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Riflessioni sulla Tecnosophia di Walter J. Mendizza

Riflessioni sulla Tecnosophia

di Walter J. Mendizza - indice articoli

 

Elaborazione del lutto

Dicembre 2015

 

Nel numero 50 della rivista “Oggi” del 9 dicembre 2015, la giornalista Maria Giuseppina Buonanno ha fatto un servizio sulla trasformazione delle ceneri di cremazione in diamante. Tutto bene, si spiega che dalle ceneri della persona morta viene estratto il carbonio che, pressato (a 55 Gp) e sottoposto a temperature molto elevate, è poi trasformato in diamante. Si portano ad esempio due clienti della Società Algordanza Italia che fornisce il servizio di trasformazione e ciascuna di loro, aprendosi alla giornalista, spiega l’importanza di vedersi “tornare” il proprio marito ancorché in un’altra forma. Peraltro una forma bellissima perché è come se ritornasse all’eternità del diamante e alla luce che il diamante indubbiamente emana.

La luce che è la protagonista del romanzo di Lev Tolstoj La morte di Ivan Il’ic, ricordiamoci come finisce il romanzo:

 

E la morte, dov’è? Cercò la sua solita paura della morte, ma non la trovò. Dov’era? Quale morte? Non aveva alcuna paura, perché non c’era alcuna morte. Al suo posto, la luce …

 

Quindi niente di più naturale che esorcizzare la paura della morte incorporandola, volgendola alla bellezza. Una delle persone intervistate persino fa riferimento al calore e alla luce del diamante in confronto alla freddezza della sepoltura ricordando sensatamente la poesia Pianto antico di G. Carducci,

 

Sei ne la terra fredda,
Sei ne la terra negra;                                              
Né il sol più ti rallegra
Né ti risveglia amor.

 

Ebbene la giornalista, forse per dare un contraddittorio all’articolo, passa ad intervistare il noto psichiatra Vittorino Andreoli il quale, poco tecnosoficamente, dà forma a una improvvisata lectio magistralis sull’elaborazione del lutto: “Il tentativo di vincere il distacco “mostrando”, esprime anche un certo senso del macabro: trasformo le ceneri dell’amato in gioiello e mi adorno. Quindi mi imbelletto la morte. Qui non siamo vicini all’elaborazione del lutto. L’elaborazione è un processo mentale privato, non ha bisogno di mostrare niente”.
Non è chiaro perché il mostrare una cosa che si ritiene bella debba esprimere un senso del macabro. Grandissime opere d’arte hanno avuto origine da un lutto, e questo nulla toglie alla grandezza dell’opera. Anzi. Ma se uno non è artista perché trovare macabro un diamante? Permetterà il dott. Andreoli, che per molte persone non sia così e che piuttosto che farsi riempire (o svuotare) la testa da uno strizzacervelli preferiscano portare con sé l’essenza di luce, il simbolo, della persona cara scomparsa. E poi, perché mai la trasformazione in diamante dovrebbe significare imbellettare la morte?

Il dottor Andreoli delinea una contraddizione quando esprime con sicurezza che cosa è preferibile fare e qual è la strada più equilibrante per elaborare un lutto e subito dopo definisce l'elaborazione del lutto un processo mentale privato. Sembra sovrapporre, o intercambiare due concetti: quello di elaborazione del lutto e quello di forme di sepoltura. Sicuramente in entrambi è presente un elemento comune, l'oggetto, ma appartengono a categorie distinte: l'uno riguarda la persona e la sua dimensione psicologica, affettiva, mentale, filosofica, esistenziale, lo stile di resilienza, le esperienze; l'altro riguarda le procedure funerarie secondo gli usi e i costumi di una società, di una civiltà, in accordo con i luoghi e i tempi storici.

Il lutto già di per sé è una forma di elaborazione della perdita per mezzo di esibizione; fino a poco tempo fa, alcuni ne hanno ancora memoria, era caratterizzato da accessori visibili, quali una fascia nera al braccio, un bottone nero all'occhiello, abbigliamento di colore nero, di durata variabile in relazione al grado di parentela e di affinità. Tali segnali indicavano una perdita recente ed erano messaggi, anche verso persone sconosciute, di uno stato di fragilità. Le forme di elaborazione del lutto hanno a che fare con la realtà inequivocabile della perdita, del non ritorno, dei sospesi, del progetto di vita incompiuto; nella perdita di una persona cara non c'è alcun tentativo di vincere il distacco mostrando, c'è l'assenza, c'è la mancanza, e nessun oggetto potrebbe sostituirne la vitalità.

Si tratta di recuperare, in una forma molto privata, il venir meno, l'assenza di qualcuno che ha avuto un ruolo significativo e reciproco nell'esistenza. In questo caso non si può trattare la trasformazione delle ceneri in diamante come se fosse un processo di proiezione su un oggetto e come tale di ostacolo all'elaborazione del lutto. Il processo di diamantificazione non risponde allo scopo di mostrare le spoglie della persona estinta, ma a quello di realizzare una alternativa alla sepoltura in un cimitero.

Il processo di elaborazione dalle ceneri al diamante trasforma le spoglie in una dimensione duratura dell'esistenza, recupera la perdita con la forma della luminosità: la persona scomparsa non rimane in balia né della decomposizione né della dispersione, ma è trasformata in luce. Dunque il senso del diamante non è quello di un gioiello di cui adornarsi, come si intende di solito per i preziosi, ma quello del perpetuare una esistenza reale, capace di resistere al tempo e alle generazioni attuali.

Infine, lo psichiatra chiosa il suo intervento con una frase delirante: “Anche Giovanna la Pazza si portava dietro la cassa da morto col corpo del marito, Filippo il Bello”. Cosa c’entra? L'esempio non calza ed è poco corretto anche sul piano tecnico: una cosa è il carattere segnico che si attribuisce ad un oggetto e che accompagna l'io nella misura in cui elabora il lutto della persona perduta, e un'altra cosa è l'eventuale idealizzazione oggettuale possibile o addirittura la perversa trasformazione oggettuale (gioiello o qualunque altra cosa) in senso esibizionistico o altro. Sono due cose differenti e ciononostante non si può fare a meno di considerare che anche le lapidi, le pietre tombali, le cappelle siano oggetti che si mostrano, che si fanno vedere. A nessuno è concesso di elaborare il lutto per questo? O tutti soffriamo di prevalenza del senso del macabro? Siamo tutti emuli di Giovanna la Pazza?

Al tempo di Giovanna la Pazza non esisteva la diamantificazione, è vero, e forse non esistevano neanche i regolamenti per la sepoltura e la cura dei cimiteri. Forse dobbiamo considerare che il cordoglio è uno degli ingredienti della elaborazione del lutto: l'altro che si avvicina e che porge ascolto al narrante offre una forma di aiuto che consola.

Infine, cosa dire poi di quelli che da vivi acquistano il diritto di diventare diamanti? Che sono degli esibizionisti post mortem? Probabilmente, dott. Andreoli, il suo pensiero non è stato riportato correttamente, altrimenti lei non sembrerebbe a conoscenza del tema di cui parla: la società Algordanza commercializza un servizio, quello del ricongiungimento con il proprio caro. Solo questo. E il diamante è il tramite: una forma di sepoltura perché ricavato esclusivamente con il carbonio ancora presente nelle ceneri di cremazione. Ed è l'unica forma di sepoltura che permette di ritornare ad avere un contatto fisico con la persona (con gli atomi di carbonio della persona) cara scomparsa. Niente altro, tutto il resto è vaniloquio inconsistente.

 

   Walter J. Mendizza

 

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