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Riflessioni Iniziatiche

Riflessioni Iniziatiche
Sull'Uomo, lo Spirito e l'Infinito

di Gianmichele Galassi

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Francesco: Il «povero» che arricchì il mondo

Ottobre 2010

 

 

 

Dove c'è odio fa che io porti l'amor,
Dov'è offesa, perdono,
Dov'è dubbio, fede,
Dov'è disperazione, speranza,
Dov'è buio, luce,
Dov'è tristezza, gioia.

 

Francesco d’Assisi

 


Ogni qual volta ci accostiamo ad una figura storica, è bene concentrarsi sugli avvenimenti della sua vita cercando sempre di capire l’uomo che si cela dietro al personaggio. I lunghi anni di studio mi hanno insegnato che le cose non stanno quasi mai come vengono ufficialmente raccontate e gli storici, solo recentemente, hanno compreso quanto il distacco temporale sia indispensabile per ottenere una visione quanto più obiettiva. Per questo motivo porrò l’accento su alcuni risvolti meno noti della vita di Francesco.
Certamente è facile rimanere affascinati da figure di questo calibro, alquanto rare nel panorama storico umano; quando la prima volta mi sono interessato a Francesco, mi ha immediatamente risvegliato il ricordo della vicenda di un uomo per molti aspetti assonante, quello di San Galgano.
Galgano Guidotti compi infatti un gesto di valore simbolico assoluto, specie se consideriamo il contesto storico-sociale: egli decise platealmente di rinunciare al potere ed al dominio della spada, intrinsecamente legata alla propria posizione sociale, per dedicarsi totalmente alla croce, simbolo di pace, amore e fratellanza.
Questo gesto è facilmente e popolarmente interpretabile con il netto rifiuto dei propri privilegi a favore di una condizione più naturale dell’uomo, traducibile in una contestazione pubblica del modus vivendi dell’epoca.
Galgano, con questo suo gesto straordinario, risalì la scala della notorietà divenendo uno dei maggiori testimoni di quella corrente eremitica e riformatrice caratterizzante i primi secoli del nuovo millennio: simbolo di una Chiesa più umile, fu certamente guardato con interesse da Francesco che, dopo le sofferenze causate dalla malattia durante la prigionia, decise anch’egli di emulare le gesta di Galgano abbandonando le armi ed il suo status sociale di ricco borghese per dedicarsi a più alti ideali. Abbandonò quindi la materia in favore dello spirito, si eresse a rappresentante degli humiles che, pur nella sfortuna materiale, potevano contare sulla speranza dell’eternità nella «piena luce» del Creatore.
Galgano e Francesco, attraverso le proprie scelte, sollevarono un’onda dirompente paragonabile ad una vera e propria rivoluzione sociale destinata a minare le fondamenta stesse di una Chiesa e di una classe clericale alla deriva: lusso e potere - ovvero i moderni idoli – stavano corrompendo i rappresentanti di Dio, sempre più lontani dallo stile di vita indicato dal Cristo nelle Sacre Scritture.
Ecco la caratteristica principale dell’opera divulgativa di Francesco d’Assisi che l’ha reso così popolare: il suo essere «imitatore perfetto di Cristo».
Certamente Francesco non ha mai apertamente contestato la gerarchia ecclesiastica anzi, tutt’altro: i suoi testamenti, soprattutto quello “di Siena”, esortano al rispetto ed all’obbedienza all’Istituzione romana ed ai suoi rappresentanti. Ma come non leggere e notare una vena polemica nel suo agire e nelle sue opere?

 

TESTAMENTO DI SIENA, DETTATO DAL SANTO NELLA PRIMAVERA DEL 1226:

«Scribe qualiter benedico cunctis fratribus meis, qui sunt in religione et qui venturi erunt usque in finem seculi.
Quoniam propter debilitatem et dolorem infirmitatis loqui non valeo, breviter in istis tribus verbis patefacio fratribus meis voluntatem meam, videlicet: ut in signum memorie mee benedictionis et mei testamenti semper diligant se ad invicem, semper diligant et observent dominam nostram sanctam paupertatem et ut semper prelatis et omnibus clericis sancte matris ecclesie fideles et subiecti existant.»

 

«Scrivi che benedico tutti i miei frati, che sono ora in questa Religione e quelli che vi entreranno fino alla fine del mondo.
E siccome, a motivo della debolezza e per la sofferenza della malattia, non posso parlare, brevemente manifesto ai miei frati la mia volontà in queste tre parole. Cioè: in segno e memoria della mia benedizione e del mio testamento, sempre si amino gli uni gli altri, sempre amino ed osservino nostra signora la santa povertà, e sempre siano fedeli e sottomessi ai prelati e a tutti i chirici della santa madre Chiesa.»

(Francesco d'Assisi, Testamento di Siena, [FF 132-135]. trad.: F. Olgiati - C. Paolazzi

 

Come tutti i grandi sogni, a cominciare da quelli biblici, i Fioretti sono profezia e polemica, sogno e scandalo, e come non leggervi un’aperta e chiara chiamata in giudizio dell’intera Chiesa di Roma?
Ad un certo punto della sua vita, al termine di un momento delicato e difficile, fu probabilmente avvolto dal calore di un’umanità spontanea, da quel tipo di calore che solamente la vista della “luce” è capace di creare e che, una volta provato, è impossibile dimenticare. Dal punto di vista massonico questo è paragonabile alla piena comprensione ed al raggiungimento dei primi due gradi: l’apprendistato ed il compagnonaggio. Nel primo si acquista la piena coscienza di sé, arrivando alla certezza di chi siamo e quindi di ciò che è veramente importante per noi stessi; successivamente il compimento dell’essere umano, ovvero la trasposizione della raggiunta armonia interna verso il “tutto”, ovvero con ciò che ci circonda, l’esterno.
Detto ciò, è facile comprendere come un uomo che abbia raggiunto tali traguardi possa essere diventato esempio e guida per tutti gli altri, forte della virtù ingenerata dalla piena coscienza di sé e del proprio posto nel mondo. A testimonianza di queste affermazioni troviamo numerosi momenti in cui Francesco ricrea unità ed armonia fra il corpo e l’anima, il visibile e l’invisibile, fra materia e spirito, attraverso il dialogo e la riconciliazione con “tutte le creature”. Non dimentichiamoci infatti che in numerose versioni del rituale dell’Agape massonicoiniziatica, giunte sino a noi, l’orazione principale riguarda proprio il “Cantico delle Creature” di Francesco. Si dà, così, grande rilevanza proprio al rapporto dell’uomo con la natura ed i suoi frutti, facendo particolare riferimento agli altri esseri viventi. Difatti, l’armonia con il creato è cercata nel momento forse più difficile - quello del nutrimento – interpretato come grande dono da vivere con consapevolezza e serenità.

 

Il cantico delle Creature

 

Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual'è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si', mi' Signore, per sor'aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si', mi' Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore
et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke 'l sosterrano in pace,
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.
Laudate e benedicete mi' Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate.

 

La TauLa Tau

Fra i numerosi simboli dal risvolto esoterico che hanno accompagnato vita ed opere di Francesco, mi sembra opportuno in questa sede porre l’accento sulla TAU (1), non a torto considerato l’emblema principale della massoneria dell’Arco Reale. Di antichissima origine, questo segno ha ricoperto grande importanza in molte culture; seppur ne esistano molte varianti (2) è chiaro che fosse ritenuto simbolo magico e vitale. Nella società egizia il geroglifico Anck (3) (variante uncinata) stava ad indicare la divinità; mentre in quella ebraica rappresenta forse il compimento dell’opera di Dio, almeno della parte rivelata, essendo l’ultima lettera dell’alfabeto; in più era utilizzata (e lo è ancora) davanti al nome come segno distintivo dell’alto valore di una persona: nell’antichità se ne fregiavano i guerrieri che si erano particolarmente distinti in battaglia, salvandosi. A questo proposito, fra le frequenti menzioni bibliche (4), vorrei ricordare un passo di Ezechiele (9,3-4): «Il Signore disse: Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme e segna un Tau (5) sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono...». Nella cultura cristiana è perciò segno di riconoscimento del figlio di Dio scampato dal pericolo, ovvero del salvato dallo sterminio.
Considerata la potenza della TAU come segno di protezione contro il male, Francesco la utilizzò nella nota lettera (Chartula) di “Benedizione a Frate Leone” per restituire la speranza all’amico assalito dal dubbio sul suo destino eterno.
Secondo alcuni studiosi, poi, la TAU (6) rappresenterebbe la parola perduta, ovvero l’ineffabile segreto scopo primario del massone; ed è curioso che lo stesso Francesco l’abbia disegnata che esce dalla propria bocca. Riprendendo il titolo dell’articolo, la scelta di vivere in povertà ha profondi significati esoterici. La pratica dell’abbandono delle cose materiali in favore dello spirito è, indubbiamente, il metodo più rapido per salire la scala di cinque gradini. Le distrazioni dell’uomo, infatti, sono spesso legate al desiderio profano e l’assoluta povertà elimina gran parte delle tentazioni offerte dal mondo. In più Francesco si dimostrò più volte immune alle lusinghe del potere. Tale risolutezza nell’agire secondo principio, lo rese esente dai tentennamenti procurati dalla brama, permettendogli di ricevere la conferma mistica di assoluta rettitudine in vita (7):
1) Da Innocenzo III:
ma regalmente sua dura intenzione
ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
primo sigillo a sua religione.
2) Dallo Spirito Santo per mezzo di Onorio III, che approvò la sua regola:
di seconda corona redimita
fu per Onorio da l'Etterno Spiro
la santa voglia d'esto archimandrita.
3) Ed infine da Gesù stesso con il dono delle stigmate:
nel crudo sasso intra Tevero e Arno
da Cristo prese l'ultimo sigillo,
che le sue membra due anni portarno.

 

Questa considerazione, insieme ad altre, possono condurre (cfr. Cappelli) alla formulazione di alcune ipotesi non prive di fascino, tali da indurci ad una meditata riflessione su metodo e scopi perseguiti dal non comune Santo d’Assisi.

 

San Galgano Guidotti: un “Santo insolito” (8)

Nacque probabilmente nel 1148 a Chiusdino, adesso in provincia di Siena, da Guidotto e Dionigia, in una famiglia della piccola nobiltà locale, e morì il 30 novembre 1181, giorno della celebrazione liturgica.
Secondo la tradizione, fu desiderato a lungo dai genitori e destinato, a causa della sua estrazione sociale, ad una vita da guerriero, da cavaliere medievale. Il periodo che lo vide protagonista, era segnato da continue lotte fra i signori locali, quali Gherardesca, Pannocchieschi ed altri, per la supremazia politico-militare del territorio senese. Seguendo il costume dell’epoca - violenze, soprusi e stupri erano vissuti nella quotidianità come normale manifestazione di vigore e vitalità, protesi alla supremazia sull’altro - Galgano manifestò in
gioventù una forte inclinazione per ogni genere di dissolutezze, caratterizzate da disordine e lussuria; forse proprio a causa della loro intensità, decise in seguito di convertirsi alla vita religiosa, ritirandosi nell’eremo di Montesiepi.
La madre Dionysia, interrogata dalla Commissione Papale incaricata delle indagini per la canonizzazione di Galgano, riportò l’incredibile storia del figlio: «In terram pro cruce spatam fixit», ovvero “conficcò la spada in terra come una croce”. (9)
Simbolicamente, fu gesto dalla valenza straordinaria – considerando il periodo storico – con il quale Galgano decise di rinunciare al potere ed al dominio rappresentati dalla spada per dedicarsi totalmente alla croce, simbolo estremo d’amore, pace e rinunzia alla violenza.
Naturalmente la vicenda appare quantomeno simile a quella arturiana del ciclo bretone, ma per non svilire il gesto del Guidotti è bene precisare come la valenza simbolica sia esattamente opposta: Artù estrasse Excalibur per ottenere potere e regalità.
L’eco della vicenda di Galgano, comprovato dall’imponenza dell’omonima Abbazia e dall’immediata canonizzazione, si diffuse rapidamente, ottenendo un effetto dirompente; il rifiuto netto della propria condizione di privilegio equivalse dunque ad una decisa contestazione del “modus vivendi” dell’epoca. Tanto efficace da considerarlo il precursore naturale di San Francesco, sicuramente a conoscenza – se non addirittura influenzato – dall’insolita storia del Chiusdinese.
Galgano fu infatti uno dei maggiori testimoni della formazione della corrente eremitica e riformatrice esplosa durante i primi secoli del nuovo millennio, fu innalzato a simbolo di una Chiesa più umile, i cui servitori troppo spesso vivevano nel lusso più sfrenato a discapito degli humiles che soffrivano innumerevoli violenze, ingiustizie e sopraffazioni. Detto ciò, è comprensibile come i cistercensi, seguendo l’esempio di San Bernardo, vollero sfruttare politicamente la figura di Galgano per affermare le proprie idee riformiste, costruendo l’Abbazia, in Italia, seconda solamente al monastero laziale di Fossanova.
La vicenda di Galgano deve rammentarci il vero compito dell’uomo: l’impegno continuo all’esaltazione dell’armonia e della misura, in noi stessi prima e verso ciò che ci circonda poi, per il conseguimento dell’unione universale umana attraverso la diffusione culturale e l’evoluzione morale.

 

Gianmichele Galassi
Da Secreta Magazine n.1 - 2009

 

NOTE
1) Da notare che è l’unica lettera presente sia nell’antico ebraico sia nell’antico greco, oltre che nell’aramaico, nel latino. Ed in generale in tutte le lingue semitiche ed indoeuropee.
2) È presente in numerosi ritrovamenti archeologici risalenti al II°-III° millenio a.C.
3) Gli antichi egizi la riproducevano con un cartiglio simile ad un manico e la chiamavano la croce della vita e della morte, donata all’uomo spirituale dal Dio della Conoscenza Thot.
4) Lo si ritrova anche nel libro della Genesi (4,15), nell'Esodo (12,7) ed in Giobbe (31,35).
5) In questo modo coloro che lo meritavano sarebbero stati risparmiati dai “sei messaggeri della distruzione”, in molte recenti versioni della Bibbia al posto della “Tau” è trascritto erroneamente “croce”.
6) La lettera greca T [Tau] corrisponde all’ebraica ת [Tav], la cui pronuncia significa «Giosuè», tradotto poi in greco «Gesù».
7) Come del resto ci fa notare Dante nell’XI° Canto del Paradiso (vv.30-117).
8) Così definito da: Paul O. Pfister. La rotonda sul Montesiepi. Ed. Cantagalli, Siena, 2001.
9) Paul O. Pfister. Op. Cit. pag. 50.


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