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Il segreto dei Maestri

Tratto da: "TRA I DERVISCI" di Omar M. Burke  Ed. IL PUNTO D'INCONTRO
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La serie di indicazioni che mi fornì in occasione di questo colloquio mi permise d'inquadrare meglio la risposta sufi a una moltitudine di domande relative al cosiddetto insegnamento segreto a livello esoterico.
Questa "risposta" era, in gran parte, nuova per me; è vero che ne indovinavo alcuni punti, ma sarei stato incapace di formularla in modo così chiaro. Giunsi alla conclusione di aver finalmente trovato la conoscenza nascosta che molti hanno cercato nel luogo sbagliato.
Riassumendo, l'insegnamento afferma che sulla Terra c'è, in ogni epoca, un piccolo numero di esseri umani in grado di comprendere qual è la situazione reale dell'uomo, nell'epoca considerata. Questi uomini hanno talvolta il compito di insegnare, talvolta no, nel qual caso si vedono affidare un compito di natura diversa, che assolvono attraverso vie misteriose. Se hanno ricevuto la missione di insegnare, possono svolgere il loro compito come, quando e dove può essere portato a termine. Da questo punto di vista, essi non procedono come il medico che, una volta terminata la sua formazione, attacca una targa alla sua porta e non fa altro che crearsi una reputazione e una clientela.
Il vero insegnante fa parte di una squadra. Che ne sia il capo o meno, senza l'aiuto dei suoi associati, non può mettere in opera l'attività globale che si chiama insegnamento che procede contemporaneamente in diverse regioni del mondo. Se un uomo deve imparare qualcosa, forse dovrà passare da un esperto ad un altro, al fine di sviluppare l'intera costellazione delle capacità necessarie. I suoi istruttori possono essere 'insegnanti' o meno. Questo concetto generale è così plausibile, eppure così estraneo al pensiero primitivo - secondo cui un Maestro deve conoscere ogni cosa e trasmettere a dosi misurate la sua conoscenza - che, quando lo sentii enunciare per la prima volta, fui letteralmente stupefatto: portava il sigillo della verità, almeno per me. Perché non ci avevo pensato prima?
Molti elementi cominciavano ora a trovare la loro collocazione. Questa era la risposta al perché per esempio, Gesù avesse fatto questo e non quello; perché coloro che seguono una via spirituale in ogni genere di discipline debbano letteralmente "viaggiare" di qui e di là; perché, non appena è istituzionalizzato, l'insegnamento della "saggezza" finisca sempre per deteriorarsi, quale che sia la levatura degli insegnanti. Questo deterioramento è inevitabile, dal momento che manca la possibilità di un insegnamento totale, composto di molteplici aspetti. La bellezza e l'enormità, la grandezza e la possibilità, la speranza che un tale diffuso e conscio insegnamento rappresentava per la razza umana soffuse il mio essere.
Su queste basi un uomo del XX secolo poteva accettare l'idea di un "insegnamento nascosto", senza diventare per questo una vittima credula di quei sistemi che si appellano meramente alle manifestazioni e ai sentimenti primitivi della paura dell'avidità, del culto della personalità della locale religione. È a questo insegnamento che alludevano tutti i miei amici Sufi, indipendentemente dalla loro religione d'origine (buddista, indù, musulmana o cristiana), quando parlavano dell'Insegnamento Superiore e del Lavoro derviscio.
È per il fatto che il Nuovo Testamento contiene parecchio materiale relativo a questo "lavoro" e perché i dervisci hanno una così profonda venerazione per Gesù, che i fanatici e gli atei male informati affermano sdegnosamente "che i dervisci non erano altro che cristiani".
Era, dunque, quello il segreto dell'insegnante: mentre l'in­dividuo non rigenerato cercava l'insegnamento nei libri esso dimorava negli uomini che lo "facevano funzionare", come direbbero i Massoni. Mentre le istituzioni credevano di poterlo conservare, esso non poteva essere istituzionalizzato. Quando la gente sperava di trovare una sorgente di conoscenza unica, individuale, essa veniva diffusa tra gli uomini. Coloro che conoscevano il piano e le diverse forme che assumeva la sua diffusione, contribuivano a questo sforzo; gli altri, come i ciechi della favola, non fanno che armeggiare maldestramente con i frammenti di essa.
Il segreto dell'insegnante era che egli insegnava ai suoi allievi solo ciò che poteva insegnar loro e ciò che era necessario che conoscessero; dopodiché, ordinava loro di proseguire da soli i loro studi, oppure di viaggiare e di andare a studiare presso un altro insegnante, per uno scopo preciso e chiaro. Un insegnante di questo tipo era ben diverso dai Mahatma adottati da un'uma­nità disperata e avida di trovare "tutta la verità sotto lo stesso tetto", come al supermercato.
Un tale insegnante avrebbe dovuto essere ben diverso dall'insegnante mistico che desidera avere sempre i suoi discepoli attorno a sé, per sempre sotto la sua dipendenza. Egli doveva essere libero da ogni residuo dell' "ego".
Leggendo i classici sufi, compresi che egli era colui che nei testi viene chiamato Anziano, oppure Guida, del quale molti antichi maestri avevano parlato. Non c'era alcun dubbio, per me, che Idries Shah fosse uno di questi uomini.
Gli confidai i miei pensieri. "Può darsi che lei comprenda tutti questi punti", rispose, "ma ciò vale solo per lei. Se tenta di comunicare le sue convinzioni le rideranno in faccia, oppure i suoi propositi saranno male interpretati. La gente accetterà questa idea e la abbasserà a livello di idolatria, oppure la rifiuterà, pensando che lei non è che un ossesso fra i tanti, ansioso di diffondere il culto da cui è stato indottrinato".
"Allora, che si può fare?"
"Quelli che possono sentire nel modo giusto, sentiranno. Quelli che possono vedere correttamente, vedranno. Gli altri deformeranno tutto e sono precisamente quelli che noi chiamiamo "primitivi" e per i quali, in effetti, stiamo lavorando. Simili a inviati della civiltà che si sforzano d'insegnare l'igiene ai selvaggi nella giungla, noi cerchiamo di gettare le basi di una comprensione razionale e corretta del misticismo. Al tempo stesso, stiamo svolgendo il Compito Superiore".
"Si rivolga a quelli che hanno la possibilità d'imparare; a quelli che sono pronti a imparare e insegni loro le basi (situazione equivalente allo stadio in cui si fanno bollire gli strumenti per sterilizzarli), non a coloro che sono attratti dal Compito Superiore (che vorrebbero diventare subito chirurghi qualificati)".
Gli risposi che se ne avessi avuto l'occasione, avrei cercato di trasmettere ciò che potevo.

 

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