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Riflessioni sulla Mente

Riflessioni sulla Mente

di Luciano Peccarisi -  indice articoli

 

Gli occhi del cervello: fra visione e immaginazione

gennaio 2012

  • Che significa vedere?

  • La visione attiva

  • Aree cerebrali della visione

  • I ciechi congeniti

  • Immaginazione

  • Immaginazione e visione

Gli occhi del cervello: fra visione e immaginazione“E’ un pugnale? (...) o sei soltanto un pugnale della mente, una creazione falsa che nasce dal cervello oppresso dalla febbre?” (W. Shakespeare, Macbeth, atto II, scena I).

 

“I nostri occhi ricevono vaghe immagini delle cose, rovesciate e distorte, e il risultato è che noi vediamo il mondo che ci circonda pieno di oggetti solidi e ben distinti gli uni dagli altri. Riusciamo a creare un mondo di cose dagli stimoli elementari che colpiscono la retina e questo è poco meno che un miracolo” (R. Gregory, Eye and Brain).

 

Che significa vedere?

La visione è il processo mediante il quale si scopre a partire da immagini che cosa è presente nel mondo e dove si trova esattamente.

Innanzi tutto per vivere, infatti, bisogna inquadrare le cose del mondo, e ciò si può fare in due modi, con calma e tranquillità oppure piuttosto rapidamente, per scappare in fretta. Infatti oltre alla classica via sensitiva che dagli occhi porta alle aree visive cerebrali, ve n’è un’altra più antica, che connette, in modo breve e agile, gli occhi e la parte inferiore del cervello. E’ quella che, senza che ne siamo consapevoli, ci fa scattare lo sguardo in direzione, ad esempio, di un corpo che s’avvicina di lato pericolosamente. Ciò permette alla fovea centrale della retina, l’area di maggiore acuità visiva, di concentrarsi sull’oggetto intravisto, identificarlo e decidere il da fare. E’ una sorta di riflesso di orientamento, un originario sistema d’allarme, che consente di ruotare collo, testa e bulbi oculari verso gli eventi potenzialmente più importanti, ed in ciò non c’è posto per la lenta coscienza, che sopravverrà solo dopo.

Anche la normale visione però una volta arrivata a destinazione nel cervello, si sdoppia in una via del che cosa e un’altra del come, funzioni chevengono svolte da due vie anatomiche distinte. La prima, diciamo così, ‘identifica’ gli oggetti mentre la seconda li ‘colloca’ e li sistema nello spazio.

 

La visione attiva

La visione è un processo attivo. Richiede al cervello di non tener conto dei continui cambiamenti e di astrarre da essi solo ciò che è necessario per la classificazione degli oggetti. Occorre dunque ‘selezionare’ le informazioni utili, ‘eliminare’ quelle non rilevanti ai fini di questo tipo di sapere e ‘confrontare’ con ciò che in passato si è già acquisito, e così infine classificare l’oggetto o la scena interessati. Il colore di una foglia ad esempio varia in continuazione, a seconda che la si guardi all’alba o al crepuscolo, a mezzogiorno in pieno sole o in una giornata nuvolosa, eppure il cervello è in grado di ignorare tutto e attribuire il colore verde alla foglia. La visione non è, come a lungo abbiamo pensato, passiva, come la macchina fotografica o la telecamera; anche la visione di una rosa, un quadrato o un cerchio è un processo dinamico. Non osserviamo passivamente il mondo ma lo interroghiamo. “Vedere è già un’operazione creativa che richiede uno sforzo” disse Matisse. Certo lo disse in senso artistico, tuttavia anche l’arte è una ricerca sull’essenziale, “quindi un processo attivo e creativo la cui funzione costituisce un’estensione della funzione del cervello” (S. Zeki La visione dall’interno Bollati Boringhieri, Torino, 2003, p. 23).

 

Aree cerebrali della visione

Probabilmente l’arte è la più grande affermazione d’individualità e originalità, ed il più efficace antidoto contro l’azione livellatrice della scienza. Picasso disse: “L’arte è una bugia che insegna a vedere la verità”. L’attitudine estetica forse nasce dalla ‘attenzione’ capace di modulare e valutare la ‘percezione, su base soprattutto emozionale “potrebbe essere considerata come la risposta (evolutiva?) all’essere sempre in ritardo della coscienza” (F. Desideri La percezione riflessa, R. Cortina Ed. 2011, p. 94); con le parole di Nietzsche in La gaia scienza, la coscienza è  “l’ultimo e più tardo sviluppo dell’organico e di conseguenza anche il più incompiuto e depotenziato”. Forse per questo non c’è, come si pensava prima, una sola e semplice ‘area della visione’ nel cervello. Il cervello nel suo insieme, in noi animali visivi, si è formato intorno alla vista, a partire dalle più di trenta aree visive più specificamente identificate. La corteccia visiva primaria funge solo da ufficio di smistamento e revisione, alcune informazioni visive vengono scartate altre enfatizzate e quindi trasmesse. Ne occorrono tante di aree forse perché ognuna presiede ad un distinto aspetto della visione. “Ci sono neuroni che riconoscono esclusivamente i volti presentati di fronte e neuroni che riconoscono esclusivamente i volti presentati di profilo” (E. Boncinelli Il cervello, la mente e l’anima, Mondadori oscar, 2000, p. 135). “Le cellule della corteccia visiva, oltre a dare origine ai circuiti caratteristici dei diversi strati, sono organizzate funzionalmente in sistemi colonnari (….) ogni unità colonnare sembra essere in grado di funzionare come un modulo elementare d’analisi. Ogni modulo riceve afferenze diverse, le trasforma e invia le proprie efferenze a regioni cerebrali differenti” (E.R. Kandel, J.H. Schwartz, T. M. Jessel Principi di Neuroscienze, Ambrosiana, 1988, p. 450).

L’area cerebrale V4 elabora i segnali dei colori mentre la MT i segnali relativi al movimento. Una lesione della prima provoca l’acromatopsia, cecità ai colori con un mondo in bianco e nero, e della seconda uno strano fenomeno per cui non si riesce ad esempio ad attraversare la strada, perché il flusso di auto è visto come una serie di immagini statiche, simile a quello prodotto dalla luce stroboscopica da discoteca, oppure non si riesce a versare il vino o il tè perché non si può valutare il livello del liquido che sale. La cosa davvero strana è che questi pazienti oltre alla visione hanno perso pure la possibilità di immaginare le cose che non riescono più a vedere (E. Làdavas, A. Berti Neuropsicologia, il Mulino, 2002, p. 174).

 

I ciechi congeniti

Si potrebbe pensare che i ciechi congeniti non abbiano immaginazione visiva, perché non hanno mai avuto una esperienza visiva, tuttavia è stato dimostrato che non è così, le persone con cecità congenita hanno nei loro sogni contenuti visivi, che possono disegnare al risveglio (Bértolo, Helder, 2005, Visual imagery without visual perception? in Psycologica, 26, pp. 173).
Al primo livello, quello della visione ‘bassa’, periferica, occhio, nervo ottico, prime stazioni di relè vi possono essere lesioni che compromettono il vedere; questi dati tuttavia subiscono in seguito un processo di elaborazione cognitiva corticale, questa funzione ulteriore caratterizza la visione ‘alta’, quella che può essere integra nei non vedenti. Quella che funziona nella sola immaginazione. “E’ possibile ipotizzare che sul piano evolutivo l’immaginazione si sia configurata come un prolungamento della visione, e abbia poi successivamente acquisito un’autonomia rappresentazionale avvalendosi degli stessi meccanismi propri della percezione visiva (Sistemi Intelligenti a. XVI, n. 2, agosto 2004, R. Patalano, Al di là della razionalità: le immagini come guida al comportamento, p. 303).

Una certa confusione tra immaginazione e visione si ha nella sindrome di Anton in cui pazienti ciechi con danno alle aree visive del cervello si muovono nell’ambiente senza precauzioni e se sbattono contro un mobile, dicono che era fuori posto: credono di vedere ancora, forse scambiando immaginazione per percezione.

 

Immaginazione

“La mente umana è un giocoso cantastorie e ancor di più, uno sfrenato ricercatore di regolarità. Vediamo facce nelle nuvole e nelle tortillas, destini nelle foglie e nei moti dei pianeti” (R. Dawkins Il cappellano del diavolo, R. Cortina Ed. 2004, p. 249). L’immaginazione è la straordinaria facoltà di vedere immagini con gli occhi della mente, figure vive di oggetti esistenti o perfino inesistenti fuori di noi. È certamente una caratteristica assai perturbante: fonte insieme di angosce e desideri, sogni d’amore e brividi di terrore, di invenzioni geniali e di tristezza. Una forza aliena che opera proprio al centro della coscienza, descritta da Dante “O immaginativa, che ne rube / Talvolta sì di fuor, ch’om non s’accorge / Perché dintorno suonino mille tube / chi muove te, suonin mille tube / chi muove te, se ‘l senso non ti porge?”. Cioè l’immaginazione ci porta  fuori da noi in un mondo irreale, in uno modo tale che non ci accorgiamo neanche se attorno suonano mille trombe.

 

Immaginazione e visione

“L’anima non pensa mai senza un’ immagine” (Aristotele). La scienza cognitiva ha scoperto che la cosiddetta teoria della visione ‘dal basso verso l’alto’, cioè dalla retina all’area 17 di Brodmann nella zona occipitale del cervello, ci offre solo una parte della realtà perché vie nervose vanno anche dal cervello all’occhio. Il flusso di informazioni cerebrali somiglierebbe alle immagini della sala degli specchi e delle luci di un luna park, continuamente riflesso avanti e indietro e continuamente cambiato dalla riflessione. Anche quando chiudiamo gli occhi le cellule della retina sono sempre attive e producono segnali e rumori di fondo che inviano ai centri della visone, tuttavia dal cervello, dalle aree della memoria, dai pensieri, dalle emozioni inviano costantemente segnali ai medesimi centri. Da qualche parte, nel confuso guazzabuglio di flussi interconnessi di impulsi nervosi  che vanno ora dal basso verso l’alto, ora dall’alto verso il basso, c’è l’interfaccia tra visione e immaginazione. Quella che chiamiamo percezione forse non è altro che il risultato di una interazione dinamica tra segnali sensoriali esterni e informazioni interne genetiche o immagazzinate nella memoria “forse noi abbiamo continue allucinazioni e a quelle che definiamo percezione arriviamo semplicemente stabilendo quale allucinazione si adatti meglio all’input sensoriale del momento” (V.S. Ramachandran La donna che morì dal ridere Oscar Mondadori, 2003, p. 131). Nella patologia si è osservato che “una volta isolata dal mondo esterno, la corteccia visiva diventa ipersensibile a stimoli interni di ogni tipo, quali la sua stessa attività autonoma, i segnali provenienti da altre aree del cervello (uditive, tattili e verbali), e i pensieri, i ricordi e le emozioni  (O. Sacks L’occhio della mente, B. Adelphi, 2011, p. 225). Se il cervello non riceve input visivi come in certe lesioni del cervello o quando sta ad occhi chiusi oppure nel sonno, allora è libero di inventare la propria realtà. Forse oggi l’immaginazione ha preso perfino un posto maggiore che la semplice visione, integrandola e aggiungendo nuove sensibilità. Il rumore della pioggia in un cieco possono creare un mondo sconosciuto al vedente: “La pioggia ha un modo tutto suo di dare risalto ai contorni e di elargire una nota di colore a cose che fino a un attimo prima erano invisibili; invece di un mondo intermittente, e quindi frammentario, le gocce incessanti di pioggia creano un’ esperienza acustica senza soluzione di continuità” (John Hull “Il dono oscuro: nel mondo di chi non vede”).

 

      Luciano Peccarisi

 

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