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Vecchio 21-05-2007, 07.42.41   #11
katerpillar
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Per Fausto Intilla
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La nostra grande fortuna quindi è che la natura, per raggirare problemi di questo tipo, solitamente tende ad accrescere-intensificare ,in svariati organi del nostro corpo (cervello compreso), l’aspetto frattalico di questi ultimi, onde aumentarne l’efficienza in termini di qualità e funzionalità.

katerpillar

Forse è a tale motivo che gli uomini delle caverne avevano una massa cervello più grande della nostra, o si deve attribuire alla tecniche che l'uomo, mano a mano, ha elaborato per rendersi la vita più facile, a farlo decrescere, perché più funzionale, in quanto il magazzino menmonico era più fornitoto con le esperienze effettuate giorno per giorno?
Citazione:
non siano tanto legate o comunque rapportabili al peso (volume) stesso del cervello, in quanto indicatore di una certa misura di intelligenza; bensì alla superficie del cervello.
Ho visto che le mie opinioni sull'inesistenza dell'intelligenza sono state saltate pari pari, forse perchè non meritevoli di risposta; ma che l'intelligenza sia solo un parametro convenzionale e non strutturale, come la memoria ed il pensiero, chi può negarlo e con quali argomentazioni?
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Vecchio 21-05-2007, 08.22.51   #12
katerpillar
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Per dany83
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Leggendo la discussione del dott.Intilla sull'uomo di Neanderthal, ho riflettuto un po e mi sono posto una domanda. Come si misura l'intelligenza dell'uomo? Siamo sicuri che l'uomo col passare degli anni è diventato più intelligente? O è solo una nostra illusione? Cosa ne pensate? Io personalmente credo che l'uomo non si sia evoluto per niente, anzi,sotto certi aspetti, specialmente quello spirituale si è involuto.

katerpillar

A mio modo di vedere l'intelligenza dell'uomo è difficilmente misurabile, anche se in modo convenzionale, proprio perché, strutturalmente l'intelligenza non è una parte precisa delle nostre funzioni cerebrali, che vanno individuate nella memoria e nel pensiero, risultando quest'ultimo, il metodo veicolativo della memoria.

Unendo la sommatoria dei patrimoni che abbiamo in noi, comprese le informazioni provenienti dalla materia con cui siamo formati, abbiamo un magazzino menmonico a disposizione per la soluzione dei pronlemi che ci si pongono quotidianamente.

Come ripeto è il pensioero che veicola all'esterno queste informazioni, che sono il risultato di una elaborazione di tutte le esperienze immagazzinate in noi, nella memoria.

L'esperienze quotidiane, che chiameremo (terzo patrimonio), che vanno addizionate a quelle che si sono accumulate fin dalla prima forma di vita (secondo patrimonio), che vanno addizzionate a quelle che si porta con se la materia con cui siamo formati) (primo patrimonio). In tal senso forse serve un esempio: la memoria fisica che ci indica costantemente quali sono i paletti termici entro i quali dobbiamo vivere ecc.

Ho avuto anche io l'impressione che l'uomo, facendo sempre meno esperienze quotidiane dirette, in quanto tutto gli viene fornito dalla società in cui vive, stia subendo una involuzione mentale che sarà sempre più accentuata (I bambini delle città credono che i polli che vedono nei supermercati o nelle macellerie, nascono belli e pronti per essere mangiati, poiché non hanno visto mai un pollo ruspante in circolazione), mentre non condivido l'affermazione: "Sopratutto sotto il profilo religioso".

Non la condivido per i seguenti motivi: perché il concetto religioso che ci induce a donare senza ricevere, in una natura in cui vige la "solidarietà utilitaristica", (il dare e l'avere), è stato l'unico pensiero elaborato dalla mente dell'uomo, mettendo in pratica per la seconda volta dopo Adamo, il libero arbitrio.

E questo infinitesimale ed unico cambiamento elaborato dall'uomo, dopo millenni, tu non lo vuoi nemmeno sottolineare?

Un saluto.

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Vecchio 21-05-2007, 12.28.50   #13
Fausto Intilla
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Per Fausto Intilla

katerpillar

Forse è a tale motivo che gli uomini delle caverne avevano una massa cervello più grande della nostra, o si deve attribuire alla tecniche che l'uomo, mano a mano, ha elaborato per rendersi la vita più facile, a farlo decrescere, perché più funzionale, in quanto il magazzino menmonico era più fornitoto con le esperienze effettuate giorno per giorno?

L'aumento delle dimensioni cerebrali rappresenta un percorso evolutivo rischioso e dispendioso.Esso si dimostra conveniente solo se offre qualche vantaggio davvero evidente.Il linguaggio è il più impressionante di questi vantaggi.È molto più probabile che un cervello di grandi dimensioni si sia evoluto come sottoprodotto della selezione naturale di una maggiore capacità linguistica, che non viceversa. Se ci si limitasse a raddoppiare le dimensioni del cervello, senza cambiare la natura delle sue connessioni neurali, allora l'aumento delle dimensioni non comporterebbe un raddoppiamento delle capacità intellettive. Gli animali di grandi dimensioni tenderanno ad avere cervelli più voluminosi rispetto agli animali piccoli a causa della dimensione globale della propria struttura corporea. Ora, prendendo in considerazione il quoziente di encefalizzazione,detto QE (definito come la grandezza del cervello di un mammifero divisa per la grandezza media del cervello di tutti i mammiferi con le stesse dimensioni corporee), saremo in grado di osservare se le dimensioni cerebrali superano o meno il livello che ci si aspetterebbe di rilevare, per una data dimensione (taglia) corporea. Osservando in tal modo la nostra specie animale (gli esseri umani), ci accorgiamo quindi di quanto siamo "superdotati", riguardo alla nostra materia grigia. Generalizzando è possibile quindi affermare che complessità e intelligenza (vale a dire il QE),accrescono con l'accrescere delle dimensioni.Da un punto di vista genetico invece,occorre osservare che l'introduzione di pochi geni vantaggiosi (che prolungano il periodo della giovinezza durante il quale il cervello si sviluppa), può fornire a una specie un cervello di grandezza anomala rispetto alle sue dimensioni corporee. E questo è proprio ciò che appare se confrontiamo la crescita umana con quella, ad esempio, dei nostri parenti genetici più prossimi,gli scimpanzé.

Fausto Intilla
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Vecchio 21-05-2007, 19.48.09   #14
Eretica
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Originalmente inviato da katerpillar

Siamo riusciti a comprendere il meccanismo: memoria/pensiero?
E se sì, pensi ancora che esiste una parte della nostra mente per
un qualcosa di etereo chiamato intelligenza?

Non vi è spazio per l'intelligenza perché sarebbe un doppione del
pensiero, quale unico metodo veicolativo della memoria.
In alternativa possiamo chiamare "intelligenza il pensiero" e
cancellare il pensiero dal vocabolario......Ma a cosa servirebbe?



Può anche darsi che intelligenza e pensiero siano sinonimi, e che il primo termine si possa cancellare dal vocabolario, ma non mi è chiaro cosa intendi per “pensiero”: mi sembra di capire che sia la memoria universale che adopera e, anzi, ha generato il pensiero nel corso dell’evoluzione, e non viceversa; sarei propensa a credere il contrario, che il pensiero utilizzi la memoria sia per esercitare le proprie funzioni, e sia per potersi evolvere.
Quando vediamo un computer battere nel gioco degli scacchi un campione, affermiamo forse che esso è in grado di pensare, o non diciamo, piuttosto, che è dotato di intelligenza artificiale? Personalmente conosco a malapena questo gioco, ma è certo che la mente umana, per intenderci quella dei campioni, agisce in modo diverso da quello di un computer quando si trova a dover affrontare combinazioni nuove delle pedine sulla scacchiera. Mi risulta che all’inizio questi computer fossero troppo lenti nelle contromosse, perché andavano a cercare tutte le possibili soluzioni richieste dalla situazione; in seguito sono stati velocizzati rendendoli capaci di escludere la stragrande maggioranza di soluzioni improbabili, limitandosi a cercare la contromossa solo tra quelle più probabili ( EURISTICA). Ma anche così la mole di lavoro è talmente elevata che solo un computer molto potente è in grado di svolgere in tempi ragionevoli (un mostro di memoria e potenza di calcolo come Deep Blue che battè Kasparov a scacchi).
Ma allora, come hanno fatto i grandi campioni a saper trovare, di fronte a situazioni che erano completamente nuove non solo alla loro personale esperienza, ma nuove nella storia degli scacchi, la soluzione giusta, e nel tempo regolamentare? Forse con ciò che comunemente chiamiamo creatività?
Ritengo che nel pensiero debba esserci anche un “quid”, ciò che tu definiresti “etereo”, che gli consente di andare oltre il bagaglio di informazioni archiviate nella memoria. A dispetto di quanto si vede nei film di fantascienza, in cui macchine senzienti costruiscono altre macchine più elaborate di loro, nella realtà, almeno per il momento, i computer non sanno andare oltre l’elaborazione dei dati che sono stati immessi nella loro memoria. Insomma, non sono creativi. La loro velocità di calcolo supera di gran lunga quella della mente umana , ma è tutto qui. Magari sono in grado di comporre musica, ma semplicemente assemblando accordi e motivi preesistenti, e se i dati che gli forniamo sono numerosi, veloci come sono tireranno fuori qualcosa di passabile, meglio di quanto potrei fare io stessa assemblando accordi e motivi preesistenti. Ma né io né loro riusciremo mai a comporre la nona sinfonia!
Se il pensiero dipendesse dalla memoria accumulata, escludendo quel “quid” di cui sopra, i computer sarebbero capaci di pensare, e meglio degli uomini.

“A ben guardare non solo non sappiamo definire cosa sia l'intelligenza, ma neppure cosa sia la vita. Benche' la vita sia qualcosa di molto piu' empirico, osservabile, misurabile, anche la vita non sembra essere una proprietà scientifica.”

“Conclusione: siamo prima intelligenti e poi vivi, o viceversa?”

[tratto dal 1°paragrafo: “La vita” su http://www.thymos.com/lastampa/life.html ]
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Vecchio 21-05-2007, 23.04.45   #15
katerpillar
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Per eretica
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Se il pensiero dipendesse dalla memoria accumulata, escludendo quel “quid” di cui sopra, i computer sarebbero capaci di pensare, e meglio degli uomini.

katerpillar

I computer possono avere la memoria pià grande del mondo, ma non hanno il pensiero che li completa e non hanno i sentimenti. Naturalmente la mia è una teoria "Empirica", ma non conosciamo ancora tutta la potenza dell'empirismo e delle intuizioni, che pure provengono dalle esperienze immagazzinate nella memoria; esperienze, come ripeto: non soltanto nostre, altrimenti il concetto non avrebbe significato, ma esperienze provenienti da altre fonti, che io ho individuato nei nostri antenati (ma come antenati intendo anche i batteri) e dalla materia con cui siamo formati).

La materia porta con se delle memorie fisiche, e non solo, incredibili. Per esempio, quando noi ci avviciniamo al fuoco sentiamo subito la necessità di allontanrci, poiché quella temperatura ci potrebbe procurare dei danni, così quando sentiamo troppo freddo ci copriamo per mantenere la temperatura a noi ideale,

Ebbene: questi paletti "temici" ci sono stati trasmessi dall'imprintig della prima forma di vita nata dalla materia. Per questo ho affermato che la prima cosa di cui doveva avere bisogno: la nascita della vita dalla non vita, era proprio una memoria fisica per creare l'imprintig delle temperature a lei congeniali.

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Vecchio 22-05-2007, 08.12.18   #16
Fausto Intilla
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...a proposito di "memorie fisiche" e della prima "forma di imprinting" nata dalla materia, questo articolo sugli atavismi mi sembra che a questo punto possa calzare bene in tale contesto:

Fonte: http://www.razionalmente.net/html/scienza_darwin.html

LE STRAORDINARIE SOMIGLIANZE TRA EMBRIONI UMANI E ANIMALI SONO LE ULTIME TRACCE DI UN PASSATO COMUNE, UN ARCHIVIO STORICO DELLA VITA.
Come molti scienziati del suo tempo (prima metà dell'ottocento) Ernst von Baer, un embriologo estone, aveva una collezione di embrioni di animali in vasi sotto alcool. Un giorno si accorse però di avere dimenticato di mettere le etichette su alcuni dei vasi. E di non riuscire più a capire a quale specie l'embrione contenuto appartenesse. "Potrebbe trattarsi di lucertole", scriveva nel suo diario, "o di uccellini o persino di mamiferi". Da questo episodio e dalle riflessioni che von Baer fece su quanto gli era capitato, nacque la famosa teoria della ricapitolazione: embrioni di specie diverse, sostiene in sostanza la teoria, presentano stadi in cui sono molto simili fra loro perché nel corso del suo sviluppo ogni embrione ripercorre i passi salienti dell'evoluzione. Nella crescita dell'embrione umano, per esempio, si potrebbero trovare tracce del nostro passato di pesci.
Una teoria che oggi, in versione più articolata, sta trovando conferma negli studi di genetica avanzati. Lo sviluppo di un embrione avviene sulla base di "istruzioni" che sono contenute nei cosiddetti geni. Bloccando i geni detti "architetto", quelli che in ogni organismo complesso, sia esso moscerino o elefante, hanno il compito di coordinare gli altri geni (vedere Focus n.55) e progettare la forma del corpo, i ricercatori sono riusciti ad attivare precedenti istruzioni genetiche e a far risorgere strutture come spine dorsali, vertebre, orecchie, ali, e mandibole, passate di moda già centinaia di milioni di anni fa.
L'UOMO PESCE
Baer aveva notato che testa e corpo di embrioni di diverse specie ai primi stadi dello sviluppo si assomigliano molto. Solo quando l'embrione è vicino alla nascita manifesta le caratteristiche tipiche del pesce o dell'uccello o dell'essere umano in costruzione. Come mai? Per spiegarlo Baer ricorse alla teoria dell'evoluzione di Charles Darwin: le modifiche genetiche casuali, che appaiono ogni volta che da una coppia di genitori nasce un figlio e che, sommandosi le une alle altre, hanno trasformato le specie nel corso della storia - ad esempio facendo evolvere l'uomo da progenitori scimmieschi come Lucy (vedere Focus n.54) - si sarebbero sviluppate, secondo Baer, proprio durante la costruzione dell'embrione. E quasi sempre aggiungendosi alla fine di questo processo di sviluppo. Gli stadi di sviluppo embrionale più antichi, quelli che portavano alla costruzione di anfibi e rettili, sarebbero rimasti cioè all'inizio dello sviluppo embrionale. E le nuove istruzioni si sarebbero aggiunte nella fase finale. Perciò l'embrione di un mammifero passerebbe attraverso uno stadio in cui assomiglia ad un embrione di pesce per poi assumere caratteristiche di anfibio, di rettile e infine quelle definitive.
STRATI SOVRAPPOSTI
"Raccontata così può sembrare una castroneria", spiega Edoardo Boncinelli, embriogenetista del Dibit-Istituto San Raffaele di Milano. "ma oggi c'è un'interpretazione che spiega perché le mutazioni successive non hanno cancellato le tracce dell'evoluzione precedente". Questa interpretazione dice che un cambiamento, se avviene in una fase precoce dello sviluppo embrionale, ha meno probabilità di avere successo: nel senso che modifica troppo l'organismo e molto probabilmente ne causa la morte prima ancora della sua nascita. Mentre se si verifica nelle ultime fasi dello sviluppo embrionale, ha più possibilità di diventare definitivo. Ci sono cioè più possibilità che un essere con questo cambiamento nasca, si riproduca e metta alla prova le sue nuove caratteristiche nella lotta per la sopravvivenza.
IL NONNO DEI GIRINI
Un esempio della conservazione di tracce antiche è quello della rana, facile da studiare perché il suo embrione si sviluppa in gran parte fuori dall'uovo, come girino. Il girino ha, nella prima fase di sviluppo, la coda e le branchie, e assomiglia molto al suo antenato pesce. Poi acquisisce i polmoni e mette le zampe, e infine la coda si atrofizza e cade: diventa un anfibio. Quando osserviamo i mutamenti che si verificano in poche settimane nei girini, è come se rivedessimo, con il comando "avanti veloce", una fase dell'evoluzione dai pesci agli anfibi avvenuta 300 milioni di anni fa e che impiegò milioni di anni per compiersi.
Il girino non è un'eccezione. Le branchie continuano a comparire anche durante lo sviluppo embrionale dei mammiferi (vedi foto a pag.120 del n.58 di Focus). Nella prima fase di questo sviluppo appaiono infatti nella regione della testa strutture simili ad arcate e tasche. Sono le stesse dalle quali, nei pesci primitivi, avevano origine le branchie. Quando i pesci abbandonarono il mare per diventare anfibi, queste arcate e tasche divennero inutili, ma non sparirono. L'evoluzione le riciclò per altre funzioni. Negli animali evolutisi successivamente, gli abbozzi di branchie danno infatti origine alla mascella e ad altre strutture della gola.
BRICOLAGE CON MANDIBOLE
Insomma, come ipotizza il biologo molecolare francese François Jacob, "l'evoluzione ha fatto del bricolage, utilizzando per nuovi scopi materiali che erano stati progettati per utilizzazioni ormai superate".
Altro esempio di bricolage della natura è lo sviluppo dell'orecchio interno. Nell'uomo la trasmissione delle vibrazioni della membrana del timpano al nervo acustico viene fatta da tre ossicini: martello, incudine e staffa. Nei nostri antenati simili a lucertole, i rettili arcaici, la catena era formata solo da due ossicini, che consentivano una trasmissione del suono discreta ma meno fine di quella dei mammiferi. Da dove è arrivato il terzo ossicino? Gli scienziati hanno scoperto che è stato preso dalla mascella inferiore dei rettili. Questa infatti inizialmente era fatta di varie ossa per essere snodabile e ingurgitare grossi bocconi (in pratica animali interi, come fanno ancora oggi i serpenti). Quando nel corso dell'evoluzione la mandibola cambiò e si dotò di un osso solo, che aveva il vantaggio di dare maggiore forza e consentire la masticazione, una delle ossa mandibolari del rettile, diventata superflua, si trasformò nel terzo elemento nella catena degli ossicini.
UOMINI CON LA CODA
Dell'esistenza in noi di queste tracce di antichi progenitori, a volte, spontaneamente, emerge la prova. Sono i cosiddetti "atavismi", cioè forme e organi che appartenevano al passato e che riappaiono nel corpo di creature contemporanee. Nascono così balene con le zampe posteriori, che erano state perse quando questi mammiferi terrestri si rituffarono in mare (vedere Focus n.44). Uomini con abbondante peluria sul volto, come le scimmie. Serpenti con zampe rudimentali come avevano i rettili più arcaici. Uomini con abbozzi di code e cavalli con zoccoli a tre dita.
Questi atavismi hanno da sempre incuriosito i biologi. Ma è da pochi anni chegli scienziati si sono accorti di poterli creare in laboratorio bloccando i geni architetto. Manipolando questi geni (detti anche geni "Hox") fanno "risorgere" caratteristiche del passato. Pier Chambon, dell'Università Louis Pasteur di Strasburgo, ha creato un topo con un sistema uditivo a metà strada tra quello di mammifero e quello di rettile: l'orecchio interno di questo topo ha due ossicini, invece di tre: un progetto caduto in disuso circa 200 milioni di anni fa, al tempo dei dinosauri. Charles Bieberich, dell'Holland Laboratory di Rockville, nel Maryland, toccando un altro gene architetto, ha dato a un topo una spina dorsale simile a quelle usate dai dinosauri 200-300 milioni di anni fa: ha dischi vertebrali mobili, come quelli del collo, e costole staccate dai dischi che si prolungano ben oltre il torace.
DENTRO DI NOI, IL MOSCERINO
E l'uomo, l'ultimo sviluppo della catena evolutiva? Conserva ancora incredibili analogie coi moscerini della frutta, insetti di pochi millimetri (contro i quasi due metri dell'uomo), diecimila geni (contro i circa settantamila geni umani)* e dotati di otto cromosomi (contro i 46 umani). Andrea Ballabio, genetista italiano che lavora per Telethon, ha scoperto ormai oltre 100 geni che uomo e moscerino hanno in comune: geni che producono sempre le stesse proteine inventate dall'evoluzione centinaia di milioni di anni fa.
TUTTI QUANTI CON LE PINNE
In tutti i vertebrati, quindi anche nell'uomo, gli arti appaiono dapprima come pinne. Poi però la cartilagine delle pinne si raggruma in cinque dita. Nella fase fetale il quinto dito del maiale è scomparso, quello del pollo è ormai uno sperone. La distruzione delle parti inutili, come la palmatura delle mani umane, è gestita da speciali geni.
Amelia Beltramini - Focus n.58 dell'agosto 1997

* Nota:
L'articolo è stato scritto nel 1997, ovvero tre anni prima che si scoprisse che in realtà il nostro genoma è composto da circa 30'000 geni.


Fausto Intilla
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Vecchio 23-05-2007, 00.03.19   #17
katerpillar
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Può anche darsi che intelligenza e pensiero siano sinonimi, e che il primo termine si possa cancellare dal vocabolario, ma non mi è chiaro cosa intendi per “pensiero”: mi sembra di capire che sia la memoria universale che adopera e, anzi, ha generato il pensiero nel corso dell’evoluzione, e non viceversa; sarei propensa a credere il contrario, che il pensiero utilizzi la memoria sia per esercitare le proprie funzioni, e sia per potersi evolvere.

katerpillar
La mia affermazione prioritaria della memoria ha un suo senso continuativo con quello affermato in precedenza; ovvero, in prima istanza mi sono domandato: di cosa deve avere avuto bisogno, fin dal primo istante, la vita nata dalla non vita?

La risposta è stata: di una memoria fisica per individuare, tramite l'imprinting, i paletti termici a lei congeniali e che gli avevano permesso di nascere. Punto di domanda: da chi ha appreso la peculiarità della memoria fisica, quella vita appena nata?

La risposta è arrivata analizzando il comportamento della materia stessa, nel suo stato solido, liquido e gassoso. Peculiarità che possiamo chiamare, senza remore: memoria fisica. Come se un genitore avesse trasmesso il proprio patrimonio genetico al figlio.

In quel contesto dove si vedeva solo una memoria fisica con il suo imprinting, dove l'andiamo a trovare il pensiero che comanda la memoria? In natura chi nasce prima genera chi viene dopo, tutto qui. Non è stato per simpatia verso la memoria o antipatia verso il pensiero: l'una è nata prima dell'altro.

Con questo, naturalmente, voglio anche affermare che la memoria attuale si è formata partendo da lì, sovrapponendo le esperienze quotidiane all'imprinting; ovvero: il ricordo dei paletti termici cui doveva sottostare e cui tutt'ora dobbiamo sottostare.


Ultima modifica di katerpillar : 23-05-2007 alle ore 10.30.27.
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Vecchio 23-05-2007, 21.34.55   #18
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Per Fausto Intilla
Citazione:
..a proposito di "memorie fisiche" e della prima "forma di imprinting" nata dalla materia, questo articolo sugli atavismi mi sembra che a questo punto possa calzare bene in tale contesto:

Caro Fausto, e scusa se dico caro, ma cari mi sono i tuoi interventi, poiché da essi vi è sempre quacosa da imparare come, per esempio, l'articolo sugli atavismi, che non conoscevo.

Non avendo fatto studi classici o scentifici, la terminologia che leggi nei miei post è attinta dall'empirismo logico e dall'intuizioni.
Ho iniziato a prendere degli appunti quindici anni or sono, per darmi delle risposte esistenziali, e alla fine queste risposte (fortuna che mi hanno sodisfatto, altrimenti non so dire dove sarei andato a sbattere al testa), stanno per diventare un libro, che uscirà a settembre ottobre prossimo.

Senza volerlo e senza saperlo, il tragitto che ho seguito, partendo dal processo termico dell'universo, mi ha indicato la strada per darmi tante risposte, tra cui lo scopo che potrebbe avere l'uomo nella vita. In tal senso
mi sono ritrovato tra le mani addirittura un massimo sistema laico, che andrà ad aggiungersi a quello religioso, scientifico e animistico.

Nel libro affermo che noi abbiamo lo stesso scopo che potrebbero avere tutte le altre intelligenze che, sicuramente, vi sono nelle varie galassie e magari più di una nella stessa galalssia.

In questo tragitto, se il non aver effettuato degli studi classici o scientifi, in un primo momento mi ha messo in difficoltà, in un secondo tempo mi è stato di vantaggio, proprio perchè il mio pensiero era "incontaminato", per cui tutto quello che arrivava dalle intuizioni non poteva essere farina del mio sacco; ovvero: da esperienze da me effettuate. Tutti parlano delle intuizioni ma, purtroppo, nessuno sa da dove provengono e perché proprio in quel momento. Io cercato di rispondere anche a questo, insieme al processo che avviene per portarle alla coscienza.

Comprenderai che queste "teorie" sono come le ciliege, una tira l'altra. Alla fine, quando sono andato a cercare dei consensi o pareri dentro le università, con sommo piacere alcuni professori hanno voluto collaborare, fino a stilarmi la prefazione, con tanto di nome, cognome e titoli.

Quando in questo Thread e in altri, affermo che il pensiero non è altro che un metodo veicolativo a disposizione della memoria, per portare all'esterno o renderle coscienti l'esperienze in essa contenute, o che l'intelligenza non ha posto nel nostro cervello, ma è solo un metodo convenzionale per difinire certe peculiarità, tali affermazioni non sono campate in aria, ma hanno avuto tutto il rispetto da parte di molti specialisti del settore.

In ogni caso grazie per le informazioni, anche se molte volte trovo limitativo per gli studiosi limitarsi alle sole citazioni, perché a mio modo di vedere inaridiscono la fantasia che, come sappiamo, è la chiave di lettura della vita e dell'amore.

Un saluto.


Ultima modifica di katerpillar : 24-05-2007 alle ore 02.10.35. Motivo: correzzione del periodo
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Vecchio 27-05-2007, 13.53.02   #19
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"In quel contesto dove si vedeva solo una memoria fisica con il suo imprinting, dove l'andiamo a trovare il pensiero che comanda la memoria? In natura chi nasce prima genera chi viene dopo, tutto qui. Non è stato per simpatia verso la memoria o antipatia verso il pensiero: l'una è nata prima dell'altro."

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“Quando in questo Thread e in altri, affermo che il pensiero non è altro che un metodo veicolativo a disposizione della memoria, per portare all'esterno o renderle coscienti l'esperienze in essa contenute…”

Ciò che non mi convince è che il pensiero sia comparso quando la formazione di una memoria universale ha avuto bisogno di qualcosa che potesse amministrarla o dirigerla: come fosse una band di musicisti, che aumentando progressivamente di numero fino a diventare un’orchestra, si fosse trovata nella necessità di un direttore che la dirigesse.
Mi sembra che, in natura, la necessità non crei lo strumento utile a soddisfarla. La stessa teoria dell’evoluzione afferma che le mutazioni, in quanto migliori strumenti per la sopravvivenza, vengano prodotte da errori nella trasmissione ereditaria, e che la necessità si limiti a premiare gli individui della specie che ne sono portatori rendendoli maggiormente prolifici rispetto agli altri. La necessità, quindi, sul piano evolutivo, non produce ciò che la soddisfa, ma seleziona ciò che può farlo tra quegli eventi che sono comparsi per motivi indipendenti dalla necessità stessa.
Tu, al contrario, affermi che la memoria ha generato il pensiero poiché le serviva un metodo veicolativo per portare all'esterno o rendere coscienti le esperienze in essa contenute. Forse hai solo usato un linguaggio antropomorfico per dire che il pensiero non è che una mutazione avvenuta in organismi complessi e promossa dalla selezione naturale.
Personalmente potrei accettare che il cuore, gli occhi, perfino il cervello siano mutazioni, ma non il pensiero.

Quando parliamo del pensiero, facciamo riferimento ad una funzione che sembrerebbe prerogativa del Sapiens, ma credo possibile si tratti, più in generale, di una delle peculiarità della vita, insieme con quella di sottrarre energia dall’ambiente circostante e di perpetuarsi nel tempo: a differenza di un edificio in disuso che va in rovina ed è disgregato dall’ambiente, soggetto com’è alla legge dell’entropia, gli organismi viventi sin dal loro primo apparire hanno dovuto elaborare incessantemente strategie utili in funzione del tipo di ambiente in cui si trovavano e tenendo conto delle variazioni che avvengono in questo. Per riuscire in ciò, gli organismi hanno avuto immediatamente bisogno di un “pensiero primordiale” e di dati su cui questo avrebbe dovuto lavorare. Dati attinti, inizialmente, da quello che hai definito “primo patrimonio”, ossia l’accumulo di memoria sviluppatosi nella materia inanimata.
Il “secondo patrimonio”, vale a dire la memoria universale della materia vivente, probabilmente ha cominciato a formarsi dal medesimo momento in cui è nato il pensiero, e tale momento potrebbe coincidere con il primo istante in cui è nata la prima forma di vita. Vita e pensiero potrebbero essere comparsi insieme, essendo il secondo una peculiarità della prima.

In qualunque modo si siano formati i primi organismi viventi dalla materia inorganica, è certo che la loro esistenza è stata subito lotta per la sopravvivenza, lotta per dominare l’ambiente circostante da cui trarre l’energia necessaria, senza esserne schiacciati. A livello microscopico od embrionale, sarà avvenuto ciò che, sul piano macroscopico, avviene agli umani che lottano per dominare la realtà che li circonda, che per farlo devono poterla conoscere entrando in contatto “attivo”con essa, archiviandone le risposte che ne ricevono e poi selezionando tra i dati che da essa provengono quelli ritenuti degni di nota per elaborare un’azione che produca profitto. Ma l’azione che produce profitto deve sfruttare esperienze che si sono formate anche un attimo prima.
Ecco perché ho sostenuto che vita e pensiero siano comparsi contemporaneamente, e che quest’ultimo, così come la memoria, permea tutti gli organismi, soprattutto quelli semplici che non possono disporre di intelligenza propria ma di una sorta di patrimonio collettivo che deve averli guidati, originariamente, verso l’autoregolazione.
In tale contesto trovo importante il contributo del biologo Rupert Sheldrake:

“Rupert Sheldrake (Newark-on-Trent, Nottinghamshire, Inghilterra, 28 giugno 1942) è un biologo e scrittore britannico, noto soprattutto per la sua controversa teoria della "causalità formativa", che implica un universo non meccanicistico, governato da leggi che sono esse stesse soggette a cambiamenti.”
(tratto da Wikipedia)

“Sheldrake, che è uno scienziato, amato fino a che non ha detto questa cosa che ora vi dirò e meno amato dopo, è uno che si è posto un problema che la scienza non riesce a risolvere. Allora: come fa una cellula, uno zigote a moltiplicarsi in modo tale da potersi successivamente organizzare in un essere umano completo, e quindi facendo in modo che non solo si realizzi una determinata forma di essere umano ma che si realizzi la dislocazione corretta di tutte le cellule specifiche che vanno a formare quel determinato organo piuttosto che l’altro? Come si fa? Qui l’argomento si fa un po’ più complesso perché ci si riferisce al vivente. In tutta questa dislocazione finché siamo a livello fisico o chimico va tutto bene, ma nel vivente questa cosa diventa un pochino più complicata. E’ difficile capire che cos’è un vivente. La scienza ancora, oggi come oggi, non è stata in grado di definire che cosa sia un vivente. Però diciamo che c’è una definizione che è più accreditata di altre ed è la seguente: “il vivente è l’essere dotato di uno scopo o progetto, della possibilità di manifestarlo nella propria struttura e di eseguirlo attraverso i propri atti.” Questa proprietà è definita teleonomia.
….
L’ipotesi di Sheldrake suppone una realtà biologica strutturata secondo schemi geometrici (ogni forma è riconducibile a una geometria) finalizzati a uno scopo (teleonomia) che potrebbe essere di tipo metafisico.

http://www.ifen.net/rivistaftp/Scialanca.PDF

L’ipotesi della ‘causalità formativa’ propone che i campi morfogenetici giochino un ruolo causale nello sviluppo e nella conservazione delle forme dei sistemi, a tutti i livelli di complessità. In questo contesto, la parola ‘forma’ non abbraccia solamente il significato di ‘forma della superficie esterna’ o di ‘contorno di un sistema’, ma anche la sua struttura interna. Questa causazione della forma, tramite i campi morfogenetici, è chiamata "causazione forrnativa" per distinguerla dalla "causazione energetica" con cui la fisica è già così profondamente connessa. Benché i campi morfogenetici possano evidenziare i loro effetti esclusivamente in congiunzione con i processi energetici, essi non sono di per sé energetici. L’idea di una causazione formativa non- energetica è facile da intuire con l'aiuto di una analogia con l'architettura. Per costruire una casa sono necessari mattoni e altri materiali edili, così come sono necessari i muratori che dispongono i materiali al loro posto e il progetto che determina la forma della casa. Gli stessi muratori, con la stessa quantità complessiva di lavoro, usando la stessa quantità di materiali edili, possono costruire una casa di differenti forme sulla base di differenti progetti. Il progetto può quindi essere considerato come causa della particolare forma della casa, benché, certamente, non sia l'unica causa della casa, che non può essere realizzata senza materiali edili e l'attività dei muratori. Similmente, un campo morfogenetico è causa della specifica forma presa da un sistema, benché non possa agire senza appropriati ‘mattoni’ e senza l'energia necessaria per muoverli.Questa analogia non intende suggerire che il ruolo causativo dei campi morfogenetici dipenda da un progetto cosciente, semplicemente enfatizza che non tutte le cause debbono essere energetiche, sebbene tutti i processi di cambiamento implichino energia. Il progetto di una casa non è, in sé, un tipo di energia. Anche quando è disegnato sulla carta o realizzato nella forma della casa, esso stesso non possiede nessun peso né ha energia sua propria. Se il progetto venisse bruciato o se la casa fosse demolita, non vi sarebbe nessun cambiamento nella complessiva quantità di energia e di massa, il progetto semplicemente svanisce. Similmente, secondo l'ipotesi della causazione formativa, i campi morfogenetici non sono in se stessi energetici, nondimeno giocano ruolo di causa nella determinazione della forma del sistema a cui sono associati. Se un sistema è associato a un differente campo morfogenetico, si svilupperà differentemente e questa ipotesi è sperimentabile empiricamente.

http://www.globalvillage-it.com/enci...sci2/sci08.htm

Un saluto.
Eretica is offline  
Vecchio 28-05-2007, 21.57.06   #20
katerpillar
Ogni tanto siate gentili.
 
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Riferimento: L'intelligenza

Per Eretica
Scusa il ritardo.
Citazione:
Ciò che non mi convince è che il pensiero sia comparso quando la formazione di una memoria universale ha avuto bisogno di qualcosa che potesse amministrarla o dirigerla: come fosse una band di musicisti, che aumentando progressivamente di numero fino a diventare un’orchestra, si fosse trovata nella necessità di un direttore che la dirigesse.

Credo che la mancata comprensione tra di noi, avvenga perchè io definisco il pensiero come un semplice metodo veicolativo, mentre tu lo reputi un direttore d'orchestra. (Visto il paragone che ne hai fatto).

In noi non vi è nessuna forza primaria che si evidenzia sulle altre: nessuno può fare a meno dell'altro, proprio come un'orchestra, abbiamo delle esperienze a nostra disposizione e basta; ed è proprio dalla differenza in qualità e quantità di queste esperienze che si concretizzano i vari tipi di comportamento umano, ivi compresa la rapida risoluzioni dei problemi che ci si presentano (l'intelligenza?).

Si vuol concepire il pensiero come un qualcosa di superiore, di spirituale: ma così non è, e la domanda che pongo servirà, a mio modo di vedere, a dipanare i dubbi o ad aggiungerne altri. Ovvero: in una persona che perde la memoria, possiamo costatare che il pensiero non ha più nessuna influenza cognitiva, poiché non può attingere al magazzino base che contiene tutto il nostro passato.

Mi sembra che nell'esempio riportato si evidenzia bene la differenza che voglio significare trà: memoria e pensiero

Ecco! Eretica: allora possiamo affermare che quando al pensiero manca la memoria......è come una vettura (metodo veicolativo) cui manchi la benzina.

Un saluto. Giancarlo.
Aiutoooooooooooooooooo Helpppppppppppppp Soccourrrrrrrrrrrrrrrrr.

Ultima modifica di katerpillar : 29-05-2007 alle ore 09.30.08.
katerpillar is offline  

 



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