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Riflessioni Teosofiche

Riflessioni Teosofiche

di Patrizia Moschin Calvi  - indice articoli

 

Riflessioni sulla meditazione

Di Carla Zocchi

Giugno 2014

 

L'articolo di questo mese è stato scritto dalla prof. Carla Zocchi, da poco scomparsa. Era laureata in sanscrito a Torino e per lunghi anni ha tenuto, nella stessa città, un gruppo teosofico che approfondiva gli insegnamenti buddhisti.

 

   Patrizia Moschin Calvi

 

 

Riflessioni sulla meditazione

Di Carla Zocchi

 

Da un po’ di tempo si parla con molta più frequenza di meditazione: buddhista, indiana, trascendentale, profonda e, più raramente, di meditazione cristiana. Da una indagine, forse condotta in modo superficiale, emerge una caratteristica della quale anche gli interessati sono poco o niente consapevoli. Mi riferisco al fatto che per lo più non si sa che cosa sia la meditazione. Lo deduco in quanto non vengono date spiegazioni ai non adepti e si constata che la vita di coloro che meditano non ha avuto modificazioni profonde. Certamente qualche indicazione viene fornita, ma si ha l’impressione che non sia pertinente né con ciò che si pratica e neppure con ciò che si vorrebbe praticare.

Questo porta a supporre che tutto il movimento della mente, legato a quel processo definito meditazione, non sia capace di liberare colui che medita dal consueto quotidiano ordinario e dai conflitti che ne fanno parte.

È indubbio che vengano vissute situazioni momentaneamente gradevoli e sovente si ottenga un relax che ristora, ma raramente si verifica un cambiamento sostanziale nella persona che pratica. La cosa che più rattrista è che, in tal modo, si continua a coltivare illusioni. Nella mente persistono quei fenomeni che lo yoga definisce citta- vrtti, il continuum mentale. La mente non ha fatto progressi sul sentiero che può portare a quella condizione di equilibrio, serenità e pace che l’uomo auspica per se stesso e di cui ha bisogno per conoscersi con chiarezza, in modo da poter affrontare e risolvere i problemi esistenziali che incombono su di lui.

Da queste brevi osservazioni, che rispecchiano le mie personali opinioni, emerge la necessità di conoscere, anzitutto, che cosa è e che cosa non è la meditazione e il modo corretto per acquisire tale cognizione.

Per avere risposte occorre rivolgersi a coloro che conoscono, nella teoria e nella pratica, il cammino da percorrere per ottenere la perfetta purificazione della mente, che è la base, il punto di partenza per la meditazione.

Sappiamo che Patanjali, nell’Astānga-yoga, colloca per ultimi i tre anga (parti) nei quali definisce la meditazione nei suoi tre aspetti di: dhāranā, dhyāna, samādhi.

A mio parere è sottinteso che, per comprendere che cosa sia la meditazione ed in seguito praticarla, occorre aver posto le basi applicando le prime cinque parti dello yoga, cioè: yama, niyama, āsana, prānāyāma, pratyāhāra.

Questo è un lavoro che tende ad eliminare dalla mente tutti quei contenuti che creano confusione ed anche illusione.

Nei vocabolari della lingua italiana troviamo alcuni significati attribuiti alla parola “meditazione”: rivolgere nella mente - considerare a lungo – fare oggetto di riflessione – preparare con la mente - stare in raccoglimento.

Il vocabolo corrispondente in sanscrito è bhāvana: riflessione, contemplazione, oltre che cultura, sviluppo della mente.

Ora ci chiediamo quale motivazione ci spinge a praticare la meditazione.

Anzitutto è una necessità individuale che nasce spontaneamente. Inoltre, chi percorre un sentiero, oppure ha aderito ad una scuola, sa che la meditazione è sempre compresa fra gli elementi che compongono l’addestramento.

Abbiamo appena visto il percorso suggerito da Patanjali.

Nel Buddhismo, la Quarta Nobile Verità ci indica l’Ottuplice Nobile Sentiero per giungere alla eliminazione di duhkha, la sofferenza.

Anche qui compare il suggerimento di praticare il “retto samādhi”.
Dobbiamo tenere presente che la disciplina buddhista consta di tre elementi essenziali: moralità (sīla), disciplina mentale (samādhi) e saggezza (prajñā).

Nel Mahāparinirvāna sūtra il Buddha insegna: “Ora sappia il discepolo che vi sono tre modi di essere della mente: purezza, riflessione e conoscenza. La mente pura si realizza con la condotta morale (sīla); la mente capace di riflettere si realizza con la meditazione (samādhi); la mente che conosce si manifesta con la sapienza (prajñā)”.

Noi ora vorremmo tentare di vedere che cosa si intende per meditazione buddhista.

Ovviamente la meditazione è meditazione senza connotazioni che la possano legare ad alcuna corrente religiosa, filosofica o altro.

Diverso invece può essere l’approccio, la preparazione, come predisporre la mente alla meditazione.

Ogni scuola, ogni corrente filosofica o religiosa suggerisce uno o più metodi i quali, ad una attenta osservazione, risultano essere il modo adatto a condurre la mente ad uno stato pacifico, di perfetta tranquillità ed armonia.

Quando la mente è pacifica, nel suo stato naturale, può avere inizio quel processo che noi definiamo “meditazione”.

Il termine bhāvana significa cultura mentale, sviluppo mentale.

Perciò il primo lavoro consiste nel cominciare a capire noi stessi, capire la natura della mente, dunque anche i meccanismi del pensiero.

È un lavoro molto difficile, che richiede la massima attenzione.

Una attenzione vigile, praticata con amore e dedizione, senza interruzione, un’attenzione consapevole che abbandona le illusioni gratificanti, che libera la mente dalla confusione, dal disordine.

È pacifica! Ti porta fuori, lontano dai fenomeni coinvolti nella dimensione spazio-temporale, c’è l’abbandono della sofferenza.

È vacuità! È contemplazione! Contemplazione là dove sono assenti sia il soggetto che l’oggetto!

C’è soltanto śūnyatā, non dualità.

Finalmente quell’ego che crea e subisce conflitti d’ogni genere è sfumato.

Forse è la “pacata contemplazione”.

La mente è finalmente vuota, perciò giovane, limpida, innocente.

Se non conoscete il significato della bellezza della meditazione - dice Krishnamurtinon sapete nulla della vita”.

Per comprendere che cosa si intende per “meditazione buddhista” è bene affidarsi alle spiegazioni di un esperto e noi ora ci affidiamo a Walpola Rahula, monaco buddhista theravada, traduttore di testi delle varie epoche, inglobando anche testi tibetani e cinesi.

È nostro dovere inchinarci con riconoscenza a lui ed al lavoro da lui svolto.

Nel suo prezioso libro: L’insegnamento del Buddha, troviamo a pag. 101 il capitolo dedicato alla meditazione.

In Tibet i dotti non hanno dimenticato la pratica religiosa ed i praticanti non hanno trascurato lo studio. I saggi hanno unito la conoscenza alla realizzazione” (dice il XIV Dalai Lama).

Walpola Rahula indica due forme di meditazione.

La prima è lo sviluppo della concentrazione mentale (samādhi); l’altra è vipuśyanā (pali: vipassanā), visione, considerata la meditazione buddhista che porta alla conoscenza della mente.

Vi sono due discorsi del Buddha che forniscono l’insegnamento relativo alle pratiche che inducono all’attenzione ed all’introspezione consapevole: l’anapanasati, il discorso sulla consapevolezza nel respiro ed il sati-patthana-sutta, i Fondamenti della consapevolezza.

Uno dei metodi di meditazione più conosciuti è appunto quello riferito all’attenzione al respiro (anapanasati).

Un’altra forma di meditazione, indicata ancora come sviluppo mentale, è l’attenzione ininterrotta e consapevole ad ogni azione compiuta.

Queste due forme di meditazione sono riferite al corpo.

Lavoro analogo può essere svolto ponendo l’attenzione sulle sensazioni.

È indispensabile prestare attenzione alle attività della mente, conoscerne i meccanismi.

Forse è importante tentare di conoscere il suo rapporto col cervello.

È bene tenere presente la necessità di allontanare ogni influenza soggettiva nel corso di queste pratiche.

Uno scopo, una finalità qualsiasi tratterrebbe la mente nel consueto ordinario sistema, nel quale permane il desiderio dell’acquisizione, dell’ottenimento.

Walpola Rahula propone anche quella forma di meditazione che si attua quando si legge, si studia, si discute, si riflette su soggetti etici, spirituali ed anche filosofici.

Questo esercizio di apprendimento e di indagine è stato indicato anche da Krishnamurti.

I vari metodi finora descritti, suggeriti da Walpola Rahula, se praticati in modo corretto e per un lungo periodo di tempo, portano la mente in condizione di poter vedere la posizione dell’uomo nella manifestazione.

Consapevoli oppure no, ciò che ci ha spinti ad iniziare questo non facile lavoro ora ha delle risposte.

La condizione precaria dell’uomo, costellata di conflitti e sofferenza, chiede con urgenza delle soluzioni.

Siddharta Gautama ha sentito la necessità assoluta di capire come eliminare le situazioni di dolore legate soprattutto a malattia, vecchiaia e morte.

I vari episodi della vita ci indicano il cammino da percorrere per eliminare duhkha, la sofferenza.

Partendo ovviamente dal momento in cui la mente non è confusa e distratta, oggetto della nostra riflessioni può essere l’approfondimento della comprensione delle Quattro Nobili Verità.

Quando veramente vediamo che duhkha a esiste, che è causata e che deve essere eliminata, non possiamo più non ottemperare a quanto è suggerito dall’Ottuplice Nobile Sentiero.

Se parallelamente ci si dedica all’osservazione attenta e profonda della Coproduzione Condizionata, si incomincia ad avere le idee chiare sul cammino da percorrere.

Nagargjuna, al capitolo XXIV, sūtra 40 di Mādhyamika Kārikā, dichiara: “Chi vede la Coproduzione Condizionata costui vede tutto ciò, vale a dire il dolore, la nascita del dolore, l’arresto del dolore ed il cammino che porta all’arresto del dolore”.

 

   Carla Zocchi

 

BIBLIOGRAFIA
P. Filippani Ronconi (a cura di), Buddha - Aforismi e discorsi, Tascabili Newton, 1994.
I. K. Taimni, La scienza dello Yoga, Ubaldini Editore, 1970.
W. Rahula, L’insegnamento del Buddha, Edizioni Paramita, 1984.


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