cui la vita scocchi. Quando si parla di embrioni non è facile delimitare lo spazio da aggiudicare al non-essere e quello riservato all’essere; la cesura si colloca in un ambito dinamico e tende a sfuggire alle nostre capacità di comprensione. Siamo, evidentemente, su un limine indecidibile. Allora, forse, la definizione di vitalità dipende esclusivamente dal diverso punto d’osservazione in cui si colloca colui che osserva il fenomeno – quasi un problema quantico di genere sociale, etico, scientifico -.

Il quesito scientifico l’ho praticamente già esaurito nella premessa. Anche il gamete maschile è, biologicamente, vita, eppure non mi pare di leggere sulle pagine dei giornali una così accesa diatriba sulla necessità di vietare per legge la pratica masturbativa (fra l’altro, il forum di spiritualità diverrebbe illegale… mefitico come sempre).
Non mi dilungo oltre… lascio ad eventuali ulteriori interventi l’onore e onere di approfondire.

Può essere definito individuo un embrione privo di coscienza autonoma? La Chiesa, senza meno, afferma di sì, come tale è titolare del medesimo diritto alla vita di qualsiasi altro soggetto adulto (detto per inciso: certo che la Chiesa, così volubile e capricciosa nei suoi assunti universali immarcescibili, dovrebbe spiegare perché mai nella storia ha negato quest’inalienabile diritto a tantissimi individui arsi vivi nei roghi, e perché ha abolito nei suoi statuti la pena di morte solo in data recentissima, mi pare nel 1988?). In ogni caso, prescindendo dall’inciso, mi domando io: ma se il feto è un individuo, per giunta innocente (un tempo esisteva il Limbo), perché, per quale astruso motivo, nel suo illuminato Magistero bimillenario, nella sua ispirata dottrina plurisecolare, nella sua rivelata teologia che perfora i secoli e il tempo, nel suo infuso catechismo v’è solo qualche parvulo riferimento alla salvezza di chi non è ancora nato, tanto da indurre non poca confusione in chi segue con assiduità le cose della Chiesa. Teologi cattolici contemporanei esprimono, in materia, pareri difformi, anche alla luce del dogma del peccato originario, che può essere mondato solo attraverso il sacramento del Battesimo (Agostino testimonia la sua verità, l'aquinate docet). Se questa è la tesi, l’argomento dottrinario non può che essere conseguente: le anime dei non nati sono affidate alla misericordiosa misericordia di Dio – in poche parole, io, Chiesa, mi curo dell’aspetto sociale connesso all’aborto (ho miei ben fondati e inesprimibili motivi); tu, Dio, cura le anime (non potrebbe essere altrimenti), ma uno Stato può soggiacere a questa consequenzialità fideistica? -. Perché mai l’intero corpus dottrinario e teologico della Chiesa – Mater et Magistra –, sviluppatosi nel corso di due millenni, non ha espresso con definitiva chiarezza la posizione delle anime dei non nati in ordine alla soteriologia che attende ogni altro individuo senziente? Perché il problema delle anime dei feti si è imposto alla riflessione della Chiesa solo in coincidenza a quello dell’aborto? Non è difficile scovare in tutto ciò una profonda ipocrisia: la Chiesa si cura del corpo (in modo particolare del suo corpo sociale), scordando l’anima di coloro cui pretende di garantire il diritto alla Vita. Dove sono, nel piano di salvezza universale, attinto alla rivelazione divina, le anime di quegli innocenti? Il discorso etico-religioso credo che, sebbene adduca ragioni più che apprezzabili, cada di per sé, soffocato dalla profonda ipocrisia morale che lo sottende. La Chiesa si esprima con definitiva chiarezza su quell’entità che più la riguarda: l’Anima, poi il suo Logos non apparirà così artefatto quando si esprime in merito al diritto del corpo. Per intervenire in ordine al sociale, sul problema in parola, manca ad essa il substrato spirituale su cui fondare la pretesa sociale.

Le ragioni sociali che giustificano l’aborto e il ricorso all’assistenza gratuita del servizio sanitario nazionale sono di ben altro tenore. Pragmatiche, come è giusto esigere ad uno Stato. La legge 194 non introduce nel costume sociale l’aborto. Esso è una realtà da sempre. Qui la disputa non è fra chi è favorevole all’aborto e chi invece no. Non è fra coloro che ritengono il ricorso all’aborto un bene e quanti lo aborriscono. L’aborto è un trauma, un dolore che marchia l’animo delle donne che ne fanno ricorso. L’aborto è un dolore, io, umanamente e umanitariamente, sono quasi portato a ritenere l’aborto un errore... sempre! La discussione, però, non può essere affrontata presupponendo che vi sia qualcuno che pensa l’aborto come un bene. E’, invece, sicuramente più corretto affrontare la tematica domandandosi quali risultati ha conseguito la legge posta sotto assedio dalle pretese ecclesiastiche, da cosa è stata resa necessaria questa legalizzazione e se la sua abolizione conseguirebbe l’auspicato risultato di sradicare la pratica abortiva dal tessuto sociale del paese. In questione non deve essere la legge in sé, ma l’aborto come arbitrio (lo è senza dubbio) nei confronti di un innocente (lo è senza dubbio).

I dati statistici, che evito di riportare per alleviarmi la fatica di cercarli, sono concordi nel ritenere che, dalla legalizzazione della legge 194 (1978), il ricorso all’aborto ha registrato una progressiva e costante rilevante contrazione. Sarà forse per effetto di una maggior maturità acquisita dalle coppie nella propria vita sessuale, sarà anche per causa dell’affermarsi dei metodi contraccettivi (anche su quest’argomento la Chiesa zoppica). Non lo so, ma è un dato di fatto che tanto le morti conseguenti all’aborto clandestino, quanto il ricorso stesso alla pratica abortiva sono nettamente diminuite. La legalizzazione dell’aborto ha dunque conseguito un apprezzabile risultato, che potrebbe far dire ad un esaltato (non so quanto esaltato) che la legge 194 è contraria all’aborto. Non si assiste più neppure a quel deprecabile fenomeno tipicamente sociale che consentiva il ricorso alle attente cure mediche a quante avevano la disponibilità economica per recarsi all’estero ed aggirare il divieto imposto in Italia; l’obiezione di coscienza concessa ai medici che operano nelle strutture pubbliche è un escamotage tipicamente italiano, anche se non me la sento di condannarne la ratio in maniera eccessivamente radicale.

La legge in parola non è stata resa necessaria dall’esecrata urgenza di garantire alle donne una più ampia gamma di metodi contraccettivi, scaturisce, bensì, dall’obbligo per lo Stato di por rimedio al preoccupante problema impostosi all’attenzione pubblica negli anni settanta. Obbligo che esige di rivolgersi alla donna non più come un corpo da fecondare e come un serbatoio che contiene la vita, ma di avere più riguardo delle sue necessità e di fornirle la migliore assistenza medica possibile nei casi richiesti dalle occorrenze. L’aborto legalizzato, praticato all’interno delle mura ospedaliere, assicura la necessaria e dovuta assistenza medica e il sostegno psicologico per una pratica che sarebbe comunque affidata alle cure obliose di una ‘mammana’. Uno Stato civile ha il preciso dovere di garantire ai propri cittadini questa particolare attenzione. Il resto è bieco oscurantismo che non si cura del problema in sé (aborto), ma pretende d’imporre proprie regole che prescindono dall’aspetto etico-religioso. Tutto ciò per perpetuare quel fatal controllo che ha permesso all’istituzione vaticana di conservare il potere e il proprio ascendente sulla società per troppo tempo.

Ciao
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Vecchio 06-03-2008, 14.05.44   #3
spirito!libero
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Riferimento: Laicità, ingerenze e dittatura della maggioranza

Caro Visechi,

ti ringrazio per aver preso in considerazione il mio articolo.

Veniamo alle tue critiche.

Citazione:
“Il primo argomento e la relativa confutazione mi sembrano piuttosto deboli, ricorrendo, infatti, sovente il caso che un politico d’estrazione cattolica, per esempio, possa condividere in assoluta libera coscienza l’orientamento ecclesiastico su un determinato problema e non in altre circostanze, e che, in forza di questa sua libera e convinta adesione alle perorazioni della Chiesa, ritenga opportuno legiferare conformemente al dettato della sua coscienza. IN ciò non rileverei costrizione alcuna da parte della Chiesa, né palese né occulta.”

Ma questo è ciò che ho detto anche io. La costrizione c'è quando la libertà di coscienza è pesantemente condizionata da aut-aut e dictat del tipo: “un politico che voti questa legge non puoi più considerarti cattlico” è a questi casi che mi riferivo.

Citazione:
“Il problema, forse, può essere abbordato diversamente. Partendo dall’innegabile presupposto che all’interno di uno Stato laico, per esempio, non tutti i cittadini facciano riferimento alla religione cattolica, potendo una cospicua parte essere addirittura atea. L’ateismo non è un delitto o un crimine da dover censurare, almeno – fortunatamente – non lo è più da tanto tempo.”

Già, ma se la maggioranza decretasse l'ateismo fuori legge ? E' proprio contro questo tipo di contro- argomentazioni che ho pensato il mio articolo. Per questo ho scritto quale sia la differenza tra una democrazia reale ed una dittatura della maggioranza.

Citazione:
“ Lo Stato e il politico (anche qualora dovesse essere cattolico) hanno il preciso dovere di valutare ed analizzare il problema e fornire un’adeguata risposta alle lecite istanze provenienti anche dalle minoranze (sociali, etniche…). “

Certo, ma solo se postuliamo che la maggioranza debba rispettare le minoranze nelle questioni di morale e di etica.

Citazione:
“Qualora la legge da approvare e richiesta dalla minoranza non dovesse limitare l’esercizio confessionale della maggioranza, non vedo il motivo che impedirebbe al politico, anche religioso, e allo Stato di aderire alle richieste della minoranza dei cittadini”

Questo lo devi dire a chi sostiene, come le gerarchie cattoliche, che “un politico non può votare una legge contraria alla sua religione”. Ee è questo che io intendo quando parlo di “ingerenze”. Quindi ribadire ciò che dici è sacrosanto ma inutile se non si definisce prima quali siano le lecite pretese di una maggioranza a prescindere dal credo.

Citazione:
“Forse posso dire che con questo argomento ho esaurito anche il terzo.”

Purtroppo credo di no.

Citazione:
“ Ma questo è davvero l’unico ambito d’ingerenza che mi sentirei d’assicurare con tutto me stesso alla Chiesa, rifiutandole, nel contempo, sempre con tutto me stesso, qualsiasi ingerenza nelle cose pubbliche, rifiutandole, ancora una volta con tutto me stesso, finanziamenti, sostegni economici ed esenzioni fiscali ingiustificabili. “

Questo è giusto, ma l'obiezione da parte cattolica è che un religioso, compreso un prete, è anche un cittadino e in quanto tale ha il diritto di esprimere le proprie opinioni, ed in questo, hanno ragione anche loro. Quindi ? Quindi non rimane che obiettare quanto da me scritto, ovvero che:

“E' molto sottile la distinzione tra convincere ed imporre. Nel caso di specie, le alte cariche ecclesiastiche si “limitano” a dire ai politici cattolici: “se votate leggi contro la morale cattolica non potete più considerarvi cattolici”. Ora, è facile comprendere che, con imposizioni del genere, diventa molto difficile per un qualsiasi reale credente agire secondo la propria coscienza, poiché, una scelta contro la morale della sua religione significherebbe distruggere tutto ciò in cui ha creduto fino a quel momento. Tale pressione può sfociare in un condizionamento molto pesante sulla capacità di libera scelta del politico che rimane, ricordiamolo, soprattutto un uomo. Accettare di far parte di un culto non può voler dire accettarne indiscriminatamente tutte le norme morali altrimenti non si tratterebbe di libertà di culto ma di vero e proprio condizionamento mentale. Ma anche se si accettassero indiscriminatamente tutte le norme etiche, ciò non significa tout-court che colui che le accetta pensi anche che tali norme debbano essere imposte per legge. Ripeto ancora, limitare per legge la libertà di scelta personale su temi etici delicati ove non vi sia conflitto tra diritti individuali è contrario alla definizione stessa di democrazia.”

Citazione:
“Non tollererei che la Chiesa proferisse verbo – necessariamente di parte – sulle questioni sociali, quali matrimonio omosex, riconoscimento dei diritti civili delle coppie di fatto, eutanasia, pillola del giorno dopo, divorzio, inseminazione artificiale, uso del preservativo”

Ma lo fanno tutti i giorni !

Riguardo all'aborto c'è già un bel tread: https://www.riflessioni.it/forum/cult...aborti-12.html
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Vecchio 07-03-2008, 16.55.08   #4
visechi
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Citazione:
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Veniamo alle tue critiche.



Ma questo è ciò che ho detto anche io. La costrizione c'è quando la libertà di coscienza è pesantemente condizionata da aut-aut e dictat del tipo: “un politico che voti questa legge non puoi più considerarti cattlico” è a questi casi che mi riferivo.



[.....]


Riguardo all'aborto c'è già un bel tread: https://www.riflessioni.it/forum/cult...aborti-12.html


Mi spiego meglio!
Un politico deve, per il bene della cosa amministrata, bene comune, che riguarda quindi la collettività (sia essa composta di una maggioranza e disparate minoranze) e non se stesso o l’eventuale comunità cui dovesse aderire, nel decidere per il bene comune, con il preciso scopo di evitare, per quanto possibile, di recar nocumento a chi non dovesse pensarla come lui riducendo gli spazi di libertà soggettiva, ha il preciso obbligo sociale (ho il sospetto che si tratti anche di un obbligo di carattere etico) di prescindere dai dettami della propria coscienza individuale, anche qualora questa collimasse con quella della stragrande maggioranza dei cittadini, e comportarsi di conseguenza al momento di votare una legge che, potenzialmente, potrebbe limitare ingiustificatamente la fruizione di un ‘bene’ anche ad un solo cittadino, senza con ciò arrecare beneficio alla maggioranza degli altri cittadini. Un politico, sebbene possa aderire ad un movimento confessionale o ritenersi parte attiva del corpo spirituale della Chiesa cui aderisce, è al servizio dello Stato, poiché servitore e non essendovi un obbligo per chicchessia di impegnarsi nella politica, deve necessariamente evitare che le proprie istanze di carattere personale o confessionale interferiscano con il mandato conferitogli dagli elettori, anche qualora il corpo elettorale che l’avesse eletto (in Italia il caso neppure ricorre) esigesse da lui un comportamento coerente con la coscienza della collettività che lo ha eletto. Diversamente, non essendo desumibile a priori la liceità dell’imposizione delle tasse, una collettività costituitasi in ragione di proprie intime istanze, qualora dovesse rappresentare un giorno la coscienza maggioritaria del paese, potrebbe pretendere a buon titolo che si legiferasse per abrogare la tassazione dei redditi. Oppure nel caso dovesse imporsi come imperativo della coscienza collettiva (sempre maggioritaria) l’avversione razziale nei confronti degli abitanti di una regione del paese, anche in questa circostanza detta coscienza collettiva, congruente con quella del politico, avrebbe ragione pretendere conseguenti norme giuridiche vincolanti, e il politico, espressione di quella particolare coscienza collettiva – per un nefasto evento impostasi come maggioritaria – non avrebbe alcun ostacolo etico o sociale ad agire di conseguenza.
Va da sé che l’imperativo della coscienza, individuale o collettiva, cattolica o meno, non è di per sé sufficiente a legittimare la promulgazione di leggi tendenti a contrarre ingiustificatamente le libertà individuali.
La mia critica, se come tale la si vuol vedere (io propenderei per leggervi un mio intervento rafforzativo delle tue più che corrette osservazioni), è solo volta ad escludere a priori la possibilità che un politico, nell’amministrazione della ‘cosa pubblica’, si faccia guidare dalle istanze della propria coscienza… figuriamoci quanto posso vedere di buon occhio ingerenze esogene, quali quelle della Chiesa di Roma.

Ho avuto modo di leggere abbastanza sporadicamente la discussione sulla legge 194. Troppo lunga, troppi interventi. Rischierei di ripetere cose già scritte o sollecitare repliche già abbondantemente affrontate.

Ciao
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Vecchio 07-03-2008, 19.10.01   #5
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Citazione:
“Un politico deve, per il bene della cosa amministrata, bene comune, che riguarda quindi la collettività (sia essa composta di una maggioranza e disparate minoranze) e non se stesso o l’eventuale comunità cui dovesse aderire, nel decidere per il bene comune, con il preciso scopo di evitare, per quanto possibile, di recar nocumento a chi non dovesse pensarla come lui riducendo gli spazi di libertà soggettiva, ha il preciso obbligo sociale (ho il sospetto che si tratti anche di un obbligo di carattere etico) di prescindere dai dettami della propria coscienza individuale, anche qualora questa collimasse con quella della stragrande maggioranza dei cittadini, e comportarsi di conseguenza al momento di votare una legge che, potenzialmente, potrebbe limitare ingiustificatamente la fruizione di un ‘bene’ anche ad un solo cittadino, senza con ciò arrecare beneficio alla maggioranza degli altri cittadini”

Premetto che condivido pienamente quanto hai esposto, ed è quello che a suo tempo obbiettai ad alcuni cattolici. Ma non è un argomento conclusivo, anzi, da adito proprio alla loro replica che fu la seguente: “tu giustamente dici che il politico si deve occupare del bene comune e dei singoli, per un politico cattolico proibire l’aborto per legge è un dovere proprio per il bene comune perché per un cattolico l’embrione è una persona”

Come vedi in questo modo bypassano la tua argomentazione, per questo io nel mio articolo l’ho correlata all’ingerenza che le gerarchie hanno nella coscienza del politico, perché ad esso viene “inculcato” che l’embrione è una persona ! E se il politico lo crede non potrà fare a meno di votare una legge che proibisce l’uccisione di una persona. La mia idea quindi è di far capire che la convinzione che l’embrione sia una persona è qualcosa di legato alla pura fede e che invece le ingerenze cattoliche relegano a verità di ragione. Ma essendo verità di fede non si può legiferare basandosi su questa convinzione perché significa imporre questa idea di fede anche a chi non crede.

Citazione:
“Va da sé che l’imperativo della coscienza, individuale o collettiva, cattolica o meno, non è di per sé sufficiente a legittimare la promulgazione di leggi tendenti a contrarre ingiustificatamente le libertà individuali.”

Ed è per questo che io ho stabilito la differenza tra dittatura della maggioranza e democrazia propriamente detta.

Citazione:
“solo volta ad escludere a priori la possibilità che un politico, nell’amministrazione della ‘cosa pubblica’, si faccia guidare dalle istanze della propria coscienza… figuriamoci quanto posso vedere di buon occhio ingerenze esogene, quali quelle della Chiesa di Roma”

Si certo, anche io lo spero, ma purtroppo la realtà dei fatti ci contraddice caro Visechi e quindi dobbiamo necessariamente ribadire entrambi quello che stiamo scrivendo.


Saluti
Andrea
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Vecchio 10-03-2008, 09.40.37   #6
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Citazione:
Originalmente inviato da spirito!libero
Premetto che condivido pienamente quanto hai esposto, ed è quello che a suo tempo obbiettai ad alcuni cattolici. Ma non è un argomento conclusivo, anzi, da adito proprio alla loro replica che fu la seguente: “tu giustamente dici che il politico si deve occupare del bene comune e dei singoli, per un politico cattolico proibire l’aborto per legge è un dovere proprio per il bene comune perché per un cattolico l’embrione è una persona”

Come vedi in questo modo bypassano la tua argomentazione, per questo io nel mio articolo l’ho correlata all’ingerenza che le gerarchie hanno nella coscienza del politico, perché ad esso viene “inculcato” che l’embrione è una persona ! E se il politico lo crede non potrà fare a meno di votare una legge che proibisce l’uccisione di una persona. La mia idea quindi è di far capire che la convinzione che l’embrione sia una persona è qualcosa di legato alla pura fede e che invece le ingerenze cattoliche relegano a verità di ragione. Ma essendo verità di fede non si può legiferare basandosi su questa convinzione perché significa imporre questa idea di fede anche a chi non crede.




Non credo che il ragionamento sia bypassabile in virtù di una contro-argomentazione di tal fatta.
Qui non è in discussione una concezione dell’uomo e della vita universalmente accettati, tanto meno è in gioco la liceità per taluni di ritenere l’abrogazione della legge 194 un dovere inderogabile cui i governi debbano attenersi. Ciascuno può benissimo rimanere arrocato sulle proprie non dialoganti posizioni. Non è neppure in discussione la vita come manifestazione dell’essere. Non siamo, evidentemente, nel campo della filosofia o della teologia, men che meno in quello della metafisica. Stiamo parlando di questioni sociali assolutamente pratiche, stiamo parlando del dovere precipuo di quanti si propongono al governo del ‘bene comune’. La posizione della Chiesa è sicuramente di parte, anzi è espressione di una delle tante e variegate parti che costituiscono la collettività. A me pare di cogliere nel ragionamento imperniato sull’individuazione del momento preciso in cui scocca la vita, ovvero il momento in cui s’impone l’essere scaturente dal non-essere, una involuzione del pensiero che, pur di sostentarsi, si appoggia ad argomenti pseudo-teologici, controbilanciati da altri di segno contrario di carattere biologico (e già all’interno del mondo della scienza c’è non poca confusione in materia); la speculazione filosofica stessa incontra enormi difficoltà a prefigurare con precisione e in maniera inequivocabile quale sia il fatal momento in cui la vita sia espressa dall’embrione o dal gamete, o da un altro stadio intermedio fra il gamete e il neonato. La discussione, inevitabilmente, si sviluppa intorno a due limiti estremi, spesso dinamici e non universali: non esistono dubbi di sorta che il neonato sia vita, sebbene l’autonomia della coscienza sia abbastanza ridotta; esistono, invece, soverchie difficoltà a statuire che il gamete sia vita, nel senso che interessa il problema de quo, anche se non può essere sottaciuta la posizione della Chiesa in merito all’onanismo e all’utilizzo del preservativo, ma qui la polemica del Vaticano è condotta più che altro su questioni e con argomentazioni etiche di altro tenore. Le nostre possibilità d’individuare la traccia inequivocabile della vita, colta nel preciso momento del suo nascere, sono vanificate se ci si sposta da un settore della gnosi umana ad un altro, ovverosia se ci si sposta dall’assioma religioso e si osserva il medesimo problema con gli occhi della scienza; in tale materia si può dire che la filosofia sia una sorta di terra di nessuno. Ora, posto che non tutti i componenti la collettività sono religiosi o tutti scienziati, non è ammissibile che lo Stato, nella scelta delle norme che regolano il vivere sociale, possa sottostare alle pretese di una delle due parti (ancorché maggioritarie), senza tenere sotto gli occhi quel che più dovrebbe riguardargli, cioè il bene comune. L’assioma religioso diventa opinione se il campo da cui si osserva il fenomeno è quello della scienza, e il bene preteso e istituito dalla religione si traduce sovente in male in campo scientifico e/o sociale; mentre, viceversa, la ‘verità’ scientifica si traduce in mera descrizione del fenomeno priva della conoscenza profonda offerta dalla dottrina illuminata, trasformandosi anch’essa in opinione, se ad osservare il problema è un ecclesiastico.
Debole è anche la pretesa della Chiesa di utilizzare l’argomento dell’essere in potenza, in fieri, presente nell’embrione, poiché è altrettanto semplice argomentare che un essere in fieri non è comunque un essere e che la qualificazione d’essere dovrebbe provenire all’embrione da un qualcosa che ne ha necessariamente preceduto la formazione, ovverosia l’essere a priori, quindi Dio, unico essere ipotizzabile come sufficiente a se stesso, quindi a priori. E’ un po’ quel che, con eccessiva enfasi, afferma la Chiesa – forse non valuta a fondo le conseguenze che ciò implicherebbe per se stessa -. Alla ricerca dell’essere a priori, infatti, percorrendo a ritroso l’ipotetico segmento che dal neonato conduce al gamete, quindi dalla vita in atto all’indizio di una vita in potenza, si giunge senza meno ad intersecare e comprendere nel concetto d’essere anche il gamete… sarebbe curioso osservare la corsa affannata delle sottane nel vano tentativo di raccogliere lo sperma disperso nel mondo.
Non v’è modo di uscir fuori da questo continuo rimando da un bordo all’altro. Ma il politico ha l’obbligo di scegliere e decidere, non a favore di una delle due parti; asetticamente ha il dovere di propendere a favore del bene comune, soprattutto quando questa scelta non è tale da limitare le certezze di fede personali di chi dovesse o volesse far riferimento a concezioni di carattere fideistico.
Questo dovrebbe essere un imperativo o una norma deontologica imprescindibile per chiunque si accingesse a calcare lo scivoloso palcoscenico della politica. L’argomento o elemento di riferimento di un legislatore non può essere la coscienza, soprattutto se di parte o individuale – essa è buona ad assolverlo solo davanti al tribunale della sua intima inquisizione -. E’, viceversa, l’equilibrio sociale e l’estensione delle possibilità di fruire di diritti che non ledono la dignità individuale del prossimo. In fin dei conti l’aborto legale non è un obbligo, è solo un’amara possibilità. Una legge promulgata in ossequio alla coscienza di parte contrae, inevitabilmente, la libera espressione individuale della parte opposta, così però non sarebbe nel caso si offra una possibilità che, poiché tale, non impone obblighi a chicchessia, lasciando piena libertà di scelta alla coscienza di tutti. L’intera disputa intorno al problema che l’aborto sarebbe un omicidio è abbastanza insensata, giacché sarebbe agevole sostenere che, trattandosi di vita in potenza, anche la masturbazione potrebbe essere ricondotta al medesimo crimine.

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Vecchio 10-03-2008, 14.36.59   #7
spirito!libero
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Sai bene che in linea di principio io sono d'accordo. Ma se non ribadiamo che proibire per convinzioni religiose è sbagliato perchè sono basate su opinioni che non possono essere imposte, mostriamo il fianco a repliche come qeusta che è stata scritta nel 3d che ti ho segnalato:

"Ma se tu ti trovassi davanti una persona che sta per ucciderne un'altra con una pistola in mano che faresti? Non cercheresti di disarmarla per salvare l'altra persona, o rispetteresti la "libertà di scelta" di chi ha la pistola in mano e staresti fermo a guardare, magari dopo avergli detto: guarda che stai per commettere un omicidio, ma scegli tu, non mi permetto di interferire con la tua libertà di scelta!"...e intanto l'altra persona verrebbe uccisa.."

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Vecchio 10-03-2008, 15.41.48   #8
visechi
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Originalmente inviato da spirito!libero
Sai bene che in linea di principio io sono d'accordo. Ma se non ribadiamo che proibire per convinzioni religiose è sbagliato perchè sono basate su opinioni che non possono essere imposte, mostriamo il fianco a repliche come qeusta che è stata scritta nel 3d che ti ho segnalato:

"Ma se tu ti trovassi davanti una persona che sta per ucciderne un'altra con una pistola in mano che faresti? Non cercheresti di disarmarla per salvare l'altra persona, o rispetteresti la "libertà di scelta" di chi ha la pistola in mano e staresti fermo a guardare, magari dopo avergli detto: guarda che stai per commettere un omicidio, ma scegli tu, non mi permetto di interferire con la tua libertà di scelta!"...e intanto l'altra persona verrebbe uccisa.."



Chi esprime questo genere d’opinione, o chi pone questo quesito, ho la sensazione abbia la medesima impostazione mentale di chi negli Usa, fondamentalista ed integralista, per impedire un ‘omicidio’ clinico (aborto) non ha nessuna remora a commetterne un altro ben più palese, tipo la soppressione dei medici che nelle strutture ospedaliere praticano l’aborto. All'integralismo non si può opporre alcuna ragione sensata, sarebbe come pretendere di ragionare con Bin Laden. Che si può dire ad una persona del genere se non guardati dentro, osservati con attenzione, e poi, se puoi, assolviti pure, oppure non resta altro da fare che procurarle un biglietto di sola andata per gli Usa, affinché impegni l’intera sua restante esistenza ad impedire (FATTIVAMENTE) che siano applicate le condanne capitali. Questo genere di persone non è in grado di rendersi conto che non si muore solo esalando il fatidico ultimo respiro, ma si muore anche vivendo, anzi vegetando, e costringere qualcuno a vegetare è una barbarie ben più imperdonabile dell’omicidio. Domandino perdono per i troppi Wewlby condannati alla vita vegetativa, poi potranno anche proferir verbo su altre questioni. Mi riferisco all’ottusa campagna condotta dal signor Ratzinger nei confronti dell’eutanasia. Questi individui non conducono una battaglia per la vita, bensì una guerra santa dal sapore eccessivamente medioevale contro la vita stessa. Sono certo che in cuor loro non avrebbero alcuna titubanza neppure di fronte all’aborto terapeutico, ovviamente sempre se il problema riguarda il prossimo.
Sarebbe davvero curioso se un giorno, aprendo qualche simpaticissimo libro d’Agostino, si rendessero conto che per la loro curia il peccato originale si trasmette al nascituro per via sessuale, e che è il piacere corporale l’indizio dell’avvenuta trasmissione di questa macchia. Forse, allora, muterebbero opinione almeno per quanto riguarda i nati a seguito di stupro, poiché in questo vile atto non solo si trasmette il peccato tanto esecrato da Santa Romana Chiesa, ma anche il seme dell’odio nei confronti del nascituro. Forse, in questo caso, preferirebbero il male minore ed ammetterebbero l’aborto. Ma aprirsi a questa possibilità significa aprirsi alla possibilità dell’aborto in quanto tale.. la Chiesa è pronta a compiere questo passo?
Se l’anima s’infonde nel corpo del nascituro già nel momento del concepimento, e se, come afferma la Chiesa, l’anima è forma e sostanza del corpo in cui si riflette come immagine divina, nei casi d’handicap grave, qual è la forma dell’anima e l’immagine del Dio che adorano? Certi signori, con un’alzata di spalle, ovviano questo problema, non lo affrontano… eppure son cose che s’impongono ai nostri sensi e ai nostri perché ogni giorno.
Non v’è teologia o rivelazione che tengano, solo un’assurda isterica ipocrisia che impregna chi ha questa concezione delle donne che ricorrono all’aborto.
Persone marce e vuote, prive di sentimenti, di capacità d’immedesimazione. Chi esprime certi concetti davvero non merita alcun commento. Mi rendo conto che nella Chiesa odierna, quella del tedesco, non è più una minoranza, delle cui sconsiderate esternazioni si possa ridere, stanno diventando troppi e troppo preoccupanti; il mondo laico, ma anche quello cattolico, dovrebbe prendere le distanze, affinché la Chiesa di Roma non si trasformi completamente in un informe coacervo di pulsioni stomachevoli che pretendono la consegna della capacità di provare emozioni e d’immedesimazione al dogma rivelato… di quale rivelazione si ergono a paladini, mi domando?
Con certe scellerate posizioni non vi può essere dialogo alcuno, io non ci perederei troppo tempo; è necessario pretendere dallo Stato che compia fino in fondo il proprio dovere, così com’è stato preteso in questi giorni dai cittadini spagnoli.

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Vecchio 11-03-2008, 16.42.13   #9
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Prima di ciò però, occorre fornire una definizione di stato laico: è da ritenersi laico uno stato le cui leggi non siano l'emanazione delle dottrine di qualsivoglia religione e dove ogni culto, le cui dottrine non violino le norme di legge, abbia pari dignità.
Definizione vaga e cmq incompleta:molte misure legislative del tutto laiche potrebbero teoricamente ricalcare principi identici e comuni anche a qualsivoglia religione, senza per questo essere emanazioni dottrinali della medesima e anche ben oltre al fatto di essere posizioni legittime del politico religioso.
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Occorre fare una disamina delle motivazioni per le quali lo stato si trova d'accordo con le posizioni di una confessione religiosa (a) e se, queste posizioni di accordo, siano democraticamente sostenibili tanto da farle diventare leggi dello stato (b). Riguardo al punto (a) vi è una netta differenza tra una lecita posizione di maggioranza che nasce dal sano e libero dibattito delle opinioni in campo ed una posizione, illecita, la cui pretesa sia il frutto di un'estenuante pressione mediatico-politica da parte di una confessione religiosa
La pretesa di operare distinguo così netti è del tutto vana.Chi può discernere con credibilità argomentativa tra "la posizione che nasca dal sano e libero dibattito delle opinioni in campo" e la "posizione, illecita, la cui pretesa sia il frutto di un'estenuante pressione mediatico-politica da parte di una confessione religiosa"?Ovvero:nel dibattito sociale e culturale collettivo per definizione è consentito a chi come i vertici vaticani si occupa (dovrebbe) di vita e di morte di occuparsi di vita e di morte del feto?Oppure anche:come si formano le opinioni in materia di "etica" nel cosiddetto sano e libero dibattito prima sociale-culturale e poi politico-legislativo?E' pensabile che chi ha fede in qualcosa possa prescindere dai dettami della sua fede nell'approcciare quel dibattito?Appare evidente che il libero e sano dibattito è una chimera e una categoria inesistente nel modo in cui viene intesa qui, cioè depennata delle istanze nate in seno a chi proviene dalla cultura religiosa.

L'unico dibattito sociale possibile ed esistente è infatti quello in cui l'elaborazione e la discussione delle questioni viene fatta a partire dal confronto di tutte le posizioni legittime esistenti, certo anche quella degli 'uomini religiosi'.Se, come di fatto, tale dibattito sociale è quanto poi la politica riflette, più o meno parzialmente, nell'atto legislativo, non si vede come evitare quelle che vengono chiamate "ingerenze" e che risultano essere in realtà opinioni di un gruppo di potere come un altro, che in italia si chiama chiesa cattolica.Io non concordo con nulla di quanto dice ratzinger, ma lo considero come soggetto politico e non ritengo indebite e ingerenti le sue osservazioni sull'eutanasia o sull'aborto o sulla bioetica, mi appaiono invece plausibili e dovute dal suo punto di vista e legittime secondo la carta costituzionale che prevede la libera espressione assieme alla libertà di scelta.

quanto osserviamo nella realtà italiana è però questo:chi dovrebbe costituzionalmente e pregiudizialmente difendere le posizioni della chiesa è spesso divorziato (Casini, Berlusconi, Fini) e chi dovrebbe osservarle pedissequamente a mò di gregge, la "massa di pecore" che sarebbero gli italiani, in realtà ricorre tranquillamente all'aborto e al divorzio, si unisce in coppie di fatto etero e gay, fa uso corrente di profilattici quando non di sostanze stupefacenti, materiale porno, comportamenti sessualmente promiscui etc etc.Gli italiani sono già 'secolarizzati' nei fatti."Ma la sconfitta del referendum sulla procreazione assistita..." mi si dirà.., eppure tale evento configura ancora un'Italia diversa da quanto si dipinge:suddividere, per il referendum sulla procreazione, votanti e non in cattolici e non è riduttivo e ideologico, la procreazione assistita è questione intima e delicata in modo trasversale, al di là dunque del fatto che si appartenga o meno alla categoria dei religiosi piuttosto che non, si può oltretutto non votare per ignoranza specifica data la relativa complessità della materia.Si può anche non votare per pressione ricevuta ovviamente, ma questa possibilità che a mio avviso non spiega assolutamente la totalità dei comportamenti degli italiani di fronte al referendum e che disegna uno spartiacque ideologico utile solo a sè stesso, fa parte semplicemente della dialettica democratica, la quale si dà semplicemente ed ineludibilmente attraverso l'espressione più o meno influente di opinioni e posizioni di singoli o di gruppi quali che essi siano senza pelosi distinguo se legittimi.

Guardiamo alla cattolicissima Spagna e alla pesantissima "ingerenza" proprio di ieri: dovremmo pensare che quello non è un paese laico perchè tale ingerenza è concessa?Evidentemente no.Tali ingerenze non hanno impedito a zapatero e prima ancora ad aznar di modernizzare le regole della convivenza civile:coppie di fatto, procreazione assistita, matrimoni gay.

La variabile attorno a cui ruota l'essere o meno paese laico è sì fare leggi che non derivino da emanazioni dottrinali, ma soprattutto farle anche in presenza di tali emanazioni!!!Il nostro paese non è laico non perchè ratzinger fa ratzinger ma perchè prodi (ueltroni) o berlusconi non fanno zapatero o aznar!

Un paese che ha bisogno di mettere la mordacchia a ruini è un povero paese come dicevo altrove.Un paese che teme il confronto aperto e, qui sì laico, con posizioni tanto riduttive dell'intelletto umano come spesso quelle cattoliche è un paese che non vivrà mai una vera secolarizzazione della sua chiesa.Un paese in cui la cultura dominante si alimenta di dualismo ideologico stato/chiesa è consustanziale e propedeutico al mantenimento altrettanto ideologico di quel dualismo.Gli italiani nei fatti sono già pronti a secolarizzare e relativizzare la dottrina ratzingeriana.Ma l'unico modo in cui potranno farlo è liberalizzare quel dogma aprendolo alla contaminazione laica ed epistemologica, quindi semplicemente ascoltandolo e commentandolo non più come tabù negativo, e in quanto tale sempre e cmq carico di simboli e significati, ma come opinione presente nel sano e libero dibattito civile.

segue.....
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Vecchio 11-03-2008, 16.49.39   #10
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.....segue

Citazione:
che, oltre a ciò, impone moralmente ai propri accoliti di sostenere idee politiche ben definite, pena l'esclusione dal gruppo religioso stesso. Quando si parla di ingerenza ci si riferisce a quest'ultimo tipo di posizione. Le reiterate minacce da parte delle gerarchie religiose ai propri seguaci sono da considerarsi pressioni psicologiche inaccettabili, a maggior ragione se l'adepto in questione è un uomo politico che dovrebbe rappresentare tutti gli italiani e che dovrebbe decidere secondo la propria libera coscienza.
anche qui non se ne esce, cos'è libera coscienza, libera da che se il politico è anche religioso?E' pensabile che la coscienza per un religioso possa formarsi a livello ontologico a prescindere dai dettami della sua religione?Ovviamente no.

Citazione:
Quest'ultima (si parla di coscienza nda) non può quasi mai essere completamente equivalente e conforme a quella della chiesa a cui appartiene l'individuo, specie sui temi etici, altrimenti sarebbe più opportuno parlare di plagio piuttosto che di libera coscienza.
questa è una affermazione singolare.Un libero cittadino sceglie in quanto tale la sua equivalenza etica e la sua conformità di coscienza in piena e totale libertà.Non vedo come poter dimostrare che se tale conformità è totale rispetto a data fede si tratti di plagio, significa affermare che ove ci sia adesione incondizionata ai dettami di quella fede (cosa possibile in uno stato libero) si sia in presenza di un plagio della coscienza.
Gli osservanti cattolici rigorosi sarebbero tutti plagiati!

Citazione:
Riguardo al punto (b), anche se il politico di turno fosse personalmente d'accordo con alcune posizioni ecclesiastiche, è possibile che ritenga che tali posizioni non debbano diventare leggi dello stato perché, secondo lui, violerebbero indebitamente la libertà di scelta dei singoli e dunque, proprio in nome del pluralismo religioso e della libertà di scelta individuale, reputi che lo stato non abbia il diritto di imporre scelte etiche laddove non se ne presenti la strettissima necessità dovuta ad eventuali conflitti tra diritti fondamentali degli individui.
E' un dialogo tra sordi capisci?Il politico cattolico che crede in certi valori non ha nessun motivo (dalla sua ottica) di ritenerli separati o separabili da quella che tu chiami la libertà di scelta del singolo, la separazione tra politica e valori fideistici non è geneticamente possibile per un religioso se andiamo a trattare di vita, quale quando come.E' evidente che in questo ambito per un religioso le due dimensioni non possano non sovrapporsi.Trovo ipocrita e inutile ignorare il fatto.Quello che si può fare ribadisco è liberare i dogmi da sè stessi ed esporli al vento del pluralismo epistemologico cercando un dialogo continuo e puntuale dunque concedendolo prima, liberalizzandolo, sdoganandolo.

La chiesa dogmatica di ratzinger per esistere e 'moltiplicarsi' ha bisogno dell'intransigenza dei "laici" come dell'ossigeno.Preso atto che dobbiamo averci a che fare in quanto opinione 'concorrente' nel dibattito collettivo sano e libero dell'elaborazione sociale a me sembra controproducente rinchiudersi in gabbie interpretative che prescindano dalla ricerca del dialogo.Il muro contro muro giova solo al dogma e alla sua reiterazione.A meno che quindi i dogmi non siano due!

Citazione:
E' molto sottile la distinzione tra convincere ed imporre. Nel caso di specie, le alte cariche ecclesiastiche si “limitano” a dire ai politici cattolici: “se votate leggi contro la morale cattolica non potete più considerarvi cattolici”. Ora, è facile comprendere che, con imposizioni del genere, diventa molto difficile per un qualsiasi reale credente agire secondo la propria coscienza, poiché, una scelta contro la morale della sua religione significherebbe distruggere tutto ciò in cui ha creduto fino a quel momento.
Più che sottile è indecidibile.La creazione del consenso è argomento per sviscerare il quale ci vorrebbero mesi e rimane un vulnus inutilizzabile in questa discussione.Le opinioni tutte si formano come e dietro quali pressioni (e occulte o meno...) o convincimenti ad esse correlati?Impossibile uscirne 'esatti'.

Citazione:
Non vi è infatti alcun motivo sociale ne giuridico ne di conflitti di diritti tra individui o tra individui e società per limitare la libertà di scelta dell'ateo nei casi sopra esposti, dunque qualora ciò succedesse saremmo perfettamente di fronte alla “dittatura della maggioranza” egregiamente descritta da Tocqueville. I religiosi che volessero imporre le proprie posizioni ai non credenti, si comporterebbero come veri e propri dittatori, anche quando rappresentassero la maggioranza assoluta dei cittadini di uno stato.
assolutamente no, se non nel caso in cui violassero principi immodificabili e 'costituzionali' quali quello da te citato della libertà personale di scelta.La maggioranza democratica religiosa da te ipotizzata ha sempre diritto di legiferare se non viola la costituzione.

Il problema è che la libertà ed i suoi confini non sono dati una volta e per sempre, le leggi civili dell'uomo non sono teoremi mai più violabili, mentre invece risentono dell'epoca e del periodo.Il dibattito in essere da decenni sulla revisone della carta costituzionale insegna.La libertà di scelta del '48, ti sembrerà antipatico ma è così, non è la stessa libertà possibile oggi per lo stesso motivo per il quale l'eutanasia in Olanda, il paese più libero e liberale al mondo, non esisteva per legge fino a 8 anni fa.Dunque le libertà si conquistano sul campo gradualmente e non sono date, nemmeno quelle lecite, tutte, sempre e a prescindere una volta teorizzate nella 'costituzione'.Le libertà specifiche e concrete si perseguono e si configurano a partire dal dibattito collettivo e dall'elaborazione delle istanze di quasivoglia genere, comprese quindi quelle religiose in quanto libere come tutte le altre.

Citazione:
Dunque occorre, attraverso la ragione, cercare di capire se vi siano basi razionali e ragionevoli per ritenere un ovulo fecondato una persona. Per questo esistono i comitati di bioetica che analizzano, o dovrebbero analizzare, le questioni importanti dal punto di vista prettamente razionale senza alcuno spazio per le fedi religiose personali. Se dopo un'attenta analisi questi comitati sostenessero che un ovulo fecondato è da considerarsi una “persona umana”, allora le pretese dei cattolici potrebbero definirsi legittime. Fino ad oggi nessun comitato di bioetica ha sostenuto nulla del genere e dunque nessuno può pretendere di imporre a colpi di maggioranza una convinzione, cioè che l'ovulo fecondato sia già un una persona, basata unicamente sulla fede ovvero su una credenza personale non giustificata in alcun modo.
nessun comitato di bio-etica potrà mai dare definizioni rigorosamente scientifiche di alcunchè, la materia trattata rimane evidentemente "etica" almeno quanto 'bio' e, nello specifico, definire con esattezza cosa sia "persona" è ambito altrettanto filosofico.
Ma un paese che sceglie e accetta la possibilità dell'aborto da decenni perchè deve osservare "laici" come te aggrapparsi alle definizioni date dai comitati di bioetica per validare la scelta di fecondazioni più o meno assistite?Mi ripeto, togliamo tabù alle questioni sottraendole al dibattito ideologico.
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