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- Raccolta di lettere inviate dai visitatori

 

Comunità virtuali: fenomeno solo del nostro tempo?

Tesina di Giovanni Inglisa

- Esame di stato 2002

 

1.  COSA SONO LE COMUNITA’ VIRTUALI

a.  Introduzione alle comunità virtuali
b.  Le comunità virtuali in dettaglio
c.  Conclusioni ed introduzione all’excursus storico

 

2.  EXCURSUS STORICO

a.  I Pitagorici
b.  I circoli culturali dell’Umanesimo
  I.  Introduzione ai circoli degli umanisti
  II.  Il rituale dei rapporti tra gli umanisti
  III.  Le lettere: come mantenersi in contatto
c.  Cenni a Scapigliatura e Futurismo
d.  La comunità Preraffaellita
  I.  Nascita della Confraternita
  II.  Vita della Confraternita

 

3.  CONCLUSIONI

 

In verità si è soliti dire che un potere
superiore può privarci della libertà di parlare  o di scrivere,
ma non di pensare.
Ma quanto, e quanto correttamente penseremmo,
se non pensassimo per così dire in comune
con altri cui comunichiamo i nostri pensieri,
e che ci comunicano i loro?
Quindi si può ben dire che quel potere esterno che strappa
la libertà di comunicare pubblicamente i propri pensieri
lo priva anche della libertà di pensare…

Immanuel Kant
(Che cosa significa orientarsi nel pensiero)

 

Cosa sono le web communities

 

Introduzione alle comunità virtuali

L’essere umano è un animale sociale: la capacità di comunicare nasce dall’esigenza di condividere con i propri simili non solo informazioni utili per la sopravvivenza, ma anche emozioni, piaceri, interessi. L’avvento delle nuove tecnologie ha facilitato notevolmente la vita di ogni individuo per molti aspetti, permettendo ad esempio di comunicare più rapidamente e a grandi distanze. “Digital living will include less and less dependence upon being in a specific place at a specific time, and the transmission of place itself will start to become possible” [1] diceva Negroponte prospettando un futuro in cui i contatti umani sarebbero stati questione di volontà del singolo e non più di localizzazione geografica. Non solo. “Con il recente sviluppo della tecnologia, il computer ha gradualmente perso la propria centralità, diventando sempre meno un fine e sempre più un tramite per le attività dell’utente” [2]. Oggigiorno la rete Internet , fatta apposta per stimolare le fantasie di una democrazia universale e policentrica [3], è lo strumento principe, oggigiorno, della comunicazione e sta diventando sempre più una piattaforma di apprendimento: ne sono testimonianza la nascita delle cosiddette comunità virtuali e di e-learning ovvero gruppi di persone che condividono un corpo di pratiche, attività, interessi lavorativi e che trovano nel Web l’ambiente per incontrarsi, interagire, condividere esperienze e conoscenze.  Ma a differenza di altri mezzi di comunicazione e incontro, come la televisione o gli stessi portali web, le comunità online sono l’esaltazione dei singoli, non della massa.

 

Le comunità virtuali in dettaglio

Tali comunità possono essere di natura diversa: professionali, di settore, scolastiche. In ogni caso lo svolgimento in rete di attività di comune interesse richiede:

- conoscenze condivise dai membri

- relazioni sociali di tipo collaborativo

Le comunità virtuali, raccogliendo trasversalmente persone con interessi simili, permettono a individui isolati di entrare in contatto con altre persone sviluppando forme di socialità online con una velocità impressionante, a prescindere dalle distanze geografiche o dai gap di età. E se ci sono molti gruppi che si incontrano su internet solo per giocare o chiacchierare, cioè sfruttando la dinamicità della rete afinalisticamente e infruttuosamente, esistono molte communities che si coagulano intorno ad obiettivi comuni e sviluppano progetti precisi, dando luogo a forum virtuali continuativi, dotati di moderatori che controllano e indirizzano le discussioni.

In concreto, tali comunità funzionano sotto forma di newsgroup e mailing lists, anche se possono venire notevolmente implementate dalla presenza di un sito che preveda aree comuni ai membri della comunità. Un interessante caso di comunità virtuale ci viene fornito da Alidicarta.it, portale mantovano di letteratura i cui iscritti pubblicano gratuitamente le proprie poesie ed i racconti, possono intervenire all’interno di forum ed esprimere commenti circa le opere degli altri scrittori in erba.  Anche le reti civiche talvolta possono espandersi e diventare veri e propri punti di ritrovo virtuali, fornendo ai cittadini la possibilità di poter  discutere dei problemi concernenti la propria città, il caso più famoso in Italia è IperBole, la rete civica di Bologna.

Un’altra esperienza di comunità virtuale (ma questa volta la rete è utilizzata ai fini del cosiddetto “Net Learning”) è quella proposta nel ’93 presso la Valdosta State University della Georgia: venne proposto all’università di svolgere un corso di filosofia solo ed esclusivamente attraverso internet. Il corso, durato dieci settimane, attivo 24 ore su 24, ha visto coinvolti 21 studenti sparsi in tutti gli USA, nel ‘96, quando il corso venne riproposto, i partecipanti era 111 e provenienti da tutti i continenti. Ogni settimana veniva assegnato un argomento da un tutor, che veniva poi rielaborato da parte di ogni studente tramite la creazione di pagine web, discussioni online, scambi di opinioni con gli altri partecipanti. Anch’io posso dire di aver preso parte ad una web community: in seguito alla competizione nazionale di fisica a Senigallia, i partecipanti hanno dato vita ad una vera e propria comunità online, i cui membri si scrivono frequentemente per scambiarsi opinioni, ma non lo fanno in forma privata, bensì coinvolgendo tutti gli iscritti: così, le discussioni portano alla luce una miriade di punti di vista e di interpretazioni dello stesso fenomeno, creando dunque, “tramite un processo di generazione dialogico e basato sull’integrazione negoziale da parte dei membri” [4], nuova conoscenza, cioè una rielaborazione e riorganizzazione delle conoscenze provenienti da ogni singolo. “La vera intelligenza”, scrisse Albert Einstein, “non consiste nella conoscenza delle cose, ma nella capacità di creare nessi tra le cose”.

 

Conclusioni ed introduzione all’excursus storico

In realtà, sebbene le comunità virtuali siano un fenomeno sicuramente dei nostri tempi in quanto “virtuali”, non lo sono certo in quanto “comunità”. La storia della cultura occidentale è costellata di comunità di persone che, condividendo gli stessi interessi, decisero di riunirsi in confraternite, cenacoli e accademie sia per incrementare le proprie conoscenze e abilità, sia per difendersi da una realtà che appariva “a-culturale” (esempio classico sono le accademie sorte dopo la Controriforma). Comunità in cui ogni membro aveva gli stessi diritti, la stessa autorità degli altri, erano insomma uniti da una relazione peer-to-peer (da pari a pari) che facilita la comunicazione rispetto alle strutture gerarchiche.

 

I PITAGORICI

 

La vita della comunità pitagorica

Nella seconda metà del VI secolo a.C. sorse nella Magna Grecia (lungo le coste ioniche della Calabria) una nuova scuola filosofica: la scuola pitagorica, fondata da Pitagora di Samo, scuola di cui abbiamo pochissime notizie, solo alcuni frammenti di documenti.

La tradizione fece di Pitagora un uomo leggendario, quasi divino. L’associazione da lui fondata fu una setta mistica (i cui membri erano di estrazione aristocratica) con un intento educativo ed ascetico, caratterizzata dalla pratica dell’ iniziazione e dall’osservanza di severe regole; fu anche un partito politico avverso ai regimi democratici, fu infine un’istituzione scientifico-filosofica organizzata per l’insegnamento e lo sviluppo specialmente della matematica in relazione alla musica: si attribuisce a Pitagora la scoperta che il suono di una corda vibrante varia con la lunghezza della corda stessa.

Ma anche quest’opera rientrava in un programma di vita di tono mistico: la scienza era purificazione dell’anima, liberazione dall’errore e dalla colpa, aveva cioè la stessa funzione delle cerimonie, e il Maestro ne era il sacerdote, il suo insegnamento aveva un carattere sacro e misterioso. Lo stesso contenuto dottrinale del pitagorismo era avvolto da una alone di mistero ed era di possesso esclusivo della comunità, finché uno dei membri (Filolao) non interruppe la tradizione.

La vita della comunità era soggetta a norme rigorose: osservazione del sacro silenzio, riconoscimento dell’autorità dogmatica  (l’ipse dixit), divieto di mangiare carne e fave. Gli iniziati vivevano secondo il regime della comunione dei beni e praticando una serie di riti quali la purificazione e l’esame di coscienza, perseguendo, come obiettivo principale, la rigenerazione morale della società.

 

I circoli di letterati dell’Umanesimo

 

I circoli degli umanisti

“Fu questo un secolo ripieno di uomini che la natura di rado produce, i quali insieme conversavano e erano tutti grandemente reputati; per che allora…tanta differenzia si faceva tra uno che sapesse lettere, e uno che non le sapesse, quanto è da uno uomo dipinto e uno vero” Così Filippo si Strozzi, fiorentino, descriveva il Quattrocento, in particolare il Quattrocento fiorentino.

E’ infatti durante l’umanesimo (primo ‘400) che vanno delineandosi, in particolare nell’Italia centrale, i circoli di intellettuali, ovvero riunioni di uomini colti che hanno come scopo prevalente quello di discutere insieme per far cultura [5]. Tali ristretti circoli esigevano dai propri membri solo una condizione: brillare per conoscenza e capacità negli studia humanitatis, studi che erano ritenuti fondamentali per l’uomo. In altre parole, l’unica caratteristica vincolante che faceva degli umanisti un gruppo peculiare era proprio il loro umanesimo: potrebbe sembrare una tautologia, ma ciò che univa i vari Bruni, Marsili, Cosimo de’ Medici non riguardava corporazioni o università, era il semplice interesse per gli studia humanitatis, che nel XV secolo venivano comparati al ciceroniano otium, un ozio non vizioso o pigro, ma un ozio operoso (in otio meo negotia) ed il più elevato negotium sono gli studi letterari, estranei ai lavori quotidiani.

Oltre all’umanesimo, come afferma il Valla, caratteristiche indispensabili per entrare a far parte dei circoli letterari erano:

 

- la litteratorum consuetudo ovvero la frequentazione di persone di un certo spessore culturale con le quali si condividono una serie di interessi simili (“…che radi erano i dì ch’eglino non si trovassino insieme, per la similitudine dei loro costumi”)

- l’esistenza di un luogo adatto, quale un paesaggio agreste, un interno arredato con gusto antico, una biblioteca, una villa in campagna (famose sono le sedi di ritrovo dell’Accademia Platonica, cioè la villa di Poliziano e la piccola casa di Ficino)

- l’aver a disposizione del tempo libero (temporis otium)

- essere tranquilli d’animo (animi vacuitas) cioè propensi all’apprendimento.

 

Il rituale dei rapporti tra gli umanisti

Apprendiamo dalle Disputationes camaldulenses di Landino che gli umanisti erano soliti incontrarsi in un luogo appartato e religioso, nei pressi di un monastero, attorno al quale si estendevano prati e boschetti: qui, “lontano dalle cure e dalle noie cittadine”, era facile condurre “tipo di vita che si impegna nella ricerca dei grandi problemi” Così, dunque, gruppi di numerosi intellettuali si riunivano in cima ad una collina, ascoltando il canto degli uccelli e il gorgoglio del ruscello, intrattenendosi con sapienti e raffinate riflessioni, allietati anche da accompagnamenti musicali. E’ per questo motivo che i luoghi di ritrovo degli umanisti vennero definiti dal Castiglione “albergo dell’allegria” [6], in quanto le conversazioni significavano per i partecipanti alla “mensa filosofica” un “doppio convito: uno per il corpo, ed uno con cui ristoriamo gli animi nostri” [7]. Pertanto, quando all’epoca si diceva “Accademia ferrarese di Guarino” o “Accademia mantovana di Vittorino”, il termine “accademia” indicava, più che istituti organizzati, circoli di dotti.   Bandita era dunque la pratica dei letterati solitari e forte era la polemica contro  la sterile ascesi, come afferma con veemenza il Bruni: “Mi giova riprendere l’errore di molti ignoranti, i quali credono niuno essere studiante se non quelli che si nascondono in solitudine ed in ozio…”.

 

Le lettere: come mantenersi in contatto

Oltre ai sopraccitati luoghi di ritrovo, gran parte della riflessione e della speculazione degli umanisti avveniva per via epistolare.

Chi scriveva le lettere era un latinista e le utilizzava non solo riflessioni generali ma anche come esercizi di eloquenza ispirati al modello ciceroniano, inoltre, spesso la lettera non veniva inviata solo al destinatario, ma anche agli amici del destinatario, i quali a loro volta ne facevano delle copie, così che alla fine la lettera diventava di dominio pubblico. Le lettere erano tutte caratterizzate da un tono enfatico, declamatorio, e – immancabilmente – adulatorio nei confronti del destinatario: spesso si aprivano con esclamazioni come “vir humanissime et eruditissime” o “gloria imperitura con la quale non può confrontarsi neppure l’antichità” [8]. Tuttavia, sebbene un tono talmente artificioso possa sembrare, agli occhi di noi moderni, privo di genuinità e sincerità, occorre tener presente che le lettere servivano a tenere in comunicazione persone molto lontane e che avvertivano l’esigenza di un sostegno collettivo, come mezzo essenziale per mantenere dei rapporti culturali. E così, oltre alle disputazioni prettamente letterarie, nelle epistole trovavano spazio anche sfoghi d’ira, come quello inviato, in greco, da Poliziano a Bartolomeo della Scala. Le epistole, dunque, non erano soltanto sfoggi di eloquenza epidittica, ma erano legate anche al mondo intimo e familiare di ciascuno dei letterati.

            Quanto alle modalità di scrittura delle lettere (e alle discussioni dal vivo), la dialettica era alla base di tutte le argomentazioni.. Infatti la dialettica era ars opponendi et respondendi, cioè una tecnica di discussione fondata sulle opinioni, che si differenziava dalla dimostrazione logica (resolutio) in quanto doveva convincere, proporre ipotesi probabili.

 

Cenni a Scapigliatura e Futurismo

Per completezza non si possono omettere i circoli degli scapigliati e dei futuristi, che sebbene siano di importanza minore rispetto ai letterati dell’umanesimo, forniscono un esempio di comunità letteraria più vicina ai giorni nostri.

Il primo manifesto del futurismo (1909) segnò la nascita di un movimento (il primo gruppo di ricerca, in Europa, a darsi una efficiente struttura ideologica) che ebbe una fortissima capacità di propagazione ed aggregazione negli anni successivi. I maggiori esponenti in ambito letterario furono Marinetti, Govoni, Palazzeschi; Balla, Carrà, Boccioni e Severini in ambito artistico. L’audacia, la forza dissacratrice del presente, il fervore giovanile contrassegnavano i membri del gruppo (“I più anziani di noi hanno trent’anni…guardateci! Non siamo ancora spossati! I nostri cuori non sentono alcuna stanchezza, poiché sono nutriti di odio, di fuoco e di velocità [9]”).

Anche gli scapigliati costituirono un circolo di intellettuali, tutti accomunati dallo spiccato anticonformismo, dall’accesa opposizione alla mercificazione dell’arte, dall’appartenenza ad una medesima classe sociale (la borghesia) e generazione (erano infatti tutti molto giovani).

 

La comunità Preraffaellita
- The preraphaelite brotherhood -

 

Nascita della Pre-Raphaelite Brotherhood

Il 1848 fu un anno di rivoluzioni in tutta l’Europa, sia in campo politico che economico. Nello stesso anno, in Inghilterra, tre giovani studenti della Royal Academy si riunirono per dare una svolta alla produzione artistica del tempo: i loro nomi erano DG Rossetti, WH Hunt, JE Millais. I giovani, riunitisi in Confraternita nel 1848 dopo aver frequentato The Cyclographic Society (un piccolo club di disegnatori), intesero opporsi all’arte accademica, riacquistare il senso etico  dell’operare dei primitivi e, nel contempo, esprimere i contenuti della modernità: connota le loro prime opere un linguaggio vivido e analitico. Avevano obiettivi artistici sostanzialmente differenti (anche dal punto di vista formale), ciò che li univa per davvero era la loro giovane età, l’entusiasmo, la voglia di ribellione (ispirata dalle diatribe dell’eroico W. Blake) verso l’arte ufficiale e il desiderio di “go to nature”.

Una volta riunitisi, si manifestò il problema del nome della loro “associazione”. “Preraffaellita” fu scelto perché rispecchiava l’ammirazione per i pittori italiani precedenti a Raffaello (anche se nessuno dei tre era mai stato in Italia), “confraternita” perché i tre si sentivano molto uniti e immaginavano, suggestionati dalle origini di Rossetti (era figlio di un carbonaro italiano), la loro associazione come una società segreta. Fu un a vera e propria fortuna per il movimento che John Ruskin, noto critico d’arte del tempo, desse loro il proprio supporto. Egli aveva infatti esortato i giovani asrtisti, in un famoso articolo di “Modern Painters”, a “go to nature in all singleness of heart ... rejecting nothing, selecting nothing, and nothing; all things to be right and good. And rejoicing always in the truth.” Cioè a imitare la natura, senza rifiutarne alcun aspetto. Tuttavia, già dagli anni 50 si concretizzano nella confraternita vistose contraddizioni : da un lato i cultori tenaci e sempre più ossessivi della “truth to nature”, dall’altro Rossetti che cercava di orientare la comunità verso i canoni dell’estetismo (art for art’s sake)

 

La vita della confraternita

Il legame tra i membri della brotherhood era molto forte, anche per il fatto che erano tutti giovani, tant’è vero che Ford Madox Brown, quando entrò nel gruppo, fu osteggiato duramente da WH Hunt perché ritenuto troppo vecchio. La vita della Confraternita inizialmente fu molto intensa: gli artisti si incontravano, discutevano, lavoravano insieme, compilarono perfino una “lista degli immortali” con al vertice Cristo e Shakespeare, e poi Omero, Dante, Browning, etc. Il gruppo divise perfino piccoli studi londinesi di Cleveland Street, Newman Street, Red Lion Square, al fine di vivere a stretto contatto l’intera giornata. La collaborazione fra loro fu talmente stretta che i quadri non venivano firmati a nome del singolo autore, ma con la sigla “PRB”, cioè Pre-Raphaelite Brotherhood.

Aspetto fondamentale della confraternita fu inoltre la presenza di una figura del calibro di DG Rossetti, che divenne un po’ il simbolo del gruppo forse più per la personalità che per aver effettivamente condiviso i principali punti programmatici della Confraternita. Cosa del resto confermata in una dichiarazione rilasciata nel 1868: “E’ stata l’amicizia cameratesca, più che una reale collaborazione nello stile, ad aver unito il mio nome al loro nei giorni entusiastici di venti anni fa”. Nonostante le sostanziali divisioni dal punto di vista stilistico, la PRB riuscì ad esprimere un proprio credo: 1) esprimere idee genuine, 2) studiare attentamente la natura per imparare ad esprimerle, 3) amare tutto ciò che nell’arte è diretto, serio e sentito, escludendo tutto ciò che è convenzionale, inferiore, ripetitivo 4) e, ancora più indispensabile, produrre prima di tutto buoni quadri e buone statue [10]. Con chiari in testa gli scopi e i metodi, i confratelli lanciarono un manifesto rivoluzionario sulla loro rivista “The Germ”  (rivista periodica dalla sfortunata sorte, infatti ne vennero pubblicati solo quattro numeri.

 

CONCLUSIONI

 

Dal breve excursus sono emersi tipi di comunità decisamente differenti, ma analoghe per una caratteristica: la cooperazione che si è instaurata tra le persone che facevano parte del gruppo.            Ma in cosa differiscono queste comunità dalle web communities, e in quali aspetti, invece, si possono ravvisare elementi di contatto?

 

a) differenze

Mentre le comunità virtuali raccolgono membri di ogni età da ogni fascia sociale, e da ogni regione, le comunità analizzate nell’excursus sono molto più limitate da questo punto di vista Sicuramente umanisti, Preraffaelliti e pitagorici erano uniti, oltre che da una comunanza di interessi, dalla vicinanza  geografica: i cenacoli di umanisti in Toscana raccoglievano letterati quasi esclusivamente dall’area fiorentina, i futuristi si formarono anche in virtù del fatto che vivevano la nuova realtà dello sviluppo tecnologico milanese, i Preraffelliti, al fine di ottimizzare la loro collaborazione, condividevano perfino gli stessi studi, i Pitagorici si erano riuniti in una comunità quasi “monastica” caratterizzata dall’osservanza della regola e dalla comunione dei beni. Non solo. Le comunità precedentemente analizzate erano costituite da persone appartenenti  alla stessa classe sociale: i Preraffaelliti erano studenti non particolarmente agiati, i Pitagorici appartenevano all’aristocrazia, gli Scapigliati erano  intellettuali provocatori e contestatori della società, ma pur sempre borghesi, forse gli Umanisti non sono inquadrabili all’interno di una classe sociale, in quanto i letterati svolgevano attività molto diverse tra loro (chi presso la corte, chi nelle biblioteche, etc), certo però tutti vivevano in un contesto simile. Le comunità, inoltre, possono essere condizionate anche dall’età dei membri, un esempio sono i Preraffaelliti, gli Scapigliati e i Futuristi, che vedevano coinvolti solo ed esclusivamente giovani. Altro dato caratterizzante delle comunità “concrete”, in opposizione dunque a quelle virtuali, è la stesura di un manifesto, una sorta di “dichiarazione programmatica” del movimento: le regole del “buon umanista” furono scritte dal Valla, gli obiettivi dei Preraffaelliti vennero raccolti dal fratello di Rossetti e pubblicati su The Germ, FT Marinetti espresse in 2 manifesti idee e tecniche che caratterizzavano il proprio gruppo.

Vicinanza geografica

Età

Classe sociale

Pubblicazione manifesto

Umanisti

Toscana

-

Agiati

Si, v. opera
del Valla

Preraffaelliti

Si, condividono gli studi

Molto giovani

Studenti

Si, a cura di
W. Rossetti

Futuristi

Milano

Molto giovani

-

Si, a cura di
FT Marinetti

Scapigliati

-

-

Borghesi

-

Pitagorici

Vita in comunità, comunione beni

-

Aristocratici

-

 

b) analogie

Comunità virtuali e non, come emerge da quanto finora detto,  condividono l’idea di fondo che la collaborazione deve essere intenzionale e finalizzata a creare qualcosa di nuovo e di superiore alla somma dei contributi individuali. Ciò che distingue una comunità di apprendimento è, infatti, il desiderio di costruire nuovi significati, attraverso l’interazione con gli altri. L’assunto teorico che sta alla base di questo metodo di studio è che l’apprendimento non costituisce il frutto di un percorso individuale, ma si basa su un processo sociale, che implica il dialogo tra pari: ecco perché il Bruni si scagliò con veemenza contro i letterati estranei a i circoli.

            La convinzione è che dal confronto e dal dibattito scaturisca una più profonda comprensione ed interiorizzazione dei fenomeni trattati: ecco perché gli umanisti spedivano le lettere non a un solo destinatario ma a più destinatari e perché adottavano un modello di discussione dialettico. Inoltre nelle comunità di intellettuali, avviene una produzione di cultura con un meccanismo che è l’opposto a quello dell’insegnamento, in quanto:

- tutti sono APPRENDISTI che imparano nuove cose mettendo in discussione le proprie conoscenze

- tutti possono essere INSEGNANTI, spiegando e cercando di dimostrare le proprie opinioni

o infatti, quando nasce una comunità virtuale, molto spesso non viene deciso un leader / moderatore, ma un membro può diventare tale se gli viene riconosciuta, per il suo impegno, la leadership. In altre parole, l’autorevolezza non nasce dal sapersi imporre, ma dalla capacità di conquistare la fiducia degli altri membri.

- tutti possono essere SCIENZIATI, cioè esperti in qualcosa che nessun altro sa fare, quindi produttori di idee originali.

Le comunità virtuali fanno proprie tutte queste caratteristiche (e quindi, da questo punto di vista, la loro struttura è antichissima) ma, grazie alla piattaforma sulla quale si sviluppano (il Web), permettono di migliorare notevolmente, in termini di rapidità e semplicità di comunicazione, la cooperazione tra gli individui. La comunicazione asincrona consente ai membri di un gruppo di lavorare insieme indipendentemente da costrizioni temporali; la comunicazione basata su testo consente lo scambio di messaggi ragionati ed approfonditi e, unita alla possibilità di scambiare file di diverso formato, permette all’utente di utilizzare più forme di rappresentazione delle informazioni; la memorizzazione di tutti gli interventi sul computer consente una continua revisione della comunicazione avvenuta e del lavoro svolto e delle riflessioni effettuate. Inoltre una comunità virtuale non deve, e solitamente non è, una realtà chiusa in sé stessa, come invece accadeva nelle comunità prese in considerazione nell’excursus storico, sia per le barriere geografiche, sia per scelta degli stessi membri. Ad essa possono partecipare, infatti, soggetti esterni, quali per esempio esperti del settore, che, attraverso un collegamento alla rete, possono entrare facilmente in contatto con il gruppo, indipendentemente da dove fisicamente si trovino o risiedano. Per favorire tale scambio di informazioni, sempre più frequentemente le comunità online (e soprattutto quelle scientifiche) assumono come lingua ufficiale l’inglese, come nel XV secolo gli umanisti parlavano in latino.

 

Un punto a sfavore

Resta comunque un problema, a detta di alcuni esperti: le comunità virtuali tendono a esacerbare, più che risolvere, l’atomizzazione e la frammentazione della società moderna, infatti danno ai membri un senso di appartenenza ad una comunità senza però dar loro quel senso di responsabilità che è tipico delle relazioni umane [11]. Inoltre le comunità virtuali funzionano davvero quando nascono per rinforzare una rete di legami sociali che è gia in atto non a livello virtuale ma al livello, per dirla con i termini della sociologia americana, del “face-to-face” [12].

Ad ogni modo, in virtù del fatto che la Rete si sviluppa e si espande a ritmi vertiginosi, si può facilmente ipotizzare una sempre più intensa crescita delle comunità virtuali, sperando però che i rapporti umani non passino in secondo piano e che la Rete venga utilizzata come mezzo e non come fine, per lo sviluppo e la diffusione di culture e non per dar spazio a forme di esclusione e controcultura.

 

NOTE

[1] Nicholas Negroponte, Being Digital – New York: Alfred A. Knopf, 1995, p. 165
[2]
Carlo Galimberti, Realtà virtuale e dialogo: applicazioni della realtà virtuale – dagli atti del convegno “Le Metamorfosi della Comunicazione”, Torino 22 gennaio 1998
[3]
Alberto Berretti e Vittorio Zambardino, Internet, avviso ai naviganti – Donzelli, Roma 1995
[4]
Stefania Manca,Luigi Sarti, Il rapporto tra comunità virtuale e apprendimento, da Comunità in rete e Net Learning
[5]
Vincenzo De Caprio, I cenacoli umanistici in Il Sistema Letterario di S. Guglielmino e H. Grosser
[6]
“Quella casa certo dir si poteva il proprio albergo della allegria, né mai credo che in altro loco si gustasse quanta sia la dolcezza che da una amata e cara compagnia deriva,…” – Baldassarre Castiglione
[7]
M. Ficino, Commentarium in convium
[8] Lettera del Salutati a Petrarca
[9]
Filippo T. Marinetti, Manifesto sul Futurismo – pubblicato il 20/2/09 su “Le Figaro”
[10]
W.M. Rossetti, Family Letters, vol.1, 135
[11]
David Ehrenfeld, Pseudo communities -  Orion, Autunno 1993, pp. 5-6.
[12]
Scott London, Civic Networks, Building Community on the Net www.scottlondon.com/reports/networks.html


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