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Vecchio 22-08-2005, 15.15.06   #1
Estragone
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Le colpe di Dio

Fra i miei quotidiani deliri, ospito talvolta anche questo strano personaggio del secolo scorso. E. C. Cioran, Filosofo e saggista Rumeno nato l'8 aprile 1911 a Rasinari (Sibiu) in Transilvania e morto a Parigi, il 20 giugno 1995. Egli, con la sua prosa veemente, dura, impietosa, implacabile e quantomai feroce, osserva Dio e la sua Creazione con occhi disincantati, offrendoci un angolo di visuale alquanto inusuale.
Ma non è di lui che vorrei parlare, anche se devo ammettere che lo trovo affascinante, privo com’è di quell’incantata estasi visionaria di cui sono pregni troppi filosofi. Egli nei suoi scritti non assolve nessuno: né Dio, né l’uomo, né se stesso. E’ interessante notare che il presupposto da cui prende le mosse il suo pensiero, o meglio, il pensiero che di lui si appropria prescinde dall’eterna domanda: <Dio esiste?>. Pare non gli interessi punto. Ma assumendo come vera la sua esistenza, gli muove contro un vero ‘j’accuse’ reputandolo l’unico vero responsabile della reietta condizione umana. Credo che, in una concezione che vede Dio onniscente, onnipotente ed onnipresente, la sua posizione, le sue accuse non siano del tutto infondate. Provate ad assolvere Dio, almeno il Dio proposto dalle tre tradizioni monoteiste, dalla responsabilità diretta o indiretta rispetto al male:
<… Più i paradossi su Dio più sono audaci, meglio ne esprimono l'essenza. Perfino le ingiurie gli sono più vicine della teologia o della meditazione filosofica. Rivolte agli uomini sarebbero irrimediabilmente grossolane, o irrilevanti; l'uomo non ha in sé alcuna responsabilità, dato che all'origine dell'errore e del peccato è il suo creatore. La caduta di Adamo è prima di tutto un disastro divino. L'Eterno ha scaricato nell'uomo tutte le proprie imperfezioni, la sua putredine, il suo decadimento. La nostra comparsa sulla terra dovrebbe salvare la perfezione divina. Ciò che nell'Onnipotente era «esistenza », infezione temporale, colpa, si è canalizzato nell'uomo e Dio ha salvato così il proprio nulla. Grazie a noi che gli serviamo da immondezzaio, Egli resta svuotato di tutto.

...Ecco perché, quando ingiuriamo il cielo, lo facciamo in virtù del diritto di colui che porta sulle spalle il fardello di un altro. Dio non è all'oscuro di quello che ci succede - e se ha mandato il Figlio, affinché ci tolga una parte delle nostre pene, lo ha fatto non per pietà, ma per rimorso.
(da Lacrime e santi)>


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Vecchio 24-08-2005, 09.17.09   #2
Estragone
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Piuttosto crudo, non è vero? Ma se ci si sofferma sulle sue dure parole, non è agevole per nessuno, qualsivoglia teologia o filosofia si volesse adottare, affrancare Dio dalla responsabilità del male. Ciò non è possibile farlo. Le colpe di Dio rispetto al male, al dolore, alla condizione umana sono inemendabili. S’impone un diverso processo, un diverso modo di procedere. La Creazione è opera divina? Bene, anche il male, che pervade la creazione, è opera divina. Egli si spossessa di questo fardello caricandolo sulle spalle dell’uomo. Ancor più subdolamente insinua nell’animo della sua creatura il dubbio che la fonte originaria di ciò che Egli ha voluto sia la creatura stessa. La responsabilità umana rispetto al male è un’aporia insanabile rispetto all’onnipotenza divina. Solo una limitazione dell’infinità divina può affrancare il Creatore da questa iattura. Spossessarlo delle Sue qualificazioni, ridurlo, contrarlo, in definitiva, annullarlo nella sua onnipotenza. Ma così si negherebbe anche Dio. Così visto, il Male sarebbe in effetti la negazione di Dio. Egli ha consapevolmente operato in sé uno svuotamento, rinunciando alla parte che maggiormente aveva in uggia, attribuendola alla sua creazione: in tal senso siamo l’immondezzaio di Dio, in tale ottica è quantomeno conseguente ingiuriare il cielo, perché quando lo facciamo operiamo <in virtù del diritto di colui che porta sulle spalle il fardello di un altro>.
Neanche il vaneggiare intorno all’ipotesi che la Creazione sia frutto di una successione di emanazioni divine, l’una sempre meno perfetta dell’altra, sino a giungere all’attuale obbrobrio, assolve Dio dalle sue colpe. L’onniscenza, l’onnipotenza divina non lo assolvono. Egli resta l’unico vero responsabile e colpevole di quel che ha creato. Il libero arbitrio è un’altra suggestiva teoria atta solo a masturbare le menti di chi si danna per proporre un’assoluzione immeritata, non dovuta. Neanche negare l’esistenza del male serve a molto… basta soffrire per rendersi conto di quanto stupida sia questa farneticazione. Siamo il teatro di Dio. Sempre Cioran ci racconta: <Dio ha creato il mondo per paura della solitudine; è questa l'unica spiegazione possibile della Creazione. La sola ragion d'essere di noi creature è di distrarre il Creatore. Poveri buffoni, dimentichiamo che stiamo vivendo i nostri drammi per divertire uno spettatore di cui finora nessuno al mondo ha sentito gli applausi. E se Dio ha inventato i santi - come pretesti di dialogo - lo ha fatto per alleggerire un po' di più il peso del suo isolamento.>.
Solo l’idea di due forze primigenie, uguali in forza e orrore e contrarie come forze agenti, può assolvere Dio. Ma questa idea un po’ l’annienta, lo annulla, lo relega al ruolo di ente non più onnipotente. Come potremo più sperare o pensare alla vittoria escatologica del bene? Come potremmo più confidare nell’invitta forza del bello a scapito dell’orrido? Saremmo, ancora una volta, col culo troppo scoperto. A cosa sarebbe servito aver creato un Dio che ci consolasse se dovessimo propendere per l’idea di due dei: l’uno che opera il bene, l’altro il male? No, anche la teologia della redenzione, quella della salvazione, Dio stesso, sparirebbero, inghiottiti nell’eterno bordeggiare dei nostri animi fra i confini delle due forze primordiali.
Allora cosa resta?
Nulla. Solo la negazione di Dio assolve Dio dalle sua sordida creazione. Ma allora cosa è il dolore, cosa è il soffrire? Mi avvalgo, ancora una volta, delle parole del mio ospite delirante: Cioran
<Ma prima di tutto perché esiste il dolore? Sarebbe assurdo rispondere che gli uomini soffrono per comprendere il mondo, come se la sofferenza avesse una propria giustificazione nell'esistenza e nella comparsa della forza di disvelamento del mondo. Il cammino verso la conoscenza è così doloroso, che chi non rinuncerebbe ad esso? Il sorgere del dolore come tale non ha una finalità così elevata; inoltre, il processo di purificazione si realizza senza che ciò possa includere l'intenzionalità. Il dolorare nel mondo proviene dal carattere irrazionale, bestiale e demoniaco della vita, e dona a ciò un senso di vertigine che si distrugge nella propria tensione. La sofferenza è una negazione della vita, negazione racchiusa nella sua struttura immanente. Nel carattere demoniaco della vita è implicata una tendenza verso la negatività e la distruzione, che pone ostacoli e si consuma nello slancio di un'imperiosità vitale. Mentre nelle altre forme di autodistruzione della vita si svolge un processo di consapevolezza meno sensibile, nel dolore esso si realizza su un piano più sviluppato della coscienza; ciò avviene perché la sua intensificazione è a maggior ragione inseparabile dal fenomeno della sofferenza. L'immanenza del principio demoniaco nella vita annulla ogni credenza in una possibilità radicale di purificazione, in una spiritualizzazione che dovrebbe convertire i suoi orientamenti in direzione di un piano ideale. Se la vita è un'immensa tragedia, ciò è dovuto allora solamente a questa immanenza demoniaca. Coloro che la negano e vivono inebriati dall'aroma delle visioni paradisiache avvertono un'incapacità organica ad avvicinarsi consapevolmente alle radici della vita oppure non si sono mai liberati da esse né sono approdati alla prospettiva profonda del dramma. L'ingenuità in eccesso risulta opaca per l'uomo drammatico. Quindi, quando l'uomo è bruciato fino alla sostanza intima del suo essere dalla fiamma del dolore, quando la coscienza acquista una grande capacità di disinteressamento giacché si è liberata dai vincoli che la tenevano ancora in vita, quando la visione acquisisce un carattere di purezza che coglie l'essenza, solo allora la comprensione per i fenomeni capitali della vita giunge all'espressione più pura. Se, nella sofferenza, la totalità della nostra natura soggettiva riceve un segno di trascendenza di fronte all'esistenza empirica, questa trascendenza non deve essere interpretata nel senso di quella esteriorità razionale, che stabilisce la propria posizione completamente dall'esterno, ma deve considerarsi come una parte della natura che si isola dal resto a seguito di certe esperienze capitali. In questo caso la disintegrazione della vita che si realizza è prodotta dall'esperienza dei sensi, e non da concezioni razionali. [...] Nel dolore l'uomo pensa tramite i sensi" ("Azi").>

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Vecchio 24-08-2005, 10.49.36   #3
gyta
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Penso che un po' tutti nei deliri "quotidiani"
ospitiamo uno "Cioran".. Magari avessimo tutti quella sottile vena
cinicamente umoristica così da poterne bene o male uscirne fuori illesi (o quasi)..

In questo momento "mio" non ho "cojoons" calibrati a sufficienza
per sostenere una diatriba su male-bene-&-d-io ,
partecipo con comprensione silenziosamente all'imprecazione dell'uomo
che si trova suo malgrado a doversi lastricare il percorso
con tutta la fatica che questo richiede..

Ed a questi non posso che rammentare ed esortare
con un antico passo del vecchio I Ching:

"Chi mai non resta
chi col cuore e col sangue
medita cose impossibili vince "

Gyta
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Vecchio 24-08-2005, 11.14.06   #4
Estragone
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Lo penso anch’io: un po’ tutti, nei nostri deliri quotidiani, ospitiamo un Cioran. Il dolore dà voce ai nostri Cioran interiori. Gli offre il proscenio e la voce.
Credo sia pure utile, oltreché importante lasciare uno spazio anche a queste deliranti visioni. Un nuovo angolo di visuale, una diversa prospettiva da cui osservare il mondo per percepire anche l’essenza stessa del dolore… posto sia mai possibile farlo.
Ai grandi d’animo, grandi imprese attendono… meditare imprese impossibili spesso conduce ad una vittoria insperata.
La vita è come una grossa palla di gomma ripiena, dipinta e composta da mille colori, impastati insieme, sicché non è mai possibile scinderli nella loro quintessenza, renderli puri così come nacquero prima di andare a colorare e comporre la nostra pallina magica che rimbalza impazzita fra i bordi di un’esistenza che fluisce a prescindere da chi vi si trova invischiato. Nella vita è presente questa immanenza demoniaca, folle, che se da un lato lusinga, inducendo speranze, dall’altro mortifica, deludendole. La vita è una bussola impazzita che non indica alcuna direzione, perché le indica tutte: la dritta e la mancina, il sopra e il sotto, il tutto e il niente… ciò che assumiamo come direzione è solo un nostro atto volitivo, dipinto da noi, con i colori che riteniamo di volerle attribuire, e noi ci fingiamo protagonisti, ci cantiamo le storie, le epopee, per scordare, non vedere e non udire quell’urlo di ribellione che non sappiamo più emettere, compresi come siamo nel gioco che gioca con noi.
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Vecchio 24-08-2005, 13.26.29   #5
SebastianoTV83
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Non comprendo perché attribuire a Dio sempre e comunque il desiderio di azione essendo un essere trascendente, assoluto e perfetto. Finché noi consideriamo Dio come entità personalizzata e agente, potremo sempre piegarla ai fini di chi sfrutta la religione come culto e non come via di salvezza personale.
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Vecchio 24-08-2005, 14.37.55   #6
gyta
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Io penso che proprio scendendo nel cuore del dolore e di quel "delirio" rabbioso/impotente si possa "riabilitare" l'immagine del Dio-Immanente* riscoprendolo nella potenza solare dell'uomo
che scioglie l'ombra della morte, portando luce alle sue paure e trionfando con la sua audacia sulla mutazione che lo travolge divenendone l'incontrastato padrone attraverso il sacrificio consenziente dell'immolazione della sua (apparente) identità dipendente..!


*(oltre che trascendente!) >questa nota sul trascendente
l'aggiungo per rendere meglio il mio pensiero all'intervento di Sebastiano




Gyta
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Vecchio 24-08-2005, 15.20.18   #7
Estragone
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Citazione:
Non comprendo perché attribuire a Dio sempre e comunque il desiderio di azione essendo un essere trascendente, assoluto e perfetto. Finché noi consideriamo Dio come entità personalizzata e agente, potremo sempre piegarla ai fini di chi sfrutta la religione come culto e non come via di salvezza personale.

infatti, Egli non agisce, ha già agito ai primordi. Egli ha creato. Dopo di che si è rincantucciato in se stesso, nella sua indifferente osservazione dei patimenti da Lui imposti. E’ questo suo unico atto che lo incrimina, che lo condanna. Non è esente da colpe. Egli era anche il male, Egli è anche il male. L’ha scaricato, liberandosi del peso, non certo della responsabilità di averlo creato, sulle spalle della sua Creazione, sull’Uomo, riprendendo, poi, a non agire, ad osservare il tetro teatro che ha voluto. Dio, di questa sua inemendabile colpa è cosciente, per questo, per rimorso, ha mandato, immolandolo alla sua insensatezza, il Suo unico figlio. Dio, dopo il suo unico esecrabile atto, non è più solo, ha noi per suo diletto. La via di salvezza personale è solo un’altra delle lusinghe che ammaliano, necessaria affinché non ci si stufi di dilettarlo. Nessuna forzatura, la Sua trascendenza, la Sua inazione, la sua Onnipotenza sono anche la Sua eterna condanna.
Citazione:
o che proprio scendendo nel cuore del dolore e di quel "delirio" rabbioso/impotente si possa "riabilitare" l'immagine del Dio-Immanente* riscoprendolo nella potenza solare dell'uomo
che scioglie l'ombra della morte, portando luce alle sue paure e trionfando con la sua audacia sulla mutazione che lo travolge divenendone l'incontrastato padrone attraverso il sacrificio consenziente dell'immolazione della sua (apparente) identità dipendente..
Solo un atto di aperta ribellione, solo il disgusto per la creazione, quindi l’aperta, intransigente condanna di Dio, può riabilitare l’Uomo, rendendolo non più balocco di chi lo volle reietto, ma fautore del proprio divenire; un divenire contrapposto al fluire esamine di una vita esangue, che per vivere se stessa si ciba di noi e del nostro dolore: producendolo, cullandolo e gioendo di e con esso. La luce si propaga nel buio. Io dico no! La luce e l’ombra cammino insieme, a braccetto. Ciascuna delle due consola la compagna, le rende onore, la vitalizia, e la vita è solo un progressivo avvicinarsi alla morte, un suo abbandono per conseguire infine il ricongiungimento. Si vive in attesa della morte, la vita è una lunga attesa della morte che dura un sospiro.

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Vecchio 24-08-2005, 15.51.05   #8
gyta
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Citazione:
Messaggio originale inviato da Estragone
Egli non agisce, ha già agito ai primordi. Egli ha creato.
Dopo di che si è rincantucciato in se stesso,
nella sua indifferente osservazione
dei patimenti da Lui imposti.

E’ questo suo unico atto che lo incrimina, che lo condanna.
Non è esente da colpe.
Egli era anche il male, Egli è anche il male.

L’ha scaricato, liberandosi del peso.. [...]

Non la "vedo" in questo modo..

La rappresentazione che fai di Dio lo rende più con attributi umani che non Divini di "Essenza"..!

Penso che questa rappresentazione umana di Dio tolga all'uomo ogni possibilità di profonda indagine
della sua propria Origine, della sua propria Radice.. confinando le sue paure al di là della barriera del conoscibile,
e questo è un errore.. umano!

Si vive con "disgusto" ed "in attesa della morte"
se non si è scesi dentro quel buio sino alla fine del percorso
che si compie inesorabilmente con la dissoluzione dell'identità uomo
per -se vogliamo!- un'identità che è "non identità",
"assoluzione" di confini,
nemmeno dunque -a ben vedere!- identificazione del "mutamento" ma oltre, ben oltre..!

(non so se ho spiegato chiaramente..)



Gyta

Ultima modifica di gyta : 24-08-2005 alle ore 15.52.59.
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Vecchio 24-08-2005, 18.03.24   #9
kantaishi
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For Lady Gita.

Oh,divina Gyta,
non vedi come vaneggiano i comuni mortali?
Parlano di Dio come se non l'avessero qui davanti.
Ma sono ciechi?
Non sanno loro che bastano due parole di Gyta e l'anima è salva?
Non sanno loro che Gyta non è altri che la dea egizia Hator,colei che,con le sue due corna,tiene in equilibrio sul capo il disco solare di Ra ?

"Tu ti ergi gloriosa ai bordi del cielo,oh vivente Gyta!
Tu da cui nacque ogni vita,
Quando brillavi dall'orizzonte a est
Riempivi ogni terra della tua bellezza.
Viaggi al di sopra delle terre che hai creato,
Abracciandole nei tuoi raggi,
Tenendole strette per il tuo amato figlio Akhenaton.
Anche se sei lontana,il tuo disco è qui sulla terra.
Anche se riempi gli occhi degli uomini
le tue impronte non si vedono."

Akhenaton Kantai.
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Vecchio 25-08-2005, 09.38.32   #10
Estragone
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Citazione:
Non la "vedo" in questo modo..

La rappresentazione che fai di Dio lo rende più con attributi umani che non Divini di "Essenza"..!

Penso che questa rappresentazione umana di Dio tolga all'uomo ogni possibilità di profonda indagine
della sua propria Origine, della sua propria Radice.. confinando le sue paure al di là della barriera del conoscibile,
e questo è un errore.. umano!

Ho premesso nel primo post che questo j’accuse era più che altro riferibile al concetto e alla teologia della creazione. Chi come te, mi pare di intuire, propende per altre visioni, è ovvio che trovi il tutto alquanto privo di senso e decontestualizzato. Nella Creazione l’Origine dell’Uomo è ben definita, chiara, inequivocabilmente ascrivibile e riconducibile al suo creatore, cioè Dio, e la sua radice non può essere che quella che lo fa derivare e ritornare a Lui. Si tratta di deliri lucidi che però, non potrai negarlo, ritengo abbiano sfiorato anche la tua di mente. L’origine del male è una questione che ha catturato da sempre l’attenzione delle genti, coinvolgendole, volta per volta, in acrobazie dialettiche e sofisticherie tese tutte ad affrancare l’Onnipotente da questa colpa. La teologia del Male è ormai un corpus filosofico a se stante. Sedimentatosi nel corso dei millenni, è andato a produrre un campionario variegato da cui si attinge a profusione pur di placare l’ansia dovuta all’indeterminatezza di questa forza primordiale. Ma ciò che si chiede, soprattutto alle tre religioni monoteistiche, quelle che poggiano la propria dottrina e teologia su solide fondamenta creazionistiche, e che dichiarano senza tema di smentita l’onnipotenza del creatore, la sua perfezione, la sua illimitatezza, un minimo di coerenza con quanto dichiarato in merito alle eterne, immutabili e infinite qualificazioni divine: se Dio è onnipotente, a Lui, solo a Lui, sia attribuita la responsabilità del Male. E a Lui, sempre e solo a Lui, sia addebitata l’indifferenza e il distacco per quanto di obbrobrioso ha creato. Diversamente si avrebbe un Dio che ha limitato se stesso, quindi non più un Dio onnipotente. Il che rappresenterebbe la negazione stessa di Dio. Insomma, come ho già avuto modo di sostenere (non solo io), il male, la sua esistenza (indubitabile), sono la negazione di Dio stesso, o quantomeno una improponibile limitazione della sua incommensurabilità. In un caso o nell’altro dovremmo riconoscere che abbiamo un concetto piuttosto errato sul Creatore, oppure ammettere con serenità che la tesi sostenuta dai libri sacri è solo una piacevole, alle volte anche confortevole, favola.



Citazione:
Si vive con "disgusto" ed "in attesa della morte"
se non si è scesi dentro quel buio sino alla fine del percorso
che si compie inesorabilmente con la dissoluzione dell'identità uomo
per -se vogliamo!- un'identità che è "non identità",
"assoluzione" di confini,
nemmeno dunque -a ben vedere!- identificazione del "mutamento" ma oltre, ben oltre..!

Il viaggio nel profondo della nostra anima, fino a smuoverne l’acquitrinoso fondo, la nostra anabasi personale, credo sia un viaggio da argonauti del profondo… difficile, duro, complesso, terribile. Penso tu abbia ragione: è un viaggio che, una volta intrapreso, deve essere completato… ma porta davvero alla conoscenza di sé, o serve solo a smuovere atrocità sopite: le nostre condanne inconsce, la nostra carne purulenta, la putredine che celiamo alla vista altrui e soprattutto nostra? Val la pena compierlo? Parli di dissoluzione dell’identità ‘uomo’ e di “assoluzione” di confini. Ritengo, interpretando, che tu voglia alludere al fatto che questo viaggio ti offre la possibilità di lambire, toccare e sfiorare i nostri limiti, fino alla totale accettazione degli stessi. Ma io ti dico, se veramente fossimo esseri divini come talvolta - troppo spesso - ho avuto modo di leggere, non dovremmo giungere al cospetto di questi limiti, che sarebbero solo un’estensione delle nostre fallaci capacità di schematizzazione.
O forse ho inteso male le tue parole. Forse alludi proprio al contrario. Forse vuoi dirci che questo viaggio subterraneo, questa anabasi intimistica, dovrebbe disvelarci e dischiuderci spazi illimitati. Non è mia intenzione ora contrapporre arzigogolate sofisticherie pseduointellettualistiche, solo un ‘Ma’, grande come una casa. Neppure il disvelarsi della nostra illimitatezza, del nostro essere essente divino ci libera dal fardello del Male, della Sofferenza, della forza primordiale. Saremmo divini… al più saremmo, quindi, compartecipi (con Dio, cioè con noi stessi) della colpa, del peccato dell’Origine.
Citazione:
Oh,divina Gyta,
non vedi come vaneggiano i comuni mortali?
Parlano di Dio come se non l'avessero qui davanti.
Ma sono ciechi?
Non sanno loro che bastano due parole di Gyta e l'anima è salva?
Non sanno loro che Gyta non è altri che la dea egizia Hator,colei che,con le sue due corna,tiene in equilibrio sul capo il disco solare di Ra ?
Non lo sapevo… ora lo so… ora che so, non so però cosa cambi in noi e per noi. Vedo Dio e non lo vedo. Lo vedo in tutte le sue manifestazioni… ivi compresa la sofferenza che affligge. Non lo vedo nella sua divina indifferenza che osserva il dibattersi della sua creatura per causa della sua creazione, per effetto del male da Lui voluto e creato (se no da chi altri?). Questo Dio si è voluto spogliare di quanto aveva più in uggia e lo ha reso visibile e palese relegandolo, reietto, sulla terra… attribuendone il fio alla sua creatura. Due volte subdolo. Quando si prega Dio dicendo: <…liberaci dal male>, implicitamente s’implora il creatore di liberarci da Lui… per questo la preghiera dell’uomo resta inascoltata…

Un saluto
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