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Descrizione di una possibile resa incondizionata

di Riccardo Rossi Menicagli

Scritto, poche ore dopo la strage di Parigi, 14 novembre 2015.

 

Esotericamente molti di noi, tre lustri or sono, nell'accettare comunque di entrare fisicamente nel terzo millennio, rifuggendo quindi qualsiasi personale o generale tentazione di autodistruzione, hanno altresì asserito ed attestato con certezza il rifiuto di contribuire con il proprio intelletto, le proprie capacità creative, le singole attitudini esistenziali e spirituali, nonché le proprie risorse materiali e logistiche, hanno appunto dichiarato il fermo, categorico rifiuto di collaborare od anche soltanto di partecipare all'edificazione evolutiva di questa nuova epoca.

Epoca nuova e logica, ma che ha tuttavia in alcuni di noi, donne e uomini rappresentanti di una umanità sconfitta dal pesante retaggio del secolo ventesimo, ha in noi persone che coerentemente firmano la definitiva, seppure tardiva resa senza condizioni dinnanzi al loro futuro; con l'intento annunciato di essere concreta, cosciente e non retorica, lucida ed incorruttibile memoria del nostro troppo recente tragico passato.

Difatti sentiamo forte in noi il peso di una responsabilità (diretta od indiretta, questo non ha importanza), riguardo alle decine e decine di milioni di esistenze a noi similari e spesso a noi contemporanee, prematuramente (perché in maniera coercitiva e violenta) interrotte nella e per l'assenza di un adeguato disegno etico complessivo che come umanità pure sarebbe stato, anzi era già da tempo e tuttora è, alla nostra portata.

Quindi nonostante che questa splendida opportunità di un disegno etico complessivo sia dunque ancora perseguibile e raggiungibile, decidiamo di non unirci al frenetico, convulso manifestarsi ed estrinsecarsi di questo nobile tentativo, indipendentemente da ogni tipo di forma e tanto meno di contenuto che venga speso e dispiegato per la sua realizzazione.

Questa positiva istanza che si sta sviluppando intorno a noi, consapevolmente sì la rifiutiamo, ma questo rifiuto non ci sconfigge più di tanto, perché non disprezziamo con altezzosità (e come potrebbe essere in nome dell'intelligere umano), la notevole energia che permea e sorregge questa fanciullesca istanza insita nell'accomunabile (ma da noi come detto volontariamente ignorato) anelito rivolto verso i misteriosi, futuribili anni che inarrestabili ci sovrastano.

Anni a venire carichi di un sincero, irradiante vigore, frutto però questo vigore, coscientemente od incoscientemente di una crepuscolare, impietosa memoria che si astrae schizofrenicamente dai tanti olocausti perpetrati e dall'atto più inauditamente antiumano che l'umanità abbia mai visto e sopportato: ovvero l'esplosione dei due ordigni nucleari su Hiroshima e Nagasaki.

Noi per questo sapremo vegliare e soprattutto sapremo spietatamente ricordare e descrivere a chi vorrà interpellarci, l'inumana, bestiale crudeltà, ma anche talvolta, va detto e considerato in parziale compendio, la straordinaria bellezza di molti di quegli stessi giorni trascorsi in quell'inaudito ed irripetibile ventesimo secolo.

Le nostre memoniche descrittive immagini non saranno sbiadite dal tempo o da visioni parcellizzate in bianco e nero: le nostre immagini rimarranno pregne di quegli stessi nitidi colori che da sempre accompagnano ed accompagneranno eccesso e ragionevolezza umana, brutalità e tolleranza, disprezzo ed amore, vita e morte.

Cercheremo perciò di essere delle fonti da cui liberamente attingere e la cui linearità morale ci proteggerà il più possibile dalla costante insidia presente nella costruzione di una verità alternativa, ma pur sempre verità, perché costituita dalla tangibile, dinamica realtà che può scaturire anche dal voluto errare e/o dalla voluta finalizzata mistificazione.

Nel nome di questi intendimenti è assolutamente necessario che l'umanità che si è formata nel corso di questo inaudito, tremendo, incredibile e speriamo irripetibile ventesimo secolo, appunto dopo tre lustri di permanenza nel nuovo millennio, si arrenda, firmi finalmente, nostro tramite, la definitiva resa mai realmente siglata, dinnanzi, al cospetto del suo logico superamento che poi costituirebbe il suo stesso auspicabile, incalzante futuro.

Sorgono consequenziali ed ineludibili alcuni quesiti.

 

Siamo noi, umanità contemporanea, disponibili a compiere tale indispensabile gesto?

 

Avvertiamo, sì o no, il peso degli spaventosi, enormi, consapevoli errori commessi?

 

Siamo noi veramente disposti, privi di titubanze, ad arrenderci per ammettere senza equivoci tutte le nostre colpe?

 

E, nell'umiltà, la resa è davvero talmente e totalmente incondizionata da renderci anche solo teoricamente possibili agnelli sacrificali di fronte al tentativo di costruirne una nuova, più edificante dimensione etica, dimensione dalle risultanze ancora imprevedibili, ma in ogni caso un tentativo da compiersi, dandone corso e concretezza a qualsiasi costo e quanto prima?
Un tentativo da svolgersi fino in fondo per sanare la indescrivibile gravità di questo debito, ribadendo e dimostrando di rispettare la crepuscolare memoria e nel contempo la irradiante energia di cui sono pregni gli anni che inesorabilmente, anche senza la richiesta di un saldo finale ed anche senza di noi, si dipaneranno.
Ed ancora, se si considera, in forma individuale e tuttavia generalizzabile, la vita e la morte, il ventesimo secolo può essere legittimamente definito il secolo dell'abnorme scempio. Non per le nuove caratteristiche tecniche con le quali l'enorme carneficina è stata sviluppata (con ulteriori caratterizzazioni di crudeltà assolutamente invece non nuove nella storia del genere umano, anche se tecnicamente abbaglianti), ma per le proporzioni, appunto quantitative, che ha assunto il compiuto compiersi dello scempio medesimo.

Come non considerare, per esempio, che dentro la spaventosa mattanza umana della seconda guerra mondiale, il sistematico bombardamento delle città da parte di tutte le parti belligeranti causò milioni (milioni!) di morti?

Non erano questi bombardamenti di civili inermi, terrificanti e scientemente mirati atti di terrorismo?

Ed in quest'ottica il singolo episodio terroristico più atroce ed inumano che l'umanità abbia mai concepito e concretizzato, non fu il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki?

Il ventesimo secolo ha visto l'olocausto armeno, sovietico, quello gigantesco dell'etnia ebraica, quello cinese, coreano, quello cambogiano, ruandese e una miriade di altri olocausti di minore entità quantitativa (come per esempio le macabre stragi accadute nel mondo slavo mentre noi italiani e non solo, si faceva il bagno d'estate sulle comuni rive del mare adriatico).

Ma fermiamoci qui in questo triste elenco e consideriamo piuttosto che in tutta questa attuale, presunta, rapida globalizzazione è riemerso e riemergerà sempre, l'antico, invincibile senso dell'appartenenza insito, quasi geneticamente, in ogni gruppo umano. Per cui è importante non supplire alla ripetitiva, eppure sempre inattesa, frammentazione che scaturisce dall'ancestrale calamitare di tipo etnico, religioso, sociale, politico, economico, non supplire dicevo con progressivi accorpamenti, fusioni di codesti elementi tra di loro, come per incanalare e cercare di semplificare lo schema di un intricato groviglio che si vuole a tutti i costi dipanare. Non bisogna disperdere preziose energie nel tentare di allargare, magari pure coercitivamente, dei confini territoriali ed interni di queste concentrazioni umane, ingigantendole, indipendentemente dalla loro natura più o meno tangibile ed effettiva.

La varietà delle irrazionalità potenzialmente a disposizione di ogni singolo individuo o la forza del dispiegarsi di inaspettati vessilli, saranno sempre tendenti, in fondo, a rifrantumare nuovamente qualsiasi formidabile organismo costituitosi.

L'ipotesi azzardabile allora, per cercare di ovviare a tutto questo, è quella di dilatare le proporzioni, in maniera inattesa ed incredibile, dello stesso senso di appartenenza appena citato.

Lanciare cioè, con coscienza anticipatrice (quindi prematuramente, ma nel nome di un tentativo etico che ora è indispensabile svolgere per poter scongiurare gli ennesimi drammi che si annunciano) e cercare di imporre, anche con atteggiamenti culturali perentori, un senso di appartenenza etnico, dilatabile e complessivo riferibile alla specie umana nella sua totalità nei confronti dell'unico vero mistero che noi tutti circonda e che paradossalmente, sì, ci stimola, ma anche simultaneamente ci opprime: e cioè la grandiosità dell'universo che abbiamo intorno a noi e che ci sovrasta (soffocandoci e limitandoci, se non sapremo riconoscersi reciprocamente e velocemente soltanto in esso).

Tentando infine di istillare l'assoluta convinzione che la solitudine e l'uniformità della nostra pochezza di individui dentro lo smisurato alveo dell'umanità, altro non è che la distinguibile, peculiare base di un comune amalgama, persino morfologico e perciò interrazziale, al cospetto della misteriosa vastità e potenza di ciò che ci circonda e che ci rende reciprocamente infinitesimali e vulnerabili.

 

Riccardo Rossi Menicagli

14 novembre 2015 - Scritto, poche ore dopo la strage di Parigi


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