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Riflessioni sui Nativi Americani

Riflessioni sui Nativi Americani

di Alessandro Martire  - indice articoli

 

Il concetto del "sacro" nelle culture delle popolazioni aborigene del Nord America

Gennaio 2011
Di Alessandro Martire
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Ci fu, c’è, e ci sarà Wakan Tanka, il Grande Mistero. Egli è uno solo, e tuttavia è molti. Egli è il Dio capo, il Grande spirito, il Creatore e l’esecutore. Egli è, sia gli Dèi superiori ed Aggiunti e i Parenti degli Dèi, sia i Subordinati e i simili-a-Dèi. Egli è gli Dèi buoni e gli Dèi cattivi, è il visibile e l’invisibile, il fisico e l’immateriale, perché è tutto quanto, in uno solo. Gli Dèi non hanno inizio e non avranno fine. Alcuni sono prima di altri; alcuni sono imparentati come padre e figlio. Tuttavia gli Dèi non hanno né padre né madre, perché tutto ciò che nasce morrà. Dato che gli Dèi furono creati senza essere nati, non morranno. L’umanità non può capire pienamente questi concetti, perché essi appartengono al Grande Mistero.

 

LakotaSe fosse stata tramandata in opere scritte, piuttosto che trasmessa oralmente di generazione in generazione, la precedente esposizione richiamerebbe forse passi della Bibbia, del Corano o del Mahabharata. Infatti il concetto di un Dio solo, incarnato nel grande mistero e dotato di molteplici manifestazioni, è basilare nella filosofia spirituale delle Culture Amerindie. Per essi, l’accettazione riverente del giusto posto dell’uomo nell’universo, presupponeva la comprensione dell’universo stesso. La comprensione e l’interpretazione delle forze naturali divennero la scienza del vivere, essenziale alla più autentica esistenza dell’uomo. Più profonda ed in armonia era la comprensione, più sincero era il comportamento di una persona, più sicuro il suo adattamento. Presso i popoli aborigeni del Nord America, questa ricerca della comprensione era un concetto nazionale. Esso non sfociava nello scetticismo, ma portava allo sviluppo di una fede altamente sistematica nelle forze universali e soprannaturali. La scienza e la spiritualità non erano scisse:  erano una sola cosa. L’Esplicito riconoscimento che questi concetti non rispondevano pienamente a tutti i problemi che la curiosità e la meraviglia dell’uomo erano in grado di porre, il fatto che certe verità fossero al di là dell’umana comprensione e dovessero essere accettate per fede, dimostra la maturità del pensiero  delle varie etnie indigene e la sottigliezza della loro “teologia e spiritualità”. Per questi “filosofi intuitivi”, i controllori dell’universo erano l’universo stesso, Wakan tanka  (inteso come Dio, la cui traduzione si può riferire come: il grande mistero) in quanto forza creatrice che tutto pervadeva, era la divinità più importante – della nazione Lakota - Sioux. Si affiancava a ciò una cosmologia così omnicomprensiva, che racchiudeva i bisogni emozionali e fisici dell’umanità intera in stretto rapporto al suo ambiente, conferendo ai diversi Popoli del Nord America una struttura dentro la quale  potevano svolgere la loro attività con un certo senso di sicurezza pur in un mondo insicuro. In quanto visibili ed invisibili, materiali ed immateriali, umani ed anche animali, gli dèi  incarnavano tutte le manifestazioni della natura. Non c’era contraddizione in questa idea che le “dèità” potessero essere rappresentate come forza, come oggetto, e come essere. Il meraviglioso potere dei Controllori era di tutte le cose ed in tutte le cose. L’uomo, pure lui, era una parte integrante e funzionale. Pertanto un uomo, che possedeva  le qualità degli  Dèi, e cioè, uno spirito, un anima, una spiritualità e la Potenza, era egli stesso strettamente legato al Grande Mistero. Il fatto che gli dèi stessi assumessero attributi umani, comprese le debolezze umane, comprovava la relazione dell’Universo nei suoi vari aspetti attraverso una parabola. Per i Nativi Americani qualsiasi concetto che negasse o minimizzasse  la coesione di questo universo sarebbe stato tanto ingenuo quanto irreale.
Per molte e complesse ragioni non è stato facile, e forse mai lo sarà, per l’uomo bianco comprendere la spiritualità dei Nativi. Tutta la loro vita era incentrata sull’aspetto spirituale. Non vi era niente, dalle azioni dei singoli, a quelle del gruppo, che non fossero precedute da una preghiera, da un ringraziamento e da una offerta; restituivano sempre una parte di tutto ciò che ricevevano e non prendevano mai senza rendere.
Anche il loro accampamento rispecchiava chiaramente la loro filosofia di vita in quanto il campo era disposto circolarmente e con l’entrata rivolta ad est, perchè circolare è la vita dell’uomo, sferico è lo stesso universo, rotondo è il linguaggio, e le stesse età dell’uomo si susseguono in modo circolare.
Ogni nuovo giorno era celebrato come la manifestazione di un evento sacro. Nessun cibo veniva consumato prima di aver ringraziato tramite una offerta ed una preghiera “wopyla”(cioè un ringraziamento in lingua lakota), ciò poteva essere preceduto da una purificazione con erbe sacre quali la salvia, l’erba dolce (erba ierocloe), il ginepro, il cedro e spesso si eseguiva anche un sacro rito di sudorazione.
Tutte le attività erano precedute da una preghiera. Talvolta, quando l’evento riusciva positivamente, ulteriori offerte erano fatte con tabacco ed anche con del cibo. Questo ringraziamento era indirizzato al “grande antenato”(Il grande antenato era  ed è chiamato in lingua Lakota “ Tunkasila”), esso rappresentava l’origine del tutto ed a tutte le forme di vita che avevano aiutato nell’intento. Per i Nativi esisteva una energia superiore che ha creato tutto in un ordine ben preciso. In questo “tutto” era inserito anche l’uomo, intorno al quale tutto è impregnato dello “spirito” di “colui che è grande-immenso”. Per ciò tutto è sacro, dal ramo dell’albero alla foglia al sasso all’acqua alla terra a ciò che in essa vive. Così è anche per le altre “nazioni” con le quali parliamo e viviamo nel pieno rispetto reciproco. Ciò è la base della spiritualità dei Nativi, ecco quindi che l’utilizzo di ogni cosa che fa parte del nostro habitat deve essere appunto presa con “sacralità” comprendendo che essa rappresenta per noi un dono che il “gande- antenato” e Wakan-Tanka ci hanno messo a disposizione. Nella filosofia dei Nativi ogni decorazione personale costruita con parti di animali aveva un particolare potere e cioè essa non era come per i bianchi un semplice trofeo da mostrare come per dire... “guardate come sono stato forte e coraggioso ad uccidere questo animale...”, per poi impagliarlo e continuare a mostrarlo come prova della propria bravura. Per i Nativi ogni essere vivente e forma di vita contribuisce al sacro cerchio della vita, anche noi un giorno saremo il nutrimento per altre forme di vita. Cacciare un “animale” era, per i Nativi, solamente una necessità di vita, non un gioco od un divertimento, e non serviva per sopraffare o torturare altri esseri. Sempre dopo aver tolto una vita, una preghiera veniva offerta a quello spirito che aveva dato sé stesso per un’altra vita. Le parti di questo animale ucciso entravano a far parte della vita del cacciatore, lui continuava a vivere grazie  ad esse, con le parti mortali degli “animali” cacciati venivano realizzate acconciature sacre utilizzate durante le danze e nelle preghiere. Con esse, il cacciatore, pregava di poter proseguire la sua vita continuando a cacciare per procurare a se ed ai suoi familiari di che vivere, per le vesti, per gli utensili, le armi etc. Il mimare, da parte dei Nativi, le movenze e gli atteggiamenti degli altri esseri viventi indicava non solo una forma di “richiesta di aiuto” ma anche una diretta trasmissione di qualità che avrebbero sicuramente aiutato il guerriero ed il cacciatore.
I Nativi ritenevano che il ripetere artificialmente un determinato evento, accompagnato da preghiere, avrebbe causato l’evento stesso.
Tendenzialmente tutti i Nativi riconoscevano nel sole la forma di energia espressione di potenza creatrice che chiamarono in vario modo: per i Crows il nome era “colui che per primo fece” - I Pawnees lo nominarono “TI-RA-WA.”- Per i Lakota: “il grande sacro - Wakan Tanka”- Per gli Arapaho “l’uomo che vive sopra”.
Altre espressioni di questa forza ed energia creatrice erano: la madre terra, la luna, le stelle, i venti, in genere subordinati a questi vi erano poi tutte quelle manifestazioni del mondo naturale che per i Nativi divenivano un modo di esprimere e di voler trasmettere un messaggio da parte di questa immensa energia creatrice.
Alcune Nazioni non hanno una storia esatta della creazione, altre hanno delle teorie ben specifiche e dettagliate. La mitologia e la filosofia si intrecciano con le antiche storie ed il tutto forma quel che è la spiritualità; il sole generalmente viene visto come un essere maschile, il quale compie un viaggio giornaliero da est ad ovest, per poi entrare nella sua capanna per trascorrervi la notte. La tenda del sole è situata oltre il grande mare, in un luogo incantevole, le pareti della sua tenda sono piene di figure dipinte di strani “animali di medicina”, e da un tripode pendono fagotti di medicina e meravigliose armi. La luna (femminino sacro per eccellenza), è la moglie del sole, e secondo la tradizione dei “Piedi neri” vicino alla luna vive la “stella del mattino” (cioè venere) che è la figlia del sole e della luna.
Fra i Pawnees ed altre nazioni la stella del mattino è la protettrice dei verdi pascoli e delle piantagioni alcune stelle sono viste come uomini che lasciano le loro tende per fare dei viaggi notturni.
I Nativi delle pianure credevano, (come i bianchi prima di Galileo), che la terra fosse piatta. Essa è madre perchè produce per i suoi figli, gli uomini, ciò di cui essi hanno bisogno: frutta, cereali, verdure, e su di essa vivono le altre nazioni ugualmente importanti per la vita: i bisonti, i cervi, i castori etc.
Il tuono era una espressione della natura, che poteva indurre timore ed allo stesso tempo riverenza, generalmente descritto come un gigantesco uccello che vola con gli occhi chiusi e quando li apre genera lampi, il tuono era il suo battito delle ali per alcune tribù, mentre altre credono sia il suo richiamo. Particolari erano le cerimonie in suo onore, perchè egli porta con sé l’acqua che fa vivere le piante e tutti gli esseri.
L’inverno è prodotto da “colui che fa il freddo”. Alcune tribù lo chiamano l’uomo dell’inverno, e lo rispettano come un vecchio uomo bianco come la neve che arriva dal nord sul dorso di un fiero cavallo bianco nel mezzo ad un ciclone di vento freddo e al suo passaggio freddo, neve e ghiaccio vengono sparsi, mentre con l’arrivo della primavera, il sole lo spinge a tornare nel nord.
Il vento può essere solo sentito e non visto, esso trasporta le parole del “grande mistero”. I Piedi Neri ritengono che sia prodotto da un gigantesco animale che vive in cima alle alte montagne e muove i suoi orecchi avanti ed indietro.
Per i Nativi anche sott’acqua vivono entità di vario genere, alcune positive, altre negative. Talvolta il grande uccello del tuono cattura con i suoi possenti artigli alcune di queste creature che poi muoiono ai bordi dei fiumi pietrificandosi ed assumendo la caratteristica di formazioni rocciose dalle “strane sembianze”.
Spesso gli spiriti dei guerrieri morti che sono stati privati del loro “scalpo” tornano là dove hanno vissuto e la loro presenza atterrisce tutti gli uomini.
Il mondo animale viene tenuto in enorme considerazione, come sopra precisato. Se un uomo o una donna avevano una visione di un animale, si svolgeva una attenta ricerca e studio di esso, per capirne e poi imitarne le movenze, le abitudini, le difese e come fosse capace di proteggersi e di attaccare. Quindi si cercava di stilizzarlo negli oggetti posseduti come negli scudi, nei disegni sopra le tende, sui vestiti, adornando le armi con alcune parti mortali di questi esseri, nella convinzione di ottenere il loro stesso potere assieme alle altre qualità.
Il bisonte, certamente, era in cima a tutte le creature viventi, il sacro “TA-TANKA”(In lingua Lakota la femmina del Bisonte era  ed è tutt’oggi chiamata “ Pte-Oyate).
I piedi neri chiamavano il bisonte “NI-ài” che significa “la mia ombra e la mia protezione”, ed in genere tutti i Nativi delle praterie rivolgevano particolari preghiere al più maestoso degli esseri viventi della prateria.
In molte delle sacre cerimonie veniva infatti usato il teschio del bisonte, rivolgendogli particolari preghiere affinché la sua presenza potesse sempre soddisfare i bisogni del Popolo.
Anche l’orso era considerato con particolare sacralità, perchè ritenuto capace non solo di difendersi coraggiosamente ma anche di essere particolarmente bravo nel “sentire” l’avvicinarsi di situazioni pericolose od anche meteorologiche. Esso inoltre aveva la conoscenza delle sacre “erbe”, infatti se ferito sapeva scegliere particolari bacche o altri medicamenti, naturali capaci di guarirlo.
Poteva trasmettere queste qualità a tutti coloro che voleva aiutare, e spesso aiutava nelle difficoltà coloro che riteneva suoi amici. Tutti i Nativi avevano un profondo rispetto e riverenza verso questo essere.
Il lupo era l’esempio della capacità guerriera, ogni scout indossava la sua pelliccia e nel linguaggio dei segni per indicare uno scout si faceva il segno del lupo; questo animale era altamente rispettato e considerato alleato. Talvolta egli poteva parlare ai suoi amici, dicendo loro cosa sarebbe successo, e poteva anche dare informazioni sui nemici.
L’aquila, il falco e la civetta, erano l’espressione del coraggio necessario in battaglia ed a tale fine erano sempre rivolte le preghiere; il corvo era un volatile dalle grandi capacità di lungimiranza ed anch’esso, se voleva, poteva parlare avvisando di un eventuale pericolo immediato e dava talvolta, preziosi consigli in battaglia.
Anche gli uccelli acquatici avevano particolari poteri, essendo considerati messaggeri di quelle creature che vivevano sott’acqua, tra i piedi neri spesso nei fagotti di medicina erano contenuti parti di questi uccelli acquatici.
Tra gli insetti, grande importanza era dedicata ai ragni, perchè considerati molto operosi e intelligenti, anche la farfalla era portatrice di messaggi, in special modo sogni e visioni ed era il simbolo della agilità e dell’eleganza.
Il ruolo degli anziani, spesso era quello di raccontare antiche leggende attorno al fuoco, e ciò diveniva quasi un rito. Sia i giovani che gli adulti, ascoltavano con attenzione le parole di quei vecchi saggi che, così facendo, tramandavano la storia mischiando realtà, storia e leggenda.
In questi momenti alcuni elementi simbolici svolgevano un ruolo fondamentale: il cerchio e la sacra pipa.

 

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