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Forza, potenza e potere

Di A. Bertirotti e V. Succi - Marzo 2012

 

Quanto abbiamo utilizzato le parole che danno il titolo a queste brevi considerazioni nel corso della nostra vita quotidiana e quante altre volte le abbiamo lette? Non è certamente possibile fare un conteggio, anche se possiamo renderci conto che, in parecchie declinazioni, questi termini fanno parte del nostro linguaggio comune. Le sentiamo alla televisione con una certa frequenza, le leggiamo, sui quotidiani, le ascoltiamo alla radio, e noi tutti pensiamo di conoscere esattamente il loro preciso significato e, nello stesso tempo, la differenza che le caratterizza.

 

Ecco perché vogliamo ora ragionare proprio su queste tre parole, che noi autori giudichiamo importanti, specialmente all’interno della crisi economica mondiale che stiamo attraversando.

 

Con il termine forza i dizionari di lingua italiana intendono molte accezioni contemporaneamente, e proprio in questa ricchezza semantica risiede una certa difficoltà da parte nostra, e non solo nostra, nella sua utilizzazione sintattica. Se, in effetti, un termine possiede un alto grado di polisemanticità, il rischio di fraintendimento nella comunicazione è alto, e si rende necessaria una situazione accordale preventiva fra gli interlocutori. In altre parole, quando un termine si riferisce a qualche cosa di preciso, quasi inequivocabile, ogni discussione e ragionamento conseguente la comprensione del termine risulta molto più facile, rispetto a quando ad un termine si possono riferire più significati. Se dico “pane”, i riferimenti semantici di questo termine possono, al massimo, entrare a fare parte di due categorie di senso: il concreto, oppure l’astratto, dove, nel secondo caso, il pane diventa una metonimia dell’atto del nutrirsi, che può essere sia di tipo, fisiologico che mentale, rispettivamente concreto od astratto.

 

Tornando al nostro termine, con forza si intendono:

  • Energia, vigore fisico ed intellettuale;

  • Causa che modifica lo stato di quiete o di moto di un corpo;

  • Potenza, impeto, furia, veemenza di un elemento naturale;

  • Determinazione, risolutezza, fermezza morale o di carattere;

  • Coraggio, audacia, capacità di affrontare difficoltà;

  • Potenzialità, possibilità;

  • Truppe, milizie, contingente;

  • Gruppo di persone che svolgono un’attività comune o esercitano potere.

E ci fermiamo qua, anche se potremmo cercare di evidenziare altre definizioni, tutte adatte solo se inserite nel contesto semantico adatto. Vi sono situazioni linguistiche e comunicazioni in cui, però, tale termine si presta a più significati, in grado di coesistere contemporaneamente, come abbiamo detto più sopra.

 

Si prenda, per esempio, l’affermazione: “Siamo in un periodo difficile ed ai cittadini è richiesta una particolare dose di forza per andare avanti”! Quanti possono essere in effetti i significati che siamo in grado di attribuire a questo termine? Tranne qualcuno di quelli appena elencati, si può dichiarare che la maggior parte di essi è accettabile. Allora, su quale base io capisco il vero significato del termine, ossia il senso esatto nel quale colui che lo ha utilizzato intende tale termine?

Non abbiamo che una possibilità, peraltro del tutto umana, visto che siamo noi a possedere il linguaggio sotto forma di parola scritta e parlata: conoscere affettivamente colui che pronuncia il termine. Senza questo tipo di conoscenza, sono facile ad interpretazioni che, seppure legittime e valide, si allontanano dal significato iniziale espresso dall’emittente. E questo avviene quando leggo un libro, magari una prima opera di un autore che non conosco, ma accade in minor misura quando sono al secondo oppure terzo testo di quell’autore, proprio perché comincio a conoscerlo affettivamente, ad entrare in empatia con lui.

Non si vuole certamente negare la parte costruttiva che appartiene ad lettore, il quale, grazie al potere dell’interpretazione, è in grado di applicare alla propria storia personale, come alle proprie circostanze contingenti, i significati espressi nel libro, adattandoli ed anche travisandoli diventando autore egli stesso, in quanto ciò che legge viene rapito allo scrittore e si trasforma in un contenuto che “risuona” della propria storia, dei propri sentimenti, dei propri dolori, ma anche delle proprie gioie che sono sue e sue soltanto. Ci è capitato di dire in passato che il significato di un testo, dunque di un insieme di parole, si esaurisce nella lettura di colui che se ne appropria. In questo meraviglioso gioco del rapporto con l’autore del libro risiede la parte creativa del lettore, il quale mai rinuncerebbe a tale ruolo.

 

Ma, al di là di queste considerazioni, si voleva mettere in luce un altro tipo di questione, ossia la comprensione effettiva del significato delle parole che avviene, secondo noi, solo quando abbiamo stabilito una conoscenza più approfondita con colui che le emette, ossia con la storia nella quale le stesse parole trovano le loro radici.

 

Si prenda ora il termine potenza.

  • Potere o forte influenza, specialmente a livello politico ed economico;

  • Vigore, grande forza fisica;

  • Intensità di un fenomeno;

  • Violenza, vigore di un impatto;

  • Proprietà di fornire determinate prestazioni o certi effetti;

  • Nazione che svolge un ruolo determinante a livello nazionale;

  • Industria che ha un ruolo preminente in un settore;

  • Lavoro compiuto nell’unità di tempo da una macchina;

  • Il numero che si ottiene moltiplicando la base per se stessa per il numero di volte indicato dall'esponente;

Come si può notare, i significati di questo termine sono in parte assimilabili a quello di forza, ma per la maggioranza se ne discostano, evidenziando che il termine si pone all’interno di una scala discendente oppure ascendente di valore. In altri termini, la parola potenza può essere riferita ad una serie pressoché infinita di contesti, all’interno dei quali si vuole stabilire una certa gerarchia, un ordine secondo il quale gli elementi vanno dal minore al maggiore, o viceversa, oppure dal basso verso l’alto, o viceversa ancora.

Insomma, il termine potenza indica qualcosa di più rispetto al concetto di forza, perché con esso si intende qualificare in un certo modo la forza di tale azione.

La potenza è un frutto del tutto interiore, è una potenzialità che può o non può essere esercitata a seconda della scelta individuale di colui che la possiede (e non tutti la posseggono, anzi è un frutto sempre più raro perché richiede una dose di responsabilità individuale e sociale non indifferente). E questa è una differenza fondamentale, che dovrebbe indurci a ragionare ogni volta che sentiamo parlare di potenza al posto di forza, oppure il contrario. L’emittente ci indica intenzioni diverse, visioni del mondo diverse quando utilizza uno oppure l’altro termine. La forza è, in certo senso, un termine più neutro, rispetto a quello di potenza ma anche più dittatoriale in quanto chi esercita la propria forza lo fa per dimostrare che può, che vuole avere un ruolo preminente(e il verbo vuole non è qui messo a caso perché non sempre corrisponde alla capacità reale).

E qui non si vuole affrontare la questione del suono delle parole, ovvero la loro parte significante, rispetto al loro significato, perché altrimenti l’analisi dovrebbe essere molto più approfondita, ma rimandiamo il lettore alla consultazione di un testo fondamentale in questo settore di studi di Adriana Cavarero (1).

 

Si prenda ora, e per ultimo, il termine potere

  • Avere la capacità, la possibilità, il permesso, il diritto di fare qualche cosa;

  • Essere lecito o consentito;

  • Essere possibile o probabile;

  • Esprime un desiderio o un dubbio;

  • Essere efficace, avere forza;

  • Facoltà concreta di fare o non fare qualche cosa;

  • Capacità di influire su persone;

  • Funzione affidata per legge al titolare di una carica;

  • Balia, dominio esercitato sugli altri;

  • Esercizio dell’autorità in un determinato campo;

  • La suprema autorità politica dello Stato;

  • Proprietà di un corpo o sistema di produrre determinati fenomeni.

Come vedete, i significati di questo termine sono maggiori in numero e molto più ampi, nei loro campi di applicazione. Inoltre, come abbiamo detto nel caso del primo termine analizzato, forza, questa ampiezza di contesti in cui il termine può essere utilizzato gli conferisce una certa ambiguità. Proprio questa ambiguità, secondo gli autori di questo breve scritto, rende tale termine particolarmente caro per la gestione delle persone, specialmente quando esse siano collocabili all’interno di un contesto sociale preciso e delimitate da una situazione economica altrettanto vincolante.

In altri termini, l’esercizio del potere può essere tanto visibile quanto invisibile, e forse nel secondo caso il suo grado di influenza è decisamente maggiore, rispetto al primo, che può essere anche monitorato. Per esercitare infatti il potere, ora che abbiamo condotto questa semplice analisi linguistica dei significati dei termini precedenti, non è necessario esprimere forza né potenza, perché il potere, anche se ha a che fare con alcuni significati che sono comuni agli altri termini, si colloca in una sfera semantica molto, ma molto più astratta. Oseremo dire che il termine potere è quello che meglio si configura per rappresentare il funzionamento della mente e non è un caso che

 

“Essere vivi – è potere –
Di per sé – l’esistenza –
senza dote ulteriore
è di già onnipotenza –

 

Essere vivi – e volere!
è avere la capacità di un Dio –
e che cosa sarà chi ci ha creati –
se la finitudine è questa”!

 

(Emily Dickinson, 1863)

 

Ecco perché il potere è ambito da tutti gli uomini di questa terra! Perché esso si nasconde dietro l’apparente fare, l’apparente costruzione delle cose, ma rivela invece il desiderio più recondito e subdolo di avere la capacità di un Dio.

Questa frase, che, secondo noi, si presta ad almeno due interpretazioni, può essere intesa solamente, nell’universo poetico della Dickinson, nel seguente modo: avere la capacità di porsi un Dio di fronte al proprio cammino, e dunque costruirsi la capacità, ossia il potere umano di raggiungere la perfezione, almeno intesa come punto di arrivo perseguibile.

Abbiamo però timore che il mondo attuale abbia inteso per potere, un’altra cosa, ossia l’altra possibile interpretazione della frase poetica in questione: avere la capacità di porsi nel mondo con le stesse capacità di un Dio!

Il conflitto tra le due posizioni circa il termine potere nasce se a questo termine viene attribuito un solo ed unico significato mentre se io parlo di potere politico è chiaro che mi riferisco ad un potere che richiede continue manifestazioni che ribadiscano la posizione di potere dell’uomo politico. Si pensi alle messe in scena di Mussolini sui campi di grano a torso nudo, alle esibizioni di forza fisica, tutte manifestazioni che servivano a supportare il suo potere.

Però se, per esempio, mi riferisco ad un potere subdolo che si nutre della debolezza altrui nei rapporti interpersonali, allora in questo ambito di significato rientra l’interpretazione di potere che non può essere monitorato ma che non per questo è meno coercitivo.

E forse l’attuale rovina di questo pianeta deriva da questa nostra, storica ed occidentale cattiva interpretazione del concetto di potere. Tanto cattiva e insanamente fruttuosa da averne contagiato anche l’Oriente che continua a prendere a modello il peggio di questo strano Occidente.

 

Alessandro Bertirotti e Valeria Succi

 

 

Alessandro Bertirotti, laureato in Pedagogia e diplomato in pianoforte, è scrittore, ricercatore, docente universitario. È l'unico docente italiano di Antropologia culturale che si occupa di Antropologia della Mente.

È socio fondatore e vice presidente della ANILDA (Associazione Nazionale per l'Inserimento Lavorativo e l'emancipazione dei Diversamente Abili) con sede a Milano. È presidente dell'Associazione Culturale Opera Omnia, che si occupa di comunicazione culturale e scienze esoteriche. Fa parte di Comitato Scientifico del Centro Studi Internazionale Arkegos di Roma. E' membro dell'International Institute for the Study of Man di Firenze, dell'A.I.S.A. (Associazione Interdisciplinare di Scienze Antropo-logiche) e della Società di Antropologia ed Etnologia di Firenze. È direttore scientifico della collana Antropologia e Scienze cognitive per la Bonanno Edizioni, e membro della Direzione scientifica della Rivista scientifica on-line www.neuroscienze.net. E' autore di numerose pubblicazioni.

 

Valeria Succi, laureata in pedagogia ad indirizzo filosofico all’Università di Firenze, dopo una approfondita esperienza come insegnante elementare, anche in contesti sociali di grande impegno, è stata a lungo ricercatrice per il Ministero della Pubblica Istruzione nell’Istituto Regionale di Ricerca Educativa (IRRE) della Toscana, seguendo molti progetti e coordinando i gruppi di lavoro in essi coinvolti, su tematiche che si sono estese dalla formazione in servizio alla documentazione pedagogica in rete, alla valutazione e continuità educativa, svolgendo inoltre il ruolo di referente responsabile in numerosi gruppi tecnici finalizzati all’attuazione di piani formativi nazionali.

Attualmente insegna lettere nella scuola superiore di secondo grado ed è professionalmente impegnata,  a livello privato, nella consulenza e nella progettazione di servizi in outsourcing relativi all’analisi di rischio per il settore finanziario.

 

Altre Riflessioni

 

NOTE
1) Adriana Cavarero ha scritto nel 2003, A più voci, Feltrinelli Edizioni, Milano e lei stessa afferma: “Nel mio libro cerco di fare una ricostruzione della storia della voce come una specie di controstoria rispetto alla ben più nota storia del concetto. Faccio quindi giocare, per così dire, la Sirena contro il filosofo”. La fisicità della voce e la sua unicità di appartenenza sono il perno che permette di ancorare il discorso filosofico a una coralità di individualità singole, modulate sull’intesa e sulla dipendenza reciproca.


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