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Vecchio 07-02-2006, 23.26.36   #51
visechi
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Anima ed Ego (fraintendimenti 2^)


Amy Edelstein: Nelle tradizioni spirituali l’ego è visto come una forza negativa; per esempio, come orgoglio o egoismo. Da questo punto di vista, è paradossale immaginare che possa coltivare un atteggiamento di umiltà. Ma sembra che Jung pensasse a due diversi aspetti o stadi di sviluppi dell’ego: uno in cui l’ego, in quando funzione autoregolantesi, ha bisogno di rafforzarsi per aiutarci ad affrontare le sfide del mondo; l’altro in cui l’ego deve farsi umile per permettere all’individuo di scoprire la saggezza più profonda e sottile della vita.
James Hollis: Giusto. Parlando in termini generali, esistono due compiti nella nostra evoluzione. Uno è la creazione di un ego abbastanza forte da poter affrontare la vita, conformandola alle sue richieste [sconvolgente, non ti pare?]. L’altro è avere la forza di rendere umile l’ego, dicendo: “E ora cosa vogliono gli dei da me?”. Questa è una cosa completamente diversa.
Amy Edelstein: Jung ha parlato estesamente dell’ombra. Cos’è l’ombra per lui, e qual è il suo rapporto con l’ego?
James Hollis: OK. La definizione più funzionale di un’ombra è: quella parte di me che mi mette a disagio con me stesso. Subito il pensiero corre a stati tipici come la rabbia. Io non voglio riconoscere la mia rabbia, perché disturba l’immagine che ho di me stesso. Ma molte volte, come nel caso del pittore svizzero, anche le nostre caratteristiche più potenti fanno parte della nostra ombra. Per cui, l’ombra è tutto ciò che sfida la fantasia dell’ego di tenere ogni cosa sotto controllo.
Amy Edelstein: Ovvero, l’ombra può anche includere le nostre caratteristiche positive o quegli impulsi che possono portarci nell’ignoto e forse stimolare la nostra crescita?
James Hollis: Sì, proprio così. Per questo ombra non è sinonimo di negatività. L’ombra è onnipresente nella nostra cultura: nell’indifferenza alle sofferenze che ci circondano, nel peccato di omissione, ma anche di eccesso di zelo ecc. D’altra parte, l’ombra è spesso il luogo dove vanno cercate le autentiche energie creative.
Amy Edelstein: Jung vedeva il male come un complesso di forze dentro di noi? Oppure il male erano le nostre spinte egotiste [egoismo, poi spiega che equivale ad egotismo… stà qui il tuo fraintendimento di fondo…. Parli di Ego tout court, ma non ti rendi conto che dovresti riferire i tuoi accenni ad un Ego malato]e narcisiste portate all’estremo?
James Hollis: Beh, queste sono tutte possibilità. Nel suo libro Risposta a Giobbe, egli parla del lato ombra di Dio, dicendo che tutta la teologia occidentale è stata unilaterale. L’ombra è stata cancellata, nascosta o proiettata su un nemico lontano. Il lato oscuro della divinità è la nostra opacità verso il lato oscuro in noi stessi. Sotto queste dualità le energie vitali sono unite, ma l’ego (e questo è un buon esempio di ciò che l’ego può fare), sentendosi a disagio con l’ambiguità di tutto ciò, cerca di separare le cose: “Io sono buono, tu sei cattivo. La nostra gente è buona, quella al di là dell’Hudson è cattiva”. Cerca anche di creare una scissione nella teologia. Nel monoteismo, cosa fai con il male? Lo etichetti come Satana, l’«avversario» o il diavolo, che vuol dire il principio opposto. E tale scissione è l’ego che cerca di privilegiare la sua insicurezza. Direi che il segno di un ego sano è la capacità di convivere con l’ansia, l’ambiguità e l’ambivalenza (le tre A), senza cercare di risolverle sempre. Infatti, la vita è ansiosa, ambivalente e ambigua: questa è la realtà. E più cerchiamo di risolverla o di dividerla, più ricadiamo in qualche tipo di fondamentalismo (militare, politico, teologico, economico, psicologico) che ha in sé i germi del totalitarismo [che assonanza con quanto da me affermato in precedenza proprio su questo thread … non trovi?]. Gran parte di ciò che definisco fondamentalismo è in realtà un disturbo legato all’ansia, un tentativo di risolverla con un pensiero categorico e facendo proiezioni sugli altri. È un processo molto inconscio, opera di un ego decisamente immaturo. Puoi vedere quanto è importante che l’ego sia forte abbastanza da tollerare queste tensioni [rinforzare l’ego, non dunque estinguerlo, ciò che deve essere estinta è la patologia egotica dell’Ego… siamo distanti mille miglia dalla tua personalissima opinione]. Quando non riesco a sopportarle, le scaricherò su di te. Questa è tutta proiezione. E la proiezione è ciò che l’ego non sta affrontando. Puoi vedere in quanti modi diversi usiamo la parola ego. È possibile dargli una connotazione positiva; non è sempre un ostacolo all’illuminazione. È responsabile della consapevolezza, del comportamento etico e della soluzione al conflitto degli opposti.
Amy Edelstein: Molti psicologi occidentali hanno criticato le tradizioni spirituali orientali per la loro concezione negativa dell’ego. Temono che il risalto dato all’addomesticamento, la sottomissione e la distruzione dell’ego possa impedire un sano sviluppo di quest’ultimo, compromettendo la nostra maturazione di individui. Cosa pensi di questa differenza di opinioni?
James Hollis: Francamente, penso che in molti casi siamo di fronte a una confusione lessicale tra ego ed egotismo[…]



Mi pare che sia sufficientemente esplicativo del fraintendimento di fondo in cui incorri ogni qualvolta ti cimenti in un campo che pare proprio sia alieno dalle tue passioni e dai tuoi interessi.

La teoria della vocazione (vocatus – chiamata) è ripresa e sviluppata ulteriormente da un altro studioso del profondo, tale Hillman che ha introdotto nel panorama scientifico la stravolgente tesi della ‘Ghianda’. Te la riassumo brevemente.
Egli – Hillman – ha introdotto e tenuto alla fonte battesimale una strana ed affascinante teoria che possa spiegare – per me non ci riesce comunque – cosa è la forza intima che ci muove, che ci agisce.
E’ la ‘teoria della ghianda’. Nella ghianda, nel suo cuore, sono contenuti tutti gli elementi vitali che faranno sì che essa diventi albero. La ghianda è già un albero in nuce. La ghianda segue una vocazione naturale, quella di diventare albero… quell’albero, non un altro albero. Per diventare tale, è vissuta da un demone che gli indica la strada, che la farebbe inclinare verso quella direzione e non verso un’altra.
Così è anche per noi umani. Noi siamo già quel che diventeremo fin dall’origine, dalla nostra nascita, e per vocazione intraprendiamo la strada che dovrebbe portarci ad essere quel che già siamo in origine. Ciò che si oppone a questa chiamata o elezione, sono le contingenze, la quotidianità, la vita stessa, l’educazione, la scuola, la cultura che, piuttosto che piegarsi a questa vocazione, piuttosto che agevolarne lo sbocciare, il fiorire e il suo crescere fino alla completa maturazione, al suo moto verso l’alto, verso il destino che l’attende, ad essa – vocazione - si oppongono divenendo così scaturigine della lacerazione che viviamo dentro, dell’ansia che ci percuote, dell’inquietudine che ci dilania [in ciò vi è una netta differenza con Jung, che asseriva che il rapporto dialettico, patologico – quando lo è -, e quindi il dissidio e il disequilibrio siano causati dal dialogo frainteso fra Sé ed Ego].
Altri pensatori, soprattutto di estrazione cristiana, dopo Auschwitz e le brutture dei lager tedeschi, hanno inaugurato o ridato fiato ad un filone tragico della teologia. Filone che sembrava essersi spento del tutto, soggiacente alla speranza escatologica e al messaggio di Cristo. Pensiero tragico che prende le mosse, o si riallaccia all’urlo di Giobbe, profeta e antesignano di quell’urlo ghiaccio che proruppe dal cuore di Gesù sulla Croce: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato”. Cosicché l’ansia, l’affanno, l’inquietudine, la nostalgia, l’angoscia (si parla proprio di angoscia), sarebbero originari ed elementi inscindibili della creazione stessa, in quanto essi stessi caratteristiche particolari del Dio Creatore, e da cui, quindi, l’uomo non può prescindere, non può affrancarsi. E l’anima, ad immagine e somiglianza di Dio, di questa nostalgia, di quest’angoscia non può che farsi portatrice.

Ciao
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Vecchio 08-02-2006, 06.55.53   #52
paperapersa
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grazie, anch1io ero un pò stanca di questi continui
interventi pro Io e contro Ego..
Avevo capito che eri un grande estimatore di Jung.
Anche Assagioli lo era e ha in un certo senso codificato la Psicologia Transpersonale (se si può dire così) in ogni caso offre dei metodi per trovare l'armonia nella vita.
Senza mai trascurare ilcorpo, gli istinti, i desideri, le emozioni
paperapersa is offline  
Vecchio 08-02-2006, 16.53.06   #53
visechi
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Emozioni in Anima

Un amore è un’emozione intensa. Le emozioni galoppano senza morso che le tenga a freno. Qui Anima sembra un fiume che scorre lambendo le rive, accarezzandole.
Ma un amore è anche le rapide che rompono le acque, i mulinelli che creano vortici che inghiottono, che attirano verso il fondo - nel buio - che sono disarmonia rispetto al placido o impetuoso passionale fluire che ha condotto la feluca di giunchi a quel punto del Kaos, fino ad imbarcare acque torbide e tumultuose.

Così sono anche gli altri sentimenti, anche se con caratterizzazioni forse differenti. Da qui sgorgano le emozioni che ci guidano fino a contrastare la vita che di queste ben poco s’interessa.
Sentimenti, emozioni, corpo e linguaggio dell’anima. Noi le avvertiamo, di queste viviamo. Sono queste – le emozioni – e gli altri – i sentimenti – ciò che informano il nostro essere.

Qualcuno afferma che siano entrambi materiali di risulta della nostra attività mentale, ma io non sono affatto convinto che le emozioni e i sentimenti siano nutrimento per la mente, perché in tale evenienza mi domando cosa sia l’amore, quello passionale, quello che si prova nei confronti di un partner, e l’amicizia, cosa sarebbe, altro nutrimento dell’Io, di qualche egoicità che attende come un bandito alle porte che conducono ad Anima? I sentimenti cosa sono, se non araldi, messaggeri, nutrimento, essenza stessa dell’Anima?
Io li percepisco così, come un baluginare di Anima, o meglio, come sue parti essenziali, che si espandono e ritraggono, esaltano e mortificano, che respirano il respiro di Anima e Anima il loro respiro sulla scorta di quel che si vive, ed Anima si ritrae o espande con loro (troppo umano?). Ma se così fosse, e credo sia così, è giustificabile soffrire per un sentimento che è calpestato, è comprensibile dolersi di un amore che svanisce, è più che ammissibile che si patisca per un’amicizia tradita.
Ciò che affermo è facilmente ravvisabile in ciascuno di noi. Chi non ha mai patito per amore, o chi non ha mai sofferto per un amico che piange? Possiamo davvero esimerci da questo patire che sgorga inconsulto e incontrollato dal profondo di noi stessi? E’ Anima che patisce, così come è sempre lei che tripudia per il bello che percepisce, per un paesaggio che ti tocca dentro, per un caloroso e sincero abbraccio di un’amica, per un pianto liberatorio che fa evaporare il peso e gli affanni cresciutici dentro in maniera abnorme nel corso del tempo. Si piange senza una ragione apparente, si gioisce in assenza di uno stimolo esterno ben individuato, senza una vera causa esterna. Allora, in questi casi, ben esperibili da tutti, e da tutti sicuramente vissuti, non è forse da attribuire ad Anima la spinta emotiva che muove?
Una morte non lascia forse un vuoto profondo dentro di noi? Io piango ancora un’amica carissima, sento quel vuoto, quell’assenza. Cosa sono quel vuoto e quell’assenza se non forse la solitudine che patisce Anima per via di quella mancanza che disabita se non altro una sua sezione, una sua parte? Non è che con questo voglia asserire che ciò che ci abita sia composta a sezioni, il mio è solo un modo, forse pedestre, per spiegare quel senso di privazione affettiva ed emotiva che non piaga solo la mente, ma lacera dentro, nel profondo, che violenta Anima e che Anima rimanda come riflesso in forma di patimento, di sofferenza, di dolore.

Credo che noi viviamo momenti, attimi, siamo totalmente presenti a noi stessi solo attimo per attimo, per quello sia l’amicizia che l’amore rappresentano il fotogramma di questo scorrere esistenziale. L’amore e l’amicizia, anche se duraturi, sono passioni che s’insinuano profondamente in Anima (il verbo insinuare non è da leggere in un’accezione negativa, ma nel suo vero significato etimologico, cioè far sorgere nell’animo un sentimento con delicatezza ed accortezza, anche se l’amore più che muoversi con delicatezza di solito irrompe); la pervadono senza corromperla – sempre che non subentrino delle interferenze atte a minare i due sentimenti, tipo la gelosia, Dea distruttrice – ma accarezzandola, recandole sollievo e scaldandola. Noi ci scaldiamo con il calore che questi due sentimenti umani emanano: sia l’amore che l’amicizia sono due condizioni di Anima che inducono gioia e struggimento, ma sempre momentanee, non permanenti. Rappresentano una sosta nel corso della quale Anima si rinfranca o si strugge, per poi riprendere il proprio percorso alla ricerca sempre della medesima cosa. Non si può vivere senza un amore, non si può vivere senza un’amicizia, purché siano entrambi sinceri. Noi oscilliamo nel nostro vagolare fra le due opposte emozioni indotte da questi sentimenti: gioia e dolore. Quando acquisiamo un equilibrio è perché stazioniamo nel mezzo delle due commozioni. Non ho mai creduto ad un amore o ad un’amicizia che non siano anche tribolati. Ma quanto sale, quanto humus, quanto pane e quanta acqua per nutrire la nostra Anima ci sono dentro queste tribolazioni.

L’amore e l’amicizia sono i fili connettori che uniscono le persone, che le mettono in contatto non mentalmente, non fisicamente (non solo), ma soprattutto intimamente. Sono le propaggini della nostra Anima espansa. Per questo quando uno di questi fili si spezza è come se la nostra Anima, e con lei tutto il nostro essere interiore prendessero a vagolare nel buio: soli, senza una meta, senza un senso. Perché l’amore e l’amicizia riempiono di senso – anche solo illusorio, perché no? – il nostro essere terreni, il nostro essere umani, e Anima si ciba e pasce di questo senso. Ciò che la tiene al riparo dalla diserzione dell’amato/a o dell’amico/a è solo la consapevolezza che tutto ha un termine, quindi anche l’amore o l’amicizia possono condurre ad una meta e poi svanire, ma il segno, la traccia di quell’arricchimento permangono sempre. L’importante è essere giunti a quella meta. Solo questa consapevolezza d’impermanenza che viaggia con l’aria consente che il senso di abbandono sia meno pungente, meno acuto, più sopportabile. Subentra una sorta di serenità non rassegnata. Anima sa erigere le sue difese senza rinunciare a riprendere il suo vagabondare, il suo esilio, che inevitabilmente la condurrà ad un nuovo incontro con Amore e Amicizia, perché essa loro cerca.
Io vedo questa scintilla nella luce che si accende in un incontro di anime antropomorfe, non di anime divine.

La nostra vita è un viaggio, il percorso che facciamo è costellato di stazioni. In ognuna di esse noi lasciamo qualcosa, in ognuna di esse noi troviamo ed imbarchiamo qualcosa. Il tratto di strada che ci separa da una stazione all’altra lo compiamo accompagnati da viandanti come noi che, forse, ci abbandoneranno alla prossima stazione, o forse no, continueremo il viaggio insieme…. Ma siamo erranti, viaggiatori, esuli, viandanti, apolidi.
Raggiunta la prima stazione, accompagnati da un amore doloroso e precario oramai quasi svanito – anche se il pungolo in Anima ben si sente -, il cuore si ferma a contemplare se stesso, e s’impone un nuovo tratto di strada per raggiungere nuove altitudini che saranno, penso, rappresentate da qualcosa di nuovo e più vero di ciò che è stato lasciato alla stazione precedente.
Bye
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Vecchio 09-02-2006, 11.42.29   #54
Sweet Cat
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Tutto quello che scrive Visechi è molto interessante...e spiega bene cosa è l'anima...


ma ....chi più chi meno nella propria vita cerca di progredire spiritualmente e tutto questo lo fa lottando tra luce e tenebre per arrivare a essere sempre più consapevoli ..
credo poi che la nosta anima abbia delle aspirazioni nel senso che ambisce alla sua realizzazione... proprio come dice Hillman e tantissimi altri..

mi domandavo però... considerando tutti gli ostacoli che l'uomo deve superare.. e presenti nel mondo materiale..... fino a che punto tutto cio è veramente possibile e realizzabile entro i limiti dell'umanità mortale?
Non è una illusione?
ciao
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Vecchio 10-02-2006, 08.58.20   #55
visechi
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Anima ctonia

Citazione:
Messaggio originale inviato da Sweet Cat
Tutto quello che scrive Visechi è molto interessante...e spiega bene cosa è l'anima...


ma ....chi più chi meno nella propria vita cerca di progredire spiritualmente e tutto questo lo fa lottando tra luce e tenebre per arrivare a essere sempre più consapevoli ..
credo poi che la nosta anima abbia delle aspirazioni nel senso che ambisce alla sua realizzazione... proprio come dice Hillman e tantissimi altri..

mi domandavo però... considerando tutti gli ostacoli che l'uomo deve superare.. e presenti nel mondo materiale..... fino a che punto tutto cio è veramente possibile e realizzabile entro i limiti dell'umanità mortale?
Non è una illusione?
ciao

Hillman s’impose all’attenzione del mondo scientifico internazionale proponendo una teoria innovativa, alquanto originale – almeno per il mondo delle scienze – ed al tempo stesso affascinante, che destò non poco scandalo, ed ebbe il merito di smuovere il paludato mondo del sapere. La ‘teoria della ghianda’ – così è nota – fu esposta con dovizia di argomentazioni nel suo saggio del 1996, intitolato ‘ Il codice dell’Anima’. In esso si asserisce, desumendolo dallo studio e dall’amnesi della biografia di alcuni noti personaggi del mondo della cultura, che la ‘patologia dell’esistere’ sia dovuta e sia diretta conseguenza del dissidio generato dalla dialettica disarmonica fra pulsioni interiori – lui la definisce vocazione del Daimon – e mondo circostante.
Quindi nulla di nuovo sotto il sole. Ma non è così. Il Daimon di cui parla Hillman assume e si riveste di caratterizzazioni affatto umane, istillate in ciascuno di noi ben prima della nascita, andando a ricoprire così il ruolo di vero e proprio demone guida (nell’accezione mitologica greca, cioè mediatore fra mondo empireo e mondo di sotto, abitatore del mondo di mezzo – metaxy) che ispirerebbe ed inclinerebbe l’individuo – non patologico – in un verso e in una direzione anziché un’altra. Si tratta, come ben si può notare, di qualificazioni assolutamente trascendenti, cioè ultraumane. La scienza, perché lui è uno scienziato, pose piede nel terreno occulto della metafisica. Il dissidio, la lacerazione che dilania l’essere sarebbe conseguenza primaria della disarmonia – lui li definisce ostacoli – insorgente nel dialogare fra intimo (Daimon) e ciò che stà fuori l’individuo. E’ quindi determinato da una morbosità relazionale, ed i fattori scatenanti sarebbero principalmente esogeni all’individuo. Hillman propone una versione scientista dell’antica dottrina di Platone narrata nel Libro di Repubblica (il X°, se non ricordo male). Mentre l’uno – Platone – limitò la propria speculazione all’ambito filosofico e della metafisica, Hillman la propone, invece, in un campo del sapere alquanto alieno dal pensiero trascendente.
La sua speculazione affonda le radici nel pensiero e nella speculazione teoretica di C.G. Jung, divergendo da questa principalmente per l’alone di ultramondanità di cui la ricopre, e per via del fatto che Jung ascriveva l’insorgere del conflitto, e, quindi, della ‘patologia dell’esistere’, ad una morbosità più intimistica, ad una disarmonia non collegata, o così smaccatamente collegata a fattori esogeni all’individuo: il dissidio insorgerebbe per Jung precipuamente per causa delle discrepanze rilevabili nella dialettica fra Sé ed Ego [malato]. Quindi un Ego non sufficientemente sviluppato ed autonomo sarebbe per lo svizzero la causa primaria dell’insorgere del conflitto interiore. Siamo qui, come si può notare, di fronte a fattori patogeni assolutamente endogeni, non più esogeni… cioè assolutamente di carattere intimistico.

Pur nel loro divergere, entrambi i pensatori rileverebbero l’esistenza di un’affezione relazionale scatenante il ‘male di vivere’ che si traduce in ansia, angoscia, inquietudine, turbe della personalità ecc… Vi sarebbe, per entrambi, una causa ben individuabile e soprattutto analizzabile nei suoi fondamenti, quindi anche curabile – almeno in parte. Morbosità guaribile tanto negli effetti che nelle cause e nel suo dispiegarsi e rendersi concreta nel vivere quotidiano.

Viceversa, nel mio piccolo (davvero piccolo e di pochissimo conto) sarei portato a credere che la patologia dell’essere sia insita in Anima stessa, che Anima sia la vera morbosità che balugina in ansia, angoscia esistenziale ed inquietudine, traducendosi in dolore e patimento. Anima non è malata. Anima è il vero germe patogeno dell’essere, e non vi sarebbe – sempre secondo il mio modo di vedere – alcuna cura ed alcuna scienza che le possano suggerire un percorso terapeutico che sospenda o alieni da essa il dolore d’esistere. Anima è il dolore dell’essere. Non vi è così scienza – ma neppure religione, ma lo affronteremo in seguito – che possa disattivare i radianti del dolore e del patimento dell’Uomo. Anima è la sua stessa patologia, che patologia in effetti non è, trattandosi della condizione naturale dell’esse in Anima. Il dolore è strettamente connaturato alla vita, così come è connaturato ad Anima. E’ la traduzione intelligibile che noi operiamo scientemente o inconsciamente che colora di tante morbosità uno stato di Anima assolutamente primigenio e Naturale. La sua connessione con la vita, che è turbinio e Kaos, fa sì che sia anch’essa turbinio e kaos, perché nutre la vita e della vita si nutre. La sua disconnessione, o presunzione di scissione dai circuiti erotici e virili insiti nel vortice della vita, determinano l’insorgere di patologie – quelle sì – caratterizzanti esseri ed individui anodini, amorfi e innaturali. Il Dolore è elemento costitutivo della vita, né più né meno del suo omologo contrario. E Anima avverte questo baluginio della vita in Sé, nel proprio nucleo essenziale, nel proprio intimo più recondito. Il dolore, inarretrabile, irredimibile, inespungibile (almeno completamente) – solo attenuabile - informa Anima, così e quanto la informi la propensione alla gioia, alla felicità, all’equilibrio, ciascuno nella propria impermanente condizione e situazione di contingenza. Anima è impregnata dalla volontà di potenza che si oppone a teorizzazioni volte a defraudarla del proprio imperio.

Da qui il dissidio.

Poi è anche facile ritrovare – soprattutto in tanta religiosità di derivazione orientale, spesso anche mal intesa - elementi narcolettici tesi all’anestesia del dolore. Ma si tratta di mera supponenza – anche sul rapporto Anima e religione avremo modo di ritornare -. Seppur il dolore sia un fattore o un elemento imprescindibile della vita, noi, necessitati in ciò dall’esigenza di riportare entro schemi e paradigmi ciò che è occulto, a riordinare il kaos, a concettualizzare l’insondabile, siamo portati ad interpretarlo per attribuirgli un’origine cui fare riferimento per la terapizzazione (sic! Che neologismi del cacchio, ma li lascio lo stesso) dell’uomo. Ecco che ascriviamo il gemito di Anima a fattori scatenanti, l’angoscia esistenziale ad un’insoddisfazione di fondo: non ci rassicura il lavoro, i rapporti con il prossimo sono scadenti o inesistenti o banali, il partner ci fa soffrire. Tutto vero, tutto reale… per carità… chi potrebbe dubitare di ciò? Ma si tratta, pur nella loro rilevante influenza rispetto al nostro essere nel mondo, di rigurgiti del ctonio che ci vive dentro, dell’inferno personale che ci abita, del sole nero che adombra l’anima buia ed occulta che è l’essenza di ciascuno di noi.
Perciò sosterrei che al dolore non vi sia rimedio; che al patimento non sia possibile opporre farmacopee tecnologiche; che al soffrire non sia agevole contrapporre medicamenti evanescenti che tantissima ‘spiritualità’ presume di elargire a piene mani con eccesso di faciloneria. L’insoddisfazione è di fondo, a questa rispondiamo e reagiamo creando l’inconsulto, l’irrazionale, il surreale, il fantasioso, l’evanescente, l’improbabile, l’insania germinatrice di altra insania (ideologie ecc…), e germinata a sua volta dall’insania stessa. Siamo fautori e produttori di circoli viziosi, disegnatori di cani che si mordono la coda nell’improbo tentativo di spengere definitivamente quell’urlo ghiaccio di Giobbe che ha attraversato lo spazio e i tempi fino a giungere a noi: puro, lindo, intonso… tale e quale si produsse allora, immodificato rispetto al suo prorompere imperioso, anche ingiurioso, che fu voce possente allora, e labile eco quasi spento nelle coscienze degli uomini contemporanei.
Anima è ferale, non celestiale, attiene più agli inferi che all’empireo.
Bye
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Vecchio 10-02-2006, 15.38.56   #56
paperapersa
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Re: Anima ctonia

Citazione:
Messaggio originale inviato da visechi
Hillman s’impose all’attenzione del mondo scientifico internazionale proponendo una teoria innovativa, alquanto originale – almeno per il mondo delle scienze – ed al tempo stesso affascinante, che destò non poco scandalo, ed ebbe il merito di smuovere il paludato mondo del sapere. La ‘teoria della ghianda’ – così è nota – fu esposta con dovizia di argomentazioni nel suo saggio del 1996, intitolato ‘ Il codice dell’Anima’. In esso si asserisce, desumendolo dallo studio e dall’amnesi della biografia di alcuni noti personaggi del mondo della cultura, che la ‘patologia dell’esistere’ sia dovuta e sia diretta conseguenza del dissidio generato dalla dialettica disarmonica fra pulsioni interiori – lui la definisce vocazione del Daimon – e mondo circostante.
Quindi nulla di nuovo sotto il sole. Ma non è così. Il Daimon di cui parla Hillman assume e si riveste di caratterizzazioni affatto umane, istillate in ciascuno di noi ben prima della nascita, andando a ricoprire così il ruolo di vero e proprio demone guida (nell’accezione mitologica greca, cioè mediatore fra mondo empireo e mondo di sotto, abitatore del mondo di mezzo – metaxy) che ispirerebbe ed inclinerebbe l’individuo – non patologico – in un verso e in una direzione anziché un’altra. Si tratta, come ben si può notare, di qualificazioni assolutamente trascendenti, cioè ultraumane. La scienza, perché lui è uno scienziato, pose piede nel terreno occulto della metafisica. Il dissidio, la lacerazione che dilania l’essere sarebbe conseguenza primaria della disarmonia – lui li definisce ostacoli – insorgente nel dialogare fra intimo (Daimon) e ciò che stà fuori l’individuo. E’ quindi determinato da una morbosità relazionale, ed i fattori scatenanti sarebbero principalmente esogeni all’individuo. Hillman propone una versione scientista dell’antica dottrina di Platone narrata nel Libro di Repubblica (il X°, se non ricordo male). Mentre l’uno – Platone – limitò la propria speculazione all’ambito filosofico e della metafisica, Hillman la propone, invece, in un campo del sapere alquanto alieno dal pensiero trascendente.
La sua speculazione affonda le radici nel pensiero e nella speculazione teoretica di C.G. Jung, divergendo da questa principalmente per l’alone di ultramondanità di cui la ricopre, e per via del fatto che Jung ascriveva l’insorgere del conflitto, e, quindi, della ‘patologia dell’esistere’, ad una morbosità più intimistica, ad una disarmonia non collegata, o così smaccatamente collegata a fattori esogeni all’individuo: il dissidio insorgerebbe per Jung precipuamente per causa delle discrepanze rilevabili nella dialettica fra Sé ed Ego [malato]. Quindi un Ego non sufficientemente sviluppato ed autonomo sarebbe per lo svizzero la causa primaria dell’insorgere del conflitto interiore. Siamo qui, come si può notare, di fronte a fattori patogeni assolutamente endogeni, non più esogeni… cioè assolutamente di carattere intimistico.

Pur nel loro divergere, entrambi i pensatori rileverebbero l’esistenza di un’affezione relazionale scatenante il ‘male di vivere’ che si traduce in ansia, angoscia, inquietudine, turbe della personalità ecc… Vi sarebbe, per entrambi, una causa ben individuabile e soprattutto analizzabile nei suoi fondamenti, quindi anche curabile – almeno in parte. Morbosità guaribile tanto negli effetti che nelle cause e nel suo dispiegarsi e rendersi concreta nel vivere quotidiano.

Viceversa, nel mio piccolo (davvero piccolo e di pochissimo conto) sarei portato a credere che la patologia dell’essere sia insita in Anima stessa, che Anima sia la vera morbosità che balugina in ansia, angoscia esistenziale ed inquietudine, traducendosi in dolore e patimento. Anima non è malata. Anima è il vero germe patogeno dell’essere, e non vi sarebbe – sempre secondo il mio modo di vedere – alcuna cura ed alcuna scienza che le possano suggerire un percorso terapeutico che sospenda o alieni da essa il dolore d’esistere. Anima è il dolore dell’essere. Non vi è così scienza – ma neppure religione, ma lo affronteremo in seguito – che possa disattivare i radianti del dolore e del patimento dell’Uomo. Anima è la sua stessa patologia, che patologia in effetti non è, trattandosi della condizione naturale dell’esse in Anima. Il dolore è strettamente connaturato alla vita, così come è connaturato ad Anima. E’ la traduzione intelligibile che noi operiamo scientemente o inconsciamente che colora di tante morbosità uno stato di Anima assolutamente primigenio e Naturale. La sua connessione con la vita, che è turbinio e Kaos, fa sì che sia anch’essa turbinio e kaos, perché nutre la vita e della vita si nutre. La sua disconnessione, o presunzione di scissione dai circuiti erotici e virili insiti nel vortice della vita, determinano l’insorgere di patologie – quelle sì – caratterizzanti esseri ed individui anodini, amorfi e innaturali. Il Dolore è elemento costitutivo della vita, né più né meno del suo omologo contrario. E Anima avverte questo baluginio della vita in Sé, nel proprio nucleo essenziale, nel proprio intimo più recondito. Il dolore, inarretrabile, irredimibile, inespungibile (almeno completamente) – solo attenuabile - informa Anima, così e quanto la informi la propensione alla gioia, alla felicità, all’equilibrio, ciascuno nella propria impermanente condizione e situazione di contingenza. Anima è impregnata dalla volontà di potenza che si oppone a teorizzazioni volte a defraudarla del proprio imperio.

Da qui il dissidio.

Poi è anche facile ritrovare – soprattutto in tanta religiosità di derivazione orientale, spesso anche mal intesa - elementi narcolettici tesi all’anestesia del dolore. Ma si tratta di mera supponenza – anche sul rapporto Anima e religione avremo modo di ritornare -. Seppur il dolore sia un fattore o un elemento imprescindibile della vita, noi, necessitati in ciò dall’esigenza di riportare entro schemi e paradigmi ciò che è occulto, a riordinare il kaos, a concettualizzare l’insondabile, siamo portati ad interpretarlo per attribuirgli un’origine cui fare riferimento per la terapizzazione (sic! Che neologismi del cacchio, ma li lascio lo stesso) dell’uomo. Ecco che ascriviamo il gemito di Anima a fattori scatenanti, l’angoscia esistenziale ad un’insoddisfazione di fondo: non ci rassicura il lavoro, i rapporti con il prossimo sono scadenti o inesistenti o banali, il partner ci fa soffrire. Tutto vero, tutto reale… per carità… chi potrebbe dubitare di ciò? Ma si tratta, pur nella loro rilevante influenza rispetto al nostro essere nel mondo, di rigurgiti del ctonio che ci vive dentro, dell’inferno personale che ci abita, del sole nero che adombra l’anima buia ed occulta che è l’essenza di ciascuno di noi.
Perciò sosterrei che al dolore non vi sia rimedio; che al patimento non sia possibile opporre farmacopee tecnologiche; che al soffrire non sia agevole contrapporre medicamenti evanescenti che tantissima ‘spiritualità’ presume di elargire a piene mani con eccesso di faciloneria. L’insoddisfazione è di fondo, a questa rispondiamo e reagiamo creando l’inconsulto, l’irrazionale, il surreale, il fantasioso, l’evanescente, l’improbabile, l’insania germinatrice di altra insania (ideologie ecc…), e germinata a sua volta dall’insania stessa. Siamo fautori e produttori di circoli viziosi, disegnatori di cani che si mordono la coda nell’improbo tentativo di spengere definitivamente quell’urlo ghiaccio di Giobbe che ha attraversato lo spazio e i tempi fino a giungere a noi: puro, lindo, intonso… tale e quale si produsse allora, immodificato rispetto al suo prorompere imperioso, anche ingiurioso, che fu voce possente allora, e labile eco quasi spento nelle coscienze degli uomini contemporanei.
Anima è ferale, non celestiale, attiene più agli inferi che all’empireo.
Bye

può essere qiel che dici tu ma è un aspetto pur sempre parziale
è il pessimismo leopardiano, è la notte buia te lo ripeto mio caro ma non è tutto
perchè è anche la grande musica dei grandi compositori, le creazini artistiche dei grandi pittori e scultori
è la bellezza in tutte le sue forme e in tutti i suoi colori
è visione dell'infinitamente possibile
che porta avanti l'umanità
da quando ha cominciato a crederci.
è gioia e luce nonostante
l'urlo di dolore da cui questa gioia e luce
vengono partorite.........
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Vecchio 12-02-2006, 21.57.17   #57
visechi
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Anima e scienza

La psicologia – scienza che si occupa di studiare Anima – ha di fatto smarrito la strada da cui in origine era partita alla ricerca di un metodo rigoroso che la potesse condurre a sondare il profondo di ciascuno di noi. Ancor più penso che la psicologia non possa mai giungere a perseguire e conseguire lo scopo propostosi in origine.
La psicologia, eleggendosi a scienza, cioè una disciplina rigorosa che si muove all’interno di regole e leggi ferree ed universali, ha preteso di estendere alcune buone intuizioni - che ineriscono più che altro all’aspetto soggettivo e alla sfera personale di ciascuno di noi - alla generalità degli individui, divenendo così supponente. La sua indelicatezza va ben oltre. Ha preteso di oggettivare, come quadro ‘clinico’, cioè come metodo scientifico sia di ricerca che di cura, ciò che di fatto non può essere elemento di anamnesi oggettiva. Le sue regole e il metodo d’indagine, riferendosi a soggetti unici ed irripetibili, non possono essere acquisiti come schemi o paradigmi eternamente validi e soprattutto validi erga omnes.
Questo è il primo dato che si rileva nelle mancanze della psicologia.
La psicologia eleggendosi a scienza, compie e perpetua il misfatto di tutte le scienze, perché queste elevano il metodo che si sono date per l’analisi e la ricerca, a premessa rispetto all’obiettivo che si sono pre-poste di raggiungere. Ciò significa che le risposte che ricercano – tutte le scienze – sono già insite nelle domande stesse. Le pre-messe, quindi le domande, determinano retoricamente le risposte, per cui si trova sempre quel che ci si è pro(e)posti in origine di cercare. In tal senso si tratta non di un dischiudersi di orizzonti, ma pararsi solo un unico orizzonte, quello appunto insito nella domanda iniziale e nell’incipit della ricerca, e non si danno alcuna possibilità di ampliare il proprio angolo di visuale, che non dischiude un’area d’indagine meno angusta, rimanendo così ancorate all’unico spazio visibile dal loro privilegiato- direi anche arrogante - punto di osservazione.

Non vi può essere conoscenza di se stessi perché si tratterebbe di una visione intro-diretta, cioè condotta dall’interno, ed utilizzando i mezzi, cioè le nostre limitate capacità conoscitive, che sono appunto quel che poi in definitiva va a coincidere con l’oggetto della conoscenza stessa. La conoscenza intima di ciascuno di noi non può che essere limitata a quell’eco che sgorga con furore dall’intimo più recondito, ineffabile. Ineffabilità che, alla lunga, dilatando il concetto, convergendo, va a coincidere con quella del sacro. Si tratta in effetti di una sacralità intima che spesso, soprattutto per quanto riguarda le religioni che inclinano verso un Dio Padre, siamo portati a proiettare verso l’esterno – un Dio esterno a noi che si riflette come balugine di luce nel nostro intimo, nella nostra ‘Essenza danzante’ -. In poche parole, per giungere alla perfetta conoscenza di noi stessi, ci avvaliamo degli stessi mezzi e strumenti – intuitivi, riflessivi, meditativi, conoscitivi – che sono poi la sostanza primigenia che c’informa, che foggia tutto il nostro essere. Si tratterebbe così di una visione distorta già dall’inizio. Non si tratterebbe quindi né di modestia o saggezza, né di paura di andare a sondare il profondo ctonio delle potenze, nel fondo dell’anima, ove è il nulla, ma di una bastevole consapevolezza dell’impossibilità di conoscere un sistema - qualsiasi sistema - dall’interno del sistema stesso: un sistema non può conoscere se stesso, ma solo una visione esterna, non interferita da alcunché, lo potrebbe rendere puro per quello che è. Ma in questo caso, trattandosi di uomo che visita se stesso - la propria essenza più pura - attraverso un occhio posto al centro del sistema stesso, la difficoltà di giungere ad una perfetta conoscenza è quanto mai problematica. Un occhio non può vedere se stesso. L’antica scienza degli antichi mostra in ciò molta più saggezza di quanta riesca a mostrarne la protervia dell’attuale scienza di Anima: "Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il suo lógos” (Eraclito)

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Vecchio 13-02-2006, 10.50.55   #58
salvatoreR
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Di tutti i beni che ognuno possiede, il più divino dopo gli Dei è l’anima,
che è il bene più intimo.
In ogni uomo vivono due parti:: una superiore e migliore che comanda,
l’altra inferiore e meno buona che serve.
Platone.

.Quando l’anima riposa in pace che è al di là di qualsiasi comprensione, ogni cosa è percepita come grazia e il cuore trabocca di gratitudine e rispetto per la vita. “Proprio perché l’anima non si lascia ridurre a un concetto, essa è come il vento: uno lo sente, ma non può dire da dove viene né dove Va.”

Vi regalo un grazioso racconto di Valentina Bellavitis:
Mia nuora, tenerissima e intelligente, quando si trova in difficoltà per domande di suo figlio, mi chiede aiuto e, come nonna, è veramente vergognoso non saper la forma migliore della risposta.
Mia nuora oggi mi chiede: "come si fa a insegnare a un bambino che cosa è l'anima? "
Per quanto vada indietro nei ricordi, a me nessuno l'ha spiegato: né i miei genitori, per quanto onesti e cristiani; neanche a scuola; né le buone maestre; né alle superiori durante l'ora di religione. Ma sono invecchiata vivendo la vita quotidiana. Sono vecchia, non il gentile eufemismo anziana: sono vecchia e devo dare una risposta a questo ramoscello tenero e flessibile.

"Bambino mio - volto il palmo delle mani verso l'alto e chiedo aiuto e ispirazione - mettiti da solo in un angolo silenzioso. Non rumori attorno, non radio, non televisione. Elimina ogni altro rumore possibile, anche con la forza della volontà, fino a sentirti solo; tutto solo con te stesso.
Per aiutarti, chiudi anche gli occhi e con le manine schiaccia forte le orecchie. Con il pensiero entra dentro te stesso: dalla fronte, da dove partono i tuoi pensieri, scendi piano piano all'incirca dove senti battere il cuore.
Fermati e concentrati lì, attento al silenzio completo. Non esiste più nessuno vicino e intorno a te. Sei solo e puoi decidere ciò che tu vuoi. Il Signore ha fatto l'uomo libero: puoi essere gentile o prepotente, obbediente o dispettoso, puoi far sorridere la tua mamma o farla piangere. Puoi scegliere di essere come decidi tu. Ma pensaci bene, perché sei tu che decidi e non puoi dare la colpa a nessuno.
A questo punto sentirai una voce dentro di te. Non una voce forte, ma un soffio, un sussurro che sempre più imparerai a conoscere, più farai confidenza con lui....
Quello, angelo mio, è la tua anima. Cercala sempre, ascoltala sempre, non sarai mai solo e sarà lei che ti guiderà e ti aiuterà in tutta la vita."

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Vecchio 13-02-2006, 11.52.53   #59
visechi
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Anima e dolore

Citazione:
Messaggio originale inviato da salvatoreR

"Bambino mio - volto il palmo delle mani verso l'alto e chiedo aiuto e ispirazione - mettiti da solo in un angolo silenzioso. Non rumori attorno, non radio, non televisione. Elimina ogni altro rumore possibile, anche con la forza della volontà, fino a sentirti solo; tutto solo con te stesso.
Per aiutarti, chiudi anche gli occhi e con le manine schiaccia forte le orecchie. Con il pensiero entra dentro te stesso: dalla fronte, da dove partono i tuoi pensieri, scendi piano piano all'incirca dove senti battere il cuore.
Fermati e concentrati lì, attento al silenzio completo. Non esiste più nessuno vicino e intorno a te. Sei solo e puoi decidere ciò che tu vuoi. Il Signore ha fatto l'uomo libero: puoi essere gentile o prepotente, obbediente o dispettoso, puoi far sorridere la tua mamma o farla piangere. Puoi scegliere di essere come decidi tu. Ma pensaci bene, perché sei tu che decidi e non puoi dare la colpa a nessuno.
A questo punto sentirai una voce dentro di te. Non una voce forte, ma un soffio, un sussurro che sempre più imparerai a conoscere, più farai confidenza con lui....
Quello, angelo mio, è la tua anima. Cercala sempre, ascoltala sempre, non sarai mai solo e sarà lei che ti guiderà e ti aiuterà in tutta la vita."


Quel che ode quel bambino è anche il lamento del proprio cuore. La voce che lo guiderà saprà, per sua intima natura, insegnare a quell’angelo sì tanto diafano e delicato, che la vita è meraviglia e stupore, che è gioia irrefrenabile e dolore inarretrabile. Non vi è colpa in Anima, la sua essenza colloquia con la vita in una dialettica che implica la sussistenza degli opposti e delle compossibilità, per cui, frammista alla gioia, alla felicità, allo stupore, traverà anche le tracce dell’orrido, del patimento, del dolore, del terrifico, del Numinoso. La vita detta i tempi, scandisce, come un diapason, i ritmi del proprio respiro o ansito, entro cui Anima confluisce per seguirne il corso oppure per trovarsi sballottata come dentro una corrente impetuosa. Quel bambino, se ascolterà bene, dovrà udire il greve suono del pianto e lo squittio di una dolce risata, come una serenata, li udrà come un rimbalzo fra sponde opposte che delimitano il nostro essere, entro cui fluisce la nostra essenza più vera, quella danzante. Non vi sono solo risa e sorrisi, vi sono anche visi contratti in una smorfia di dolore.

Il dolore è inevitabile, improvviso, atteso. Atteso senza che mai si sappia quando deflagrerà in tutta la sua molestia, ma lo si attende, lo si paventa. Questo è il senso del tragico che noi viviamo come un riverbero: rumors della vita che s’insinua nel profondo della nostra anima sacra.
Quante volte mi sono domandato cosa sia un cuore. Il cuore è lo scrigno magico dei sentimenti. Quanto di più sacro possegga un essere umano. Per quello lo si preserva, lo si tiene occultato alla vista del prossimo, e quando lo si mostra, nudo e puro com’è, lo si fa con ‘timore e tremore’. Non è permesso a nessuno calpestare con zoccoli ossuti il cuore di una persona, perché così si macera quanto di più sacro esso custodisce. Così si profana Anima, non solo la superficie esterna della persona. Chi profana Anima lo fa perché non percepisce in sé l’esistenza di questa materia occulta, o forse perché ha intorno a sé un deserto arido ed inabitato. Ma quante volte abbiamo assistito a chi impunemente si muove con pesantezza improba nelle segrete stanze dell’animo altrui; quante persone sono state macerate nell’intimo perché qualcuno gli aveva calpestato Anima.
Si ama la vita, la si ama tanto da scegliere anche di rinunciarci impiccandosi alla medesima corda che tiene il cuore vincolato ad Anima, al sentimento che lo tiene legato al mondo e alla vita. Ci si attorciglia quell’esile filo intorno al collo, e ci si lascia cadere in fondo al baratro che la profanazione ha scavato dentro Anima. L’empietà dell’empio raggiunge così il proprio scopo. Cosa resterà all’empio di questa sua empietà? Altro deserto, altra aridità che nutriranno quel deserto e quell’aridità di cui il suo cuore calcareo è già colmo, credo nient’altro, neppure l’insegnamento che la sacralità di un cuore non può essere violata.
Poi ci si domanda e si parla di coscienza e consapevolezza:”La consapevolezza è lo stato in cui la coscienza è colta nella sua interezza”. Questo enuncia non so più chi. Io direi che la consapevolezza sia lo stato in cui è colta la frattura e la lacerazione che dilania l’essere, di cui l’insorgere della coscienza è la maggiore responsabile. La coscienza coglie l’uomo in questo limine: fra essere e non essere, ode l’urlo che promana dal profondo e percepisce il senso di tragedia immanente nella vita: sospesa fra eros e Thanatos, rendendo presente e viva questa insanabile ferita, questo squarcio. La musica che sgorga dal profondo è resa viva attingendo dagli scomparti più reconditi dell’anima buia. E’ una musica furiosa e melanconica, dolcissima e ritmata allo stesso tempo; scora e ristora. La musica di Anima è simbolo, ciò, quindi, che tiene coesi gli opposti in una perenne e inesausta dialettica.

Un’amica, una dolce, bellissima, calda amica, una donna morta e risorta, una persona che conosce l’afrore e il lezzo, il profumo e l’effluvio del dolore, mi ha di recente detto cos’è per lei la gioia: “due lacrime per un amico, due per un’amica, e raccogliere in me le loro lacrime in risposta alle mie”. Mai avevo sentito una descrizione così intensa di un evento che spesso scordiamo. La gioia è commozione, è emozione viva tradotta in riso che gronda lacrime. Ho amato quest’amica per ciò che ha trasmesso in me.

Inseguendo capziosità fumose e sofismi asfissianti, abbiamo perso in noi il gusto, il sapore, il profumo di provare una gioia che commuove fino alle lacrime, un’emozione dolce che tracima dagli occhi perché n’è gonfio il cuore. Altro che concetti della mente. Lacrime dolci come ambrosia che sgorgano pure da un cuore puro che sa amare, che sa gioire perché ha conosciuto il dolore, che conosce i sentimenti perché di questi è affamato ed assetato, mai pago. In definitiva, quanto di più aborrito in queste ed in altre pagine di Riflession(i)e.

“L’inverno che cammina nella neve, lascia il passo all’estate, piena di frutti; fugge lo stanco cavallo della notte davanti al giorno che sorge coi suoi bianchi cavalli, perché rifulga la luce; il vento impetuoso cede al vento più mite, e il mare gemente si placa” (Aiace).
Così le tenebre che occupavano la sacra Anima di una persona che amo, tenebre soffocanti per causa dell’infoiata furia di immonde bestie, ora sono squarciate da una calda, seppur flebile, luce… tutto questo durerà fintanto che le due opposte forze non avranno raggiunto l’apogeo, per poi, ineluttabilmente e naturalmente, riapprossimarsi l’una all’altra, per trasformarsi e mutarsi in nuova pena e pianto, come la mattina precede e segue la notte.

Forse è vero: una volta che si è nel fondo del pozzo non resta che la risalita come unica strada possibile. Ma si arriva mai a toccare il fondo di quel pozzo? Ho il sospetto che il pozzo sia un buco senza fondo, e si scivola dentro senza mai toccare la roccia che fermi l’inesorabile scivolare sempre più in fondo.

C’è sempre tempo e spazio per una gioia immensa; c’è sempre l’ombra, tempo e spazio per un dolore immenso.
Questa è la vita: ciclicità, così è anche l’anima pulsante che della vita è un riflesso e suo costituente. Anima ama la vita e paventa la morte, cioè colei che però sa essere germinatrice di nuova vita.

Ciao
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Vecchio 13-02-2006, 13.51.57   #60
paperapersa
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continuo con ammirazione a leggerti e sono felice di averti dato il via! Il tuo è un flusso senza fine in cui riversi la tua ....ANIMA
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