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Riflessioni sul Senso della Vita

Riflessioni sul Senso della Vita

di Ivo Nardi

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Riflessioni sul Senso della Vita
Intervista a Mario De Caro

Novembre 2013

 

Mario De Caro è Professore associato di Filosofia morale all’Università Roma Tre. Dal 2000 insegna anche alla Tufts University (Massachusetts), dove è regolarmente Visiting Professor.
È autore di articoli in cinque lingue e di tre monografie e curatore  di venti volumi o fascicoli di rivista, di cui sei con case editrici straniere e quattordici in italiano.
È stato Presidente della Società Italiana di Filosofia Analitica. È membro del comitato direttivo della Società Filosofica Italiana, sezione romana. È membro dell’American Philosophical Association e del suo “Committee on Academic Career Opportunities and Placement”. È consulente della Commissione Fulbright, del Social Sciences and Humanities Research Council del Canada, del Ministério da Ciência, Tecnologia e Ensino Superior del Portogallo e della Research Foundation delle Fiandre. È membro del Consiglio Scientifico di varie riviste scientifiche. È condirettore, con Maurizio Ferraris, della collana “Nuovo realismo” dell’editore Mimesis. Intervista 13 settembre 2013.

1) Normalmente le grandi domande sull'esistenza nascono in presenza del dolore, della malattia, della morte e difficilmente in presenza della felicità che tutti rincorriamo. Cos'è per lei la felicità?

Esistono fondamentalmente due stati mentali, gli stati epistemici che tendono a comprendere come è il mondo, la cui direzione dunque è dal mondo alla mente, e quelli ottativi in cui sostanzialmente si va dalla mente al mondo. I primi registrano le caratteristiche del mondo cercando di dare poi una ricostruzione generale, gli altri, quelli ottativi, sono gli stati che cercano di adattare il mondo, quelli che tendono verso un mondo diverso: i desideri e le speranze. In questo caso, noi immaginiamo un mondo diverso da come è, e cerchiamo, nei limiti del possibile, di adattarlo a queste nostre speranze e desideri. Naturalmente è una lotta inane: l’adattamento del mondo ai nostri desideri è sempre parziale, incompleto e spesso non avviene per nulla. La felicità è quei momenti rarissimi in cui ci sembra che il mondo si sia adattato a ciò che noi speravamo; ma in questo caso però si tratta di un risultato sempre precario, sempre incompleto: per questo la felicità è così rara. E per questo è anche comune che ci siano gli altri stati che lei nominava – dubbi, timori, sofferenze – che sono i momenti in cui ci domandiamo perché mai il mondo debba essere così differente da come vorremmo che fosse.

 

2) Professor De Caro cos'è per lei l'amore?

Naturalmente amore significa tante cose. Non esiste una definizione unitariam visto che il termine è usato per l’amore sessuale, per l’amore parentale, per l’amore verso gli amici, per l’amore verso la natura, e sostanzialmente è difficile trovare anche un senso unitario che non sia banale e che racchiude tutti questi diversi sensi. Ma dovendo tentare, forse potremmo dire che il significato generale di amore è il desiderio di armonia, un desiderio empatico di vivere in sintonia con l’amato. Ma ciò è comunque molto vago. Insomma, mi sembra una di quelle domande in cui non è molto fruttuoso cercare una risposta unitaria perché il termine è polisemico.

 

3) Come spiega l'esistenza della sofferenza in ogni sua forma?

Questo è un altro caso in cui credo che non ci sia risposta. In origine questo tema rientrava in quello della teodicea: come è possibile che esistano il male e la sofferenza? Era una domanda unitaria, ma già i grandi filosofi del medioevo, come Sant’Agostino, distinguevano diversi tipi di male, diversi tipi di sofferenza, e dunque davano risposte articolate. Oggi però si tende a dare spiegazioni naturalistiche, in quanto è venuto meno (o si è molto indebolito) l’armamentario teologico per dare spiegazioni complessive, e quindi di volta in volta cerchiamo di dare spiegazioni di diverso tipo. C’è la sofferenza fisica e c’è la sofferenza psicologica: in ognuno di questi casi ci sono spiegazioni diverse, la sofferenza fisica è delegata al dolore, la sofferenza psicologica forse è più sottile e credo che sia l’opposto della felicità. Ovvero che sia lo scarto che c’è tra il modo in cui vorremmo che il mondo fosse e come di fatto esso è.

 

4) Cos'è per lei la morte?

È il compimento sommo dell’insoddisfazione della sofferenza, e quindi il crollo di tutti i nostri tentativi di adattare il mondo a ciò che vogliamo. È l’estrema dimostrazione che il mondo non siamo riusciti veramente a cambiarlo come volevamo e che non lo potremo mai più cambiare. È la vittoria definitiva del mondo su di noi, sulle nostre speranze.

 

5) Sappiamo che siamo nati, sappiamo che moriremo e che in questo spazio temporale viviamo costruendoci un percorso, per alcuni consapevolmente per altri no, quali sono i suoi obiettivi nella vita e cosa fa per concretizzarli?

Anche qui credo sia difficile una risposta univoca. E’ difficile anche perché noi ci diamo obiettivi che cambiano nel corso della vita – e ciò anche al di là poi di quelli ovvi (che sono anche dovuti alla nostra natura biologica, cioè, l’attenzione ai familiari, agli amici, ai figli ecc:) e quelli ancor più terreni, che sono legati alle soddisfazioni professionali, al piacere. Non direi che esiste un tipo di obiettivo univoco nella vita; ma ovviamente questa non è un’idea. È difficile dire che cos’è la felicità e quali sono gli obiettivi che ci poniamo nel tentativo di realizzarla: anche in questo caso, insomma, credo ci siano delle risposte molto variabili.
In parte, naturalmente, anche i miei obiettivi sono quelli che tutti hanno. Direi che esistono obiettivi massimali irrealizzabili, che però rappresentano una sorta di bussola nella vita, come appunto l’armonia con l’ambiente e con gli altri; e poi esistono obiettivi più specifici che sono sostanzialmente il tentativo di limitare la sofferenza nostra e di chi ci sta vicino, come dicono i filosofi utilitaristi.

 

6) Abbiamo tutti un progetto esistenziale da compiere?

Non solo non esiste un progetto unico per tutti, ma non esiste neanche un progetto unico per ognuno di noi; né credo io di avere un progetto esistenziale da compiere come qualcosa di definito, compiuto, che potrebbe essere enunciato in poche frasi. È un insieme di progetti, di desideri che cerchiamo di realizzare, e che solo in minima parte si realizzano, e sempre precariamente e provvisoriamente.

 

7) Siamo animali sociali, la vita di ciascuno di noi non avrebbe scopo senza la presenza degli altri, ma ciò nonostante viviamo in un'epoca dove l'individualismo viene sempre più esaltato e questo sembra determinare una involuzione culturale, cosa ne pensa?

Penso che lei abbia ragione! È una questione degli ultimi decenni: si è accentuato l’individualismo in ambito economico, in ambito sociale, in ambito comportamentale. Ma ciò non vuol dire che, naturalmente, un individualista possa veramente vivere senza la presenza degli altri: anche gli individualisti hanno bisogno degli altri, però non li rispettano come dovrebbero. E in questa fase storica la competitività sociale ed economica si è accentuata e questo porta ad una svalutazione dei nostri rapporti con gli altri. Però nessun individualista (a meno che non sia un sociopatico) potrebbe fare a meno degli altri, oggi nessuno può veramente decidere di vivere da solo come facevano gli anacoreti. Anche il più individualista degli individualisti ha bisogno degli altri.

 

8) Il bene, il male, come possiamo riconoscerli?

Penso siano sbagliate le posizioni dei relativisti che dicono che il bene e il male cambiano da cultura a cultura, forse da persona a persona, di epoca in epoca. Io penso che esistano azioni e comportamenti oggettivamente errati. Possiamo per esempio immaginare regimi spietati che certamente non possono essere definiti buoni da nessun punto di vista. Naturalmente possiamo errare noi a individuare cos’è bene e cos’è male: per esempio fino a tre, quattro secoli fa, la schiavitù, la pena di morte, la tortura venivano vissute come pratiche normali e in determinati casi addirittura come doverose. Oggi sappiamo che non è così, e sappiamo anche che chi in precedenza pensava ciò si sbagliava. Ovviamente non possiamo sapere oggi cosa penseranno le persone nel futuro: ma io credo sia ragionevole ritenere che saranno più avanzate di noi. E’ vero che ci possono essere regressi, per esempio la Germania negli anni Trenta rappresentò sicuramente un regresso dal punto di vista morale. Ma storicamente, nella maggior parte dei casi, si è avuto un sostanziale cammino in avanti: e ovviamente ciò è dovuto all’avanzamento della riflessione e della cultura e alla loro maggior diffusione.

 

9) L'uomo, dalla sua nascita ad oggi è sempre stato angosciato e terrorizzato dall'ignoto, in suo aiuto sono arrivate prima le religioni e poi, con la filosofia, la ragione, cosa ha aiutato lei?

Noi che viviamo nel mondo avanzato, con condizioni di vita abbastanza dignitose, siamo abbastanza protetti rispetto all’ignoto. Non ci accade molto frequentemente di pensare all’ignoto: almeno non tanto quanto usavano farlo i nostri antenati o quanto si fa ancora oggi nei paesi in cui ancora può succedere di tutto, in cui la precarietà è la regola dell’esistenza. Basta leggere gli stupendi libri di Ernesto De Martino per vedere come nella società meridionale, ancora mezzo secolo fa la precarietà della vita fosse una costante e come il futuro fosse visto con terrore. D’altra parte, probabilmente è anche vero che noi non siamo spaventati dal futuro anche perché siamo un po’ incoscienti, perché viviamo immaginando che l’imprevedibile e il pericolo non sia dietro l’angolo. La routine della vita quotidiana della società consumistica un po’ ci protegge, ma un po’, forse, ci rende ciechi.
In generale, la nostra miglior difesa, oltre al sostegno dei nostri cari, è rappresentata dalla cultura: anche se va detto che questo termine è vago. Qualcuno incentra la sua cultura sulla religione; altri, più laici, si affidano prevalentemente alla scienza e alla ragione. Ma in generale la cultura è l’unica nostra vera difesa contro l’ignoto.

 

10) Qual è per lei il senso della vita?

Questo è un altro caso in cui non so se ci sia una risposta unitaria: mi faccia tornare però alla risposta precedente. Non so se oggi ci sia un senso della vita in cui l’avevano quanti vivevano in un universo pre-secolarizzato, quando l’universo era dominato da presenze soprannaturali. Oggi il senso della vita non ha più la “S” maiuscola: è una ricerca costante di piccoli sensi, di piccoli miglioramenti, di piccoli aggiustamenti, di tentativi sempre incompleti di adattare il mondo meglio possibile ai nostri desideri. Per fare tutto questo, credo di nuovo che sia importante la cultura, perché essa apre i nostri orizzonti e ci permette di vivere meglio. Lei parlava del crescente individualismo: e questo è certamente un problema. Però la più grossa involuzione degli ultimi decenni, a mio giudizio, è data dal fatto che è diminuito il rispetto per la cultura, per la scuola, per l’istruzione, per la lettura, per la discussione razionale, e lo si vede in tutti gli ambiti della vita. Questo è un fenomeno regressivo molto grave e spero, anche se non ne sono certo, che non si aggravi ulteriormente nei prossimi anni.


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