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Riflessioni sui Nativi Americani

Riflessioni sui Nativi Americani

di Alessandro Martire  - indice articoli

 

Ruolo femminile delle Native Americane nella spiritualità

Febbraio 2011
Di Anna Maria Secci
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Il secondo pregiudizio da sfatare è che nelle culture Aborigene è non ci sia progresso. Per i Nativi la crescita avviene nell'interno della propria coscienza, in armonia con le leggi della Terra e del Cosmo, nel cerchio del tempo, che va e ritorna come onde del mare, senza alcuna progressione lineare; dove ogni punto dell'arco del tempo è uguale per ogni generazione.
Vedere infatti un "cerchio", può farci pensare razionalmente ad una figura geometrica, se invece guardiamo attraverso la mente associativa possiamo essere ricondotti

  • magicamente al Sole,

  • al ciclo di eterno ritorno,

  • all’Uroboros

  • o al Tao;

in ogni caso ad un simbolo di unità in cui tutto è contenuto.

Uroboros         Tao
Cerchio

Il cerchio, come il perimetro

  • del tipi,

  • della tenda sudatoria

  • del cerchio entro al quale danzavano i Nativi

rappresentava l’universo, e lo spazio esterno al cerchio era il luogo dove aveva dimora la grande energia creatrice.

Questo, così come il muoversi in senso orario, e cioè seguendo il movimento del sole, era praticamente in uso in tutte le tribù di Nativi.

Talvolta il movimento in senso opposto era eseguito dopo una catastrofe naturale (ad esempio un ciclone) per imitare gli spiriti del tuono che agivano sempre in modo innaturale.

Il movimento circolare in senso orario iniziava sempre partendo dal sud, perché è da questo punto che, secondo i Nativi, si origina la vita. Si proseguiva poi verso ovest, che rappresentava l’età giovanile, poi verso nord, che rappresentava l’età della vecchiaia, quindi verso est, che indicava l’età in cui una persona ha chiarito il mistero della vita, per poi tornare là dove ha iniziato, lasciando il proprio corpo e dando inizio ad un’altra forma di vita.

 

Il sacro cerchio non aveva né inizio né fine: come la sacra vita si generava, aveva il suo divenire e cessava per dar inizio ad un’altra forma e così proseguendo nel sacro ciclo della vita e della morte.
Il problema è che spesso noi confondiamo il concetto di progresso con quello di evoluzione tecnologica.

L'Antropologia ci ha insegnato che non esistono culture o civiltà superiori o inferiori, il nostro pianeta rappresenta una pluralità di civiltà, ciascuna unità coerente da considerare dall'interno dei suoi aspetti, che sono ciò che si intende come cultura.


FamigliaLa famiglia autosufficiente in tutto per tutto, viveva nel classico tipì, tenda a forma conica o in abitazioni permanenti fatte di corteccia di albero, adatte in special modo ai gruppi etnici stanziali e non nomadi. Un tipì poteva ospitare anche otto persone.
Una donna poteva montarlo in 15 minuti e smontalo in 5. Ogni oggetto veniva impacchettato in speciali sacche fatte di pelle di bisonte. Un intero accampamento poteva mettersi in marcia in soli 20 minuti caricando tutto il materiale su delle slitte costituite da due pertiche legate in punta, completate da pali trasversali e trainate da cani e da cavalli.

 

Ogni tribù eleggeva un Capo che con il consiglio degli Anziani (I vecchi della tribù) guidava la tribù e ogni decisione presa spettava per essere applicata la piena unanimità del suddetto consiglio. Ogni tribù riconosceva tre autorità

  • il capo tribù, il più stimato e il più saggio, sceglieva il luogo dove erigere il campo, da tale scelta poteva dipendere la vita del gruppo;

  • il capo religioso in grado di predire il futuro e di guarire le malattie;

  • il capo di guerra, il più coraggioso, rispettato da tutti i guerrieri.

e i momenti di collettività in una tribù si dovevano esclusivamente per riti religiosi, guerre, grosse battute di caccia e feste. In quest’ultime il ruolo della danza e della musica era molto importante; attraverso queste arti si esprimevano le proprie sensazioni, le paure, i desideri, le speranze e con esse si innalzavano le preghiere, si raccontavano le storie e gli eventi importanti del gruppo, si insegnava e si tramandava la cultura dei giovani si mimavano gesta di caccia o di guerra che rimanevano così patrimonio di tutti nel tempo.

tribù

uomo indianodonna indianaAll'uomo spettava il compito di cacciare, proteggere e non far mancare nulla alle proprie famiglie e tribù e rendere forte coraggioso e pieno di principi i figli quando erano arrivati alla pubertà.

Le donne avevano una vita molto dura, ma il loro ruolo era fondamentale per mantenere la famiglia e garantire il buon andamento ella vita quotidiana, e indispensabile in alcune tribù, per il consiglio degli anziani e durante gli spostamenti era lei che si faceva carico dei maggiori pesi per permettere all'uomo di aver maggior libertà di movimento.

In quasi tutte le tribù l'arrivo di una fanciulla alla pubertà veniva consacrato con una cerimonia. Il rituale detto Awicalowanpi (Esse cantano del loro primo mestruo) accompagna il menarca delle ragazze.

 

nativa americanaQuesta cerimonia arrivò in visione all’Uomo Medicina Tatanka Hunkeshme (Bisonte Lento), molto tempo fa, in un periodo in cui i Nativi non conoscevano ancora l’atto barbarico, introdotto dai "civili" bianchi, di violare una donna. Alla comparsa del suo primo Periodo della Luna, la fanciulla, deve essere resa consapevole dell’importanza e della sacralità del mutamento avvenuto in lei. Deve essere preparata ad affrontare la sua futura vita di donna e di madre, e ai suoi nuovi doveri. Il suo mutamento interiore e il suo cambiamento di status esigono anche profonde variazioni comportamentali nell’abbigliamento, nel modo di sedersi e persino nella foggia della pettinatura.

Il rituale si celebra alcuni giorni dopo il termine della comparsa del menarca. La giovane, dopo avere conservato in un fagotto il primo flusso mestruale, lo deve depositare nell’incavo d’un pruno selvatico, allo scopo di preservarlo dai cattivi influssi e per propiziarsi la fertilità. Durante la cerimonia la ragazza si toglie gli abiti infantili per vestire quelli della donna adulta e le viene insegnato a sedersi con la compostezza della donna.

Da quel momento in poi, la donna ha la proibizione di eseguire rituali sacri durante gli anni di fertilità, e deve ritirarsi in una tenda speciale (isnatipi, tenda della solitudine) durante il ciclo mestruale. Dopo la purificazione rituale nell’Inipi, e dopo avere affrontato una lunga e complessa serie di riti officiati per lei da un uomo o donna medicina, le si legano le mani con una lunga corda. Un capo di questo legaccio è tenuto dai genitori della ragazza che l’accompagnano così ad una festa celebrata per lei. Allora, alla presenza di tutta la tribù, la fanciulla recide la corda e si libera le mani. Da quel momento è da considerare una donna adulta e responsabile a tutti gli effetti.

 

Questo rituale è stato ripristinato dagli anni Ottanta e costituisce tuttora un aspetto importante del ciclo vitale femminile lakota, poiché il ciclo mestruale e il corpo femminile venivano considerati sacri e il sangue mestruale ritenuto generatore e rigeneratore di vita.

Dalla ciclicità del mestruo femminile affiorò la coscienza dello scorrere del tempo: di mese in mese le mestruazioni ricomparivano, accompagnate dalle fasi lunari, collegamento che fu chiaramente stabilito.

Inoltre era chiaro anche il legame che ha la Luna con le gravidanze e i parti, con la semina e la crescita delle piante, con la vita animale e con le maree. Questa stretta associazione delle donne con i cicli della natura era evidente ed era oggetto di venerazione, si riteneva dunque che le donne fossero dotate di poteri mistici, che permettevano loro di far nascere i bambini.

 

Le donne erano in contatto con queste energie sacre e ad esse si allineavano in vari modi:

  • secondo il ciclo della Luna Nera, mestruando durante il Novilunio

  • secondo il ciclo della Luna Rossa, mestruando in Luna crescente

  • e ovulando in Novilunio,

  • o ancora seguendo la Sorellanza Ovarica, allineandosi cioè alle altre donne del gruppo.

Durante le mestruazioni il contatto con l'energia era ancora più profondo e la sensibilità femminile si acuiva a tal punto da renderle capaci di profezie. Originariamente il significato della parola tabù era sacro e le donne nel periodo mestruale erano considerate tali.

Tra gli Apache e i Navajo, si conosce Estsanatlehi, la "Donna che si Rinnova", una divinità della Natura dai molti e diversi nomi, tra cui Donna della Conchiglia Bianca - quella che portò la luce sulla terra  che muta d'abito quattro volte l'anno, quando attraversa le quattro porte della sua dimora celeste per creare le stagioni.

La Donna che si Rinnova rappresenta tutte le fasi dell'esistenza femminile, ma in particolare il momento in cui una ragazza diventa donna: una transizione che è considerata apportatrice di bene per l'intero clan, ed è perciò caratterizzata da festeggiamenti e riti.

Fu dalla Donna che si Rinnova che gli esseri umani ricevettero la conoscenza e la saggezza, i cicli lunari e mestruali, i canti, le celebrazioni e il desiderio di ricerca. Essa insegnò inoltre ai Navajo come costruire le capanne dal tetto arrotondato chiamate hogan.

Il massimo tributo che le viene reso è il rito che contrassegna l'arrivo del mestruo (in apache, na ih es). Si racconta che questo rito fu insegnato direttamente dalla stessa Estsanatlehi, sotto forma delle precise istruzioni tuttora seguite.

La festa inizia all'arrivo del menarca e dura quattro giorni, durante i quali lo sciamano intona preghiere invocando la Donna che si Rinnova affinché infonda la sua essenza nella ragazza, affinché si trasformi in una donna feconda e generosa e sia onorata e venerata dalla sua gente.

In risposta, lo spirito della Donna che si Rinnova "viaggia sui canti" dello sciamano e va ad abitare nell'adolescente, che diventa l'incarnazione della dea per i quattro giorni sacri.

Durante l'intero rito, la ragazza riceve l'esclusiva attenzione di una donna più anziana che la vezzeggia, la massaggia e la consiglia.

Una delle finalità del rito è di caricare di energia magica un amuleto di cui l'iniziata possa servirsi quando a sua volta perderà i poteri legati alla procreazione.

Il primo e l'ultimo giorno l'iniziata cammina in senso orario, accompagnata dagli acuti lamenti delle donne, intorno a un cesto contenente polline, piume, pittura e cereali, considerati elementi sacri dei riti.

In diversi momenti vi sono festeggiamenti, racconti e danze, aperte da ballerine danzatrici chiamate gahe.

Nel corso della cerimonia l'iniziata rappresenta il congiungimento della Donna che si Rinnova con il Sole.

Quando il rito si conclude, è diventata una donna e contemporaneamente un simbolo di pace e prosperità per il suo Popolo.

 

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