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Vecchio 22-01-2006, 21.40.55   #11
Fragola
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Messaggio originale inviato da Alessandro D'Angelo
Cara Maria/Iudichetta,

la tua indignazione, se così vogliamo chiamarla, è molto umana e logica.
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10 anni, fa a chi aveva il famoso "Morbo di Alzheimer" si diceva che "Era depresso", "Che era scordarello ed esaurito. Avrebbe avuto bisogno di una curetta...
Non si conosceva ancora il morbo d'alzheimer, tanto meno il vaccino contro questo morbo.

Notizia di cui ho avuto modo di scrivere in questo forum.
Fatemi domande in tal senso cercherò di rispondere.

Saluti a Tutti

Veramente in quello che scrivi non c'è niente di corretto! Si chiama "malattia di Alzheimr" e non morbo. E non esiste nessunissimo vaccino nemmeno ora, non può esistere in quanto non se ne conosce la causa. 10 anni fa la malattia di alzheimer era già nota, tanto è vero che a mio padre è stata dignosticata. Ed esistevano delle cure. Ricordo che i primi tempi dovevamo andarle a comprare in svizzera le medicine perchè in italia non si trovavano. Ma c'erano.

Quello che è vero è che è difficilissimo fare una diagnosi precoce, anche oggi. I sintomi sono in fase iniziali banali dimenticanze, come quelle che ha una persona normle, solo che si fanno via via più frequenti. Prima che ci rendessimo conto di cosa aveva mio padre, ci sono voluti anni.
Il problema più grosso, poi, è che non esistono analisi per identificare la malattia. La dignosi certa può essere fatta solo post mortem. O almeno così era fino a qualche anno fa. Da che mio padre è morto non mi tengo più molto aggiornata sulla cosa. Sinceramente, spero che non mi capiti più di avere a che fare con questa malattia. Una volta nella vita basta e avanza!

Iudichetta, hai tutta la mia solidarietà. E' durissima. So che esistono associazioni di auto-aiuto per i famigliari dei malati. Prova a informarti.
Ti abbraccio.

Fragola is offline  
Vecchio 22-01-2006, 21.53.57   #12
Fragola
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Copio quello che ho trovato su un sito che mi sembr attendibile
Questo è quello che si sa. Tutto il resto per ora sono solo ipotesi.

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La malattia di Alzheimer è stata descritta per la prima volta nel 1906 dal neuropatologo Alois Alzheimer (1863-1915) durante la Convenzione psichiatrica di Tubingen, nella quale presentò il caso di una donna di 51 anni affetta da una sconosciuta forma di demenza. Ma solo nel 1910 la malattia ebbe un nome, grazie a Emil Kraepelin, il più famoso psichiatra di lingua tedesca dell'epoca che ripubblicò il suo trattato "Psichiatria", nel quale definiva una nuova forma di demenza scoperta da Alzheimer, chiamandola appunto malattia di Alzheimer.



è una malattia irreversibile, ingravescente, caratterizzata da una degenerazione progressiva delle facoltà intellettive. Le persone affette da questa patologia manifestano afasia di tipo principalmente motorio, perdita della comprensione dell'uso degli oggetti usuali e graduale alterazione della capacità di comprensione.

è difficile fornire dati precisi per quanto riguarda l'incidenza di questa patologia. Essa colpisce senza distinzioni di nazionalità, di razza, di gruppo etnico o di livello sociale; interessa uomini o donne indifferentemente. In generale esistono due sottotipi di demenza di Alzheimer in base all’età di insorgenza della malattia: precoce se inizia entro i 65 anni, tardiva dopo i 65 anni. Sulla base di studi condotti in Italia, Giappone, Gran Bretagna e Olanda, si stima che il numero di malati oscilla dal 4,1 all'8,4% delle persone con più di 65 anni. Oggi in Italia i malati di Alzheimer sono circa 450 mila (4.000.000 negli Stati Uniti). Si prevede, però, che il loro numero raddoppierà nell'anno 2020.



Secondo la stima approvata negli Stati Uniti, i casi gravi rappresentano il 4% della popolazione sopra i 65 anni, che tradotto nella realtà italiana significa circa 500.000 casi. In Europa, dati più completi giungono da uno studio collettivo effettuato nel 1991, che ha selezionato 12 studi di popolazione, condotti in differenti regioni europee, in cui la diagnosi di demenza è stata fatta secondo criteri internazionalmente riconosciuti.







Età
Prevalenza della malattia

60-64 anni
1,0%

65-69 anni
1,4%

70-74 anni
4,1%

75-79 anni
5,7%

80-84 anni
13,0%

85-89 anni
21,6%

90-94 anni
32,2%






Leggendo la tabella si può facilmente notare che più si va avanti con l'età e più l'incidenza della malattia aumenta, ma non è dimostrato che questa malattia sia una conseguenza inevitabile della vecchiaia, in quanto non tutti gli ultraottantenni sono affetti da Alzheimer, anche se la percentuale è abbastanza alta. Attualmente, secondo l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), si stima che vi sono almeno 29 milioni di soggetti colpiti dalla malattia.





CAUSE


Non si conosce una causa della malattia; tuttavia, gli ultimi studi propendono per un’origine multifattoriale, vale a dire che viene riconosciuta una concomitanza di cause. In alcune famiglie la malattia ha una chiara ereditarietà dominante, ma si tratta di casi molto rari (circa 1%). In un maggior numero di casi si riscontra una certa predisposizione genetica, testimoniata dalla presenza di qualche altro familiare, anche lontano, colpito dalla malattia, ma anche qui niente è testimoniato scientificamente.



Le cause della malattia di Alzheimer potrebbero comunque essere attribuite ad atrofia cerebrale dovuta ad alterazioni istologiche: placche senili e degenerazione neurofibrillare. Il perché si verifichino tali alterazioni, non è ancora del tutto noto, ma, studi recenti propendono per un’alterazione genetica.





SINTOMI



I primi sintomi della malattia possono essere confusi con i normali segni dell’invecchiamento, come: la perdita della cosiddetta memoria a breve (recente), consistente nella difficoltà a ricordare anche parole di uso giornaliero. In seguito si verifica la perdita dell’orientamento, l’individuo dimostra cambiamenti nelle facoltà di relazione (disturbi del linguaggio e della capacità di muoversi), incapacità nel riconoscere i parenti e gli amici, cambiamenti comportamentali (ansia, insonnia e modificazioni caratteriali), mancato controllo delle funzioni vitali (alterazione del ciclo sonno-veglia, dell'appetito con continua ricerca di cibo ed incontinenza urinaria e fecale), sino al progressivo peggioramento e perdita delle capacità mentali.

I segni più frequenti e più caratteristici dell’Alzheimer e che permettono una diagnosi per esclusione, sono:

- perdita della memoria in forma progressiva e pervasiva;

- incapacità di controllare le risposte emotive;

- confusione e disorientamento spazio temporale;

- frequente ripetizione delle domande;

- incapacità di ritrovare le proprie cose, nascoste in luoghi poco usuali;

- agitazione, inquietudine e nervosismo;

- motricità afinalistica, che è stata chiamata vagabondaggio;

- allontanamento da casa non riconoscendola come propria;

- perdita dell’orientamento anche nelle vicinanze della propria casa;

- mancato riconoscimento dei famigliari: moglie o marito, figli, nipoti;

- stanchezza, distacco, tristezza o depressione;

- segni di tensione eccessiva, di irritabilità ed aggressività;

- ideazione paranoica, interpretativa e delirante nei confronti di tutti;

- allucinazioni per lo più visive e uditive;

- desiderio di andare dai propri genitori (soprattutto la mamma);

- perdita della coordinazione nei movimenti complessi e poco abituali.





DIAGNOSI



La malattia può essere diagnosticata solamente dopo la morte del paziente attraverso un esame autoptico, che metterà in evidenza una diminuzione di cellule nervose nelle aree cerebrali preposte al pensiero e al ragionamento e un eccessivo numero di proteine amiloidi. Teoricamente, si potrebbe effettuare una biopsia, ma questa pratica esporrebbe a tali rischi di complicazioni da renderla sconsigliabile. Le tecniche di diagnostica per immagini come la risonanza magnetica nucleare, la PET, la TAC e la SPECT servono più che altro a escludere che la malattia sia dovuta ad altre cause, come ad esempio l’ictus cerebrale.

Dei recentissimi studi condotti in America, hanno evidenziato come una PET potrbbe aiutare a diagnosticare l'Alzheimer prima della morte del paziente, anche grazie all'aiuto di un nuovo mezzo di contrasto, l'FDDNP.








TERAPIA



I farmaci sono di scarsa utilità nel rallentamento della patologia. Lo scopo della terapia farmacologia è quello di rendere più lento il processo di perdita della memoria e della funzione cognitiva e di mantenere l’autonomia del paziente.

A seconda dei sintomi sono disponibili diversi farmaci: gli inibitori della colinesterasi aumentano i livelli del neurotrasmettitore acetilcolina migliorando così la trasmissione dell’impulso nervoso; gli antiossidanti si utilizzano per rallentare il progredire della malattia; i farmaci antidepressivi si usano nel trattamento della depressione; i neurolettici nel trattamento di delirio e psicosi; la carbamazepina, per il controllo dell’aggressività e dell’agitazione; sedativi e adozione di misure palliative (ridurre il tempo del riposo pomeridiano, riduzione del tempo trascorso nel letto e all'esposizione alla luce abbagliante durante le ore del giorno) per la terapia dei disturbi del sonno.

Nelle prime fasi della malattia è consigliabile coinvolgere lo stesso paziente in piccole attività, evitando di favorire la comparsa di crisi depressive, che aggraverebbero il quadro generale. Nelle fasi avanzate della malattia, oltre al supporto medico, è utile anche il supporto infermieristico domiciliare e quello psicologico per la famiglia. Infatti, tale sostegno può rendere più lento l’inevitabile declino mentale o rendere meno difficile la vita del paziente e dei suoi familiari.





RICERCA



Attualmente molte ricerche sono in corso sulla potenziale responsabilità di fattori genetici, tossine, anomalie del metabolismo, agenti infettivi nella patogenesi della malattia di Alzheimer. Studi recenti indicano che una piccola percentuale di casi è dovuta a fattori ereditari.

Ricerche recenti, dirette a saggiare l’azione del NGF (Nerve Growth Factor - fattore di crescita neuronale) e di altri fattori neurotrofici sulle cellule nervose preposte alle funzioni cognitive, hanno dimostrato che una sindrome del tutto simile all’Alzheimer si verifica in un roditore, deprivato con tecniche di ingegneria genetica dell’NGF in età avanzata. In questi modelli sperimentali si sono rilevate evidenti alterazioni istopatologiche e turbe comportamentali del tutto simili a quelle manifestate in individui umani affetti dalla malattia di Alzheimer. Tali risultati fanno ritenere che la carenza o totale mancanza di determinati fattori neurotrofici siano la causa di questa patologia. Questi studi prospettano una possibile terapia preventiva che blocchi, ad uno stadio iniziale, il progredire di tale sindrome.

L'aspettativa media di vita dei soggetti colpiti è di circa 5-10 anni, sebbene oggi, grazie ai miglioramenti nell'assistenza e nella terapia medica, molti pazienti sopravvivano anche quindici anni. Infatti, tale assistenza può rallentare il fatale declino mentale o rendere meno drammatica la vita del paziente e dei suoi familiari.
Fragola is offline  
Vecchio 22-01-2006, 23.34.09   #13
Alessandro D'Angelo
dnamercurio
 
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Data registrazione: 14-11-2004
Messaggi: 563
Gentili amici,
pur non essendo un medico, cercherò lo stesso di ampliare questa tematica sul morbo di Alzheimer trattando dei "Beta-amiloidi e l'Alzheimer" sfiorando il "Problema Vaccino" . La ricerca fa luce sulla formazione dei ricordi a lungo termine.
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In due articoli pubblicati sul numero del 19 ottobre 2005 della rivista "Journal of Neuroscience", alcuni ricercatori del Gladstone Institute of Neurological Disease dimostrano che l'accumulo di peptidi neurotossici beta-amiloidi in modelli di topo (geneticamente modificati) del morbo di Alzheimer può provocare un calo di proteine chiave in uno specifico centro di memoria del cervello. Il processo può essere aggravato dall'aumento di attività di un enzima chiamato Fyn.
Secondo i risultati dei due studi, l'incapacità dei pazienti di Alzheimer di ricordare eventi di pochi giorni prima potrebbe essere legata alla carenza delle proteine che rafforzano i punti di contatto, o sinapsi, fra i neuroni del cervello.
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Molti ricercatori sono convinti che, ben lungi da avere una singola causa, la malattia di Alzheimer sia solitamente causata dalla combinazione di più fattori di rischio. I nuovi studi, in effetti, dimostrano che la distruzione delle proteine della memoria può richiedere l'interazione di differenti molecole che promuovono la malattia. Lennart Mucke e colleghi hanno scoperto che le proteine possono essere spazzate via non soltanto da elevati livelli di beta-amiloidi, ma anche da bassi livelli di beta-amiloidi in combinazione con alti livelli di attività di Fyn.
<<"Beta-amiloidi e Fyn possono collaborare - commenta Mucke - per dare origine ai cambiamenti cerebrali caratteristici dell'Alzheimer>>".
Tratto da Le Scienze S.p.A. © 1999 - 2005.
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Forse la scoperta potrebbe contribuire all'identificazione di nuovi target terapeutici e biomarcatori per successivi trattamenti.
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Al momento non esiste alcuna cura capace di contenere la malattia conclamata e ancora poco certi sono i vari clusters per una diagnosi precoce.
I farmaci usati attualmente per combattere la sintomatologia sono:
anticolinesterasici = rappresentano l’ultima generazione di farmaci specifici, ma la loro efficacia è molto discussa, limitandosi poi a generare miglioramenti in un 30% dei casi e solo per una durata che varia da 6 a 12 mesi;
antidepressivi = forse i più indicati sono gli SSRI e tra questi la molecola che dà meno effetti collaterali è la fluoxetina;
sedativi = la molecola più sicura è la promazina (sempre a basse dosi); con altre molecole si possono avere anche risposte abnormi;
ansiolitici = in generale sono da testare perché inducono facilmente risposte paradossali; antipsicotici = vengono per lo più usati l’ aloperidolo ed il risperidone sempre però a dosi molto basse.
Spesso vengono consigliate sostanze ad azione antiossidante tra le quali emerge la vitamina E (ad alte dosi) anche se i risultati ottenuti siano poco sicuri.
In Argentina hanno avuto molta risonanza ricerche che consigliavano l’uso della melatonina (dosi superiori ai 12 mg/die); la letteratura non ne ha confermata l’utilità, sebbene vengano segnalati i benefici per la regolazione del ritmo nictemerale (sonno).
Per curiosità rammento che questa sostanza, (melatonina) era molto usa dal prof Di Bella in sinergia con altre sostanze molto importanti fra le quali l'aceticolina.
Durante il SIMPOSIUM INTERNAZIONALE TELEMATICO "PSICOTERAPIA DELLA DEMENZA" sono stati trattati i seguenti temi:
- Alzheimer – E.I.T. : una terapia possibile.
- Pragmatica dell’ E.I.T. nella demenza.
- Alzheimer e funzione simbolica della tomba e della solitudine.
- Psicodinamica e demenza.
- Alzheimer, depressione e sindrome catastrofe.
- Alzheimer – E.I.T.: una proposta per la riabilitazione.
- Alzheimer: psicodinamica e neurofisiologia della perdita della memoria.
- Destrutturazione della personalità nella malattia di Alzheimer.
- ALZHEIMER: rapporti intercorrenti tra medico, paziente.
- Malattia e caregivers nella quotidianità e nella trapia di integrazione emotivo-affettiva.
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Sono stati condotti studi sul ruolo svolto dai radicali liberi in un modello in vitro del morbo di Alzheimer. Il modello consiste nel trattare colture primarie neuronali con la proteina b-amiloide. La presenza di questa proteina DETERMINA LA MORTE DEI NEURONI attraverso un'esaltata attività dei radicali liberi..... Anche in patologie come le emorragie cerebrali i radicaliliberi possono giocare un ruolo importante sia nel danno post-emorragicoche nel determinare la rottura degli aneurismi cerebrali.
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Una ridotta capacità antiossidante sistemica, infatti, incrementa il rischio di emorragia cerebrale.Si è condotto, inoltre, uno studio sugli eventi mediati dai radicaliliberi nel trauma cranico. Infatti in questo evento traumatico, oltre al danno meccanico, avviene un versamento di sangue intraparenchimale o subaracnoideoche innesca molte delle reazioni distruttive dei radicali liberi.
Gli studiosi partecipanti alla ricerca sono stati: Marzatico Fulvio, Torri Carla, Gaetani Paolo, Rodriguez y Baena Riccardo, Bertorelli Laura, Finotti Nicoletta.
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Ho trovato queste notizie che, anche se non sono ultrarecenti danno un'idea che ultimamente molti scienziati hanno dimostrato che le proteine responsabili dell'Alzheimer, quando sono mutate, sono le stesse che hanno un ruolo rilevante nello sviluppo del cervello.
E' comunque interessante il fatto che stanno studiando un V A C C I N O proprio partendo da una proteina.
<<Sembra che due geni denominati "PRESESENILINE 1 e 2" (PS1 e PS2) giochino un ruolo essenziale nello sviluppo della corteccia cerebrale e che le 80 mutazioni di questi geni diano un forte contributo alla degenerazione del cervello. Ma anche 10 mutazioni del GENE APP, quello del PRECURSORE della proteina beta-amiloide, sono responsabili della morte delle cellule cerebrali. Infatti, questo gene svolge un ruolo nella formazione della beta-amiloide che si ritrova nelle placche senili, tipiche della MA. >>
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"Questi fatti inducono a porsi delle domande sul ruolo delle molecole nella neurogenesi per capire la degenerazione. Si stanno facendo vari studi genetici nella speranza che si possano influenzare queste mutazioni durante lo sviluppo del cervello, ma questa è una strada ancora lunga da percorrere - commenta il Prof. Jürgen Mai, del dipartimento di Neuroanatomia dell'Università di Düsseldorf e coordinatore scientifico del congresso.
Per ora bisogna affrontare la malattia e cercare eventuali terapie. Alla conferenza partecipa, tra gli altri, il Prof. Roger Nitsch, dell'Università di Zurigo, che ha sperimentato (insieme con un gruppo internazionale) un NUOVO VACCINO contro la formazione delle placche, che sono la causa della morte neuronale. Il suo VACCINO dovrebbe immunizzare il cervello contro il deposito delle placche.
Il risultato anche dopo un anno è stato un notevole rallentamento nella degenerazione dei processi cognitivi. In 20 pazienti su 24 del suo gruppo (tutto lo studio internazionale comprendeva 298 pazienti) si è registrato uno sviluppo di ANTICORPI contro le proteine beta-amiloidi MUTATE con un rallentamento significativo della malattia; 3 pazienti, però, si sono ammalati di encefalite e lo studio è stato perciò interrotto.
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<<Stiamo studiando una nuova versione di immunizzazione, stavolta passiva, perché la strada è promettente - afferma il Professor Nitsch - Anzi, da qui nasce la speranza di una prevenzione della malattia, iniettando ANTICORPI SPECIFICI prima che la stessa si manifesti, in tutti quei casi in cui la CAUSA sembra GENETICA>>.
Comunque, come è noto, le cause della malattia non sono ancora chiare. Nella maggior parte dei casi si pensa alla presenza di più fattori, genetici e ambientali. <<In questo momento, grazie soprattutto a nuovi metodi d'indagine, stiamo assistendo a grandi cambiamenti nel modo di affrontare questa malattia che fino a pochi anni fa sembrava un enigma,>> dice il Prof. Jürgen Mai.
"Uno degli ostacoli che ha maggiormente impedito lo sviluppo di terapie efficaci per la malattia di Alzheimer è la mancanza di modelli sperimentali che riproducano in modo adeguato, a livello cellulare e molecolare, la complessa sintomatologia neuropatologici che caratterizza il cervello dei pazienti Alzheimer - dice il Prof. Antonino Cattaneo, della SISSA di Trieste e dell' European Brain Research Institute di Roma - Nuovi studi ci hanno permesso di sperimentare e di mettere a punto innovativi approcci terapeutici biotecnologici, basati sulla somministrazione, per via intranasale, del fattore di crescita nervoso (Nerve Growth Factor o NGF), il cui coinvolgimento nella malattia di Alzheimer (oltre che nello sviluppo del sistema nervoso) rappresenta un tema di interesse emergente.
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Credo che molto interessante sia il sito che segue per avere altre delucidazioni:

http://scientifico.neurodoc.it/focu..._alzheimer.html

Certamente questa materia è molto vasta e, come è ovvio, si possono fare ancora altre ricerche. Certamente più passeranno gli anni, più questa tematica medica sarà importante a causa dell'età media sempre più elevata.

Saluti a tutti
Alessandro D'Angelo is offline  
Vecchio 17-08-2007, 15.40.08   #14
aurora7
Ospite abituale
 
Data registrazione: 11-03-2005
Messaggi: 47
Riferimento: demenza senile

Citazione:
Originalmente inviato da iudichetta
Fragola questo vale quando tù te nè accorgi? Ma inizialmente non si capisce, pensa che neppure i dottori la capiscono. Si capisce in uno stato avanzato, ne parlo perchè son sicura.
....


allora riconoscere le demenze ai primi sintomi poteva essere difficile un pò di anni fa in quanto uno dei primo segni di queste malattie è la perdita della memoria a breve termine, ( ad esempio ho messo le chiavi in un determinato posto dopo 5 minuti non mi ricordo più, ma in fondo a chi non capita?) per cui all' inizio nemmeno i familiari si preoccupavano più di tanto, la preoccupazione arrivava quando la perdita delle cellule nervose non era più ai primi stadi, ma alla perdita della memoria si associava anche un cambiamento della personalità( si diventa più aggressivi, cambiamento del tono dell' umore , si smette di lavarsi, ed altri sintomi che non sto ad elencare).
ora dato che c'è stata una divulgazione sia scientifica che non, di queste patologie , le persone si muovono più velocemente.
ricerche recenti speigano che i test neuropsicologici riescono ad evidenziare prima una malattia organica a livello cerebrale rispetto alla tac alla risonanza magnetica. ( fonte davison neale ed. zanichelli psicologia clinica).

sicuramente si può fare sia una prevenzione primaria che secondaria che terziaria in tal casi. ad esempio sapendo che è una malattia a trasmissione genica ( con questo non voglio allarmare le persone che hanno un parente malato di tale patologia, che oltre tutto anche io ho mia nonna) c'è una possibilità maggiore di soffrire di demenza, per cui si prendono le precauzioni del caso.
ma anche quando i primi sintomi si sono verificati si può fare una prevenzione affinchè questa patologia non evolva con tempi troppi rapidi, perchè purtroppo si può rallentare ma non interrompere.


giustamente io non essendo un laureato in medicina ma occupandomi di altra materia ( psicologia) tali disturbi rientrano nei disturbi dell' invecchiamento, ossia è difficile che si verifichi tale patologia in una persona di 20 anni.

interessandomi della psicologia, bisogna ricordare che influiscono è vero i fattori predispondenti ( ossia quelli biologici) ma anche i fattori ambientali relazionali.
sono presenti non solo fattori di rischio ma anche dei fattori protettivi, affinchè tale patologia non possa svilupparsi in una popolazione a rischio, come ad esempio posso essere io avendo un parente malato di demenza.
io la domanda che mi sono posta che andando avanti vorrò verificare , verissimo che è una malattia organica , ma come è la depressione anche se viene definita malattia psichica, ( in fondo il cervello chiamato psiche non è un organo del corpo???), nello sviluppo di tale patologia a mio avviso possono subentrare dei fattori psicologici, del tipo una persona che ha avuto una vita difficile molti traumi forse inconsciamente non vorrebbe dimenticare tutti i suoi traumi??????....secondo me si.
aurora7 is offline  

 



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