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Dichiarazione Universale dei Doveri Umani.

 

Nel sessantesimo anno di vita della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ringraziando di cuore tutti coloro che lavorarono e tuttora lavorano per affermare tale straordinaria serie di riferimenti sociali, mi permetto di esprimere l'augurio che la società, con uno speculare provvedimento, ristabilisca presto un necessario equilibrio tra Diritti e Doveri.
Notiamo infatti che, se una particolare predominanza d'attenzione debba essere tuttora condotta sui diritti in quei Paesi che meno li hanno sviluppati, in quegli altri Paesi in cui la politica dei diritti si è già ampiamente affermata necessita urgentemente uno riequilibrio da realizzarsi innanzitutto con l'identificazione e poi con l'affermazione dei doveri fondamentali dell'essere umano.
Nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani c'è già un riferimento alla responsabilità personale, affermando essa che ogni individuo ha dei doveri verso la comunità. Tuttavia di ben altra chiarezza e sostanza c'è bisogno oggi e ben lo vediamo soprattutto nel nostro stesso Paese. Ad una cultura comune del diritto urge si affianchi una cultura personale del dovere di pari peso e spessore.

 

Le cose stan così: i diritti conducono un indifeso essere umano ad essere salvaguardato dalla società. Nell'acquisire questo nuovo status civico, la persona, se desidera che la situazione sociale in grado di garantirgli diritti si mantenga a lungo, è tenuto a farsi carico di altrettanti doveri. Altrimenti non v'è dubbio che la società, dapprima lentamente poi sempre più velocemente, inizierà a degenerare finendo per tornare in una condizione caotica in cui entrambe le parole: diritti e doveri avranno perso ogni valore.
Dallo sviluppo di questa consapevolezza deriva appunto la necessità che ad ogni diritto corrisponda un preciso dovere, soltanto l'equilibrio proveniente dalla completezza della visione potendo far sì che la società trovi una felice condizione. E così, ad esempio, se l'Articolo 18 della succitata Dichiarazione più che giustamente proclama la libertà di pensiero, all'Articolo 18 della corrispondente nascenda Dichiarazione Universale dei Doveri Umani si legge che ogni uomo, ogni donna ha il dovere di adoperarsi al fine di verificare da sè che ciò che egli/ella pensa sia corretto, giusto, logico, utile oppure no.
Se è funzionale e meraviglioso godere della libertà di pensiero e di espressione, proprio grazie ad essa anche chi qui scrive potendo dire la sua, è altrettanto funzionale e meraviglioso che ognuno prima di far uso di quel diritto si faccia carico del corrispondente dovere di verificare la bontà di quanto intende affermare, esaminandone da solo lungamente fondatezza e concordia con le più avanzate (non arretrate, ripeto: avanzate) conoscenze umane, nonché eventuali limitatezze e possibili omissioni o, peggio, subordinazioni a schieramenti di pensiero che solo nella forza bruta, fisica della massa ignara che lo sostiene trovano ancora modo di esistere.
Solo così, solo evitando di propalare fesserie, menzogne od omissioni, solo astenendosi dal fare confusione, solo affermando principi che si reggono per propria validità e non per la forza numerica di chi li afferma, si può evitare di creare conflitti con altri che non possono evidentemente che pensarla diversamente e si può esser certi di aiutare il fondamentale principio democratico a mantenersi in piedi ed in buona salute.

 

E se l'Articolo 16 della già esistente Dichiarazione sancisce per ognuno il diritto di fondare una famiglia, l'Articolo 16 della stilanda Dichiarazione sancisce invece il dovere di verificare se sia il caso oppure no di riprodursi per il bene dello stesso nascituro, del genitore o della società. Ed in effetti come può oggi una persona intellettualmente matura non farsi carico, in un'epoca di così grande sovrappopolazione locale e globale, di diffuso inquinamento e generale esaurimento delle risorse, con conseguenti forti pressioni destabilizzatrici, pensare di far un figlio sapendo che proprio questi per primo ne subirà le conseguenze? E se ancora non si fosse intellettualmente maturi, perché piuttosto non ci si impegna ad arricchire e migliorare la propria personalità, ad aumentar in numero e qualità i propri pensieri, piuttosto che replicare la propria ignoranza trasmettendola ai figli?

E mentre l'uno Articolo 23 asserisce il diritto al lavoro, l'altro Articolo 23 asserisce l'esistenza del dovere di NON lavorare, per meglio dire: di non perseguire un reddito, in caso si possa farne a meno, bensì di dedicarsi appunto allo sviluppo della propria personalità, sensibilità e cultura. In modo tale da agevolare tanto un'equa distribuzione dei redditi quanto una evoluzione interiore personale e collettiva oggi assolutamente necessaria, proprio la generale arretratezza culturale (anche tra noi Progressisti la situazione è spaventosa, la cosa essendo ancor più grave) costringendoci oggi nelle tristi condizioni che ben conosciamo. Il dovere di NON lavorare esistendo, oggi, anche perché gran parte delle attività economiche del nostro sistema non solo non sono utili ma persino dannose!

 

E così, integrando uno dopo l'altro diritti e doveri, notiamo ciò che è all'origine non solo di questo ma anche di ogni altro disequilibrio concettuale e della conseguente totalità dei nostri mali. Questa causa oscura, che dal buio dove essa s'annida abbrutisce l'intero mondo, è l'infausta pratica del monoteismo che ci affligge non solo con specifici dogmi superstiziosi ma anche con una generale infantile cultura monoideistica basata su un pensiero a senso unico che mai si spinge sufficentemente a lato od in avanti a vedere i nefasti effetti che da esso derivano od a scorgere le grandi opportunità che esso, ahinoi, fa andar perdute.
Con ciò non potendo non impegnarci tutti, con l'irrefrenabile gioia di chi si libera da catene millenarie, nello sviluppo teorico e nella pratica di un pensiero moderno che si espanda ampio nello spazio e lungimirante nel tempo, che abbia bene a mente il carattere duale ed allo stesso tempo infinito della realtà di cui siamo parte e che rispetti pienamente ogni principio della logica e brilli di ragionevolezza, potendo così illuminare di chiarezza ogni più piccolo spazio e tempo del nostro vivere.

 

La regola fondamentale della vita è di una semplicità assoluta: fa la cosa giusta e ne avrai un gran bene; fa la cosa sbagliata e gran male te ne verrà. Se questo è valido per l'individuo a maggior ragione lo sarà per la società. Noi tutti cosa gradiamo? Del bene o del male?
Diritti e Doveri per tutti, allora, e mai più si segua un pensiero a senso unico. Mai più muoviamoci con un biglietto di sola andata, bensì quando partiamo per una riflessione dotiamoci sempre di un pensiero d'andata ed uno di ritorno.

 

Con viva cordialità, grato per l'attenzione,

 

Danilo D'Antonio
Laboratorio Eudemonia


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