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Riflessioni sul Senso della Vita

Riflessioni sul Senso della Vita

di Ivo Nardi

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Riflessioni sul Senso della Vita
Intervista a Enzo Di Nuoscio

Ottobre 2011

 

Enzo Di Nuoscio è professore ordinario di Filosofia della scienza presso l’Università degli Studi del Molise e docente di Metodologia delle scienze sociali alla Luiss “Guido Carli” di Roma. Dopo la laurea ha perfezionato i suoi studi di epistemologia delle scienze sociali presso l’Università la Sorbona di Parigi, sotto la direzione di Raymond Boudon. Ha inoltre svolto attività di ricerca e di insegnamento presso “La Sapienza”, La LUMSA e la Luiss di Roma e presso la Sorbona, l’École Polytechnique e l’Institut d’Études Politiques di Parigi. Autore di saggi apparsi su riviste internazionali e in volumi collettanei italiani e stranieri, tra le sue pubblicazioni si segnalano: Le ragioni degli individui, Rubbettino, 1996; Epistemologia dell’azione e ordine spontaneo, Rubbettino, 2000; (con R. Boudon), Spiegazione scientifica e relativismo culturale, Luiss University Press, Roma, 2004; Tucidide come Einstein? La spiegazione scientifica in storiografia, Rubbettino, 2004; Il mestiere dello scienziato sociale, Liguori, 2007; (con P. Heritier), Le culture a babele, Medusa, 2009; Epistemologia del dialogo. Per un confronto pacifico tra culture, Carocci, 2011.

 

1) Normalmente le grandi domande sull’esistenza nascono in presenza del dolore, della malattia, della morte e difficilmente in presenza della felicità che tutti rincorriamo, che cos’è per lei la felicità?

Le grandi domande sorgono sempre quando una nostra aspettativa viene disattesa, come capita nei casi tragici della vita. Ma dobbiamo pensare che anche in queste circostanze la nostra esistenza “guadagna esperienza”, capisce meglio il mondo, che ci mostra un lato che avremmo voluto mai vedere. Forse aveva ragione Hans-Georg Gadamer quando diceva che “si impara dalla sofferenza”. Se l’infelicità, come dice Schopenhauer, è il prodotto dell’insaziabile volontà umana di non accontentarsi mai (“chi accresce il sapere aumenta il dolore” si legge nell’Ecclesiaste), della nostra antropologica incapacità di fermarci sulla nietzschiana “soglia del presente”, la felicità non può essere vista come un approdo, ma come la fiducia in un percorso, come la piacevolezza di un viaggio piuttosto che contemplazione della meta. Un viaggio che è la più personale delle esperienze. Parole di saggezza quelle che Seneca distillava a Lucilio: “la felicità non è nient’altro che la fiducia nel perseguirla”; fiducia che ognuno deve innanzitutto cercare dentro di sé.

 

2) Professore Di Nuoscio cos’è per lei l’amore?

Nei limiti che il nostro linguaggio consente di tradurre un sentimento in parole, mi sentirei di accettare l’idea di Adorno che vede l’amore come “la capacità di avvertire il simile nel dissimile”. L’amore è un sentimento che consente di fissare un legame che salda le differenze, che subordina l’”io” al “tu”, che tende ad alleggerire il peso della materialità, per poter meglio sciogliere le contraddizioni dell’esistenza. L’amore è forse la più grande, e purtroppo rara, risorsa del nostro quotidiano “slancio vitale”.

 

3) Come spiega l’esistenza della sofferenza in ogni sua forma?

Chi, come me, non è credente, non la spiega, se non come il prezzo da pagare al fatto stesso di esistere. Si soffre proprio perché ci è data la vita. Chi crede, invece, ha due possibilità: quella scelta da gran parte dei Cristiani, che imputano la sofferenza ad un imperscrutabile (per gli umani) disegno di un Dio onnipotente e infinitamente buono; oppure quella proposta dal filosofo ebreo Hans Jonas, che la imputa alla non onnipotenza di un Dio infinitamente buono e dalle intenzioni comprensibili. Un Dio che avrebbe voluto (in quanto infinitamente buono) ma non  ha potuto (in quanto non onnipotente) evitare Auschwitz, e che vive e soffre con gli uomini, a cominciare dagli ebrei condannati alla camere a gas. Quando, a quindici anni, Elie Wiesel assiste nel campo di concentramento di Auschwitz all’impiccagione del suo coetaneo “Angelo del campo”, e sente gli altri ebrei costretti ad assistere a quell’orrore chiedersi con disperazione “Dov’è il Buon Dio?”, pensò dentro di sé: “Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca”.

 

4) Cos’è per lei la morte?

La morte appartiene alla vita. C’è, proprio perché esistiamo. Accettare questa idea, significa collocarsi in un orizzonte che ci fa vedere in modo diverso ogni nostro gesto quotidiano, che assegna al tempo un altro significato, vivendolo come Kairòs e non come Cronos.

 

5) Sappiamo che siamo nati, sappiamo che moriremo e che in questo spazio temporale viviamo costruendoci un percorso, per alcuni consapevolmente per altri no, quali sono i suoi obiettivi nella vita e cosa fa per concretizzarli?

Realizzare i propri progetti e contribuire, per quanto possibile, a favorire la realizzazione di quelli altrui. “Coltivare al meglio il proprio giardino”, come suggerì il vecchio saggio turco a Candide, è tutt’altro che una filosofia di vita minimalista.

 

6) Abbiamo tutti un progetto esistenziale da compiere?

Non abbiamo nessun progetto assegnatoci da altri individui o da un Dio e di cui qualche individuo o gruppo privilegiato possa sentirsi rivelatore. Coloro che hanno preteso di dimostrare che, nel nostro e nell’altrui interesse, dobbiamo svolgere un compito assegnatoci da una principio superiore, hanno spesso costruito un molto rispettabile inferno. L’unico progetto esistenziale da compiere è quello che ognuno di noi si dà sulla base della propria visione del mondo.

 

7) Siamo animali sociali, la vita di ciascuno di noi non avrebbe scopo senza la presenza degli altri, ma ciò nonostante viviamo in un’epoca dove l’individualismo viene sempre più esaltato e questo sembra determinare una involuzione culturale, cosa ne pensa?

Come scriveva Popper, il mondo contemporaneo è pieno di atrocità, ma è anche quello che storicamente presenta meno ingiustizie. Per la prima volta nella storia oggi, almeno nei Paesi più avanzati, il più ricco e il più povero usano lo stesso antibiotico, mangiano lo stesso pane, hanno la casa ugualmente riscaldata e hanno la stessa aspettativa circa la durata di vita. Nei nostri tempi vi è una solidarietà internazionale contro la povertà, le epidemie, le carestie, che certo non le ha debellate, ma che non ha mai avuto eguali nella storia umana. Contrapporre l’”inciviltà di oggi” ai “bei tempi andati”, quando l’età media era di quarant’anni, la mortalità infantile alle stelle, quando nessuno poteva essere sicuro di tornare vivo a casa la sera perché non c’era un minimo di stato di diritto, quando ogni differenza di opinione poteva costare la vita, quando la vita umana valeva meno di quella di un cane di oggi, quando a scadenze periodiche vi erano intere generazioni di orfani a causa delle guerre, è una radicata moda di intellettuali dichiaratamente antioccidentali (e spesso molto a loro agio in Occidente) che avrebbero potuto impegnare più utilmente i loro sforzi per capire meglio le storture della nostra società e per contribuire a rimuoverle gradualmente.

 

8) Il bene, il male, come possiamo riconoscerli?

Non c’è il Bene e il Male, ma tanti “beni” e tanti “mali” quante sono le concezioni etiche degli individui. Sono i valori, che variano da individuo a individuo, e che spesso cambiano nel corso della vita nella vita di ogni persona, che ci permettono di considerare, di volta in volta, come “bene” o come “male” un fatto. I criteri per riconoscerli sono dentro di noi. Come ci ricorda Pascal, a volta basta lo spazio di un fiume per trasformare un gesto eroico in un atto criminale.

 

9) L’uomo, dalla sua nascita ad oggi è sempre stato angosciato e terrorizzato dall’ignoto, in suo aiuto sono arrivate prima le religioni e poi, con la filosofia, la ragione, cosa ha aiutato lei?

La convinzione che l’ignoto è una sfida che appartiene alla nostra esistenza, il fascino che acquista una vita non predeterminata, la libertà di concepire la propria vita come una ricerca senza fine.

 

10) Qual è per lei il senso della vita?

Cercarlo continuamente.


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