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Quale amore? Quale felicità?

di Domenico Pimpinella – luglio 2007

- Capitolo 6 - Cosa possiamo  fare individualmente e politicamente

Paragrafo 4 - Operare per variare il rapporto soggettività-socialità

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L’esercizio serale di fare un computo delle nostre azioni, dividendole in soggettive e sociali, ha, quindi, lo scopo iniziale di farci mirare a ricostituire quelle condizioni necessarie per ricomporre razionalmente un equilibrio interiore, che è, a sua volta, il requisito indispensabile per poter amare e, dunque, per avvicinarci sempre più alla felicità. Nessun equilibrio interiore è però effettivamente realizzabile se ci vengono a mancare gli altri. L’equilibrio interiore deve instaurarsi tra la necessità del singolo di mantenere inalterate determinate caratteristiche e la necessità di collegarle al mondo esterno in maniera sempre più ampia. Di conseguenza ognuno deve diventare consapevole che non può esimersi dal rappresentare anche un  mondo esterno per gli altri individui.
E’ in questa visione e attuazione interno-esterno che dobbiamo, quindi, realizzare l’indispensabile equilibrio personale, abituandoci, via via, a bloccare quelle azioni che tenderebbero a chiudere maggiormente il cerchio intorno a noi e aprendo a quelle altre che invece possono collegarci con altri “mondi” individuali per diventare partecipi dei loro progetti e delle loro speranze.
Possiamo chiarirci meglio il concetto con l’aiuto di una metafora.
Per poter attraccare in un porto occorre lanciare dalla nave una cima con una certa maestria, ma anche sperare che questa da terra venga afferrata e ancorata al molo. La relazione è, quindi, bilaterale o multilaterale, per cui oltre a lavorare su se stesso l’individuo deve lavorare per diffondere una maggiore coscienza della necessità di realizzare una società che sia molto diversa da quella presa in considerazione finora.
Colui che riesce a prendere coscienza della necessità di invertire la rotta, puntando non più sull’accrescimento della soggettività, dell’egoismo, ma sull’accrescimento di socialità non deve farsi scoraggiare dalla grande, immensa, solitudine in cui probabilmente si ritroverà, sgombrato il campo da tutti quegli individui che rimangono collassati su se stessi, intransigenti ad ogni possibile apertura.
Volendo fare virtù dei difetti che affliggono il nostro tempo, possiamo senz’altro dire che strumenti come Internet possono oggi restringere il mondo in un fazzoletto di terra popolato da esseri dalle esigenze simili. Certo tentare un dialogo a distanza non è la stessa cosa che parlare guardandosi negli occhi con l’opportunità di poter poi agire effettivamente insieme per concretizzare un obiettivo ambizioso come una società. Si può però scovare facilmente il vicino che cova le nostre stesse speranze di realizzare un’esistenza migliore, felice. Tramite Internet ci si può scoprire, parlare, conoscere, ben sapendo che l’obiettivo deve essere perseguito dal costante impegno di tutti.
Se si riesce a  sapere che occorre andare in una certa direzione, non si riesce però a sapere in anticipo dove è ubicata la condizione ideale, dove si trova esattamente quel modo di essere che può promuoverci a soddisfatti e realizzati esseri viventi.
Abbiamo già sostenuto che da soli non si può raggiungere questa condizione, ma in effetti non la si può neppure immaginare. E’ come se per salire su una montagna da cui solo si può effettivamente vedere cosa c’è al di là dell’oggi occorre muoversi insieme. Non c’è altra possibilità!
Solo un continuo e corretto interagire sociale, un continuo miglioramento delle possibilità del dialogo che predisponga gli individui a prendersi cura, non solo empaticamente ma consapevolmente dell’altro, possono trasformarci in creature nuove dotati di immense capacità di amare.
Se tutto l’ecumene, o quanto meno una parte rilevante di esso, riuscisse a dedicarsi consapevolmente alla realizzazione di società sempre più compatte non vi è dubbio che accelereremmo considerevolmente in avanti.
Non lasciamoci però prendere da facili ottimismi. Occorre rimanere consapevoli che allo stato attuale, solo delle minoranze possono essere in grado di attuare scelte così difficili e impegnative. Mancano le adeguate possibilità intellettive! Guardare ad un progetto così grandioso non è sicuramente nelle possibilità di un uomo come quello odierno che non ha grande dimestichezza e autoreferenzialità con il proprio sistema conoscitivo. D’altra parte siamo diventati “esseri scientifici” solo da qualche secolo. Da troppo poco tempo per avere, a corto termine, grosse chances di autopromuoverci.
Il grosso guaio è che non abbiamo troppo tempo davanti a noi per deviare dall’attuale rotta che, attraverso la catastrofe della chiusura, dell’egoismo sempre più spinto, ci sta portando verso una spaventosa catastrofe ecologica.
Dobbiamo indubbiamente accelerare! Ma come?
La soluzione più logica è quella che un gruppo ristretto di studiosi si possa dedicare a tempo pieno all’analisi e alla progettazione di un nuovo destino che potrebbe renderci, se realizzato, davvero orgogliosi di noi stessi. Occorre, quindi, chiamare in prima linea quei non molti pensatori fortemente motivati dalla piena consapevolezza che non può esserci via d’uscita diversa alla grande “crescita egoistica” a cui ci ha avviato la primitiva e rozza razionalità. A costoro vedo assegnato il compito gravoso di cercare tra la folla, tra la “Massa solitaria”, le potenzialità necessarie per riuscire a lanciare e prendere funi. La figura del pensatore che si ritira sulla montagna a riflettere deve essere ristrutturata in quella più moderna del cooptatore di coscienze, di istruttore di sensibilità, allo scopo di organizzarle coerentemente in coerenti razionalità.
L’azione deve essere pensata e realizzata in mezzo agli altri e con gli altri, rimanendo sempre vigili affinché si eviti di finire come il “funambolo” di Nietzschiana memoria.
Meglio servirsi della rete e non lasciarsi adulare da inutili eroismi. L’ottimale sarebbe che ognuno riuscisse ad essere il maestro di se stesso, ma l’esperienza insegna che la divisione dei compiti affida a dei professionisti del pensiero la responsabilità di capire come riuscire a trasformarci.
Il processo è in atto dagli albori della Filosofia, tanto occidentale che orientale, che sta cercando in tutti i modi di buttare dal nido la religione, così come in precedenza vi è riuscita con il mito.
Le coscienze degli uomini sono oramai come vulcani tappati, che alla minima possibilità riusciranno ad esplodere all’unisono, per riversare la loro “lava d’amore” nell’universo.
Se ognuno saprà iniziare la propria piccola rivoluzione individuale, se un folto gruppo di pensatori delineeranno con saggezza le linee guida per coordinare il lavoro collettivo, se gli ultimi sussulti integralisti di coloro che si sono sempre affidati alla religione cesseranno, se accanto al piacere inizieremo a provare sempre più una gioia piena, densa, allora forse il cambiamento nel verso giusto potrà realizzarsi.

 

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Bibliografia

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