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L'Afghanistan? Non è mai esistito


tratto da "Sette" - settimanale del "Corriere della Sera" - 11 ottobre 2001, n° 41


L'ultimo film girato in Afghanistan da Mohsen Makhmalbaf, Viaggio a Kandahar (dopo Pane e fiore e il silenzio) esce in Italia in questi giorni. Girando la pellicola, il regista iraniano ha scritto un pamphlet, pubblicato per ora in Iran.
Alla vigilia degli atti terroristici e dei venti di guerra che hanno sconvolto il mondo e l'Afghanistan, abbiamo ricevuto questo scritto. Di cui abbiamo scelto i passi più significativi.



UNA VECCHIA SIGNORA MORIBONDA.

"L'anno scorso al Festival del Cinema di Pusan, in Corea del Sud, quando mi venne chiesto il soggetto del mio prossimo film risposi: l'Afghanistan. Seguì, immediata, la domanda: "Cos'è?". "Perché mai un Paese è considerato tanto poco interessante dagli abitanti di un'altra nazione asiatica da non averne mai nemmeno sentito il nome?" mi chiesi. La ragione mi fu chiara: l'Afghanistan non ha nessun ruolo nel mondo di oggi. Perché dunque non dovrebbe essere abbandonato all'oblio? Laggiù c'è poco per cui perdere la testa; l'Afghanistan non è una bella ragazza che fa battere il cuore a migliaia di spasimanti. Assomiglia ormai a una vecchia signora: chiunque volesse avvicinarsi a lei, piuttosto, dovrà farsi carico dei costi di una moribonda".

UNA NAZIONE CHE HA MINATO SE STESSA.

"Passando il confine afghano alla dogana di Dogharoon, un cartello rivolto ai visitatori mette in guardia: "Ogni 24 ore, 7 persone rimangono vittime di mine in Afghanistan". Ho appreso di cifre più attendibili in uno dei campi della Croce Rossa. Una squadra di canadesi, arrivata per una campagna di sminamento, perse la speranza e abbandonò il campo: per rendere il territorio sicuro, l'intera popolazione afghana dovrebbe sistematicamente calpestare mine antiuomo per i prossimi 50 anni. Ogni gruppo o setta ha piazzato mine contro i suoi avversari senza nemmeno disporre una mappa per un futuro sminamento. L'intera nazione ha minato se stessa, le pesanti piogge hanno fatto il resto spostando gli ordigni e trasformando quelli che erano passaggi sicuri in percorsi mortali".
"Ho visto coi miei occhi 20.000 fra uomini, donne e bambini, nei pressi della città di Herat, sull'orlo della morte per fame. Non potevano più camminare e si lasciavano andare al suolo in attesa dell'inevitabile. Lo stesso giorno l'allora Alto Commissario per i Rifugiati delle Nazioni Unite, la giapponese Sadako Ogato, visitò quelle persone promettendogli che il mondo le avrebbe aiutate. Tre mesi dopo ho sentito alla radio iraniana Ogata stimare il numero di afghani in pericolo di vita per malnutrizione in circa un milione. Ho raggiunto la conclusione che la statua dei Buddha in Afghanistan non è stata demolita da nessuno; semplicemente è crollata per la vergogna. Vergogna per l'indifferenza del mondo all'Afghanistan. Si è lasciata cadere sapendo che la sua grandezza non serviva a nulla".

UN PAESE SENZA IMMAGINE.

"Le donne afghane sono senza volto: una nazione in cui metà degli abitanti non possono essere visti è una nazione senza immagine. Negli ultimi anni in Afghanistan è stata bandita la televisione, unici mezzi d'informazione nel paese: sparuti giornali di un paio di pagine contenenti solo testo scritto, niente foto. Pittura e fotografia sono state proibite dalla religione".

TOTEM E TRIBÙ.

"L'Afghanistan nasce con la separazione dall'Iran. E stato una provincia iraniana fino a circa 250 anni fa e parte della regione del Greater Khorasan all'epoca di Nadir-Shah. Paragonandolo all'Iran, presenta però chiare differenze. In Iran, fatta eccezione per il Kurdistan, ci consideriamo innanzitutto "iraniani": il nazionalismo è il primo elemento della nostra percezione di un'identità comune. In Afghanistan, al contrario, ognuno è innanzitutto "membro di una tribù" ed è il tribalismo l'aspetto dominante dell'identità. Durante le riprese di "Viaggio a Kandahar", mentre mi trovavo nei campi per rifugiati sul confine irano-afghano, mi sono reso conto che nemmeno coloro fra i rifugiati costretti a vivere in condizioni particolarmente difficili accettano un'identità nazionale afghana. Ancora esistono conflitti fra chi si ritiene Tajik, Hazareh o Pashtoon. [...]
I matrimoni inter-tribali, così come le relazioni commerciali, non avvengono fra afghani di diverse origini. Nel campo rifugiati di Niatak (5.000 residenti lungo il confine) per i bambini Pashtoon e Hazareh non è facile giocare assieme. Le ragioni del tribalismo afghano risiedono nell'economia agraria. Ogni tribù è intrappolata in valli con mura alte come montagne".
"Il territorio afghano è per il 75% montuoso, solo il 7% è utilizzato a scopi agricoli. Manca di ogni sembianza di industria. Il tribalismo non solo impedisce all'Afghanistan di diventare un Paese moderno, ma anche ostacola quella che sarebbe una nazione nel processo di definizione di una propria identità. […]
Il termine "guerra religiosa" è quindi inappropriato in un contesto dove l'origine di ogni disputa risiede nei conflitti tribali. Così inappropriato che tanto i tagiki quanto i talebani, fazioni opposte negli ultimi anni, sono musulmani sunniti".
"Se oggi in Iran possiamo eleggere un presidente, liberi da costrizioni di tipo etnico, è grazie alle trasformazioni economiche portate dal petrolio nell'ultimo secolo. Quando il petrolio entra nell'economia di una nazione agricola come l'Iran ne cambia profondamente la struttura: il Paese diventa esportatore di materia prima pregiata e, in cambio, riceve prodotti dalle nazioni industrializzate. Ma l'Afghanistan non ha che droga da scambiare nel mercato mondiale: così si è chiuso in se stesso, isolato. Se aggiungiamo ai 500 milioni di dollari derivanti dalla vendita dell'oppio i 300 milioni ricavati dal gas delle regioni settentrionali del Paese, e dividiamo il risultato per i 20 milioni di abitanti dell'Afghanistan, ricaviamo un reddito procapite annuo di 40 dollari americani. Il che significa circa 10 cents di guadagno giornaliero per ogni afghano, ossia il prezzo di una pagnotta di pane in un giorno normale. Ciò se i guadagni fossero equamente ripartiti, cosa che evidentemente non avviene appartenendo essi, per la maggior parte, al governo e alla mafia locale. La caratterizzazione degli afghani come di un popolo di trafficanti di oppio è irreale e applicabile solo a un limitatissimo numero di abitanti".

BARBE E MISSILI STINGER

"Aminullah Khan, che governò il Paese dal 1919 al 1928, era personalmente attratto dalla modernità. Nel '24 viaggiò in Europa, tornò con una Rolls-Royce e si fece conoscere per il suo programma di riforme. Chiese a sua moglie di togliersi il velo e agli uomini di abbandonare i costumi tradizionali in favore di abiti occidentali. Proibì la poligamia. La modernizzazione di Amanullah fu immediatamente osteggiata dai tradizionalisti e nessuna delle tribù agricole si sottomise ai suoi cambiamenti. Questa modernizzazione superficiale, gretta e formale non fece che rafforzare la cultura tradizionale afghana, impedendo a usanze moderne (anche quando proposte in forme più razionali) di penetrare in Afghanistan per decenni. [...]
Oggi in Afghanistan gli unici oggetti moderni sono le armi. L'ubiquitaria guerra civile ha creato molti posti di lavoro e ha aperto il mercato ad armi moderne. Non importa quanto l'Afghanistan sia arretrato: non può combattere le sue guerre a coltellate. Così i missili Stinger accanto alle lunghe barbe e alle burqa, sono il simbolo della modernità assoggettata alle logiche del consumo"

LA CRUDELTA' DEI VICINI.

"In passato l'Afghanistan è stato un crocevia per le carovane sulla via della seta. La successiva scoperta di vantaggiose rotte marittime e, nell'ultimo secolo, del trasporto aereo, ha trasformato il Paese da antica arteria commerciale a vicolo cieco. Ogni tradizione, qui, è rimasta intatta a causa dell'isolamento e della mancanza di interferenze".
"Come può un afghano sostentarsi? Può trovare lavoro come manovale nell'edilizia in Iran, partecipare a guerre politiche, o diventare uno studente di teologia alla scuola talebana. Secondo le statistiche, più di 2.500 scuole talebane, con una capacità variabile fra i 300 e i 1.000 studenti ciascuna, attraggono orfani da tutto il Paese. In queste istituzioni a ognuno verrà concesso un pezzo di pane e una tazza di minestra: leggeranno il Corano, impareranno a memoria le preghiere e, più tardi, si uniranno alle forze talebane sul campo".
"Non dimenticherò mai le notti passate a filmare. Illuminando il deserto con le torce ci imbattevamo in orde di rifugiati in fin di vita come branchi di pecore abbandonati nel deserto. Raccoglievamo coloro che credevamo malati di colera per portarli all'ospedale di Zabol dove scoprivamo la verità: stavano morendo di fame. Da allora non riesco più a perdonare me stesso quando mi siedo a tavola per pranzo. Se fossi presidente di un Paese confinante, incoraggerei relazioni economiche con l'Afghanistan. [...]
E, Dio mi perdoni, se fossi al posto suo, benedirei l'Afghanistan con qualcosa che sia in grado di risollevare questa nazione dimenticata".
"Non mi posso esimere dall'aggiungere che l'Afghanistan ha sofferto delle interferenze straniere non meno che dalla sua indifferenza. [...]
Questa è quindi la storia di una nazione messa in ginocchio dalla sua stessa natura, storia, economia e politica, come dalla crudeltà dei suoi vicini".

UN VELENO PER I NEMICI DELL'ISLAM.

"Nell'economia moderna l'offerta è commisurata alla domanda: la produzione di droga deve pertanto incontrare i bisogni dei suoi consumatori. Secondo una ricerca Onu del 2000, il 50% delle sostanze stupefacenti, nel mondo, è prodotto in Afghanistan. Potremmo pensare che, se quel 50% corrisponde a mezzo miliardo di dollari allora il valore complessivo della merce sarebbe di circa un miliardo di dollari. Ma non è così. […] Negli spostamenti della droga verso le sue destinazioni mondiali il giro d'affari aumenta di 160 volte. [...] Ironia della sorte, i produttori di droga afghani non sono a loro volta consumatori. L'uso di droga è proibito in Afghanistan, ma la sua coltivazione è legale: giustificata con la scusa di vendere veleno mortale ai nemici dell'Islam in Europa e America. Il mercato della droga, a livello mondiale, muove 400 miliardi di dollari […] Un mercato mondiale ha bisogno di un luogo che sia bacino inesauribile per la produzione di droga. [...]
Ma non solo: i bilanci segreti dei Paesi dell'Asia Centrale si basano sulla droga. Questo spiega la determinazione del mondo circostante nel mantenersi indifferente alla cronica crisi economica afghana. Perché mai l'Afghanistan dovrebbe diventare un Paese stabile? Come potrebbe compensare gli 80 miliardi di dollari frutto diretto della sua terra?".

QUANDO AL CONFINE C'ERA L'INDIA.

"Fino all'indipendenza pakistana l'Afghanistan confinava direttamente con l'India: ciò a scapito di pesanti tensioni circa il dominio della regione del Pashtoonestan. Gli inglesi tracciarono la Durand line dividendo così l'influenza sulle regioni fra i due Paesi sulla base di un accordo, della durata di cent'anni, al termine del quale l'India avrebbe restituito la "sua metà" all'Afghanistan. Con la dichiarazione di indipendenza del Pakistan quella stessa porzione di Pashtoonestan divenne parte del territorio pakistano. Il Pakistan avrebbe quindi dovuto riconsegnarlo al dominio afghano. Ma come può un Paese come il Pakistan, che ancora reclama il Kashmir, accettare di cedere metà del suo territorio all'Afghanistan? La soluzione migliore apparve quella di formare afghani affamati che prendessero il controllo del Paese. Certo questi talebani allevati in Pakistan non avrebbero avanzato diritti sul Pashtoonestan. Non è dunque una sorpresa che i talebani appaiano a breve distanza dallo scadere dei cent'anni dell'accordo della Durand line. [...]
I talebani sono l'espressione degli interessi politici nazionali pakistani. Allo stesso tempo, il ruolo del Pakistan a livello mondiale risiedeva nell'essere l'avamposto dell'Occidente verso l'Oriente comunista. [...]
Ma come poteva il Pakistan, con gravi problemi di sussistenza interna, pensare di nutrire, formare ed equipaggiare i talebani? Grazie all'aiuto di nazioni come l'Arabia Saudita o gli Emirati Arabi, in cerca di un potere religioso in grado di competere con l'Iran".

LE DONNE AFGHANE.

"Con l'arrivo dei talebani le scuole femminili sono state definitivamente chiuse e, per un lungo periodo, alle donne è stato negato di uscire in strada. Più tragicamente, però, perfino prima dell'arrivo dei talebani una sola donna su 20 sapeva leggere e scrivere. Ciò a indicare che la cultura afghana aveva già privato il 95% delle donne della possibilità di istruirsi, ai talebani non è rimasto che il restante 5%. Perché non dovremmo quindi, realisticamente, chiederci se la cultura afghana sia stata intaccata dai talebani o invece sia la causa della loro apparizione? […]
La poligamia è pratica comune anche fra i giovani. Le concessioni matrimoniali sono così alte che sposare una donna equivale a comprarla. Nonostante ciò, durante le riprese del mio film, ho visto uomini anziani cedere figlie di 10 anni e, con i soldi ricavati, acquistare per se stessi mogli anch'esse di 10 anni".
"Molte volte mi sono chiesto: sono stati i talebani a portare le burqa, o le burqa a portare i talebani? La politica determina i cambi culturali o la cultura determina la politica? Nel campo di Niatak, in Iran, infatti, sono gli stessi afghani a chiudere i bagni pubblici. La ragione: chiunque passasse davanti ai suoi muri, sapendoli nascondere persone svestite, sarebbe spinto al peccato".

SCUOLE SEGRETE PER RAGAZZE.

"Viaggiando verso Herat [...] il conducente mi spiega che in alcune di queste case sono state allestite scuole segrete dove le ragazze possono studiare. Penso: ecco un bel soggetto per un film. Arrivo a Herat e vedo donne lustrarsi le unghie sotto le burqa. Dico a me stesso: ecco un altro bel soggetto. Vedo orde di uomini che hanno perso le gambe a causa delle mine: uno di loro, invece di avere un arto artificiale, si è legato una pala sul lato sinistro del corpo. Ancora penso: dovrei farci un film. Vedo persone morenti coprire la strada come tappeti. Ora però non riesco più a immaginarli come soggetto di un film. Sto pensando di abbandonare il cinema. Quando a Massoud venne chiesto cosa avrebbe voluto che i suoi figli diventassero, lui rispose: "Uomini politici". La guerra come soluzione era a un punto morto perfino per lui. Io credo che la soluzione stia nell'identificazione rigorosa, scientifica, dei problemi, e nella presentazione di un'immagine reale di una nazione che è rimasta oscura e senza volto tanto agli occhi degli altri quanto agli occhi di se stessa".


 

Mohsen Makhmalbaf

 

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