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Vecchio 16-04-2007, 09.05.14   #21
visechi
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Riferimento: L'inferno è già qui...

Originalmente inviato da freedom
Citazione:
Se mente e coscienza coincidono, come io penso, possiamo dire che la mente è l'inferno.
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Se mente e coscienza coincidessero forse sarebbe così, ma la mente non coincide perfettamente con la coscienza, quest’ultima è istituita nella mente, che ne rappresenta il locus germinativo. La mente racimola in sé i residui del suo sentire, del suo intuire, ad essa restituisce il prodotto delle sue elaborazioni affinché il mondo circostante sia percepito ed interpretato nel modo più verosimile possibile, in foggia d’immagine. La realtà, seppur limitatamente, è percepita a livello di coscienza. E’ quindi la coscienza a restituire l’immagine della natura, è dunque sempre essa la sede dell’inferno interiore e la scaturigine della scissione dell’uomo. La coscienza non è riducibile a semplice fenomeno, poiché in tal guisa non sarebbe elemento costitutivo dell’uomo, ma è un processo complicatissimo che non si coniuga con alcun noumeno iperuranico. Non v’è alcuna sede o luogo trascendente ove risieda una verità immutabile noumenica cui connettersi, poiché la realtà e la natura stessa sono moto, divenire, varianza, mutevolezza; ciò tanto all’esterno di ciascuno di noi, quanto nel profondo del nostro intimo.
La mitologia induista è affascinante: racconta in chiave allegorica e per certi versi poetica la genesi del mondo, ma è infarcita di presupposti irrelati che non si collocano su un piano cui l’esperienza possa dare il proprio assenso, non arriva alla radice della pianta della vita e quando cerca di spiegare le manifestazioni della realtà si sperde in mille rivoli fra energie sottili, corpi grossolani, in un tripudio di azioni cruente che lasciano ben intendere e presupporre l’esistere di qualcosa che precede il “principio”, instillano una sequela di domande ad infinitum: <<prima di Maishasura? Prima dei Deva? Prima del prima?>>. La Bibbia pone un principio, inizia proprio con la locuzione <<In principio…>>; ciò chiude la porta al ’prima’, lasciando filtrare solo un’unica interrogazione circa la natura di Dio, la sua essenza, la sua dimora celeste. Tutto è posto in essere da Jhwh, dall’Adonai, tutto consegue all’atto creativo narrato in chiave allegorica dal mito della Genesi. Da quell’atto discendono la Natura, il mondo, l’uomo, la nascita della coscienza in relazione al peccato d’origine, la sofferenza, il Male. Non si sperde in mille rivoli narrativi, segue il suo alveo senza infiltrazioni, senza dispersioni. Dal racconto mitologico di Genesi traspare anche la natura di Dio. La chiave di lettura per tentare una seppur labile interpretazione dell’eterna disputa fra male e bene, è rinvenibile nelle stupende pagine dell’Antico Testamento lette alla luce della Passione di Cristo. La mitologia orientale dà tutto per scontato, s’ingolfa in narrazioni mitologiche che dicono una verità astratta presentandola come se fosse concreta o concretamente recuperabile nell’esperienza di ciascuno di noi. Qui stà una delle differenze di fondo fra mitologia giudaico-cristiana ed orientale.

Citazione:
Freedom
Dal nostro punto di vista il male, oltre che orrendo e ingiusto, ci pare anche inutile. Ma dal punto di vista di Dio? Come possiamo noi guardare con i suoi occhi?

Il Male, in una concezione astratta tendente a preservarne il mistero, è percepito come parte essenziale del disegno divino. La crudeltà della Natura, o della Creazione nell’ambito di una proiezione creazionistica, è priva di colpa. La Natura e la Creazione sono innocenti. Il Male nel suo accadere assume le connotazioni negative che noi gli attribuiamo solo quando interseca la nostra esistenza, la nostra vita, ammorbandola e piegandola fra spasmi e gemiti. Il Male è dunque colpevole solo quando entra in relazione con l’uomo. La caduta di un fulmine in un territorio disabitato non è scaturigine di dolore, di sofferenza; diversamente se dovesse colpire e uccidere un bambino, noi ravviseremmo in questo accadere, in questa manifestazione della Natura, gli estremi per dolerci, per individuare una colpa, ancorché astratta. Ma se il Male è relatio, è anche corretto porsi il perché del suo manifestarsi in forme così crudeli e dolorose. Una concezione atea imputerebbe questo accadere alla consequenzialità del verificarsi di eventi casuali, senza rinvenire colpe da parte di alcuno. Viceversa, quando il Male si abbatte con forza e durezza con inondazioni, terremoti, fulmini, un credente, cioè una persona che poggi la propria fede sull’azione di un Dio Creatore, non può che rivolgere a Lui e solo a Lui le proprie domande e suppliche; può così piegarsi di fronte alla percezione di un ineffabile disegno superiore (Giobbe docet), oppure rifiutare di far parte di un disegno che preveda lo scatenarsi della furia di Dio a suo danno o a danno dell’umanità cui appartiene, e restituire al Creatore il biglietto d’ingresso, come racconta Dostoevskij. Non è possibile accettare che il disegno di Dio, per quanto misterioso sia, possa implicare il patire e il dolore dell’innocente. Quando il Male si accanisce nei confronti dell’innocenza, assume le coloriture fosche di una forza inutile, gratuita, totalmente ed insensatamente crudele, che non è possibile accettare in forza di un misterioso progetto divino, che si deve rifiutare. Con il Male si rifiuta Dio stesso, si diventa atei.

Considerato che c’è chi tanto ama le citazioni colte, mi fregio anch’io di arricchire questa discussione di un’oscura antica citazione. Si tratta di uno dei frammenti di Eraclito l’oscuro (Frammento 8 nella versione di G. Colli):
<<Dell’arco, invero, il nome è vita, ma l’opera è morte>>. Assolutamente incomprensibile; eppure in esso v’è tanta saggezza e racconta con quale sagacia la sapienza antica intuisse e percepisse la crudeltà della vita. Arco e vita in greco antico avevano il medesimo suono. L’arco è l’attributo principale del dio Apollo. Il frammento ci dice che la Vita è violenza, e il risultato di questa violenza è l’annientamento, il disfacimento, la Morte. Ci racconta anche che la violenza della vita scaturisce dall’azione di scoccare la freccia da parte del dio Apollo. La violenza della vita che genera la morte è dunque determinazione della divinità. La vita e la morte sono consanguinee, collaterali, si compenetrano vicendevolmente. Per perpetuare se stessa, la vita ha necessità di generare la morte, la quale a sua volta è fattrice di vita. Il mezzo attraverso cui entrambe si nutrono a vicenda è appunto la violenza, che è innocente fintanto che non interseca l’esistenza dell’uomo, fatalmente (da Fato) colpevole allorquando s’insinua nella vita degli uomini. Nell’Iliade, Agamennone per giustificare davanti ad Achille il sopruso perpetrato a suo danno d’avergli sottratto Briseide, l’amata preda di guerra, attribuisce la colpa alla divinità che gli ottuse la mente… l’uomo non ha colpa alcuna: Agamennone non fu cagione diretta dell’ira di Achille.
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Vecchio 16-04-2007, 09.07.16   #22
visechi
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Riferimento: L'inferno è già qui...

Citazione:
Yam:
Tuttavia, se le tue letture spaziano dalla Bibbia alla Bibbia e viceversa, come tutti in questo paese di troglodi, non e' colpa mia, che semmai ti stimolo ad estendere le tue riflessioni.
Caro mio, ti assicuro che le mie ‘letture’ non si limitano ai soli libri della Bibbia, piuttosto rilevo proprio in questa stupenda raccolta di libri, più che in ogni altra, le tracce della germinazione del Male. Non sono molto o troppo avvezzo a considerare il dolore un’illusione, per questo, interrogandomi sul suo prodursi in gemme malefiche e sulle sue radici, le mie riflessioni si concentrano proprio intorno alla Bibbia. Non sono minimamente interessato alla traslitterazione dei termini sanscritti da te utilizzati; noto e rilevo che il loro proliferare e la loro ridondanza non aiutano la comprensione. Fra l’altro mi fai torto, non ho mai affermato che siano astrusi, piuttosto ho scritto che il complesso dei tuoi interventi infarciti di termini esotici appare alquanto ingiustificato, o meglio appare escluso dal contesto della realtà che si vive quotidianamente. Infatti, se noti, ho scritto che: <<… il cui vero gossip è rinvenibile nell’uso reiterato d’idiomi esotici, che sebbene dicano e parlino, citino e rinviino, molto di più sparlano e stradicono. Nient’altro che nozionismo didascalico, magari anche enciclopedico, ma poco relato alla vera realtà di ogni giorno…>>.
Per quanto attiene alle parole, il mio pensiero è stato reso più che chiaro nel corso di una vecchia discussione, se non erro il titolo è [Un venditore di parole], non ho al momento sottomano il link, ma se ti va prova a leggerla, forse ti chiarirà meglio quale sia il mio scetticismo nei loro confronti.

Detto questo, riprendiamo il filo del discorso.

Eraclito, frammento [53 Diels-Kranz ]
<<Pólemos è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi.>>

Polemos, è dunque Padre e re. Da questa percezione nasce la visione tragica della vita, la dialettica inesausta che si quieta nella morte.
La vita non è stasi, non è quiete, la Natura smentisce quest’insipida visione. Ove rilevi lo splendore della natura, puoi cogliere anche il germe della dissoluzione, è come se nel medesimo istante in cui tu percepisci la meraviglia della Creazione, la dissoluzione, il disfacimento, la putredine bussino alla porta della tua coscienza per irrompere e scompaginare il tenue acquerello che ti sei creato. Quando un tuo occhio coglie la meraviglia e la bellezza della vita, l’altro indugia sull’orrore e lo sfacelo della morte incipiente. Anche un semplice fiore al culmine dell’infiorescenza dovrebbe suggerirti che in quella meraviglia è instillata la morte. La vita di ciascuno di noi ti dovrebbe avvertire in ordine all’incontestabile fatto che vivere è approssimarsi alla morte, tanto da far dire a qualcuno (giuro, non ricordo chi fosse), che vivere è rotolare fra le braccia della morte. Allora l’esistenza è disputa, dissidio, dia-logo, Polemos. La morte non è più un accadere ineluttabile, ma è un’entità ontologica che s’intreccia alla vita, che con essa procede e da essa è evocata.

Perché la Bibbia? Perché in essa, più che in ogni altro libro, è reso manifesto questo conflitto. L’uomo, come Dio – in ciò puoi recuperare il significato d’immagine e somiglianza, che si riflettono nell’uomo -, è dissidio interiore, lacerazione, frattura, scissione. E’ Polemos. Per averne conferma basta solo guardarsi intorno, guardarsi dentro, osservare e leggere la letteratura d’ogni tempo e d’ogni latitudine. Dukkha, la Trimurti induista, ove Shiva assume il ruolo del distruttore, Zoroastro, l’Islam, il giudaismo, la poesia maledetta, la letteratura dell’Ottocento, quella contemporanea, la stessa Gita è una lunga descrizione allegorica di un evento cruento…Polemos. Insomma potresti svariare fra e su mille diverse coloriture senza tediarti con la sola Bibbia. Di questo stato di cose, non v’è colpa d’attribuire all’uomo, né alla Creazione; perlomeno non v’è colpa tale da meritare una sofferenza che originariamente non pertiene loro, essendo voluta e pretesa dal Creatore (chiunque Egli sia), nella Creazione instillata e lasciata prosperare.

Perché la Bibbia? Dicevo poco sopra che la Bibbia è disseminata delle tracce della germinazione del Male, soprattutto se letta alla luce della passione di Cristo.Qui si tratta d’aver cognizione di racconti ritenuti storici, non di mitologia. Il Padre che sulla croce abbandona il Figlio, patendo di quest’abbandono e soffrendo in sé, nell’anima, le trafitture inflitte alla carne del Figlio, è lo stesso Padre che ad Auschwitz abbandona gli altri suoi figli, patendo e soffrendo di questo storico abbandono, intuendo (dall’etimo sentire o guardare dentro, nell’intimo, nel profondo) le trafitture che avviliscono carne ed anima degli innocenti – gli agnelli della storia –, epigoni dell’unigenito in croce, immolati ad onorare funestamente una Creazione monca, difettata, viziata dal Male originario che in Dio non può essere che costitutivo. Solo così si può spiegare lo scandalo del Dio in croce: sofferente, morente. Il Padre abbandona il Figlio sofferente sulla croce, ma ad essere abbandonato è il Padre stesso; il Figlio è abbandonato, al tempo stesso è colui che abbandona. Sulla croce si consuma la dilaniante tragedia di Dio, il Polemos divino: Egli vive nel presente storico della crocifissione il proprio eterno inferno a-temporale, sempre presente, sempre vivo; allo stesso modo, noi, nella nostra finitudine, nel corso della nostra limitata e finita esistenza, viviamo l’eco di quel dilaniante eterno inferno: viviamo il nostro limitato e finito inferno. Dio entra nella storia dell’uomo. La teologia della croce insegna che il Dio sofferente sulla croce è lo stesso che patisce il dolore dei tanti altri suoi figli abbandonati nei lager, nelle camere di tortura, per le strade di San Paolo, nelle più oscure pieghe di una Creazione che geme e soffre. Sulla croce si consuma il tragico paradosso dell’ateismo di Dio: Egli si allontana e separa da se stesso, abbracciando il male mondano.

Lo scandalo del Dio crocifisso è anche lo scandalo dell’aporia di un Dio ateo: quanto di più inconcepibile ed incomprensibile per il giudaismo e per l’islamismo, e quanto di più alieno dalla filosofia orientale del ‘Tutto’ che lambisce il panteismo. In questo scandalo, come giustamente lo definì Paolo di Tarso, espresso nel doloroso urlo di scoramento del Figlio, si raggruma il Male del mondo; il Male ontologico e metafisico di Dio si fa ontico, divenendo un tutt’uno con quello reale, concreto, visibile, palpabile, innegabile della creazione, della natura, del mondo, dell’uomo sofferenti. Il Dio crocifisso si contrappone all’atarassico Dio di Tommaso e Agostino. Egli soffrì e soffre sulla croce eretta quotidianamente dalla storia. Da qui il nascondimento, se non addirittura la “morte di Dio”. Evento, quest’ultimo, resosi manifesto nel crogiuolo di urla, dolore e gemiti eruttati dall’Olocausto – la Shoah – che espone nuda e cruda la banalità del male nella sua essenzialità più diafana e pura, senza infingimenti, senza incrostazioni.

La morte di Dio non affaccia la Creazione sulle plaghe ove imperano la disperazione e il nichilismo più cupo… non necessariamente, ciò è solo una possibilità, ma non l’unica. S’apre e si offre ad una nuova e più responsabile modalità d’interrogare l’esistenza, il vivere, il quotidiano, il contingente. Dopo ed oltre la ‘morte di Dio’ c’è il finito dell’umana dimensione. Una modalità inusitata per l’umanità, almeno nel suo rappresentarsi in una forma ancora tutta da esplorare e non ancora compiutamente immaginata: nuova nel suo proporsi, nuova nel suo imporsi. Siamo ormai orfani di certezze che la classicità greca voleva depositate fra le braccia del Superno Fato e da cui attingeva, nelle eccelse inviolate vette dell’Olimpo, nella bizzarria degli dei; orfani di certezze tributate e attinte dall’imperante monocorde revelatio ecclesiastica; orfani ed erranti nella storia; orfani di Dio incediamo, irrompiamo, siamo scaraventati entro un’area resa sgombra di false verità universali, noumeniche, immarcescibili, immutabili; in essa incediamo esitanti e perplessi, timorosi e incerti con passo ateo; area ove germogliano paradossalmente spiritualità e religiosità che non si sporgono a lambire o violare suadenti ipostasi collocate in un oltre escatologico, in un aldilà impregnato di speranza. Religiosità e spiritualità che interrogano non più oscure divinità, ma la finitudine e la limitatezza dell’uomo non più inscritte e de-finite in e da una deità distante, distratta e lontana dalla croce dell’uomo e dalla sua sofferenza, sebbene anch’essa sofferente.
visechi is offline  
Vecchio 16-04-2007, 09.08.37   #23
visechi
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Riferimento: L'inferno è già qui...

Spirito, religiosità e trascendenza che interrogano la responsabilità dell’uomo, suscitandola, appellandola, pretendendola, coltivandola senza che vi siano più vane preghiere rivolte a colui che è morto suicida (<<Dio non è morto, si è suicidato>> E. Cioran).
Una responsabilità nuova che non spiega e non dissipa il dolore, ma che almeno è libera di piegare le proprie ginocchia non per osannare i cieli in un’ipostasi d’illusione di certezza, di speranza e di redenzione, ma solo s’inchina sotto il peso dell’immane fatica di vivere. Un vivere impregnato di paure che affondano le loro radici nell’ombra oscura dell’ignoto da esplorare, e da qui emergendo per violare, per spostare un sospiro oltre quel tratto di matita che è limine e luogo privilegiato di reciproca osservazione e ammiccamento fra oscurità dell’ignoto e parvula luce del già svelato; limine che è anche varco d’ingresso di una fioca luce d’intuizione che rischiara quell’ulteriorità che stà oltre la soglia: una trascendenza che sposta i suoi confini senza che la propria incommensurabile ampiezza patisca arretramenti, riduzioni o compressioni di sorta. Ci sarà sempre tanto, troppo da conoscere e mai potremo percorrere fino in fondo i cammini dell’anima, tanto è profondo il suo Logos; questo ci suggerisce l’antica sapienza dell’oscuro Eraclito… teniamolo sempre bene a mente.
Citazione:
Yam:
Su Zolla, ti consiglio di ri-leggere attenta-mente, le parole postate da Gyta .....perche' non parlano d'altro che di Pura Coscienza o Spirito Consapevole..che emerge quando l'identificazione discorsiva cessa.

Ti trascrivo la mia frase che cita Zolla: <<Il tradimento, come racconta E. Zola, è peculiarità della coscienza, e non esiste ego ottenebrato, ma soltanto ego che si afferma attingendo a queste sue caratteristiche.>>

Puoi ben verificare che mi sono limitato ad evidenziare la connessione, per me innegabile, fra Natura umana e tradimento. Non mi sono dilungato nell’analisi del testo, così pure ho evitato d’infognarmi nel labirintico intrico di connessioni che dovrebbe sorreggere la tesi che il tradimento del Padre (di ciò tratta il testo) ed il dolore e la disillusione conseguenti possano assumere una valenza pedagogica che dischiudano la porta ad un percorso ‘iniziatico’ di elevazione coscienziale ed altre menate similari. A Zolla farei leggere con estrema attenzione il gran libro di Giobbe, oppure l’Alcesti di Euripide, ovvero l‘Antigone di Sofocle, senza disdegnare la saga di Edipo, sempre di Sofocle; sono certo che avrà preso accurata visione dell’opera di Rimbaud, di quella di Baudelaire, di Rainer Maria Rilke; forse, però, Moltmann potrebbe aiutarlo maggiormente. Forse ricaverebbe il suggerimento che la gratuità del dolore non è affatto pedagogica, ma, almeno in Giobbe, è un mistero cui piegarsi; nel Dostoevskij dei Karamazov, parte del disegno divino che, in quanto prevede ed implica l’esistenza del male gratuito, è da rifiutare; nell’Idiota, invece, è beota rassegnazione; nella Grecia classica destino inalienabile cui si deve piegare anche la divinità. La visione tragica dell’esistenza, intesa come tensione esistenziale fra morte e vita, fra bene e male, è istanza dell’esistenza stessa. Il Polmos greco non è il piegarsi all’invereconda protervia del male, ma presuppone una tensione costante, inestinguibile, irredimibile che neppure la croce ha potuto abolire dalla terra, rinviando la sua sconfitta ad un oltre escatologico, associando a questa promessa la speranza che così sia, ciò che, in definitiva, alimenta la fede dei cristiani. Resta solo da scegliere la via: credere o meno a questa promessa, nutrire una speranza ed una fede che << è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono.>>(Paolo di Tarso, Epistola agli Ebrei 11-1… anche se la lettera parrebbe non sia proprio di Paolo, ma fa pur sempre parte dei suoi insegnamenti.)

Ciao, buona lettura a te.
visechi is offline  
Vecchio 16-04-2007, 10.38.20   #24
Yam
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Riferimento: L'inferno è già qui...

Visechi, siamo O.T. .
Innazitutto non confondere Emile Zola con Elemire Zolla che sono due persone diverse...il tradimento stava molto a cuore al primo ..ma non al secondo....che ha citato Gyta.

Che nel 2007 ancora non si siano assimilati termini presenti da anni sui migliori Dizionari della Lingua Inglese, scusami se lo ripeto, ma da un punto di vista culturale e' perlomeno tragico. In famiglia ho avuto un Rettore di Universita' e Umanista di fama internazionale (antichita' Greco Romane) che alla fine della sua vita (1960) aveva iniziato a studiare il Sanscrito perche' lo riteneva patrimonio dell'Umanita' tanto quanto il Greco e il Latino. Tu ancora manifesti pre-giudizi infondati su qualcosa che non conosci. La Chiesa fa la stessa cosa.

In Italia, e solo in Italia, c'e' questa situazione di chiusura...
Personalmente studio Religioni Comparate da molto tempo e ho avuto come insegnante una donna: Caterina Conio, Docente di Storia e Filosofia dell'Estremo Oriente alla Cattolica di Milano e alla normale di Pisa, allieva e Biografa del Monaco Benedettino Henry Le Saux (di cui consiglio la lettura...secondo me il primo grande esempio di vero ecumenismo della Storia).

Tutti i termini che ho utilizzato in modo parsimonioso, sono solo sinonimi in diverse lingue degli stessi concetti.
Quando dico Parabrahman, questo, e' il Padre nell'Induismo, quando dico Sunyata, questo e' il Padre nel Buddismo, WU CHI nel Taosimo ..e di Padre, anche se con nomi diversi ve ne e' UNO solo.
Cosi il Figlio che nella nostra cultura e' Logos e Nous e ha i suoi corrispondenti nomi in altre grandi tradizioni.

La Conoscenza e' Una ed Una sola. Detto questo si puo' passare alla pratica...ma solo dopo fatta una certa pulizia di opinioni e preconcetti, sul Padre e sul Figlio per esempio...ecco il mio intento e cioe' quello di venire incontro a tutti.

So benissimo che un Mirror non se ne fa nulla delle mie indicazioni (pero' Mirror ha una certa confidenza con le Tradizioni Orientali e soprattutto con la pratica), ma altri ne hanno tratto giovamento. Se non c'e pratica autentica, se non c'e' stato il decondizionamento da un certo tipo di sottocultura spirituale sorgono dei problemi. Per esempio non si riconosce neanche il proprio ego perche' non si e' capaci di vederlo (chi vede?).

L'ego e' Coscienza...ma questa Coscienza (che non e' in-Coscienza) la cui caratteristica e' la capacita' di Conoscere e' piu' o meno condizionata.
Sui quattro gradi della Conoscenza, se proprio ti stanno strette le tradizioni orientali, vedi Platone (Mito Caverna).
Yam is offline  
Vecchio 16-04-2007, 16.57.48   #25
freedom
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Riferimento: L'inferno è già qui...

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Originalmente inviato da visechi
la mente non coincide perfettamente con la coscienza, quest’ultima è istituita nella mente, che ne rappresenta il locus germinativo.
Può essere. Non vedo tuttavia gli effetti pratici nè i vantaggi di questa distinzione.

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Originalmente inviato da visechi
Non è possibile accettare che il disegno di Dio, per quanto misterioso sia, possa implicare il patire e il dolore dell’innocente. Quando il Male si accanisce nei confronti dell’innocenza, assume le coloriture fosche di una forza inutile, gratuita, totalmente ed insensatamente crudele, che non è possibile accettare in forza di un misterioso progetto divino, che si deve rifiutare.
Non si tratta di accettare o di rifiutare ciò che non si capisce. Possiamo solo rifiutare ciò che vediamo (il Male) ma non la ipotetica ratio che ne è alla base.
Non hai preso in considerazione il mio precedente messaggio: non puoi giudicare con occhi umani. Non esiste nulla di assoluto ai tuoi occhi. Potrebbe esserci se tu fossi sicuro (e non puoi esserlo!) che non esiste nient' altro nell' Universo oltre a ciò che percepisci. E che questo è l'unico Universo esistente. E se tu sapessi donde vieni, perchè sei qui e dove vai..........

La verità del mio punto di vista è che non abbiamo un fulcro a cui appoggiarci................... ......
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Vecchio 16-04-2007, 20.09.08   #26
hetman
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Riferimento: L'inferno è già qui...

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Originalmente inviato da freedom
Non si tratta di accettare o di rifiutare ciò che non si capisce. Possiamo solo rifiutare ciò che vediamo (il Male) ma non la ipotetica ratio che ne è alla base.
Non hai preso in considerazione il mio precedente messaggio: non puoi giudicare con occhi umani. Non esiste nulla di assoluto ai tuoi occhi. Potrebbe esserci se tu fossi sicuro (e non puoi esserlo!) che non esiste nient' altro nell' Universo oltre a ciò che percepisci. E che questo è l'unico Universo esistente. E se tu sapessi donde vieni, perchè sei qui e dove vai..........

La verità del mio punto di vista è che non abbiamo un fulcro a cui appoggiarci................... ......

Il Paradiso e l'Inferno si trovano in tutti i mondi di Dio, tanto in questo mondo quanto nei mondi celestiali dello spirito. Meritare la ricompensa è meritare la vita eterna. Ecco perchè Cristo disse: <<Agite in modo tale da poter conquistare la vita eterna, e da poter nascere di acqua e di spirito, sicchè possiate entrare nel Regno Eterno>>.

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Originalmente inviato da visechi
Non è possibile accettare che il disegno di Dio, per quanto misterioso sia, possa implicare il patire e il dolore dell’innocente. Quando il Male si accanisce nei confronti dell’innocenza, assume le coloriture fosche di una forza inutile, gratuita, totalmente ed insensatamente crudele, che non è possibile accettare in forza di un misterioso progetto divino, che si deve rifiutare.

Mi pare che vi sia un errore di fondo, non è disegno divino che l'uomo patisca sofferenze, ma è l'uomo che infligge sofferenze al proprio simile. Il fatto che ancora oggi nel 2007 dopo due millenni di Cristianesimo troviamo tali profondi divari tra i popoli della terra, tra l'EGOISMO di alcuni e l'IMPOSSIBILITA' di realizzazione della maggioranza.
Credi forse che sia opera di Dio se i paesi Africani non abbiano la possibilità di curare i propri malati solo perchè le industri farmaceutiche, che pensano solo ai loro fatturati annuali, non permettono l'accesso a medicine che potrebbero limitare i danni strettamente per motivi economici.
Credi forse che sia opera di Dio se si continua a fare guerre, ad uccidere in nome di una DEMOCRAZIA che tale non è, che egoisticamente e soltanto per poche multinazionali si continua a spendere i soldi dei contribuenti in armi sempre più sofisticate e micidiali.
Credi forse che sia opera di Dio se ogni giorno ognuno di noi si comporta come se fosse il proprietario assoluto della VERITA', oppure siamo noi a non capire che la nostra salvezza sta nell'unità, nella comprensione degli altri, nell'ottemperare a quella lezione che Dio ha inviato a noi tutti con i Suoi profeti, i Suoi Messaggeri <<Ama il prossimo tuo>>.
L'inferno è già qui, l'abbiamo voluto noi uomini rifiutando il nostro prossimo, combattendo ed uccidendo solo per l'egoismo di pochi, non facendo sentire la nostra voce, limitandoci a dibattiti pieni di parole e pochi fatti.
L'inferno lo creiamo noi e dobbiamo accettare senza incolpare Dio per gli errori dell'umanità, se l'umanità accettasse le semplici regole che tutti i Messaggeri hanno insegnato, allora qui ci sarebbe il PARADISO.
Mi sono limitato all'inferno materiale perchè quello celestiale è ben diverso ed incomprensibile da mente umana.

Saluto
hetman is offline  
Vecchio 17-04-2007, 10.20.47   #27
visechi
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Riferimento: L'inferno è già qui...

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da Yam:
Visechi, siamo O.T.

.Rilevo questa tua “consapevolezza” e sconcertato mi chiedo il motivo per cui pur essendoti accorto di ciò abbia voluto persistere nell’OT, mi colpisce molto anche l’utilizzo della seconda persona plurale, trattasi forse di un plurale maiestatico? Poi mi rendo conto che ben si raccorda con il florilegio d’altisonanti titoli accademici che esponi nella teca, ben si coniuga con l’insigne insegna della casata che spolveri con tanto amor di casta. Mi rendi edotto dell’opulenza culturale che ti ha fatto da culla, una vera e propria cornucopia del Sapere. Io che potrei replicare a sì tanta abbondanza e ricchezza? In timore e tremore, io, proveniente da misera famiglia di maestri elementari (pregasi notare la ‘m’ minuscola), che annovera fra le sue poco elitarie fila contadini ignoranti e muratori (pregasi leggere costruttori di muri, ci tengo a specificare che il termine non ha nulla da spartire con altre muratorie… tutto alla luce del sole), potrei mai provare ad argomentare ancora oltre?

Nondimeno, pur essendo del tutto privo di luminescenti titoli accademici che possano avvalorare e sorreggere il mio pensiero, proverò ancora una volta a spiegare quel che evidentemente non s’è compreso. Non s’è compreso? Possibile che nel luccichio di cotanta meraviglia, abbagliato da un esuberante amor proprio, tu, proprio tu, non abbia capito? Ma quale insensato e presuntuosissimo dubbio mi coglie? Eppure è così, parrebbe davvero così… non hai capito… sarà stata la lunghezza, l’irritazione, l’EGO? Non so!

In primis, per quanto riguarda E. Zolla ti rinvio alla difficoltosa ed ispida lettura della sua ultima pubblicazione, una raccolta di saggi uscita postuma nel 2002: “Discesa all’Ade e resurrezione”, edizioni Adelphi, ove, fra gli altri, potrai provare il piacere di sperderti fra le piroette lessicali, meglio dire verbose, del suo breve saggio intitolato “Anabasi e Catabasi “. Ciò solo per dirti che non ho confuso E. Zola con E. Zolla (anche se confermo che conosco poco il secondo, per nulla il primo se non per via del suo famoso coinvolgimento nel celeberrimo “Affaire Dreyfus” di fine Ottocento, l’eco del suo “j’accuse” non s’è mai spento).

Ho però il sospetto che tu non abbia letto il breve testo linkato da Gyta. Se in assoluto è più che possibile che il tradimento fosse un interesse precipuo di Zola, in quel testo Zolla parla del tradimento del Padre, di Dio, anche se lo utilizza in modo tale da giustificare una conclusione che a me poco interessava al momento in cui ho scritto quello sconsiderato scritto… come suol dirsi, magari ho preso spunto da quel testo per esporre quel che intendevo esporre, senza dilungarmi eccessivamente nell’analisi del contenuto complessivo…. Mi pareva di avertelo già spiegato…. Ma che importa…. Repetita juvant.

Pare che debba accollarmi l’oneroso onore di rivelarti un piccolo segreto, che forse è tale solo per te: non fu e non è solo il tuo familiare a ritenere il sanscritto un vero e proprio patrimonio dell’umanità, ma anche più insigni cattedratici e studiosi, fra i quali C.G. Jung, il quale sosteneva che il sanscritto fosse l’idioma più completo esistente sul pianeta. Un vero e proprio tesoro da preservare. Ma ciò non toglie che infarcire un intervento di termini quali prajna, Turiya, jiva, Vaisvanara, Karika, solo per citare i meno contorti, non aiuta molto alla comprensione del testo, complicandone la lettura ed appesantendone il contenuto. E’ come se per discutere di Nietzsche (già faccio fatica a scriverne il nome correttamente), riportassi intere frasi in tedesco, parlassi di Grund e Ab-grund, di koinonia, e cose similari… non ritieni sarebbe meglio evitare?Quel che noto nel tuo ultimo intervento è che rinunci a discutere, fra l’esposizione di un titolo accademico e una discendenza avita altisonante, ti sperdi in argomentazioni che poco attengono alla discussione in corso che tratta dell’Inferno, eviti il confronto, quasi ti proponi ammantato di candide vesti di Maestro i cui insegnamenti noi, discepoli recalcitranti (Mirror, sii più disciplinato per favore, non distrarti), non cogliamo e non sfruttiamo nei dovuti e proficui modi, ad essi rifiutiamo di assoggettarci… ma che dire, forse abbiamo diversi modi di vedere le cose.

Tu cogli il bello, vedi solo il bello, l’amore cosmico che si coniuga con gli dei assisi sull’Olimpo nubiloso. Io, me misero e tapino, oltre al bello che qui dalle mie parti è sparso con estrema generosità, vedo e non posso evitare di vedere anche il brutto, l’orrido. Così, mentre infuria un temporale e mentre i tuoni fanno udire la propria voce e i fulmini rischiarano come flash la terra, oppure mentre il sole impazza, riesco ad immaginare quante pelli dissecherà quel sole che accarezza la mia, quante terre dilaverà quel turbinio di pioggia che nutre e ingrassa la mia terra, e mi scorgo a pensare che spesso l’abbondanza è eccedenza che distrugge e la mano parca, troppo parca di Dio, scorda di seminare con maggior oculatezza quelli che sicuramente sono doni… seminare con una punta d’equilibrio in più. Non scordo per esempio, perché proprio non ci riesco, che se da un lato della terra c’è chi si annoia con troppi giocattoli che infiacchiscono la fantasia e recano uggia e disamore, o combatte la sua personalissima battaglia indecorosa e vergognosa contro l’obesità, in altre latitudini c’è chi con la pancia veramente vuota rincorre palle fatte di stracci su un terreno polveroso perché la pioggia donata dal buon Dio ha preferito bagnare terre già inondate disdegnando di intridere quella polvere. E ciò è già una fortuna immensa, perché, forse non sai, io non riesco ad ignorarlo, che più spesso quei bambini con la pancia vuota, stanno rincorrendo la palla nell’intermezzo fra una guerra e l’altra, magari hanno appoggiato per un attimo i loro kalashnikov su qualche roccia polverosa, e si son concessi un breve intervallo di ristoro…. Ma non è solo questo, il mio sembra davvero pietismo d’accatto, mi ci costringi con l’esposizione del tuo “Sapere la Conoscenza che è Una”, che ti permette certamente di proporti come un maestro, seppur non acclamato, ma certamente questa “Conoscenza che sempre è Una”, non è in condizione di riempire pance di chi se ne strafotte del sanscritto e del Vedanta che tanto ti appassionano, della teologia crucis che tanto mi affascina, dell’ispido Mullah di fine Ottocento che tutto accomuna per non ritenere alcunché, per sperdere e vanire ogni senso. Quei bambini che davvero vivono un Inferno che neppure sentono più, tanto sono anestetizzati dal dolore congenito, quasi genetico, iscritto nel loro DNA, magari avvertono solo la necessità di mordere un boccone del nostro dolce e candido pane ricavato da farina di grano, ricco di morbida mollica… una volta sola, una volta nella loro incerta e breve vita, prima che una mina antiuomo li riduca in brandelli. Alla stessa maniera e nella stessa misura se ne strafottono dei quattro gradi di Conoscenza narrati così mirabilmente da Platone nel suo celeberrimo ‘Mito della caverna”, tutto sugo che cola indecorosamente dalla nostra incivile e copiosissima mensa che ingrassa mente e corpo. Eppure quel Do misericordioso è con noi… grasso, opulento, schifosamente e colpevolmente indifferente di fronte al Fato estremo e crudele che pretende i vagiti d’infelici dannati alla gogna perpetua dell’Handicap, per esempio. Anche questa condizione è forse da attribuire a colpe colpevoli dell’uomo? Ma tutto è bello, tutto insegna, il dolore altrui è davvero pedagogico, quanta crescita d’amore e consapevolezza millenaria ed universale ci deve essere nel dolore di chi pena ed espia colpe non riconducibili a se stesso. Siamo grassi nella mente e adiposi nel cuore, tanto che i nostri movimenti sono ovattati e ben centellinati non per rispetto, non per verecondia, non per tatto e sacra discrezione, ma per impossibilità motoria. Siamo elefanti che pigolano e non ruggiscono, che muovendosi calpestano il riconoscimento del sacro diritto di equità, di equanimità dovuto da quel presunto Dio che c’è ma non esiste, perché è solo dentro la nostra arrogante pretesa di scordarci degli altri per sancire il nostro esclusivo diritto di affermare che chi non ce la fa è solo per via del proprio egoismo… quanto amate questo termine: EGO, lo amate nel disprezzo, lo disprezzate amandolo, tanto che se fosse solo un’invenzione per infiorare la vostra ‘teologia’ e di questa invenzione ve ne rendessero davvero consapevoli, rifiutereste terra e cielo pur di preservarlo. Ci avete costruito intorno una filosofia, fingendo d’ignorare che quando qualcuno pretende il giusto cibo per nutrire il proprio CORPO, non si tratta di Ego, di desiderio da scansare in omaggio all’idea di un nirvana dalla pancia piena, ma solo di una misera, materialissima necessità. Questo è uno degli inferni entro cui siamo immersi, questa è una delle cagioni del soffrire, del patire, altro che Testimone, Osservatore, di Centro immobile del nostro occhio interiore che scorge l’Unità dell’Universo della cippa lippa. Ma porca miseria, è possibile che in grazia di queste filosofie ci siamo davvero ottusi cuore, mente, orecchie ed occhi per non riuscire più a scorgere che il dolore, la sofferenza, il pianto, la morte ingiustificata sono cose concrete, reali, vere, che ci circondano?Forse aveva ragione qualcuno nell’affermare che la religione è l’oppio dei popoli perché ottunde il sentire, perché anestetizza… a scanso di ciò corro incontro a braccia aperte all’ateismo più bieco, più becero, purché non mi si offuschino i sensi dell’anima e del corpo… quel che c’è, e c’è tutto quel che c’è, lo voglio vedere e sentire… alla faccia della Coscienza che non è IN-coscienza ma è Super-Coscienza che coscienziosamente se ne fotte di quel che c’è e non vuole né vederlo né sentirlo.

Ciao
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Vecchio 17-04-2007, 10.20.48   #28
Mirror
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visechi:

Citazione:
Siamo elefanti che pigolano e non ruggiscono, che muovendosi calpestano il riconoscimento del sacro diritto di equità, di equanimità dovuto da quel presunto Dio che c’è ma non esiste, perché è solo dentro la nostra arrogante pretesa di scordarci degli altri per sancire il nostro esclusivo diritto di affermare che chi non ce la fa è solo per via del proprio egoismo…

E' una visione troppo identificata con l'organismo corpo-mente, a mio avviso. Per cui non vede, o tende a rilevare, che separazione, sofferenza, dolore...

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...quanto amate questo termine: EGO, lo amate nel disprezzo, lo disprezzate amandolo, tanto che se fosse solo un’invenzione per infiorare la vostra ‘teologia’ e di questa invenzione ve ne rendessero davvero consapevoli, rifiutereste terra e cielo pur di preservarlo. Ci avete costruito intorno una filosofia, fingendo d’ignorare che quando qualcuno pretende il giusto cibo per nutrire il proprio CORPO, non si tratta di Ego, di desiderio da scansare in omaggio all’idea di un nirvana dalla pancia piena, ma solo di una misera, materialissima necessità. Questo è uno degli inferni entro cui siamo immersi, questa è una delle cagioni del soffrire, del patire,

Questo è il tuo punto di vista. Io non amo né disprezzo l'ego. Lo vedo solo per quel che è. Anche a me i dolori, che tu molto appassionatamente descrivi, non sono stati risparmiati e non lo saranno nemmeno in futuro.
Pure io dovrò lasciare il corpo ma, ciononostante, il mio sguardo sull'esistenza non è come il tuo o come quello di altri che vedono nella Vita un perverso castigo dato all'uomo che innocentemente subisce.

Citazione:
...altro che Testimone, Osservatore, di Centro immobile del nostro occhio interiore che scorge l’Unità dell’Universo della cippa lippa. Ma porca miseria, è possibile che in grazia di queste filosofie ci siamo davvero ottusi cuore, mente, orecchie ed occhi per non riuscire più a scorgere che il dolore, la sofferenza, il pianto, la morte ingiustificata sono cose concrete, reali, vere, che ci circondano?Forse aveva ragione qualcuno nell’affermare che la religione è l’oppio dei popoli perché ottunde il sentire, perché anestetizza… a scanso di ciò corro incontro a braccia aperte all’ateismo più bieco, più becero, purché non mi si offuschino i sensi dell’anima e del corpo… quel che c’è, e c’è tutto quel che c’è, lo voglio vedere e sentire… alla faccia della Coscienza che non è IN-coscienza ma è Super-Coscienza che coscienziosamente se ne fotte di quel che c’è e non vuole né vederlo né sentirlo.

Tu puoi pensarla anche in questo modo, ma ti assicuro che trovare quell' Osservatore, e metterlo al centro del nostro essere, non rende insensibili, ottusi nei sentimenti. Anzi, ti permette di vederli nella loro natura più radicale e pure di riuscire a trasformarli in dinamiche più positive, per noi stessi e per gli altri.
Ci aiuta anche ad uscire dalla trappola della commiserazione verso gli altri e autocommiserazione verso noi stessi.
Non è questione di scegliere fra ateismo fatto di concretezza umana e religiosità fumosa, ma di ritrovare dentro di noi quella Consapevolezza che include, sia la materia che lo spirito in una unità inscindibile. Allora l'inferno, interno ed esterno, sarà percepito solo come il frutto di una coscienza separata che, non ritrova la via della reintegrazione è destinato a perpetuarsi.

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Vecchio 17-04-2007, 10.20.54   #29
hetman
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Ciao a Tutti

Se per inferno in terra si ritiene che Dio manda dolori e pene agli esseri umani quale punizione per i peccati commessi, siamo fuori strada.

Non confondiamo la materialità delle cose con la spiritualità, se alcuni uomini si trovano in difficoltà fisiche è solo un fatto materiale naturale e non una punizione divina, un esempio potrebbe esssere quello di tutti quei bambini che hanno perso degli arti sulle mine antiuomo in zone come l'ex Iugoslavia o l'Afganistan o gli altri paesi in guerra, certo non è stato Dio a seminare quelle bombe, non è stato Dio a non istruire quei bambinio sui pericoli in cui andavano incontro, certo quei bambini non avevano colpe ma certo non è stata una punizione di Dio.

Mi sembra che Visechi colga, correttamente, la realtà delle cose umane, la loro assoluta iniquità, ma certo non sono originate da Dio ma dagli uomini, come del resto anche le Religioni degli uomini con le loro visioni teologiche e dogmatiche, fatte per pochi eletti altolocati ed accademici di fama internazionale, seminano le loro mine che indiscriminatamente mietono vittime tra l'umanità meno addottorata, la Religione di Dio è semplice e chiara "Ama il prossimo tuo" se partiamo da questo semplice comando, tutti insieme indistintamente qualsiasi fede professiamo potremmo cambiare le cose.

A Visechi, non vuole essere un richiamo ma solo un consiglio, dico di lasciar perdere le diatribe tra dotti, chi la vuol cotta e chi cruda, nessun essere umano può dare risposte su cose divine, ASSOLUTAMENTE NESSUN ESSERE UMANO, tutto sarà frutto di preconcetti, fantasie e libere interpretazioni nate dal proprio EGO. Quello che veramente conta è se vogliamo o no cambiare questo mondo.

Saluto
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Vecchio 17-04-2007, 21.53.39   #30
Yam
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Visechi io ho letto questa citazione, postata da Gyta in questo 3d, di Zolla (a questo punto non so a quale tu ti riferisca):

" So per certo che nel silenzio e nella solitudine in cima a un monte o nel folto bosco o in un'aperta pianura o anche nel fitto d'un nebbione, se per un istante cesso di far seguire la trafila dei pensieri e delle immagini nella mente, giunge la liberazione. Mi basta trattenerla dolcemente, e tutto in me si rimuta, è come l'acquietassi un illimitato potere, perché null'altro desidero. Mi trovo alla radice del cosmo, immobile perché ogni cosa è come fosse mia, padrone perché tutto mi circonda mitemente, felice perché nulla di più potrei desiderare, e tutti questi aggettivi stonano, perché in realtà semplicemente sono.Sono l'essere. "

(Elémire Zolla)


Zolla ha pubblicato quell'ultimo lavoro dopo aver letto Peter Kingsley.

edit: ho capito l'origine del malinteso, non avevo letto l'altro post di Gyta. Scusami Visechi ma ho proprio poco tempo e sono sempre di fretta, in questi casi non si dovrebbe intervenire superficialmente....

Qui c'e' un'altro bello scritto di Zolla

Ultima modifica di Yam : 18-04-2007 alle ore 09.39.26.
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