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riflessioni sulla laicità

Riflessioni sulla Laicità

di Donatella Loprieno  indice articoli

 

Riflessioni sulla laicità

Silete theologi in munere alieno   Giugno 2008
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Alberico Gentili - Silete theologi in munere alienoInterruzione volontaria di gravidanza, divorzio, decisioni inerenti le fasi iniziali e terminali dell’esistenza umana, ricerca scientifica, riconoscimento giuridico delle relazioni affettive tra omosessuali, esposizione di simboli religiosi negli spazi pubblici, edifici di culto per i fedeli di religioni diverse da quella cattolica: sono solo alcune delle tematiche che chiamano in causa la laicità facendola tornare prepotentemente alla ribalta tanto nei dibattiti pubblici tanto nelle riflessioni scientifiche. La rinnovata attenzione verso questa attitudine dello Stato costituzional-democratico contemporaneo richiede, fuor da ogni dubbio, di essere indagata nei suoi molteplici aspetti per le ricadute che un suo depotenziamento sicuramente avrebbe sui diritti di libertà e sulla pari dignità sociale delle persone. Ognuna delle tematiche (potremmo dire eticamente sensibili) richiamate sopra presenta, pur se in misura diversa, una dimensione di diritto pubblico e richiede norme di portata generale, cogenti per tutti (credenti, non credenti, diversamente credenti) e, dunque, anche per chi persegua un ethos dissonante rispetto a quello che per gli uomini e le donne di fede è il solo criterio per decidere cosa sia giusto, morale, naturale.
Nel contesto delle discussioni in merito a tali materie, tanto negli ambienti cattolici tanto in quelli (sedicenti) laici è divenuto frequente l’uso di locuzioni del tipo: laicità buona, giusta, sana lasciando sottointendere che, da qualche parte o in qualche momento, vi sarebbe una laicità cattiva, ingiusta, insana. Tale profusione di aggettivazioni certamente non contribuisce a fare chiarezza ed, anzi, ha favorito una attribuzione di significati (una sorta di “ermeneutica della laicità”) tale da far assumere alla laicità connotati diametralmente opposti. Ora, se pure è vero che il concetto di laicità, come modo di essere dello Stato costituzionale moderno e contemporaneo, presenta una endemica vaghezza e non conosce un unico modello di implementazione, da più parti se ne è attestata (o, forse, auspicata) la crisi ‘profittando’ proprio della indeterminatezza e incertezza dei suoi contenuti, della polisemia e della equivocità a cui si presta.
 La laicità, piuttosto, presenta un contenuto inequivocamente giuridico e la edulcorazione della sua consistenza altro non produce se non l’impoverimento del pluralismo che della democrazia resta uno dei principali connotati. Il nucleo minimo ‘indisponibile’ del principio di laicità pretende dallo Stato “equidistanza ed imparzialità nei confronti di tutte le confessioni religiose” (Corte cost., sent. n. 508/2000); impone allo Stato di assicurare pari protezione alla coscienza di ogni persona che si riconosca in una fede, quale che sia la sua confessione di appartenenza e la visione immanente o trascendente dell’esistenza umana (Corte cost., sent. n. 440/1995); richiede ai pubblici poteri di mantenere sempre distinto “l’ordine delle questioni civili” dall’ordine delle questioni religiose. Da quest’ultimo corollario del principio di laicità discende che il sentimento religioso ed il senso di dovere verso di esso che caratterizza i fedeli non possono essere imposti come mezzi al fine dello Stato cui rimane precluso di “ricorrere a obbligazioni di ordine religioso per rafforzare l’efficacia dei propri precetti” (Corte cost., sent. n. 334/1996).
Come può evincersi da queste pochissime notazioni, ad entrare in gioco sono le acquisizioni irretrattabili del modello pluralista e del pluralismo delle fedi e delle visioni del mondo che sono tra le virtù principali dello Stato costituzionale contemporaneo. A voler essere più precisi, invero, occorre ricordare come lo stesso Stato moderno, quale forma di organizzazione del potere politico, nasce sulla premessa fondante e fondativa di vanificare il ruolo della religione come fonte di legittimazione del potere e come collante per una civile convivenza dei consociati. È quantomeno ragionevole pensare che ciò sia accaduto perché le religioni (o meglio le Chiese) non hanno dato sufficienti prove della loro capacità di unire. La scelta dei Costituenti italiani del 1948, in linea con quanto stava accadendo nel resto della vecchia Europa, fu di inserire nella Carta fondamentale, in forma solenne ed indisponibile a qualsiasi futura maggioranza parlamentare, i principi per una rinnovata convivenza basata principalmente sui diritti e sulle libertà e sulla pari dignità sociale delle persone, senza alcuna discriminazione di sorta. Ciononostante le tentazioni temporaliste della Chiesa (storicamente e socialmente dominante) di esercitare una potestas indirecta ovvero una ingerenza su qualsiasi materia coinvolgente profili religiosi, sopite a seguito del Concilio vaticano II, si sono talmente rinvigorite in questo scorcio del nuovo millennio da aver svuotato di senso e di contenuto l’idea della laicità. La carica esplosiva insita nell’idea di uno Stato equidistante dalle confessioni religiose perché sufficientemente in grado di determinare da sé l’etica pubblica, avendo come sua stella polare i principi sanciti nella Costituzione, si depotenzia ogni volta che le gerarchie ecclesiastiche ‘suggeriscono’ ai rappresentati del popolo sovrano i parametri cui commisurare la ‘bontà’ della laicità stessa (come chiedere ai rei di reinterpretare la norma incriminatrice). E si badi bene che non sono per essa rilevanti soltanto le classiche materie in cui la Chiesa ha, da sempre, appuntato la sua attenzione (insegnamento, riconoscimento civile dei matrimoni, famiglia, presenza di ministri di culto nelle istituzioni segreganti, esenzioni fiscali e varie); piuttosto essa tende a farsi portatrice di un ethos generale valido per tutta la società, somministrando ricette per l’immigrazione, le politiche sociali o contro ogni ‘sovvertimento dell’ordine naturale’. La laicità strettamente intesa, ovvero quanto di indisponibile vi è nella sua natura, viene identificata dalle gerarchie ecclesiastiche con il relativismo etico e con il pensiero debole, con lo sfrenato edonismo e l’egoismo individualistico, con il materialismo o con lo scientismo. La libertà di coscienza, il convincimento che valori, fedi, credi sono relativi a chi li professa, sovente vengono spacciati per relativismo etico, per assenza di valori, per indifferenza verso le diverse opzioni etiche.

 

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