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Ipazia: Riflessioni Filomatiche

di Alessandro Bertirotti

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Le idee hanno forza?
Un breve studio sui risultati del IX simposio filomatico internazionale

Di Danilo Campanella   Novembre 2014

 

Giovedì 20 novembre 2014 è stato aperto, a Roma, un simposio di tre ore indetto dalla Philomates Association - Associazione Filomati che aveva come suo filo conduttore una semplice domanda: come rispondere alla crisi della partecipazione? Il mondo politico, religioso, associazionistico registrano da diversi decenni un sempre minor interesse delle persone a quei riti, quelle adunanze, quegli incontri che, un tempo, erano il naturale ritrovo per centinaia, a volte per migliaia di aderenti, affezionati ma anche semplici curiosi. Si è invece sviluppato sempre più un mondo solitario che, dietro ad uno schermo, assorbe non cultura, ma informazioni e intrattenimento. E’ il caso della televisione, un media che è stato oggi surclassato da internet, in cui gli aspetti virtuali sono sempre più diventati una “seconda vita”, creando forse una nuova definizione di “reale”.

 

L’uomo è sempre più “individuo” e sempre meno “persona”. La relazione, fulcro della vita umana, passa oggi attraverso un tubo, creando un modello di uomo sempre più privato ma, essendo egli sotto il perenne controllo di un sistema informatico i cui meccanismi in gran parte gli sfuggono, è anche “privato del privato”.

 

Una sconfitta antropologica, questa, che però ha i suoi responsabili. La mancanza di un passaggio da un modello relazionale ormai diventato vetusto, a un modello relazionale che sappia abbracciare le nuove esigenze di vita dell’uomo, ha creato questo paradosso. Non dobbiamo comunque cadere in sterili allarmismi: secoli fa la nascita dell’editoria, anzi, lo sviluppo di questa unito al sempre minor costo del libri ha permesso a sempre più persone di chiudersi in casa a leggere i romanzi. Il caso più semplice, più riduttivo ma comunque meglio visibile ai più, è quello del Leopardi, gran poeta, vero letterato che, alla stregua dei nobili di campagna, preferiva le letture solitarie ( e le scritture!) a colazioni sull’erba e merende in riva al lago. Altri ancora, ben meno celebri di lui, lo seguirono. Probabilmente ogni secolo ha i suoi momenti di “ritiro”, la sua crisi di partecipazione.

 

Il pericolo è che, oggi, una tecnologia digitale ci distanzi troppo dalla natura.

 

Siamo animali politici che rispondono, prima ancora che ai diritti civili che qualsiasi stato politico può dare o togliere, a leggi naturali. Siamo nati nella natura, con precisi bisogni e necessità.

 

Essa non è né amica né matrigna: essa è la culla, il ventre caldo che ci ha fatto nascere. Oggi una distanza sempre maggiore separa il domestico dal selvatico, il bosco dal giardino. Molti nuovi approcci urbanistici, sia nell’architettura che nell’ingegneria cercano di unire le due cose, verso una commistione tra tecnologia e ambiente. Si parla di progetti a basso impatto ambientale. L’esigenza nasce dagli interrogativi dell’ecologia, in particolare dell’ecologia profonda, frutto anch’essa di un’ecosofia che, come dice il nome, nasce dal grembo della filosofia. Come cerchiamo in senso materiale di unire, con le giuste proporzioni, tecnologia e natura, dobbiamo cominciare a chiederci come si possa riequilibrare la sfera privata della nostra vita con la sfera pubblica.

 

Tutte le organizzazioni, come detto sopra, fanno fatica a coinvolgere quelle persone che, educate dalla società di massa, riescono ad interessarsi a qualcuno-qualcosa solo se vedono un interesse economico e materiale. In numeri, la nostra testimonianza di associazione accademica internazionale ci porta, in alcuni dei nostri eventi, ad esempio il Simposio annuale, a riunire dalle 70 alle 200 persone, a seconda dell’anno. Al di là della frase ormai desueta “pochi si, ma buoni”, ritengo che sia una cifra indicativa molto bassa rispetto alla partecipazione del passato. Testimonianze simili, con effetti che oso definire disastrosi ci arrivano dalle organizzazioni culturali e umanitarie che, come noi, non vantano di sezioni diffuse nelle città italiane ed estere. In effetti siamo l’unica organizzazione accademica e culturale ad avere sezioni, dipendenti da Roma, in cinque continenti. Un gran lavoro e una grossa responsabilità!

 

Non parliamo poi dei congressi di partito, che riescono a far venire qualche centinaio di aderenti solo organizzando pullman e pranzi al sacco, spesso “forzando la mano” in luoghi dove le persone possono essere “prelevate” più facilmente e con poche pretese, come i centri per gli anziani e le case di riposo.

 

Persino antiche accademie, organizzazioni blasonate, enti eccellenti si sono “ridotti” a un piè di lista del tutto formale, indicativo, che non risponde alla reale partecipazione. Questo rende molti progetti concreti di difficile attuazione. A cosa servono le raccolte fondi, le cene di gala, le donazioni, se poi non vi sono persone che portino a compimento un progetto culturale o sociale? Questo ha dato luogo alla nascita di progetti che personalmente giudico “a senso unico”: pubblicazioni di libri che ben pochi leggono perché non hanno diffusione, aiuti in Paesi di cui, al di là del cibo e del vaccino offerto, nessuno in occidente si cura veramente. Curare non significa dare l’elemosina, o scrivere un articolo per una rivista. Curare è dedicarsi, accudire e, come il figlio che va soltanto a fare una visita al genitore, senza curarsi di lui e vivere con lui, anche noi abbiamo smesso di curarci di ciò che amiamo, della nostra comunità, familiare e civile, associazionistica, religiosa, per dedicarci a dinamiche che, al di là di qualche soldo, non ci fanno sentire più uomini di quanto non si senta un martello pneumatico.

 

In questo simposio è stata fondamentale la testimonianza di istituzioni quali l’UNEDUCH, Education Charter International, nella persona dell’ambasciatore Enrico Davide Gavello; quella della presidentessa Maria Grazia de Angelis, dell’Associazione Italiana di studio del lavoro per lo sviluppo Organizzativo AISLO, di don Alessandro De Spagnolis di Africa Project Onlus, il quale ci ha richiamato verso i pericoli e le ipocrisie di un sistema occidentale-consumista che, da una parte abusa delle popolazioni povere, dall’altra, dona loro aiuti economici per cibo e vaccini. Come può un sistema che, tollerando de facto la prostituzione, la povertà e i “viaggi del sesso”, raccoglie fondi in televisione o durante la vendita dei panettoni di Natale per costruire gli ospedali che curano i problemi che noi stessi causiamo? Infine, Jean-Claude Calisesi, consigliere consolare e di ambasciata di Francia a Roma, esponente di spicco delle associazioni italo-francesi, testimonia quanto partecipare nelle associazioni significa semplicemente “dare un po’ del proprio tempo”. Calisesi, con accento francese escalmò, in dialetto romanesco “non c’è niente da fa’, ve dovete move da casà!” in uno splendido esempio di integrazione linguistica.

 

I moderatori del simposio, Andrea gentile, professore associato di filosofia teoretica presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi, e il dott. Antonio Cecere, responsabile dei progetti editoriale dell’Associazione Filomati, hanno magistralmente condotto il simposio in cui sono intervenuti relatori quali Bruno Grassetti, docente dell’Unicusano, il quale ha presentato la sua relazione dal titolo “L’associazionismo tra Italia e Cina per la promozione culturale”, Luigi Pannarale, docente ordinario di Sociologia del diritto presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Bari “A. Moro” e avvocato patrocinante presso le magistrature superiori, con “Vecchie e nuove forme di partecipazione nelle società postmoderne”, il giornalista Giacomo Pisani, che è intervenuto su “Il valore della cooperazione sociale”, Elisa Pellegrini, presidentessa di Artisticamente Albano, la quale ci ha spiegato il valore del teatro nelle relazioni umane come strumento sia pedagogico, sia psicologico per l’umana persona. Mario Sammarone ha poi parlato della “Crisi dell’editoria: un problema di budget o di piano marketing?” ringraziando le case editrici per la loro presenza al simposio: La Lepre, Paoline, Aracne, Solfanelli, Bietti, la rivista Effe e la Carmelina per aver stampato gli “Acta 1826-2014”dell’Associazione Filomati. Stimolanti sono state le domande poste a Francesco Ciocci, autore de “Le nuove frontiere del lavoro”, edito da La Carmelina nel 2014 e che ha riscosso un certo successo.

 

La comunità latinoamericana italiana è stata rappresentata dal presidente del forum dei peruviani in Italia Carlos Quiroz che, con i suoi complimenti, ha dato testimonianza di un desiderio di partecipazione che vada al di là delle mere cittadinanze. Se vogliamo essere cittadini europei, per diventare, poi, cittadini del mondo, dobbiamo tener presente le parole di  Quiroz.

 

La dott.ssa Zoe Cocco, ex stagista presso il cerimoniale della Repubblica, ha poi consegnato l’onorificenza di Filomate Onorario al sociologo Franco Ferrarotti, al prof. Luigi Pannarale e al dott. Mario Guarna per i loro risultati decennali nel campo della cultura, contribuendo all’educazione della masse e alla formazione di filosofi, scienziati e pedagoghi.

 

Il simposio si è concluso con la relazione finale di Giulio prigioni, ex ambasciatore e docente universitario, Presidente della rivista scientifica di studi interdisciplinari “Philomath News”, edita da Edizioni Solfanelli.

 

Prigioni ha ringraziato in varie lingue i presenti, auspicando l’approfondimento delle reciproche relazioni interassociazionistiche e il valore che le idee hanno quando si trasformano in fatti.

 

Questo evento, iniziato alle ore 16:00 alla presso la Sala Convegni dell’Assemblea Capitolina di Via della Greca, e conclusosi alle ore 19:00, con undici istituzioni partecipanti e circa settanta spettatori, ha brillato per la qualità dei relatori. Tutti ci hanno spinto, in qualche modo, alla necessità di ritrovare globalmente il senso di unità. Ritrovare la “comunità” è il modo che abbiamo per ritrovare noi stessi nel pubblico, il nostro piacevole spazio assieme agli altri. Contro una società che ci chiede di interagire per unicamente per un “io do se tu mi dai”, dobbiamo ritrovare quel luogo di relazione in cui l’ ”io” si rapporta con gli altri “io”, non per raggiungere la sommatoria di due monologhi – come spesso avviene – ma la vicendevole compenetrazione intellettiva per la realizzazione dei progetti utili alla comunità. Bilanciare l’intimo con il politico sarà senz’altro la soluzione del problema della partecipazione, che è poi la base per una sana democrazia. Non ci sia perda nel pessimismo delle sconfitte, dei risultati che tardano a sopraggiungere, a quello che non si realizza precisamente come vorremmo. La vita è come la vorremmo? Bisogna distinguere il mondo ideale da quello reale, riconoscendo nelle parole dello scolarca dei filomati nel 1839 il presidente lucchese Angelo Pelliccia “quello che facciamo oggi verrà raccolto, chissà dove, chissà quando, da qualcuno”. Qualcuno ci sarà sempre, finché un ideale è giusto, buono, vero, tale perché riconosciamo l’eternità che è in noi, e che ci nobilita tutti, finché qualcuno di buona volontà domani, se non oggi, raccoglierà i frutti del nostro lavoro per un mistico passaggio di testimonianza. Non siate pessimisti e non aspettatevi troppo dalla fine del mondo! Operate nel presente, siate fiduciosi e ostinati nel vostro lavoro, se è giusto, poiché il Natale umano verrà!

 

   Danilo Campanella

 

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