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- Raccolta di lettere inviate dai visitatori


Spunti di Riflessione

di Marco Biagioli

Semina un pensiero

 

 

Semina un pensiero e raccoglierai un’azione,
semina un’azione e raccoglierai un’abitudine,
semina un’abitudine e raccoglierai un carattere,
semina un carattere e raccoglierai un destino.
C. Reade

 

Sia in Oriente che in Occidente, è possibile ravvisare un cammino che, nel corso dei secoli, ha portato l'umanità a incontrarsi progressivamente con la verità e a confrontarsi con essa. E un cammino che s'è svolto — né poteva essere altrimenti — entro l'orizzonte dell'autocoscienza personale: più l'uomo conosce la realtà e il mondo e più conosce se stesso nella sua unicità, mentre gli diventa sempre più impellente la domanda sul senso delle cose e della sua stessa esistenza. Quanto viene a porsi come oggetto della nostra conoscenza diventa per ciò stesso parte della nostra vita. Il monito Conosci te stesso era scolpito sull'architrave del tempio di Delfi, a testimonianza di una verità basilare che deve essere assunta come regola minima da ogni uomo desideroso di distinguersi, in mezzo a tutto il creato, qualificandosi come «uomo» appunto in quanto «conoscitore di se stesso». Un semplice sguardo alla storia antica, d'altronde, mostra con chiarezza come in diverse parti della terra, segnate da culture differenti, sorgano nello stesso tempo le domande di fondo che caratterizzano il percorso dell'esistenza umana: chi sono? da dove vengo e dove vado? perché la presenza del male? cosa ci sarà dopo questa vita? Questi interrogativi sono presenti negli scritti sacri di Israele, ma compaiono anche nei Veda non meno che negli Avesta; li troviamo negli scritti di Confucio e Lao-Tzu come pure nella predicazione dei Tirthankara e di Buddha; sono ancora essi ad affiorare nei poemi di Omero e nelle tragedie di Euripide e Sofocle come pure nei trattati filosofici di Platone ed Aristotele. Sono domande che hanno la loro comune scaturigine nella richiesta di senso che da sempre urge nel cuore dell'uomo: dalla risposta a tali domande, infatti, dipende l'orientamento da imprimere all'esistenza. “Io sono la via, la verità, la vita” Gv 14,6. (tratto da Fides et ratio - 1998)

Il mondo premoderno si focalizza sulla verticalità. E’ guardando verso l’alto, verso il cielo, che l’uomo trova sé stesso, si realizza compiutamente. Solo con l’avvento dell’epoca moderna l’attenzione si sposterà di nuovo dall’asse verticale (uomo-Dio, inferiore-superiore) a quello orizzontale. L’uomo moderno abolisce infatti il cielo come sede simbolica dei valori e si pone al centro dell’universo. Anche l’arte lo testimonia in modo esemplare: non più crocifissioni e ascensioni, che fissano sulla tela il concetto di verticalità. Leonardo affresca Dio a fianco dell’uomo, seduto accanto a lui in una Ultima cena che si sviluppa totalmente in senso orizzontale, paritario. Il colloquio con Dio è stato quindi nuovamente sostituito da quello con la propria dimensione interiore. Per realizzarsi bisogna guardarsi dentro. L’uomo che realizza se stesso è quello che non subisce passivamente il ruolo che gli viene imposto dalla società ma dialoga con il proprio sé e gli presta ascolto.

E’ universale, soprattutto nei giovani, l’esigenza di svilupparsi, il bisogno di apprendere, di scoprire il mondo e, di conseguenza, di scoprire noi stessi, utilizzando fino in fondo le forze che abbiamo a disposizione e che abitano nel nostro essere. “L’altro è il mediatore indispensabile tra me e me stesso”. Sartre

Nei paesi occidentali, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il “mal di vivere” sarà una patologia in fortissima espansione. E’ come dire che dove arriva la nostra mentalità, i nostri modelli, le nostre mode, i nostri miti, il consumismo ecc, arriva l’infelicità. Per parlare di qualcosa di pratico, presentiamo una metafora tratta dal libro di C. Casula: Giardinieri principesse e porcospini.

 

“La torre dei propri limiti”

 

C’era una volta una principessa che, pur sapendo di dover diventare regina, non sa bene  che tipo di regina vuole essere. Sua madre è solo una semplice regina di campagna e lei ha delle aspirazioni diverse. Si sente importante. Pensa di saper fare tutto, di volere tutto, di poter essere tutto. Ma ogni volta si scontra con i suoi limiti. E questo non le piace. Preferisce pensare alle infinite possibilità. In fin dei conti è una principessa. Tuttavia non riesce a fare ciò che vuole.
Decide allora di andare dal vecchio saggio per chiedere consigli. E il saggio le risponde che per scoprire le sue vere potenzialità e possibilità deve prima conoscere i suoi limiti: La principessa è disposta a tutto e volentieri affronta il lungo viaggio sino a quando arriva alla torre dei limiti.
Al primo piano la principessa entra in una stanza che contiene cibi caldi e freddi, vestiti leggeri e pesanti, amache, letti e giacigli. La vista di questi semplici oggetti le fa considerare che la prima limitazione è data dalle necessità del corpo: ha bisogno di mangiare, di bere, di riposare, di coprirsi. E’ un corpo che soffre la fame e la sete, il caldo e il freddo, la stanchezza, il sonno. La visita a questo piano le fa capire che deve rispettare le esigenze del corpo e dargli ciò che lo mantiene sano, integro, ciò che le consente di rimanere vitale più a lungo possibile.
Completata la visita al primo piano si reca al secondo per trovare una stanza piena di strumenti che servono ad amplificare il potere degli organi di senso: da semplici occhiali a binocoli, microscopi, telescopi, radar; dal semplice cornetto acustico al telefono, radio, televisione. Si aggira affascinata nello scoprire di quali e quanti strumenti può avvalersi per vedere meglio, da vicino o da lontano, per poter sentire e ascoltare meglio. Scopre che  suoi sensi sono limitati, parziali, soggettivi. La visita a questo piano la rende consapevole dei limiti delle sue percezioni e le fa capire l’importanza di cambiare prospettiva e l’utilità di avere tanti strumenti a disposizione. Meno male che ci sono, pensa, e avverte l’importanza dell’usarli bene, quando se ne ha bisogno per espandere le proprie percezioni limitate.
Completata la visita al secondo piano la principessa sale al terzo, dove incontra diversi mezzi di locomozione, dalla prima semplice ruota  del carro a pattini, tricicli, biciclette, motorini e moto, automobili, treni, barche, transatlantici, aerei, missili. Il suo pensiero va alla velocità dei suoi passi e si chiede di quanti giorni, forse anni, avrebbe bisogno se volesse andare, a piedi, dall’altra parte del mondo e di quante poche ore d’aereo le sarebbero sufficienti. Pensa all’aiuto che è stato dato al genere umano da queste macchine con le quali è possibile spostarsi velocemente e con poca fatica. Certo che bisogna anche saperle guidare, manovrare, avere la patente necessaria: è diverso guidare un mezzo che ha le ruote appoggiate sul terreno, uno che sfiora la superficie dell’acqua o uno che si affida alla forza dei venti. La visita a questo piano le fa capire le sue limitazioni circa le competenze necessarie per usare  al meglio i diversi mezzi di trasporto e locomozione.
Completata la visita al terzo piano la principessa è pronta per trasferirsi al quarto piano, dove trova tanti utensili, alcuni d’uso familiare e quotidiano altri che non aveva mai visto e di cui ignorava l’esistenza. Va prima a visitare gli arnesi d’uso comune per scoprire una varietà impensata di forbici: per acconciare le unghie, potare i rami secchi, tarpare le ali, trinciare il pollo, sfoltire i capelli, tagliare la carta o smerigliare i vetri. Strumenti semplici e raffinati, d’uso quotidiano e anche professionale. Ancora una volta la principessa fa i conti con quanti strumenti non conosce e quanti non sa usare, anche se sa che potrebbe  imparare a servirsene nel modo migliore. La visita a questo piano le fa capire l’importanza di conoscere e di usare l’utensile giusto al momento giusto e nel modo giusto.
Completata la visita al quarto piano ecco che arriva al quinto, dove viene accolta da una libreria che copre ogni parete. La prima reazione è di stupore. Non aveva mai visto così tanti libri insieme. Superato lo stupore emerge la curiosità che la spinge a leggere i titoli. I libri sono esposti per genere: letteratura, prosa, poesia, scienze naturali, sociali e così via. Scopre che alcuni le sono familiari e in questi nota libri già visti, letti o sfogliati e altri del tutto nuovi per lei. Scopre così un’altra limitatezza, non solo del suo sapere ma anche nei confronti della sua curiosità, della sua propensione verso un sapere universale. Capisce  di provare interesse solo verso un certo genere di studio o di letture, mentre altri la lasciano indifferente. Accoglie questa constatazione come una limitazione e anche come una scelta. Siccome non può approfondire tutto né interessarsi a tutto, accetta la libertà di scegliere. La visita a questo piano le fa intuire di essere i libri che ha letto e che diventerà i libri che leggerà. Le fa anche capire i limiti della sua conoscenza e l’importanza dello studio della storia e della geografia. La storia per non ripetere gli errori del passato. La geografia per conoscere l’esistenza e quindi accettare le diversità culturali, religiose, etniche e linguistiche dei diversi popoli.
Completata la visita al quinto piano è pronta a recarsi al sesto piano, dove sono esposti diversi abiti professionali che uno può indossare nell’arco della vita. C’è il camice della dottoressa con lo stetoscopio per auscultare il battito dell’amore, il cappello da cuoca per cucinare cibi che nutrono l’anima, il grembiule della sarta per cucire abiti su misura dei desideri. Poi si accorge che ci sono abiti professionali che non pensa proprio di voler mai indossare: non ha mai desiderato diventare contrabbandiere o trafficante di droga. Si aggira lentamente in questa stanza per individuare cosa le piacerebbe diventare, quale professione le piacerebbe intraprendere e quali decisamente scartare. La visita a questo piano le fa capire i limiti dei ruoli che può esercitare. Ora sta indossando i panni della principessa, e quando sarà regina dovrà cambiare guardaroba e indossare gli abiti regali, adatti al suo nuovo status e a quello che vuole essere.
Completata la visita al sesto piano ecco che arriva all’ultimo piano, colmo di foto di luoghi mai visitati, di situazioni non vissute, di esperienze non fatte. Visitare questo piano le fa capire l’importanza della conoscenza diretta, dell’apprendimento basato sull’esperienza. Saprà cosa significa essere regina solo quando lo sarà veramente, quando sarà l’esperienza concreta a insegnarglielo. Solo allora scoprirà i limiti e le opportunità offerte dall’essere diventata regina.

Gilgamesh (2000 A.C.) vide ogni cosa, ebbe esperienza di ogni cosa, in ogni cosa raggiunse la completa saggezza.

Dopo un “percorso sulla torre” siamo allenati verso la scoperta di noi stessi, stiamo diventando noi stessi. “Le parole insegnano, gli esempi trascinano. Solo i fatti danno credibilità alle parole” Sant’Agostino. Questa salita verso i “piani alti “della torre, ad esempio, è anche  un bel “corso prematrimoniale pluriennale”, singolo o in coppia, per far si che il matrimonio non sia:
una combinazione di forze per sopperire alla propria debolezza, un’opportunità per possedere una casa propria, una modalità socialmente accettata per allontanarsi dai propri genitori, una fuga dalla solitudine, un sacrificio dettato dalla compassione, un effetto indotto dalla fascinazione o dall’ammirazione, un aiuto reciproco fondato sul danaro, un’ascesa sociale garantita dal prestigio di un nome, un estremo rimedio contro l’insonnia o contro la dispepsia, un’autorizzazione a procreare, un sedativo contro l’eccesso passionale, una via d’accesso all’adulterio, un’anticamera della separazione, un patto di cameratismo, un espediente per sentirsi normali, un modo per non destare sospetti e curiosità, una casa di riposo per la vecchiaia, una casa di piacere, una casa di tortura.

“Tutti i mistici sono pericolosi da leggere, ma è un bel rischio che si deve correre” cardinale Journet. Il mistico Eckhart  ha scritto: “lascia il luogo, lascia il tempo e anche le immagini. Procedi senza strada sullo stretto sentiero e troverai la traccia del deserto”. Deserto, vale a dire “immagine che è la negazione di ogni immagine: questo deserto meraviglioso non è altro che Dio stesso nell’eternità del suo essere e la sua impronta, o la sua traccia, nella figura del tempo è il luogo dove egli convoca e incontra l’uomo destinato da subito a questa nudità delle origini”.

“La vita non è un problema da risolvere, ma una realtà da esperire”. Kierkegaard

 

Marco Biagioli - 2005


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