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Quale amore? Quale felicità?

di Domenico Pimpinella – luglio 2007

- Capitolo 6 - Cosa possiamo  fare individualmente e politicamente

Paragrafo 2 - Realizzare individui sempre più autentici

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Dopo aver ricapitolato a grosse linee quando sostenuto nei precedenti capitoli, immergiamoci ora nel tentativo di capire cosa dovrebbe fare praticamente ognuno di noi per avviare una trasformazione interiore verso la crescita di una socialità autentica.
Abbiamo chiarito che cercare di sostituire l’altruismo con l’egoismo non è un rimedio percorribile. Il problema di fondo è come fare uscire l’individuo dall’isolamento in cui si è cacciato. Essere egoisti o altruisti, pensare a se stessi o agli altri, ci fa comunque rimanere dentro uno schema che non prevede la costruzione di nuove forme autopoietiche. In questo caso il ragionamento più pertinente mi sembra quello portato avanti da Max Stirner, il quale ha giustamente rilevato che se la società non ha altra pretesa che quella di rimanere un insieme meccanico, slegato, di individui, non ci sono motivi plausibili per dedicare le nostre cure agli altri, magari privandocene noi stessi. Allora che ognuno pensi a se stesso e, nel contempo, si mettano in atto delle cooperazioni. Mi sembra un ragionamento logico.
Allora perché non lo si è realizzato? Il motivo è quello scaturito dalla nostra analisi: se rimaniamo legati allo schema di un’individualità monolitica è evidente che l’aspetto che emergerà sempre e comunque non potrà che essere quello soggettivo. Ma il solo aspetto soggettivo non è sufficiente per gioire, per essere pienamente felici, ed allora lo si fa crescere, lo si rende dinamico nel modo giusto, e diventa una indubbia fonte di piacere: piacere che, in mancanza di meglio, diventa così il solo obiettivo reale a cui possiamo puntare.
Se tanti riescono a sfuggire ad una tale logica, se non si sottomettono esplicitamente ed incondizionatamente all’edonismo, è solo perché riescono a darsi, spesso grazie ad una robusta fede che sarebbe meglio definire “robusta emotività” che non accetta l’evidenza di certe assurdità, alternative religiose, che magari sono altrettanto o ancora più assurde.
La cooperazione indicata da Stirner quale approccio corretto al problema ha un senso e può essere realizzata solo in un cambiamento di paradigma che preveda l’individualità ambivalente: la realizzazione contemporanea di una stabile “società di cellule” ed un’altrettanto stabile “società di individui pluricellulari”. Solo in questo caso possiamo sconfiggere l’egoismo in quanto abnorme e sproporzionata crescita della soggettività, iniziando a tessere  una fitta rete di relazioni soddisfacenti per tutti che facciano emergere sempre più la nostra autentica natura.

Sulla base di queste indicazioni è sostenibile che ogni singola persona arrivi a strutturare le proprie azioni in maniera da agire diversamente dal modo abituale?
Evidentemente la risposta non può che essere, in larghissima parte, negativa. Le abitudini acquisite sono un volano inerziale talmente potente che per quanto chiare e convincenti le teorie passano come leggero vento sulla realtà. Bisogna dare allora indicazioni più precise, in modo da riuscire ad incidere maggiormente sulle pratiche giornaliere. Il programma non può essere dettagliato, per cui è preferibile dare indicazione di massima, utilizzando magari degli esempi.
Dire, infatti genericamente, “occorre aumentare la socialità e nel contempo diminuire l’egoismo” ha effettivamente poco senso per chi non è abituato a ragionare in termini di ambivalenza, di complementarietà, ma lo ha sempre fatto in termini di ambiguità. Allo stesso modo può avere poco senso invitare le persone a capire se le indicazioni riprese dalla razionalità appartengano alla sfera della emotività soggettiva piuttosto che a quella della emotività sociale, perché, come si è detto, la socialità è stata finora valutata come capacità di relazionarsi, piuttosto che come obiettivo comune da realizzare.
Considerato che le persone mature hanno consolidato automatismi su cui è difficile incidere con una nuova consapevolezza, per puntare a realizzare individui più autentici è preferibile rivolgersi ai più giovani che ancora possono riuscire a mutare qualcosa di sostanziale nel loro modo di essere. Lasciando poi fuori le tante patologie che scompaginano il normale modo di interpretare la realtà e di condividerla, tentiamo di fare esempi concreti su cosa possiamo propedeuticamente fare tutti nel privato, prima di passare alla fase pubblica.

 

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Bibliografia

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