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Sulla presunta illusione della libertà.

 

Qualcuno afferma che, indipendentemente dal fatto che l'essere umano sia dotato o meno di libero arbitrio, il senso di libertà che accompagna le nostre azioni e le nostre scelte, costituisce una componente fondamentale, stabilita a livello biologico, dell'agire da parte degli esseri umani. In altre parole, anche se il nostro comportamento fosse rigidamente determinato, per condurre una vita normale, avremmo comunque bisogno di sentirci liberi. Se la libertà fosse un'illusione, il sentirci liberi nelle nostre azioni costituirebbe una condizione irrinunciabile per comportarci in modo normale (non patologico). (1)

 

Tale conclusione costituisce l'approdo inevitabile del tentativo di salvaguardare la visione fisicalista della mente umana dalle evidenze contrarie fornite dalla nostra esperienza di libertà. Non potendo negare il fatto che ogni individuo si senta libero, almeno entro certi limiti, nelle proprie azioni, si afferma che tale esperienza è probabilmente illusoria. Ma, affacciandosi inevitabilmente la domanda sul perché l'evoluzione biologica abbia permesso lo sviluppo di tale propensione all'illusione negli esseri umani, si predispone anche la risposta: detta illusione è necessaria per il corretto agire dell'individuo, se non addirittura per l'integrità della sua salute mentale.

 

Sul dogmatismo di tale soluzione è difficile avere dubbi, vista l'impossibilità di produrre prove, sia dell'illusorietà del libero arbitrio, che della "necessità biologica" di tale illusione. Ma questo rilievo è ben poca cosa di fronte agli enormi problemi che esso solleva. Possiamo sintetizzarli nelle seguenti osservazioni:

 

a) Se la libertà fosse un'illusione, non ci sarebbe alcuna necessità di sentirci liberi, perché tale illusione, vissuta a livello soggettivo, non potrebbe comunque avere effetti sul nostro comportamento, dal momento che esso è determinato.

 

b) Se il sentirci determinati, ossia non liberi nelle azioni intraprese, fosse per noi un'esperienza intollerabile, perché avrebbe dovuto svilupparsi una coscienza (che è condizione necessaria per qualsiasi esperienza di libertà)? E per quale motivo la selezione naturale avrebbe permesso un progressivo accrescersi del senso del sé, se tale caratteristica fosse portatrice di un conflitto distruttivo?

 

Di fronte alla difficoltà di offrire risposte sensate e coerenti a tali questioni, in particolare, senza invocare il caso o la creatività ineluttabile delle "proprietà emergenti", si smaschera tutta la carica ideologica di certe posizioni, difese con l'unico scopo di mettere al sicuro da ogni attacco le tesi fisicaliste. Posizioni di questo genere si mostrano del tutto incapaci, non solo di render conto dell'esperienza del libero arbitrio che ogni individuo fa abitualmente nella propria dimensione soggettiva, ma non sono neppure in grado di indicare un qualsiasi ruolo adattativo per la coscienza nella concreta esistenza degli organismi.

 

Davanti a questa incapacità, invece che avanzare spiegazioni pretestuose, sarebbe molto meglio che i fisicalisti si accingessero a una seria opera di revisione dell'intera prospettiva da essi difesa, verificandone la solidità fin nelle più recondite fondamenta.

      Astro Calisi - gennaio 2007

 

NOTE

(1) Cfr., ad esempio, Gerard Roth, Fühlen, Denken, Handeln, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 2001

 

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