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La mente può davvero conoscere se stessa?

di Luciano Peccarisi - Novembre 2008
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Luciano Peccarisi è medico di famiglia, specialista in Neurologia. Vive e lavora ad Ostuni (Br). Si interessa di coscienza e del rapporto mente-cervello. E' autore del recente libro: Il miraggio di “conosci te stesso”. Coscienza, linguaggio e libero arbitrio, edito da Armando, Roma, 2008.

 

 

La mente può davvero conoscere se stessa? di Luciano PeccarisiBreve introduzione

Per Omero la ‘psiche’ assomigliava ad un doppio, un sosia, una alter ego e l’uomo omerico non era l’essere introspettivo, interiorizzato, cui Socrate ingiungeva di conoscere se stesso. La soggettività non esisteva e in Omero infatti non si trova nessun termine che stia per ‘individuo’ o per ‘se stesso’, e il comportamento veniva attribuito a forze esterne. Per Omero non c’è nulla dietro il corpo, l’unica funzione che riconosce all’anima è quella “di abbandonare il corpo nel momento della morte(1). Tutti venivano indotti da fuori a fare cose normali, cose pazze, cose buone o cattive, atti di eroismo o di vigliaccheria. Nell’Iliade vi sono due caratteristiche “l’assenza di un linguaggio mentale e il fatto che le azioni vengano iniziate da dèi” (2).  Manca il riconoscimento di un’interiorità, sono gli dèi che dicono ciò che bisogna fare volta per volta. L’Iliade è un poema che parla di azione ed è pieno di azione, non vi è riflessione, momenti per fermarsi a pensare, introspezione. Da questo punto di vista è superficiale, spietato, vuoto.
Quattro secoli prima di Cristo Ippocrate costruisce la prima teoria delle funzioni mentali ed emotive, “ una teoria moderna, nel senso che è basata sull’esclusivo funzionamento del corpo” con i suoi quattro umori” (3).
Per Aristotele è la vita del corpo, per Platone è la vita imprigionata nel corpo. Per i greci è psiche, soffio; per i romani è anemos, vento.
Del concetto di anima immortale si appropriarono subito le religioni.
La mente per Agostino è anzitutto memoria della sua presenza a sé, autocoscienza e non si pone sotto il proprio sguardo che quando pensa se stessa, “la mente è insomma presente a se stessa prima d’ogni riferimento all’alterità, quasi fosse al di qua di tale soglia” (4).
Per Cartesio la res cogitans, sostanza pensante, ben distinta dalla res extensa.
Locke per primo anziché di anima cominciò ad usare il concetto d’identità personale; l'identità non poggerebbe su niente, si prolunga nel tempo, in qualcosa che mette in relazione gli istanti, le ore, i giorni ed è legata al filo della memoria. La scienza del novecento fu riluttante a prendere in considerazione i fenomeni soggettivi; la psicoanalisi con Freud e il comportamentismo con Watson mettevano così tranquillamente tra parentesi ciò che avveniva nella scatola cranica. W. James introdusse il concetto dinamico di flusso di coscienza: "Domandate alla prima persona che incontrerete, uomo o donna, psicologo o ignorante, e vi risponderà che si sente pensare, godere, soffrire, volere, nello stesso modo in cui si sente respirare. Essa percepisce direttamente la sua vita spirituale come una specie di corrente interna, attiva, leggera, fluida, delicata, quasi diafana e assolutamente opposta a qualunque cosa materiale" (5). La mente è un processo non una sostanza. Nella mente ogni immagine è immersa ed indistinta, è come un fiume che non è composto da "secchiate d'acqua" ma fluttua e rallenta, parti differenti si muovono a velocità differenti, toccandosi l'una con l’altra come i vortici di una corrente turbolenta. S’introduce così un elemento etereo, incerto, evanescente, instabile.
E tuttavia tale metafora non è ancora appropriata a descrivere l'attività mentale come appare nell’Ulisse di Joyce (6). Blomm si avvicina a un bordello, indietreggia per evitare una macchinae riprende il cammino... quaranta pagine e due secondi dopo! In questi pochi secondi il lettore è condotto in una lunga digressione che coinvolge decine di personaggi e ricopre un periodo che eccede molto i pochi secondi che il trascorrere del tempo avrebbe consentito. Le dimensioni del tempo convenzionale, con le sue nette partizioni, sono inutilizzabili per tessere la trama dell'attività della mente joyciana (7).
B. Russell definisce la filosofia la "terra di nessuno" tra scienza e teologia.
"La scienza si appella alla ragione umana anziché all’autorità. Tutte le nozioni definite appartengono alla scienza tutto il dogma, cioè quanto supera le nozioni definite, appartiene alla teologia .. (ma).. quasi tutte le questioni di maggior interesse per le menti speculative sono tali che la scienza non può rispondervi" (8).
 La filosofia della mente diventa autonoma quando un ramo della filosofia "analitica" (che rispetto all'altro tronco della filosofia - la "continentale"- ha pretese di scientificità) rivolge il suo interesse, cioè l'analisi del linguaggio, ai termini degli stati cerebrali, proprio con Russell in The Analysis of Mind del 1921.  "L'analisi filosofica viene applicata ...anche ai termini psicologici: è così che nasce quell'ambito di ricerca che oggi viene chiamato, in senso proprio 'filosofia della mente" (9), la svolta cognitiva soppianta così la pregressa svolta linguistica di Wittgenstein.
La tradizione continentale si è impegnata di più sulle caratteristiche fondamentali dell'esistenza umana, con Husserl e Merleau-Ponty, sull'esperienza esistenziale con Heidegger e Sartre e sull'interpretazione con Derrida e altri (10).
G. Fechner, H.von Helmholtz e W.Wundt furono i primi a studiarla nella psicologia scientifica sperimentale.

 

Che cos’è la coscienza

Molti credono di conoscersi ma in realtà, quando dicono “io so chi sono”, “io mi conosco”, non dovrebbero esserne invece così sicuri. Che la mente può conoscere meglio se stessa delle altre cose, è un giro di parole, che non porta da nessuna parte. Spesso invece conoscere il resto del mondo è più semplice che conoscere noi stessi. Del resto non siamo tanto certi nemmeno di possedere un "mentale". Nessuno lo ha dimostrato. Tuttavia gli altri, in effetti, potrebbero essere tutti degli automi ma, noi sentiamo di non esserlo per niente, di agire perché lo vogliamo, di fare cose senza impedimento alcuno. Se voglio muovere il braccio, lo faccio. Attivo ‘il pensare’ (una cosa eterea e astratta) e posso muovere qualcosa di materiale (un chilo di carne e di ossa); ci sembra normale; " diamo per scontato che la materia possa essere mossa con la sola forza del pensiero, se quella materia siamo noi(11). Ma niente si può dare per scontato. Da dove nasce e com’è possibile tutto ciò? Noi siamo animali culturali e non possiamo che cercare di ricostruire la nostra storia per venirne a capo. Siamo stati, come tutti, costruiti dall’ambiente che dopo milioni d’anni di adattamenti ci hanno perfezionato perché potessimo sopravvivere e lasciare in giro i nostri figli, altrimenti il processo si fermerebbe. Noi abbiamo costruito i computer e la natura ha costruito noi. Nei computer le istruzioni le abbiamo immesse nei file, mentre è stata la natura ha immettere le sue istruzioni nei nostri geni. Semplice a dirsi, ma interiorizzare il mondo esterno non è cosa facile, il cervello per fare questo usa: neuroni, correnti elettriche, sostanze chimiche, ioni, neuromodulatori, sinapsi, recettori, membrane, ormoni, ecc. Vediamo il mondo esterno tramite le idee (rappresentazioni mentali), che sono diverse da quelle del pipistrello, della talpa, del polpo, della rondine o della vipera, per non dire del lombrico o del moscerino della frutta. Ognuno ha precisamente quelle che servono per il tipo di ambiente che frequentano. Se i contenuti delle rappresentazioni mentali stessero “nella testa della gente nello stesso senso in cui le scene di un film sono in un DVD” (12) ciò consentirebbe, come si dice di ‘naturalizzare’ la mente. La caratteristica cioè degli stati mentali di riferirsi, di collegarsi (intenzionalità) e di avere come contenuto (idee), i fatti e gli oggetti esterni. Molti ritengono ancora che il mentale non sia dipendente dal substrato ove esso si realizza. Una stessa operazione o calcolo può essere realizzata, dicono, in cervelli diversi, in calcolatrici, computer o altri marchingegni.

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NOTE

1) Galimberti  U. (1999) Psichiatria e fenomenologia, Feltrinelli, Milano, p. 71
2) Jaynes J. (1976) Il crollo della mente bicamerale, tr. it. 2002, gli Adelphi, Milano, p.105 
3) Legrenzi P. (2002), La mente, Il Mulino, Bologna p. 70
4) Desideri F. (1998) L’ascolto della coscienza, Feltrinelli, Milano, p. 147
5) Mecacci L. (1994) Introduzione alla psicologia, Ec.Laterza 1994, p. 122
6) Joyce J. Ulisse A. Mondadori ed. 1982
7) Stephen Kern (1995) Il tempo e lo spazio, Il Mulino, Bologna, p. 38
8) Russell R. Storia della filosofia occidentale,  Mondadori Oscar 1987, p. 13
9) Nannini S. (2002) L'anima e il corpo,  Laterza, Roma-Bari, p. 74
10) Bechtel W. (1992) Filosofia della mente, Il Mulino, Bologna, p. 3
11) Gozzano S. (2007) Pensieri Materiali. Corpo, mente e causalità, UTET, De Agostini scuola, Novara, p.VII
12) Nannini S. (2007) Naturalismo cognitivo. Per una teoria naturalistica della mente, Quodlibet, Macerata, p. 228


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