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Riflessioni Teosofiche

Riflessioni Teosofiche

di Patrizia Moschin Calvi  - indice articoli

 

L'Antropogenesi e l'ideale spirituale del nostro tempo

Febbraio 2011

 

Nell’Antropogenesi delle Stanze di Dzyan (1) la terra chiese al Signore dalla Faccia Lucente, il sole, di mandarle i suoi figli. La terra reclamava Vita, Spirito, Luce, ne sentiva evidentemente la mancanza, la necessità.

E il sole promise che avrebbe mandato un fuoco, ma solo quando l’opera fosse cominciata, suggerendole intanto di chiedere a Kumuda Pati, Signore del Loto, la luna, madre della terra, di mandare i suoi figli. E la informò che gli uomini della terra sarebbero stati mortali.

Ma la terra non era pronta e i suoi uomini nemmeno. Grandi cataclismi dovettero avvenire, lunghissimo tempo dovette passare, e poi la terra costruì delle forme ma, non volendo rivolgersi ai Figli del Cielo, né ai Figli della Sapienza, non seppe creare, dalle sue scorie, che mostri terribili, che non piacquero a dei e spiriti planetari: non erano puri abbastanza per ospitare le monadi. E così essi mandarono una gerarchia di angeli a distruggere e purificare tali forme, a lottare contro questi uomini-animali.

Il Logos planetario separò cielo e terra e i grandi Chohan si rivolsero ai Pitri lunari affinché creassero le “forme interne” di queste monadi, perché avessero la loro stessa natura.

E così i Pitri o Barishad “separarono l’uomo da se stessi” e nacquero vari tipi di “ombre di uomini futuri”, ma nonostante tutti i loro sforzi tali esseri non avevano ancora configurazione né mente: erano solo immagini astrali.

La monade umana aveva bisogno di una forma e i Pitri gliela diedero; aveva bisogno di un corpo grossolano, e la terra lo formò; i deva soffiarono in lui lo spirito della vita, ma serviva anche un corpo eterico e glielo fornirono i Dhyani, mentre invece il corpo astrale lo formarono il fuoco della passione e dell’istinto animale.

La monade però aveva bisogno anche di una mente, per poter circoscrivere l’Universo. Non avendola ancora, rimase un fantasma vuoto e senza senso.

Con la terza razza vi fu la differenziazione sessuale, ma troppo vili erano ancora le sue forme. I Figli della Sapienza, sacrificandosi, vi entrarono e alcuni vi proiettarono una scintilla, ma essa ardeva appena e tale razza rimase priva di mente. Aveva corpi fisici ancora immaturi e pronti solo a metà. I poteri che si incarnarono dovettero scegliere i veicoli più maturi. Questa razza venne creata con il potere della volontà.

Intanto gli uomini senza scintilla si unirono agli animali, disonorando se stessi e dando vita ad una razza di mostri deformi.

E così, per evitare che il peggio avvenisse, tutti gli uomini vennero dotati di mente e la quarta razza sviluppò la parola. Ma poi terza e quarta si gonfiarono di orgoglio, generando demoni e mostri malvagi, unendosi alle mogli degli amanasa (i senza mente) ed erigendo templi al corpo umano.

Arrivò la distruzione, dalla quale si salvarono solo i santi, che dettero origine alla quinta, il cui scopo principale era l’intelligenza ed il suo sviluppo. Ridiscesero i saggi, che la ammaestrarono ed istruirono, insegnando anche la lingua sacerdotale segreta.

Questo, in grandissima sintesi, è il punto della nostra evoluzione odierna, lo stato dell’arte della quinta razza, che ha quasi completato la sua evoluzione terrena.

 

Consentitemi ora una qualche considerazione personale. Ma quale può essere stata la necessità ultima e quale il movente dei vari “commentari” alle Stanze di Dzyan? A quale esigenza doveva o poteva rispondere il fatto di dare chiarimenti quasi - oserei dire - spiegando troppo, rivestendo di parole e riferimenti materiali qualcosa di così sacro come una emanazione divina? Perché dovere o volere decifrare il lavoro di quell’Assoluto che nel quarto volume de La Dottrina Segreta viene definito Ciò, quello di cui “né i nostri Creatori (i Dhyan Chohan) né le loro creature possono mai discutere o sapere qualcosa – quell’Assoluto che non può essere definito e che nessun mortale né immortale, durante i periodi di esistenza, ha mai visto né compreso”, dato che “il mutevole non può conoscere l’Immutabile, né ciò che vive può percepire la Vita Assoluta”?

E’ proprio per quest’ultima affermazione che mi domando quale sia la valenza ultima – e perché esattamente in questa forma (se nulla avviene a caso) tra le mille che avrebbero potuto avere – delle Stanze; se sia – il nostro – il giusto approccio a queste pagine, se abbia senso scrutarne ogni più recondito significato: eppure, sempre nel quarto volume de La Dottrina Segreta è scritto che l’uomo dovrà imparare come è venuto al mondo. Ma vi si afferma anche, e piuttosto frequentemente – che vi sono vari misteri, che quanto esposto può essere una parabola, che dopo la scomparsa della razza atlantidea è stato gettato un velo impenetrabile sui misteri occulti, o addirittura che ciò che viene spiegato può essere un’allegoria nell’allegoria, la cui soluzione è lasciata all’intuizione del lettore.

Helena Petrovna Blavatsky, nel quinto volume de La Dottrina Segreta, afferma che tutto questo serve come preparazione a quello che viene dopo, ma anche che l’interpretazione esoterica ha sette chiavi, che esistono misteri dietro il velo, irraggiungibili senza una chiave nuova, ecc.

Forse queste “spiegazioni” aiuteranno il povero lettore a cogliere la Luce del Logos, che H. P. Blavatsky definisce poeticamente quale riflesso diretto del sempre Inconoscibile (Ain Suf) sul piano della Manifestazione Universale? Nella Dottrina Segreta volume quinto ma anche nella conclusione all’Antropogenesi secondo Le Stanze di Dzyan, H. P. Blavatsky ci parla della sesta razza, che nascerà quando dalle acque sarà emerso il sesto continente e crescerà rapidamente fuori dai confini della materia ed anche della carne (e qua ci si chiederà cosa possa significare esattamente questa affermazione) e che i cicli della materia saranno seguiti da cicli spirituali e di pieno sviluppo mentale per una razza futura più grande e molto più gloriosa di ogni altra che conosciamo adesso. La maggioranza dell’umanità futura sarà composta da gloriosi Adepti, nella grande illusione dell’Assoluto che E’.

 

Nel considerare allora il cammino spirituale individuale dell’umanità terrestre che finora ha avuto attuazione, se è vero che l’uomo stesso deve divenire un agglomerato di spirito e materia, risvegliando in sé il principio immateriale latente, allora le Stanze possono essere considerate anche il paradigma del ciclo individuale di evoluzione poiché tale cammino è, ovviamente, lo stesso che l’umanità compie quando, con l’oscuramento dello spirito, discende nella materia, per riconquistare le sublimi altezze del principio immateriale. Così passa su livelli dapprima sempre meno spirituali, nella curva discendente, per poi risalire, attraverso forme minerali, vegetali e animali, aggiungendo ogni volta a ciascun elemento le caratteristiche di quelli che lo avevano preceduto, sotto la spinta della Monade, goccia dell’oceano senza sponde, che agisce inconsciamente mediante una forza che le è inerente, la quale  obbliga l’uomo a crescere e a svilupparsi, diventando sempre più perfetto.

La perfezione, infatti “per essere realmente tale, deve nascere dall’imperfezione, l’Incorruttibile deve uscire dal corruttibile, avendo questo come veicolo, base e contrapposto” (2).

All’inizio la sola materia, non sostenuta, genera mostri, poi con l’astrale arriva la cosiddetta “scintilla” ma l’immaturità dell’essere può portare ad insane pulsioni e comportamenti sconsiderati. Solo una mente discriminante potrà far comprendere la sostanza delle azioni. Da qui all’orgoglio la strada però è facile. E tutto ciò che ha a che fare con i suoi frutti verrà spazzato via. Cosa rimane?

La Stanza XI parla degli empi distrutti e dei santi salvati e del fatto che questi ultimi poterono finalmente ricevere insegnamenti ed istruzioni dagli Adepti.

Ma chi possono essere questi santi? Coloro che sono andati oltre almeno la mente inferiore, quella duale, e che certamente si sono incamminati verso il superamento del manas, quelli che “hanno poco da guadagnare dagli insegnamenti dati sul piano intellettuale poiché la conoscenza che dall’anima scende infiltrandosi nell’intelligenza è la sola degna di essere acquisita”(3). Nel considerare questa fase evolutiva possiamo qui inserire la citazione de La Voce del Silenzio (4): “Imparate a distinguere il vero dal falso, ciò che sempre svanisce (l’effimero) da ciò che dura per sempre (dall’imperituro). Imparate – prima di tutto – a distinguere la scienza del cervello dalla saggezza dell’Anima, la Dottrina dell’‘occhio’ dalla Dottrina del ‘cuore’”.

Il percepire le verità più alte dell’esistenza e il significato più profondo di tutto quel che accade, infatti, non ha niente a che fare con la conoscenza intellettuale ma proviene da facoltà spirituali più elevate, che ci aiutano a trovare in noi la Luce, a discernere dentro di noi quelle facoltà di conoscenza che ci fanno distinguere il bene dal male, e riconoscere la coscienza divina.

 

Questo lavoro è essenziale, poiché dove non c’è sforzo non c’è merito, ed è questa l’opera che noi tutti siamo chiamati a compiere a questo punto dell’evoluzione.

In questo compito ci soccorre La Voce del Silenzio, che indica la strada, il cammino verso la Vita Superiore, quello che appunto ci mette nelle condizioni di ricevere insegnamenti ed istruzioni dai Grandi Esseri che già hanno percorso quella via e che nella loro dimensione bodhisattvica sono venuti a porgerci aiuto affinché a nostra volta noi la seguiamo. Tuttavia per arrivare a ciò serve quella bhakti che non è intesa come misera osservazione zelante e rigorosa di riti o pratiche religiose esteriori, quanto piuttosto la consacrazione assoluta all’ideale spirituale più sublime.

E nell’irrinunciabile azione del dominio di sé, dell’io inferiore, si evidenzia quella simpatia, quella sollecitudine verso ogni necessità di tutto ciò che sembrava “altro da noi”, che va sotto il nome di compassione.

Dunque una acquisizione importante, che ci mette al Servizio del mondo, in puro spirito di fratellanza, e rafforza sempre più la nostra identificazione col Sé Superiore, aspetto essenziale di noi stessi.

Servire per amore del Servizio, nobilmente, affinché gli ultimi lacci del sé inferiore vengano sciolti.

I nostri Maestri ci assicurano che schiere di aiutatori invisibili prendono parte alle vicende umane e che con intuizione profonda sapremo distinguere il loro aiuto e sostegno in ogni momento della vita.

Siamo in grado di sentire la loro presenza e la loro influenza? Siamo in grado di sacrificare il nostro sé personale e la nostra personalità individuale se pensiamo di poter essere loro di aiuto?

L’amore spirituale non si esaurisce se doniamo noi stessi, poiché impiegare queste energie non fa altro che aumentarne le riserve, arricchendole e rinforzandole. La vera via dello spirito è nella gioia, perché l’essenza dell’Universo è beatitudine.

Il nostro ruolo è, secondo la grande saggezza orientale, di restare fedeli agli ideali spirituali più alti, senza mai allontanarci dal supremo, sacro sentiero dell’Amore e della Verità, per identificarci al fine con Brahman, anima dell’Universo, suprema felicità e luce suprema.

Concludo questo mio intervento condividendo con voi il significato di queste parole: “Un principe che non sa morire per un nobile scopo è indegno di regnare. Colui che sacrifica la sua vita senza esitazione per salvare quella degli altri diverrà re e governerà al suo posto”.

 

   Patrizia Moschin Calvi

 

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Note

1) Le Stanze di Dzyan costituiscono l'argomento principale della prima e seconda parte de La dottrina segreta, opera fondamentale di Helena Petrovna Blavatsky. Le Stanze sarebbero state composte interpretando il linguaggio iconografico di un antico manoscritto tibetano, il Libro di Dzyan (o Libro di Dzan). Le Stanze di Dzyan si compongono di due parti: “Cosmogenesi” e “Antropogenesi”, nella prima parte viene descritta l'evoluzione dell'Universo, nella seconda l'evoluzione dell'Umanità.
2) Helena Petrovna Blavatsky, La Dottrina Segreta, vol. IV, pag. 122, Edizioni Teosofiche Italiane, Vicenza 2003.
3) La Dottrina del cuore (estratti da lettere indiane), con prefazione di Annie Besant e traduzione di Antonio Girardi, Edizioni Teosofiche Italiane, Vicenza 2005.
4) La Voce del Silenzio scritto da Helena Petrovna Blavatsky contiene brani estratti e tradotti da un testo sacro orientale: Il libro dei precetti d'oro.


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