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Riflessioni sulla Psicosintesi

Riflessioni sulla Psicosintesi

di Fabio Guidi     indice articoli

 

Contro il "pensiero positivo"

Luglio 2016

 

 

Voglio dirlo con chiarezza: non è facile penetrare a fondo in noi stessi, non è facile scendere negli abissi oscuri del nostro psichismo, non è facile togliersi le maschere stratificate sul nostro volto e assaporare inevitabilmente il fallimento dell’immagine che ci siamo costruiti con tanta cura e a cui siamo così abbarbicati. Tuttavia, per chi ambisce ad una vera guarigione, ciò è inevitabile. La guarigione definitiva esige individui coraggiosi, o forse sufficientemente disperati… non è adatta a coloro che si lasciano illudere da qualche facile promessa new age.
Pensare di sciogliere il proprio modello di negatività con frasi del tipo “mi voglio bene” o “mi accetto così come sono”, è come essere convinti di vincere alla lotteria senza neppure comprare il biglietto. Ci vuole ben altro. Non è sufficiente neppure esercitare una pressione su determinati punti energetici ritenuti miracolosi, o sottoporsi a qualche altra tecnica presentata come capace di risolvere i nostri difficili problemi nell’arco di un seminario in un fine settimana. No, non è onesto illudere la gente in questo modo. Non puoi abbandonare i tuoi atteggiamenti autodistruttivi e improduttivi se non scendi in profondità dentro te stesso.
Ciò che devi fare, dunque, è andare ad indagare i tuoi condizionamenti inconsci, condizionamenti sociali e culturali, certo, ma soprattutto condizionamenti familiari, quelli che sono più radicati nel tuo psichismo. Devi comprendere e accogliere in profondità il fatto che siamo esseri pesantemente condizionati. Abbiamo subìto influenze di ogni tipo e ne siamo diventati schiavi, imponendole a noi stessi con la stessa forza con cui sono state inculcate dentro di noi.
Il maestro armeno Georgii Ivanovitch Gurdjieff soleva ripetere che l’essere umano, usualmente, non è niente più che una macchina e ha la libertà di una macchina: non fa nulla, in lui tutto avviene. I condizionamenti che abbiamo ricevuto sono l’equivalente della programmazione di una macchina.
Gli esperimenti di ipnosi ne costituiscono un esempio illuminante. Durante la seduta si può suggerire a colui che è sotto ipnosi di percepire il gusto di una patata cruda come se fosse una mela dolcissima, e il soggetto assaporerà la patata con tutto il piacere associato al gusto della mela. Oppure, si potrà insinuare che un collega del soggetto ipnotizzato ha detto delle malignità nei suoi confronti e, una volta che il soggetto sarà uscito dall’ipnosi, si assisterà ad una serie di accuse nei confronti del collega. Il soggetto, fremente di rabbia, si dirà sicuro delle sue accuse e troverà anche le ragioni per cui il collega avrebbe detto quelle cattiverie, costruendo una serie di argomentazioni create ad arte in quel momento. Ovviamente, nulla è vero di ciò che sente, pensa e vuole, anche se il soggetto ne è del tutto inconsapevole. Egli sente che è arrabbiato, pensa che il collega abbia detto delle malignità sul suo conto, vuole incontrarlo per dei chiarimenti, ma sappiamo che tutto ciò che sente, pensa e vuole è stato indotto dall’esterno. Il tutto è completamente estraneo a lui!
La situazione ipnotica costituisce semplicemente un’amplificazione della regola generale che governa l’intera nostra vita, perché il condizionamento è alla base della costruzione della nostra personalità. È arrivata l’ora di invertire la rotta e di utilizzare il potere della consapevolezza per liberarci da tutte quelle zavorre che ci impediscono di essere pieni di energia e creativi.
In definitiva, l’ostacolo maggiore alla guarigione consiste nel nostro profondo atteggiamento di fronte alla vita. Si tratta di superare ogni forma di risentimento, malignità, sfiducia, arroganza, nell’intima convinzione che tutto ciò che riversiamo sugli altri lo rovesciamo anche su noi stessi, in una spirale perlopiù distruttiva, ma che può essere anche positiva e appagante.
L’attuale mondo della new age è perlopiù affetto dalla sindrome del pensiero positivo, che però non è in grado di operare in profondità. Utilizzo il termine ‘sindrome’ perché, a mio parere, è caratterizzata da una serie di segnali patologici, quali la negazione del disagio, il rifiuto della negatività, la paura del confronto con l’appello ad una vera trasformazione interiore, e così via. Il metodo di coltivare pensieri positivi – d’amore, di perdono, di accettazione, di pace, e così via – può avere successo solo dopo aver lavorato seriamente sui tuoi intimi condizionamenti inconsci, i quali ti imprigionano in risposte abitudinarie apprese in esperienze remote. La potenza della programmazione stimolo-risposta, che affonda nelle oscurità dell’inconscio, non può essere intaccata da un semplice atto di buona volontà! Tieni bene a mente una cosa: quando la tua volontà conscia si scontra con i tuoi impulsi inconsci, sono sempre questi ultimi a vincere, in un modo o nell’altro. Può essere utile, a questo riguardo, citare l’opinione di Osho:

 

«Il pensare in positivo, se lo si vuole chiamare col suo vero nome, non è altro che la filosofia dell’ipocrisia. Quando vi viene voglia di piangere, essa vi insegna a cantare. Ci puoi riuscire se ci provi, ma quelle lacrime represse verranno fuori in un altro momento, in un’altra situazione. Esiste un limite alla repressione. E la canzone che stavi cantando è del tutto insignificante: non la sentivi, non nasceva dal tuo cuore. Essa nasceva solo dal fatto che questa filosofia dice di scegliere sempre ciò che è positivo. Io sono assolutamente contrario al pensiero positivo.»(1)

 

Un’analogia ripetuta di frequente c’insegna che se vuoi spiccare un salto verso l’alto devi prima piegare le ginocchia e scendere in basso. Ciò significa che bisogna essere soprattutto umili e partire da un lavoro sincero e volenteroso riguardo alla natura dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti più intimi, se vogliamo realizzare alti traguardi.


     Fabio Guidi

 

 

NOTA

1) Osho Rajneesh, The transmission of the lamp, insegnamenti tenuti in Uruguay nei mesi di maggio/giugno 1986.

 

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