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Riflessioni sul Mondo Reale

Riflessioni sul Mondo Reale - Indice articoli

di Andrea Colamedici e Maura Gancitano

 

L'urgenza della rinarrazione

di Maura Gancitano
Dicembre 2016

 

 

Nel 1979 il sociologo Pierre Bourdieu pubblicò il saggio La distinzione. Critica sociale del gusto, nel quale rovesciava l'originario concetto occidentale di cultura, che prevedeva una formazione lunghissima e non autonoma, ma legata a libri e studi sempre uguali. Fino a quel momento nella società occidentale a scegliere cosa e come studiare non era mai la persona, ma a decidere se qualcuno fosse colto o ignorante era una convenzione stabilita dalle classi più elevate.

Per Bourdieu, però, questo paradigma non aveva fatto altro che disinnescare la bomba che la cultura doveva rappresentare. L'aveva resa un tranquillante, anziché uno stimolante. Lo studio e l'approfondimento, anziché rendere liberi, non facevano altro che contribuire al mantenimento dello status quo. La persona colta non era libera, ma era adeguata alla convenzione del suo tempo. In cambio poteva avere ricchezza, potere, onore, ma al prezzo di un'aderenza totale agli standard, mentre chi non aderiva a quel tipo di formazione era relegato agli strati più bassi, poveri e ignoranti della popolazione. La cultura non era un mezzo in grado di traghettare le persone verso il futuro, di elaborare domande. Era un accordo unilaterale, deciso dalle classi più alte e reso possibile da una società solida, granitica, lenta, in cui i cambiamenti avvenivano molto raramente. Ma la cultura doveva essere uno strumento di navigazione, doveva permettere l'evoluzione sociale, dunque non poteva avere dei parametri rigidi.

A permettere lo sgretolamento di questa idea di cultura è stato prima l'avvento della società di massa nell'Ottocento, e in tempi più recenti la trasformazione della società. Nel 2000 il sociologo Zygmunt Bauman ha creato la nozione di società liquida, affermando che è in atto un processo inarrestabile di dissolvimento di tutto ciò che fino ad ora sembrava granitico, naturale, indistruttibile. Questo processo riguarda tutte le istituzioni e i valori della vita occidentale, tutta la struttura delle relazioni, del lavoro, dello Stato. Ogni certezza si indebolisce, ogni scelta personale è possibile, in nome della libertà e del piacere al di sopra di ogni altra cosa. Questa concezione sociologica considera l'esperienza individuale e le relazioni sociali segnate da caratteristiche e strutture che si vanno decomponendo e ricomponendo rapidamente, in modo vacillante e incerto, fluido e volatile. In una prospettiva di dissolvimento sociale, a essere libero è solo chi si assume la responsabilità di scegliere secondo i propri desideri.

Questo cambiamento, infatti, può essere accolto positivamente o negativamente, in base all'atteggiamento di ciascuno nei confronti della vita. Di fronte a una società che non ha più punti fermi, e in cui devi contare solo sulla tua bussola interiore, come ti sentirai? Spaventato o eccitato? Di fronte alla possibilità di amare pubblicamente un uomo o una donna, di divorziare senza creare scandalo, di cambiare lavoro innumerevoli volte, di avere figli al di fuori del matrimonio, ti sentirai senza punti di riferimento o pieno di libertà?

In un mondo come quello in cui viviamo provare un leggero senso di disorientamento è fisiologico, perché il dissolvimento non risparmia niente, e ogni cosa della nostra vita potrebbe mutare da un momento all'altro, senza sconti. Tutto ciò che è inautentico, meccanico, inconsapevole si frantuma, è destinato a sparire, e per costruire è necessaria un'intenzione consapevole.

Avviene con le relazioni, con il lavoro, con i progetti personali. Se prima la polvere veniva nascosta sotto il tappeto, adesso il tappeto è scomparso, e non puoi più far finta di niente. Non puoi più dare la colpa a nessuno per la tua condizione, non puoi più accettare i compromessi che le generazioni prima della tua erano costrette a sopportare.

Il vecchio solido mondo sta crollando, seguendo un progetto ineluttabile il cui disegno ci è ancora oscuro nella sua totalità. Per abbandonare ciò che crolla, l'unico modo è trovare la porta verso il futuro. Possiamo scegliere di rimanere dove siamo, di morire insieme alle nostre sicurezze, oppure possiamo cercare di capire come andare oltre, individuare il modo per raggiungere lo spazio aperto.

Far ridiventare la cultura un agente di cambiamento, uno stimolante, è una responsabilità di tutti. Non ha più niente a che vedere con l'idea di una formazione universitaria regolare, ma con la scelta personale, con la capacità di trovare in ogni cosa uno stimolo per il cambiamento. Anche le serie TV e i fumetti oggi possono dirci molto sulla condizione umana e aiutarci a conoscere noi stessi, mentre non è detto che un testo di alta letteratura possa fare lo stesso. Per questo, ogni volta che siamo di fronte a qualunque prodotto culturale, vale la pena chiederci: “È uno stimolante o un tranquillante? Il suo autore vuole mantenermi nella condizione in cui sono o può aiutarmi a comprendere qualcosa di nuovo?”

La formazione culturale standard non esiste più, dicevamo, e la comunicazione immediata dei social network non fa che accelerare questo processo: non c'è più distanza tra chi ha studiato e chi non l'ha fatto, ciascuno ha un proprio profilo e può interagire con chiunque. Che tu abbia tre lauree o la licenza elementare non conta, ciò che è davvero importante è la visione che hai della realtà, e ciò può trasparire – almeno in parte – anche dal modo in cui scegli di condividere la tua vita sui social network. Quello che pubblichi è un tranquillante o uno stimolante?

Ti indigna che il numero di quelli che hanno letto più su Facebook che sui libri sia in crescita costante, perché è un abominio, perché il latino non serve più a nessuno, perché non c'è distinzione tra colti e ignoranti, ma tu come usi tutto ciò che hai studiato? Come un mezzo di navigazione o come un rifugio in cui nasconderti?

Chiediti, piuttosto, chi oggi abbia davvero la visione del futuro. Se Bourdieu nel 1979 scriveva che le cose erano cambiate, oggi ci troviamo immersi in uno stadio ancora successivo. Ne ha parlato anche Alessandro Baricco, definendo quella grande fetta della popolazione che è ignorante e non ha voce in capitolo nel dibattito culturale – almeno secondo l'idea tradizione della cultura occidentale – “i nuovi barbari”. Non possiedono un linguaggio colto, non hanno una formazione tradizionale, eppure hanno qualcosa che gli accademici non hanno: una nuova grammatica della mente. Non hanno difficoltà ad abituarsi ai social network, alle nuove tecnologie, alla realtà virtuale. Non hanno difficoltà ad accettare il futuro, al contrario di chi ha una formazione standard. Non hanno niente da perdere.

Da un lato, dunque, c'è qualcuno che ha un vecchio paradigma e la memoria del passato, ma non vuole perdere quel paradigma. Dall'altro c'è chi non ha barriere nei confronti del futuro, non ha difficoltà a immaginare una realtà virtuale e accetta ogni novità. Non è una contrapposizione tra vecchi e giovani, ma tra differenti modi di vedere la cultura, che possono essere incarnati da chiunque, al di là dell'età. Due paradigmi entrambi attivi contemporaneamente, ma che – come i galli nel pollaio – non possono convivere. Uno dei due è costretto a dissolversi.

Ora, il fatto che portino qualcosa di nuovo non significa che i nuovi barbari stiano dalla parte della ragione. Si tratta di un cambiamento culturale di cui sono i protagonisti involontari: non hanno creato loro gli smartphone, i social network, Whatsapp, li usano inconsapevolmente. Non hanno un patrimonio culturale da portare, ma solo un contenitore vuoto. Rischiano di passare dalla porta che conduce al futuro senza fatica, ma senza accorgersene, e dunque di ritrovarsi senza nutrimento, senza sapere come riempire lo spazio vuoto.

Immaginate un'Arca enorme, con un'infinità di spazio a disposizione, che non aspetta altro che essere riempita di ogni cosa che possa servire a chi farà la traversata. Chi ha paura di imbarcarsi e di condividere le proprie ricchezze è già morto, ma chi sale senza portare nulla con sé non avrà vita lunga. Salire sull'Arca è solo un primo passo, ma – come accade nel calcio – l'importante non è il gioco, ma la previsione di gioco. Iniziare a correre avanti e indietro in un campo da calcio può darti eccitazione ed entusiasmo, ma giocare davvero significa riflettere su ciò che sta accadendo. Cercare di prevedere ciò che succederà, ciò che potrà servirti.

Nell'Arca, dunque, occorre portare tutto ciò che può servire, ma senza eccedere in aggeggi inutili. Quale esperienza di vita, quale libro che hai studiato, quale consapevolezza, quale sapere antico potrebbe essere utile a te e agli altri naviganti? È questo che riempie lo spazio ma che non pesa, il carburante di cui l'Arca ha bisogno per muoversi.

Chi è legato al passato e si rifiuta di progettare il futuro non può essere trascinato sull'Arca, ma chi sceglie di salire ma non vuole mettersi al servizio, e non ha alcuna memoria da condividere, diventerà solo un peso.

Chi ha la visione del futuro, dunque? Chiunque sia disposto a salire e a mettersi al servizio, senza alcun diploma da esibire. L'importante non è più quanto hai studiato, ma quanto sei capace di vedere e di inventare, cosa vuoi portare con te. Se rimani abbarbicato ai tuoi libri non andrai da nessuna parte, ma se sali sull'Arca senza alcun patrimonio rimarrai a bocca asciutta. Questo tempo ha bisogno di chi è disposto ad abbandonare le istituzioni e le certezze, ma non ha paura di recuperare la memoria del passato.

Quindi non serve aver studiato ieri, serve essere desiderosi di studiare oggi. Né il colto che muore insieme all'Accademia né il barbaro che usa solo lo smartphone sono desiderosi, perché non vogliono sapere più di ciò che sanno. Mantiene il desiderio chi non si accontenta, chi vuole conoscere di più, chi non sente la propria ignoranza come un limite, chi ha fame di storie, chi non ha paura di nuove narrazioni, chi non vede l'ora di girare pagina.

Non ha più senso difendere il proprio titolo di studio, essere schizzinosi e proteggere le proprie mura, l'importante è riempire lo spazio del futuro. Se il barbaro va nel futuro, non si porta via niente, non pensa di dover portare qualcosa, pensa all'immediatezza, crede che tutto sia a portata di mano, non fa distinzioni tra le cose. Il colto invece rifiuta ciò che non riconosce, quindi rifiuta il nuovo. Ma questo cambiamento è strutturale, inafferrabile, ineluttabile.

Oltre la dicotomia accademico-barbaro, quindi, c'è chi sceglie di imbarcarsi guardando oltre ciò che c'è già, pieno di desiderio. Chi è disposto a raccontare il mondo che ha lasciato come se fosse una storia appena inventata, con l'arroganza tipica di chi vede il passato come un tesoro e non come un peso.

È un tempo che chiede cooperazione. Se la cultura occidentale si basava su un accordo unilaterale, stabilito solo da una parte che imponeva la propria idea a tutti gli altri, oggi fare cultura significa condividere, collaborare, raccontare le proprie storie ma saper ascoltare quelle degli altri, desiderare di imparare ciò che ancora non si sa.

La cultura può essere un patrimonio di tutti, un patrimonio liquido, nuovo, attivo, autentico, e come tale non attaccabile, indistruttibile.

Il futuro è un'Arca da costruire e da riempire, e può capitare di fare degli errori. L'unico modo per costruirla e per iniziare la navigazione è che ciascuno metta a disposizione le proprie competenze e si dia da fare, e che non si fermi anche quando sentirà che il compito è troppo grande per lui, che fa quella cosa per la prima volta. In questo tempo che dissolve ogni cosa vecchia e stantia, solo ciò che è autentico può salvarsi, rimanere in vita, non svanire. E ciò che autentico può sorgere solo con la collaborazione, collaborazione tra persone e tra discipline che sono rimaste isolate per troppo tempo.

Non ha senso continuare a lamentarsi a criticare chi agisce in questo tempo, anche a costo di sbagliare. È un tempo in cui è urgente rinarrare la memoria. È concesso di essere imprecisi e approssimativi, perché bisogna essere veloci. L'importante è essere follemente innamorati di ciò che si fa, di ciò che si sceglie di raccontare. Che ogni scelta personale, che ogni progetto lavorativo siano mossi da questo folle amore, e che diventino rinarrazione.

Solo così la cultura, che è condivisione di conoscenza ed esperienze, potrà tornare a essere uno stimolante e non un tranquillante, una necessità dell'essere umano e non un diversivo. Non sarà più una distrazione da ciò che siamo, ma un modo per conoscerci.

 

   Maura Gancitano

 

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