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Riflessioni sui Nativi Americani

Riflessioni sui Nativi Americani

di Alessandro Martire  - indice articoli

 

Il concetto del "sacro" nelle culture delle popolazioni aborigene del Nord America

Gennaio 2011
Di Alessandro Martire
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Il cerchio, come il perimetro del tipi o della tenda “sudatoria” o del cerchio entro al quale danzavano i Nativi, rappresentava l’universo, e lo spazio esterno al cerchio era il luogo dove aveva dimora la grande energia creatrice, così come il muoversi in senso orario, e cioè seguendo il movimento del sole, era praticamente in uso in tutte le tribù di Nativi, talvolta il movimento in senso opposto era eseguito dopo una catastrofe naturale (ad esempio un ciclone) per imitare gli spiriti del tuono che agivano sempre in modo innaturale. Il movimento circolare in senso orario iniziava sempre partendo dal sud perchè è da questo punto che, secondo i Nativi, si origina la vita poi si proseguiva verso ovest che rappresentava l’età giovanile poi verso nord che rappresentava l’età della vecchiaia, quindi verso est che indicava l’età in cui una persona ha chiarito il mistero della vita, per poi tornare là dove ha iniziato, lasciando il proprio corpo e dando inizio ad un’altra forma di vita.
Il sacro cerchio non ha inizio e non ha fine, è come la sacra vita che si genera, ha il suo divenire e cessa per dar inizio ad un’ altra forma e così proseguendo nel sacro ciclo della vita e della morte.
sacra pipaPer quanto riguarda la sacra pipa (In lingua Lakota si chiama “canunpa-wakan”),  sarebbe necessaria un’analisi  più approfondita, ma qui ne parleremo in termini molto generici: Il tabacco utilizzato veniva spesso mischiato alla corteccia interna del salice o del “sanguinello” creando una profumata mistura chiamata: “kinnikinnik” e presso i Lakota “cansasa”.
Questa mistura non aveva, data la scarsa quantità di tabacco, le dannose proprietà dell’odierno tabacco. Il fumo del tabacco portava in alto le preghiere offerte sino a raggiungere il “grande padre” affinché fossero esaudite. Molte erano le occasioni in cui era fumata la sacra pipa: celebrare un evento, onorare un ospite, allontanare eventi negativi che potevano colpire la famiglia od il campo, o per un congiunto che stava morendo, per una caccia abbondante, per una nascita, per la pace, etc:
Il cannello in legno veniva congiunto col fornello (spesso di catlinite o “pipestone”, una particolare pietra rossa che proviene dal Minnesota) ed allora ecco che la sacra pipa poteva esprimere tutta la sua potenza: allo stesso modo in cui un uomo ed una donna si uniscono dando origine alla vita di un nuovo essere così, l’unione dei due elementi della pipa, creano come una potente “antenna” di trasmissione di preghiera al grande Creatore. A Lui arrivano le preghiere rappresentate dalle offerte di tabacco, e dal “cansasa” che si deposita all’interno del fornello stesso. Ogni piccola quantità di tabacco viene, prima di essere inserita nella pipa, passata sopra il fumo della salvia sacra (qualità botanica conosciuta come artemisia lodoviciana), quando tutto il fornello è stato riempito di tabacco, prima lo si offre ai quattro quadranti dell’universo (partendo sempre da ovest verso est) quindi al cielo e alla terra, poi si fuma. Una volta offerta la pipa ad una persona, questa dovrà essere sempre sincera e le sue parole non dovranno poter mai “far male al cuore” dei presenti, e ciò perchè la verità dovrà essere sempre detta.
Una volta terminato di fumare, le ceneri presenti nel fornello, saranno gettate nel fuoco o deposte su un sacro altare (generalmente una pietra piatta sulla quale vengono bruciate erbe sacre) e le due parti della pipa divise e riposte avvolte in una pelle o in una stoffa. Nessuna donna che sia nel ciclo mestruale potrà avvicinare o toccare la sacra pipa, in quanto in questo periodo la donna è particolarmente sacra, perché si sta purificando in maniera naturale, pertanto la forza della sua sacralità inciderebbe sulla energia della sacra pipa.
Ogni proprietario adornava la sua pipa in modo diverso a seconda delle visioni avute, o delle istruzioni di certi “uomini di medicina” i quali potevano suggerire di adoperare certi colori o certe decorazioni ognuna delle quali aveva un preciso significato non solo estetico ma anche pratico.
Ad esempio, usando parti dell’aquila si voleva rappresentare la forza del sole e del “grande spirito”.
 Spesso se un uomo affermava qualcosa che poteva essere messa in discussione, per controllare le sue affermazioni gli veniva offerto di fumare e se egli declinava l’invito, allora nessuno gli avrebbe creduto, solo dopo aver fumato si aveva certezza di ciò che era stato affermato. Se un uomo si disonorava fumando e comunque mentendo, era spesso punito con l’esilio dal campo e con il disonore di tutti.
Il termine “medicina”, spesso veniva utilizzato dai Nativi, quando si voleva far riferimento a fenomeni inspiegabili od a persone che potevano fare cose per tutti inspiegabili. I Nativi che avevano conoscenze di erboristeria e che le utilizzavano per guarire vennero in seguito chiamati dai bianchi “medicine man” per indicare un uomo che aveva qualità di dottore secondo la medicina tradizionale. Quando si usava la parola “medicine” si intendevano le capacità che un soggetto aveva di trasmettere ad un altro soggetto l’energia del creatore, il termine poteva voler dire anche “sacro”. Molti erano i canali attraverso i quali la forza del creatore si poteva trasmettere agli altri esseri e varie erano le categorie di soggetti impegnati in queste pratiche: vi erano “uomini sacri” paragonabili a dei religiosi, vi erano uomini con grandi conoscenze di erboristeria paragonabili ai dottori omeopatici, vi erano capi guerrieri capaci di avere premonizioni che noi potremmo paragonare a dei profeti, e vi erano strumenti sacri attraverso i quali questi soggetti manifestavano le loro doti. Questi strumenti rappresentati fra l’altro anche da “fagotti di medicina” (cioè fagotti fatti di pelle di animale all’interno dei quali vi potevano essere ad esempio ossa di lupo, unghie di orso, ali di civetta, cioè tutte parti di esseri viventi che avevano il compito di infondere tutto il loro potere e qualità al possessore ed a quelli che ne avevano bisogno), sonagli sacri, vestiti sacri che raffiguravano particolari espressioni della forza del creatore come un temporale, un ciclone, il sole etc: tutti questi oggetti, utilizzati da queste popolazioni potrebbero in un certo modo essere paragonati ai paramenti sacri che nella religione cristiana sono quotidianamente usati nelle chiese (paramenti sacri dei sacerdoti con disegni vari, le candele, il sacro calice, l’acqua ed il vino, il sacro crocefisso, l’immagine di Gesù, etc.).
Allo stesso modo i Nativi usavano simbologie simili chiaramente in base alla loro cultura e spiritualità.
L’insegnante Lakota Sicangu Sig. Albert White Hat, spesso durante le sue lezioni racconta l’aneddoto di quando un gesuita, raccolti intorno a se un gruppo di Lakota, chiese loro:... “Sapete chi è Satana... e sapete qual è il suo aspetto?”Allora un Lakota rispose... “padre, se c’è una persona qui che ci può parlare di Lui e descrivercelo, quello puoi essere solo Tu, perchè sei tu che l’hai portato fra noi!” Generalmente quando una persona era malata iniziava la sua preghiera verso il suo “fagotto di medicina” chiedendo aiuto alle forze del creato in parte in esso racchiuse, seguiva poi, se ciò non aveva successo, l’intervento dell’uomo che conosceva l’uso delle sacre erbe, infine, se ciò non era stato utile interveniva l’uomo sacro che aveva il compito di mettere in atto tutti i suoi poteri mediante ulteriori rituali di guarigione.
Tra i Piedi Neri vi era la regola che un uomo sacro non avrebbe mai dovuto rivelare la provenienza dei suoi poteri. L’uomo che conosceva le erbe impartiva ordini precisi al suo “paziente” e regole precise nell’assunzione delle stesse dovevano essere osservate. Non erano mai ammessi spettatori alla pratica di guarigione eseguita dall’uomo sacro, in quanto si pensava che i suoi poteri potevano essere “distratti” da altre presenze. Spesso gli uomini che conoscevano l’uso delle erbe ricevevano questi insegnamenti attraverso visioni, oppure attraverso l’esempio offerto loro da certi animali (come l’orso). Sempre quando veniva recisa una radice od altro, veniva fatta una offerta agli esseri che vivevano nella foresta ed una preghiera di ringraziamento era eseguita nel modo più solenne chiedendo di aiutare l’amico malato.
L’uomo che usava le erbe, a differenza dell’uomo sacro, non indossava vestiti particolarmente elaborati, ma solo un perizoma ed il suo “sonaglio sacro”. Molto elaborate e spesso spettacolari erano le cerimonie che venivano eseguite per guarire un malato.
Gli Shoshoni credevano che le malattie fossero causate da uno spirito o fantasma “cattivo” che entrava nel corpo del soggetto, e quindi la pratica di guarigione in questi casi tendeva a tirar fuori dal corpo del paziente questa entità (con una certa somiglianza alle nostre pratiche esorcistiche).
Non vi erano gerarchie fra i dottori ma solo delle specializzazioni diverse. Spesso l’uomo di “medicina”, a seconda del trattamento che doveva eseguire, si tatuava il corpo con particolari colori fatti di ocre e grasso animale usando disegni diversi a seconda dei casi.
uomo di medicinaSe l’uomo esperto nell’uso di erbe mediche falliva, allora veniva chiamato l’uomo sacro, il quale, indossando magnifici costumi e compiendo riti molto elaborati, svolgeva la sua pratica di guarigione, cercando di canalizzare l’energia al fine di portare un sollievo o di guarire completamente il malato.
Anche in questo caso, leggende e realtà si intrecciano fra loro, e famose sono state alcune delle lettere dell’artista George Catlin che vide all’opera un “uomo di medicina” in un campo di Piedi Neri, e di lui ne eseguì un bellissimo ritratto.
Molte furono le ricerche e gli studi eseguiti dai ricercatori bianchi per comprendere quale fosse il significato di “male o malattia” secondo i Nativi, e si può concludere dicendo che il male spessissimo veniva interpretato come un corpo estraneo penetrato all’interno del malato e che andava estratto dal corpo del paziente tramite “estirpazione” o “suzione”.
Considerata nella sua totalità, si può dire che la pratica della medicina era decisamente un atto spirituale. Tra i Nativi vi erano tre categorie di persone che potevano occuparsi delle malattie: 1 - erbalisti – 2 – dottori – 3 - uomini sacri, che si consideravano dei canali attraverso i quali, con l’ausilio degli elementi naturali che vivono attorno all’uomo, il “Grande spirito” avrebbe operato la sua guarigione.
Presso alcune tribù, ritrovamenti archeologici attestano che furono anche effettuate piccole “operazioni chirurgiche”.

 

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