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Riflessioni sulla Mente

Riflessioni sulla Mente

di Luciano Peccarisi -  indice articoli

 

La mente che si chiama “io”

novembre 2012

  • Senza soggetto

  • Il pensiero

  • La localizzazione dell'io

  • Dove si trova l'io?

  • Uomini senza coscienza

  • Il verbo

 

“Probabilmente la decomposizione del rapporto antropocentrico che per tanto tempo ha posto l'uomo come centro dell'universo, ma è in ribasso da secoli, è giunta finalmente all'Io, perché l'idea che l'importante dell'esperienza è il viverla, e dell'azione il farla, incomincia a sembrare un'ingenuità alla maggior parte degli uomini”  (R. Musil, L'uomo senza qualità, Einaudi tasc., 1966, p. 166)

 

Senza soggetto

Le cose inanimate non si muovono da sole, e all'inizio nulla era in movimento. Ciò che si muoveva era 'spinto'. Cadevano frane dai monti, neve dai pendii, scendeva pioggia dal cielo e polvere volava nel vento; scivolavano i ghiacciai, sputava lava il vulcano e il mare sbatteva gli scogli. Ma le pietre, l'acqua, la polvere, la lava, il mare devono essere mossi per muoversi. Tutto poi ritorna calmo e tranquillo, stabile e fermo. Tra tutte queste cose, stabili per milioni di anni, una struttura si dispose in maniera peculiare, o almeno così si può speculare. Una caratteristica assai improbabile. Tuttavia come una serie di numeri a caso può uscire se giocati per milioni d'anni, ecco che la caratteristica uscì: un complesso stabile a stampo, un pezzo di un puzzle, una sagoma. Ecco che quando un complesso accanto ha una forma che si adatta, tenderà ad attaccarsi. Questo processo, dice Dawkins, potrebbe continuare, dando luogo ad un impilaggio progressivo, strato su strato: è così che si formano i cristalli. Oppure le due catene potrebbero separarsi, e allora si avrebbero due 'replicanti', ciascuno dei quali può a sua volta fare altre copie. “Quello che importa è che di colpo nel mondo fece ingresso una nuova specie di stabilità”. (R. Dawkins, Il gene egoista, oscar Mondadori 1995, pag. 19). Qualcuno, in seguito, la chiamerà vita.

 

Il pensiero

Per governare la sua vita la pianta non necessita di un centro di comando. Per un animale complesso che si organizza, esplora, conosce, distingue, s'avvicina o scappa, è invece indispensabile. L'evoluzione dei corpi e delle menti doveva formare una simile entità. Senza sede e senza sostanza, costituita forse da attività neuronale capace di una sintesi astratta, quale unificazione di tutte le forze in campo. Negli animali non occorre che questo centro d'ordine sia consapevole di se stesso. Se le piante non hanno bisogno di pensare, potrebbe essere così anche per molti  organismi viventi, virus, batteri, vermi. Anche noi facciamo molte cose senza pensare. E se gli animali facessero le cose che fanno con questo tipo di pensiero, un pensiero automatico? Inseguire la preda, catturarla, mangiarla, riunirsi in grandi mandrie, potrebbero essere comportamenti a portata di complessi organici in cui non necessita il pensiero. Perché appesantire la testa con problemi improbabili dalle soluzioni a volte assurde, quando è più importante risolvere subito e bene quelli che implicano la sopravvivenza, la ricerca del partner o il riparo? Il fatto è che la mente umana non è solo il risultato di una lunga selezione naturale, è anche il prodotto di un nuovo progetto non biologico. Un gruppo di animali infatti, per avere il sopravvento su quel mondo difficilissimo e competitivo, aumentò la possibilità di conoscenza. E, conoscere, come si sa è potere. Il cervello s' avvalse di nuove rappresentazioni esterne che servivano come segnali. Forse alcuni disegnini sulla sabbia, sul fango e sulla terra molle, furono i pionieri di quelle forme più complesse; che possiamo ammirare sui muri e nelle caverne preistoriche dipinte. Cominciò allora una distinzione più netta tra ciò che siamo e il mondo esterno.

 

La localizzazione dell'io

Il primo caso assoluto in medicina che fece pensare che nel cervello ci fossero zone dedicate anche all'io è quello di Phineas Gage. Un educato e simpatico giovanotto il cui compito era quello di far scoppiare la polvere da sparo per spianare il terreno a una ferrovia in costruzione. Doveva pigiare, servendosi di una mazza di ferro, la polvere inserita in una cavità nella roccia. Quel pomeriggio del settembre 1848, la punta dell'asta sfregò contro la parete, ne scoccò una scintilla e una esplosione. I compagni accorsero, certi di trovarlo morto, ma non andò così. Si salvò. L'asta, sporca di sangue, fu trovata a diversi metri di distanza. Era schizzata via perforando la base del cranio a sinistra, fra occhio ed orecchio, uscendo dalla calotta cranica e scavando un piccolo foro, un canale, del diametro dell'asta, in una zona del cervello all'apparenza priva di funzioni. Il giovanotto si riprese apparentemente al cento per cento. Ma ora era irascibile, bestemmiatore, col carattere trasformato. Phineas non era più quello di prima. Aveva un altro io, indisciplinato e arrogante, bestemmiatore. E, come dicevano i suoi compagni. “Non è più Gage”.

 

Dove si trova l'io?

Nel cervello dell'essere umano vi è in una zona speciale: l'area del linguaggio. Essa si trova, nella maggior parte dei casi, nell'emisfero di sinistra. Com'è nata e perché è rappresentata solo da un lato? La maggior parte delle funzioni del corpo sono rappresentate bilateralmente. Questo è un vantaggio biologico dal momento che, nel caso di una lesione in un emisfero, l'altro è in grado di compensare. Perché non è così per il linguaggio che è la più importante fra le abilità umane, indispensabile per la vita sociale? Il cane e il gatto, animali che conosciamo bene, sanno chi sono, e quando si leccano una zampa sanno perfettamente che si tratta della loro zampa. Tutti gli animali si identificano. Su questa prima base nascono altre funzioni della mente, quelle cognitive come le valutazioni, le decisioni e quelle fenomenologiche, per coinvolgersi col mondo, la paura, l'attrazione. Si tratta di un io che non si riconosce ancora, che non riflette su di se. Fornisce all'organismo un senso del corpo e del qui e ora; non dice nulla riguardo al futuro. L'unico passato che possiede è quello che serve, spesso solo quello relativo a ciò che è appena accaduto.

 

Avere una soggettività

Per noi avere una soggettività è talmente cosa ovvia che solo metterne in discussione l’esistenza può suonare come cosa da matti. Tuttavia alcune cose le facciamo in assenza di soggettività, e forse dobbiamo ricrederci su certe convinzioni e pensare che anche la soggettività ha avuto una sua origine. Forse l'uomo primitivo non aveva una soggettività come noi; una consapevolezza del mondo, uno spazio mentale interno su cui esercitare l’introspezione. Ma cosa significa non avere una soggettività? Il mio cane ha qualcosa che sente dentro, una interiorità, oppure siamo noi che la inventiamo? Non riusciamo ad immaginare come ci comporteremmo se fossimo senza soggettività, senza darci istruzioni, senza parlarci e senza pensare. Eppure tante cose le facciamo senza pensare, ci laviamo i denti, vestiamo, allacciamo le stringhe delle scarpe, perfino guidiamo l'auto. Gli atleti in gara lasciano i blocchi di partenza circa 130 millisecondi dopo lo sparo dello starter, quando è impossibile che ne siano coscienti. La partenza avviene durante la fase di elaborazione dello stimolo acustico di cui gli atleti diventano consapevoli quando stanno già correndo. Non è la volontà a dire all'atleta quando deve scattare, ma un meccanismo inconscio. Quando guido l’auto non mi do istruzioni. Sono preso dalla guida nel traffico, sto attento; mentre la mia coscienza può essere impegnata nella conversazione col mio passeggero o persino in una riflessione filosofica. Non sono cosciente di muovere la mano sulle marce o i piedi tra frizione e acceleratore. Reagisco automaticamente agli stimoli, li percepisco e metto in atto le risposte, totalmente preso in una reciprocità interagente, ansiosa, tranquilla, trepidante o attraente, mentre la mia coscienza è sempre occupata da altre cose. Se immaginiamo di togliere, eliminare questa coscienza, ebbene saremo sempre intrecciati con l’ambiente, vigili, senza parole e senza pensieri su cui riflettere, ma sempre pronti alle esigenze del mondo. Forse è questo il mondo della mente animale, un mondo d'azione e reazione.

 

Uomini senza coscienza

Una volta eravamo senza identità, mezzi uomini e mezzi animali. In un debole emisfero sinistro s'erano creati i primi circuiti del linguaggio. Il resto del cervello, nella fattispecie le corrispondenti aree destre del cervello, erano mute ma capaci di  trasmettere forza, pensieri, emozioni, ordini. Non avevamo una soggettività, le parole esistevano ma non quelle che riguardavano il mondo interno. Lo si può dedurre dall’Iliade, il primo testo della storia umana traducibile con sufficiente sicurezza. “I personaggi dell’Iliade non hanno momenti in cui si fermano a riflettere sul da farsi. Non hanno come noi una mente cosciente, e certamente non hanno la facoltà dell’introspezione. Il problema è qual è la psicologia dell’eroe dell’Iliade? Io sostengo che egli non aveva alcun io” (J. Jaynes, Il crollo della mente bicamerale e l'origine della coscienza, gli Adelphi, 2002, p. 94-99). La parola psiche designa soprattutto sostanze vitali, come il sangue e il respiro, il thumos il movimento, phen il diaframma, il noos è una sorta di campo visivo; più tardi queste parole assumeranno rispettivamente il senso di ‘anima’ ‘emozione’ ‘mente’, o 'cuore’ in senso figurato. Una parola della quale si nota la mancanza è ‘corpo’. Per Omero il corpo è solo quello esanime, la salma, mai il corpo vivente nel suo complesso. “Per nominare il corpo vivente Omero ricorre ad una serie di vocaboli…il corpo vive al plurale” (U. Galimberti, Psichiatria e fenomenologia, Feltrinelli, 1999, p. 68). Omero parla di braccia, di mani, di piedi, polpacci e cosce, descrivendoli come rapidi, veloci, forti, senza alcuna menzione del corpo nel suo insieme.

 

Il verbo

Una volta che il linguaggio è sorto, dice Dennett, siamo diventati non soltanto curiosi, ma avidi di sapere. Abbiamo cominciato a far domande ad alta voce, con un linguaggio articolato. Le domande sono diventate elementi onnipresenti nei nostri mondi percettivi, provocando reazioni, che provocavano altre domande, e così via, accumulandosi in un corpo di nozioni comuni che potevano tramandarsi oralmente e alla fine per iscritto: “Su almeno un punto la spiegazione darwiniana di come noi siamo venuti al mondo concorda con la spiegazione biblica: In principio era il Verbo”. (D. C. Dennett, Rompere l'incantesimo, R. Cortina, 2007, p. 392). E il Verbo creò l'io? Nel Vangelo di Giovanni si legge: Il principio era il Verbo. A queste parole Goethe rispondeva immaginando che Faust, prima che gli apparisse Mefistofele, tentasse diverse interpretazioni di quell'inizio.

­-“Sta scritto: “In principio era la Parola”. Ed eccomi già fermo. Chi m'aiuta a procedere? M'è impossibile dare a “Parola” tanto valore. Devo tradurre altrimenti, se mi darà giusto lume lo Spirito. Sta scritto: “In principio era il Pensiero”. Medita bene il primo rigo, ché non ti corra troppo la penna. Quel che tutto crea e opera, è il Pensiero? Dovrebb'essere: “In principio era l'Energia”.Pure mentre trascrivo questa parola, qualcosa già mi dice che non qui potrò fermarmi. Mi dà aiuto lo Spirito! Ecco che vedo chiaro e, ormai sicuro, scrivo: “In principio era l'Azione.” -

La parola non era all'inizio, la parola costituisce piuttosto la fine dello sviluppo; sviluppo di che? Ma della mente, o di quella particolare mente che chiamiamo coscienza umana. “Se la coscienza senziente e la coscienza pensante dispongono di modi diversi di riflettere la realtà, allora rappresentano pure dei tipi differenti di coscienza (…) La coscienza si riflette nella parola come il sole in una piccola goccia d'acqua” (Lev. S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, 2011, RCS libri, Corriere della Sera, pag. 413). Ma che cos'è l' io se non una nostra creatura; un concetto, senza luogo esatto dove si trovi. E' la mente che lo ha inventato? La comprensione del mondo e degli altri potrebbe esistere, come di fatto esiste negli animali, anche senza quest'entità. Siamo animali che hanno dato un nome alla propria soggettività, l'hanno collocata in uno spazio virtuale, dietro gli occhi e dentro la testa e, in comunicazione con gli altri. Forse abbiamo solo espanso le capacità elettro-chimiche del cervello, creando le meraviglie della narrativa, della poesia, della musica, e della scienza. Il cervello sta cercando ancora di capire se stesso, nel frattempo la sua mente si è chiamata “io”.

 

      Luciano Peccarisi

 

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