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Riflessioni Iniziatiche

Riflessioni Iniziatiche
Sull'Uomo, lo Spirito e l'Infinito

di Gianmichele Galassi

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La leggenda di Hiram

Febbraio 2011
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  1. Introduzione alla mitologia massonica

  2. La Leggenda di Hiram Abiff

  3. Cenni sulla valenza simbolica del mito

  4. Le fonti

La leggenda di HiramHiram, Maestro di Perfezione, emblema dell’ideale iniziatico liberomuratorio, incarna le caratteristiche dei tre pilastri di sostegno per il Tempio: Forza, Bellezza e Sapienza.

 

Introduzione alla mitologia massonica

La figura di Hiram sta all’origine stessa della Massoneria, naturalmente parliamo di mito e leggenda non di una vera e propria ricostruzione storica: la mitologia massonica è essenzialmente “simbolo”. Ma che cos’è un simbolo? La parola "simbolo" deriva dal latino symbolum ed a sua volta dal greco sýmbolon dalle radici sym-, "insieme" e bolé, "un lancio", o più semplicemente mettere insieme, accordare, patto etc. Dall’etimologia si evince come i simboli possiedano un forte valore evocativo, da cui deriva un carattere intersoggettivo, sono cioè condivisi da un gruppo sociale. Per questo motivo, lanciarsi in affannosi quanto contorti ragionamenti per giungere all'interpretazione del simbolo, farà perdere allo stesso la caratteristica più preziosa, ovvero la semplicità; con essa va in qualche modo persa la funzione prima del simbolo, quell'universalità scaturente dalla sua necessaria univocità di sensazione. In tale ottica è essenziale un'interpretazione basata prettamente sulla logica di base, scevra da ogni subdolo valore, ossia da valenze così ben nascoste da generare solamente confusione: il simbolo nasce dall'esigenza di semplificare ciò che è complesso, rendere esprimibile ciò che non lo è, come le sensazioni che riesce a suscitare; sta poi al lettore trovare sapienza e capacità per formare concetti man mano più complessi attraverso un sapiente uso sincretistico di più simboli in modo da ottenere allegorie complesse. Come ad esempio il mito di Hiram…

 

La Leggenda di Hiram Abiff (1)
Rielaborazione (2) di Gianmichele Galassi

La Bibbia ci presenta Hiram Abiff come il massimo artista del suo tempo. Famoso nella propria città natale, Tiro, per la magnificenza delle sue opere, onorato ed ammirato dal sovrano per le straordinarie capacità dimostrate nelle arti, fu da questi inviato al potente Re Salomone per la costruzione del grande Tempio, la Casa del Signore. Nessuno meglio di Hiram sapeva lavorare i metalli, egli padroneggiava i segreti dell’Arte, fine intagliatore di pietre e legno aveva accumulato grande esperienza nel governare operai e maestranze.
Vennero arruolati per l’occasione centinaia di geometri e capomastri: il cantiere assomigliava ad un grande formicaio tanti erano gli operai chiamati al lavoro. A centinaia di migliaia, venuti da ogni Paese, formarono un formidabile esercito di lavoratori, in cui si fondevano innumerevoli etnie, costumi, idiomi e religiosi, convivendo pacificamente per portare a compimento la grande opera.
Su tutti vigilava attento lo sguardo del Maestro Hiram che, guidato dalla sapienza, pensò di organizzare l’immenso cantiere dividendo gli operai in tre categorie in base alle proprie competenze e capacità.
Fu così che, prima dell’inizio dei lavori, radunò tutti: pose gli Apprendisti a destra, dette loro la propria divisa, un grembiule bianco, il segno ed una parola per farsi riconoscere come tali; poi individuò i Compagni, dette anche a loro divisa, grembiule e parola, sistemandoli sulla destra.
Infine anche i Maestri ricevettero le proprie istruzioni.
Avvertì tutti che nessuno avrebbe mai dovuto rivelare la parola d’ordine, pena l’immediato licenziamento.
In tal modo i sorveglianti erano in grado di dare il giusto salario giornaliero a tutti gli operai secondo la propria competenza: era sufficiente che ciascuno comunicasse la parola ed il segno per ottenere il pattuito.
Così i lavori avanzarono rapidamente ed il Grande Tempio prendeva forma, lasciando intravedere la maestosità che avrebbe assunto ad opera compiuta. Salomone era entusiasta del cantiere governato da Hiram e non perdeva occasione per tesserne le lodi.
All’apparenza tutto correva nel migliore dei modi, soddisfazione ed entusiasmo erano respirabili in ogni angolo del cantiere: gli apprendisti sgrossavano le pietre che poi passavano sotto la cura dei compagni che, con pazienza e dovizia, le levigavano affinché combaciassero perfettamente l’una con l’altra.
Infine i Maestri assistevano alla posa, misurando attentamente ogni blocco in modo che corrispondesse al progetto.
Tanto successo ed operatività del maestro Hiram destarono però l’invidia di tre operai, interessati più al guadagno che all’atmosfera di armonia che si percepiva nel grande cantiere. Pur privi del talento e dei meriti necessari, i tre compagni aspiravano al salario dei Maestri e fu così che ordirono un funesto, quanto infame, piano. A mezzanotte Hiram aveva il costume di ritrovarsi all’interno del Tempio, mentre tutti gli altri riposavano; in tal modo controllava lo stato di avanzamento dei lavori, soffermandosi poi a meditare nello spazio sacro. Una sera i tre compagni misero in atto la loro congiura; ognuno si appostò, armato di un arnese da lavoro, ad una delle tre porte. Quando Hiram giunse presso la porta occidentale trovò ad aspettarlo, minaccioso, il primo dei tre: “Ditemi la parola di Maestro“ disse costui minaccioso.
“Tu sai bene che io non posso rivelartela” rispose il Maestro.
Allora l’altro, senza incertezze, gli sferrò un colpo alla gola.
Seppur stordito, il Maestro riuscì a sfuggirgli dirigendosi immediatamente verso la porta a Meridione; ma lì trovò ad attenderlo il secondo Compagno.
Con tono arrogante tornò a chiedere al Maestro quale fosse la “Parola”…
“Insensato! - gridò Hiram – Non è così che l’ho ricevuta io! E non è questo il modo di chiederla!”
L’altro, seccato, con rabbia vibrò un colpo diretto al cuore di Hiram.
Questi, quasi esanime e gravemente ferito, si trascinò verso l’ultima porta, quella posta ad Oriente, in cerca di scampo…ma anche là trovò appostato l’ultimo dei tre che, sbarrandogli la via, pretendeva che gli fosse rivelata la Parola.
Hiram non si lasciò intimorire neppure dalla minaccia dell’ultimo: sapeva di non poter fuggire e che quest’ultimo colpo gli sarebbe stato fatale, ma decise comunque di impartire l’ultima lezione: “Lavora, persevera, impara. Solo così sarai ritenuto degno ed avrai diritto alla ricompensa di maestro!”
L’altro allora, accecato dall’invidia e incredulo della rettitudine del Maestro, lo colpì direttamente alla fronte, e lo uccise!
Ecco come è morto il Maestro dei Maestri, portando con sé i segreti dell’Arte. I tre assassini infami portarono il corpo in un luogo solitario del Libano e là gli dettero sommaria sepoltura, piantando sulla tomba un ramo d’acacia, e poi tornarono al cantiere.
Intanto a Gerusalemme, dalla preoccupazione iniziale per l’assenza del Maestro, si arrivò ben presto alla disperazione ed allo sgomento quando vennero notate alcune tracce di sangue all’interno del Tempio.
“Hiram è morto! – si continuava a ripetere – Chi potrà sovrintendere ai lavori per la costruzione del Grande Tempio, adesso che il Maestro è scomparso per sempre?”… “I segreti dell’Arte sono perduti per sempre! Le tenebre scendono e regnano ogni dove. Cosa possiamo fare per riportare la Luce della saggezza su di noi?”
Allora intervenne Salomone: “Facciamoci coraggio, non tutto è perduto, e cerchiamo i resti mortali del Maestro, la sua sapienza non può essere scomparsa con Lui… Essa è eterna!”. Fu così che il saggio Re mandò a chiamare nove maestri, inviandoli alla ricerca del corpo a gruppi di tre: “Viaggiate maestri! Viaggiate da oriente ad occidente, da settentrione a mezzodì, finché non abbiate trovato Hiram”.
Fu così che dopo lungo vagare, attraversando il deserto del Libano, un maestro scorse in una piccola radura un ramo d’acacia, appoggiandovisi notò che era stato piantato di recente e la terra intorno pareva mossa da poco… sospettò allora che fosse proprio la sepoltura del grande architetto del Tempio, prestamente fece avvertire Salomone. Alla notizia il Re ordinò che gli altri maestri, tornati nel frattempo, andassero a verificare e, nel caso, recuperare i resti del Maestro.
In breve tempo i nove maestri inviati alla ricerca tornarono con il corpo di Hiram che ricevette le esequie riservate solamente ai sovrani.

Naturalmente, la mitologia liberomuratoria non si esaurisce con la morte del Maestro Hiram: negli alti gradi la leggenda sulla costruzione del Tempio di Salomone continua a lungo, si giunge invero addirittura alla cattività di Babilonia ed alla costruzione del “secondo” Tempio… ma questa è un’altra storia.

 

Cenni sulla valenza simbolica del mito

È ben evidente come la leggenda di Hiram contenga ed anticipi il sincretistico complesso simbolico della Libera Muratoria:

 

1. Gli attrezzi muratori con cui i tre congiurati colpirono Hiram sono quelli alla base del lavoro di loggia e simboleggiano rispettivamente la retta e misurata azione, l’equilibrio e la volizione.

2. Le parti del corpo ove Hiram fu colpito simboleggiano i tre piani (materiale, animico e spirituale) e sono così rappresentati nei riti di iniziazione:

  • la gola, simbolo della vita materiale;

  • il cuore, sede dell'anima;

  • la fronte, sede dell'intelligenza.

3. I tre atti violenti compiuti dai Compagni traditori a loro volta riproducono:

  • la menzogna;

  • l'ignoranza;

  • l'ambizione.

Questo mito serve a riassumere il lavoro che ciascuno deve compiere al proprio interno per essere, giorno dopo giorno, un uomo migliore; è evidente poi come i vizi siano il terreno fertile per le più basse azioni che un essere umano possa compiere: invidia ed ambizione stanno alla base del tradimento, mentre menzogna ed ignoranza sono le fonti dell’infamia. Il primo passo è quindi quello di scavare oscure prigioni ai nostri vizi, sostituendoli con i più alti valori umani: sincerità verso sé stessi ed il prossimo, benevolenza e tolleranza verso l’altrui idea; raggiunto tale grado di Luce ne derivano grandi pregi attribuibili all’Uomo, ovvero fratellanza, giustizia e libertà di pensiero. Dobbiamo ora aggiungere che il pregiudizio è il secondo muro da abbattere, ci rende ciechi di fronte alla realtà, come un fitto velo che avvolge i nostri sensi e moltiplica l’incapacità di vedere oltre l’apparenza. In qualche modo –molti grandi uomini lo hanno notato prima – a causa del pregiudizio la forma delle cose ci appare sbiadita mentre la sostanza resta completamente ignota; in tale stato è impossibile scorgere la via d’uscita, la scintilla divina che alberga in ciascuno di noi e che può farci respirare l’emanazione dell’essere Supremo, qualunque sia… Dio, Allah etc.
Impegno, perseveranza e volitiva applicazione debbono essere la base per sconfiggere prima i vizi e poi i pregiudizi cosicché, liberi da ogni vincolo, non dovremmo più essere come moderni Sisifo (3) che dopo lunghi sforzi si ritrovano sempre al punto di partenza.
Hiram di Tiro, la cui capacità nel lavoro, l’autorevolezza nelle relazioni e l’eterna sapienza nel pensare verranno ricordati da coloro che avranno la volontà di migliorarsi, sarà l’esempio imperituro di cosa significhi essere Uomini, Iniziati ed anche Massoni.

 

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Note:
1) Al nome Hiram viene spesso aggiunta l’espressione Abiff o Abif, che deriva dall’ebraico Ab “padre”, quindi “suo padre”, comunque molti autori sono propensi ad assegnare nel caso specifico il significato di “maestro, capo ecc.”, utilizzato quale segno di rispetto.
2) Rielaborata e riassunta dal contenuto del volume Hiram e la leggenda di Hiram di Luigi Sessa edito da Bastogi Ed.
3) Sisifo fu condannato per l’eternità da Zeus a causa della sua sagacia a trasportare dalla base alla cima di un monte un macigno che, ogni volta, una potente forza faceva rotolare di nuovo giù alla base, come riporta Omero nell’XI libro dell’Odissea (vers.593-598):
«Sísifo pure vidi che pene atroci soffriva/ una rupe gigante reggendo con entrambe le braccia./ Ma quando già stava per superare la cima, allora lo travolgeva una forza violenta/ di nuovo al piano rotolando cadeva la rupe maligna.»


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