La recentissima sentenza della C.C. sul diritto, o meno, all'eutanasia

Aperto da Eutidemo, 29 Agosto 2024, 11:44:23 AM

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Eutidemo

Il mese scorso la Corte Costituzionale, con sentenza 135/2024, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 580 del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 32 e 117 della Costituzione, e pur non riconoscendo  "un generale diritto a terminare la propria vita in condizioni di sofferenza intollerabile, fisica o psicologica", ha  tuttavia: "...ritenuto irragionevole precludere l'accesso al <<suicidio assistito>> di pazienti che,  versando in quelle condizioni, e mantenendo intatte le loro capacità decisionali, già abbiano il diritto, loro riconosciuto dalla legge n. 219 del 2017 in conformità all'art. 32, secondo comma, Cost., di decidere di porre fine alla propria vita, rifiutando il trattamento necessario ad assicurarne la sopravvivenza."
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Ed infatti la Corte Costituzionale, nella recentissima sentenza in questione, ha ribadito che: "Come recita l'art. 32 secondo comma Cost., nessuno può essere «obbligato», nè tanto meno fisicamente «costretto», ad essere sottoposto ad un TRATTAMENTO SANITARIO sul proprio corpo e nel proprio corpo (contro la propria volontà, e solo in forza della volontà "ip(p)ocratesca" dei medici che lo assistono). Ed infatti, l'esecuzione forzata di un tale trattamento violerebbe, oltre che l'art. 32, secondo comma, Cost., anche l'art. 13 Cost. (vedi sentenza n. 22 del 2022, punto 5.3.1.), il cui contenuto minimo di tutela protegge la persona contro ogni forma di <<coazione sul corpo>> (vedi sentenze n. 127 del 2022 punto 4, e n. 238 del 1996 punto 3.2), nonché lo stesso diritto fondamentale all'integrità fisica della persona, espressamente riconosciuto dall'art. 3 CDFUE, ma riconducibile, assieme, al novero dei <<diritti inviolabili della persona>> di cui all'art. 2 Cost. e all'area di tutela del diritto alla vita privata proclamato dall'art. 8 CEDU.".
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Al riguardo, invero, alcuni sostengono che una persona dipendente da trattamenti di "sostegno vitale", e per questo verosimilmente prossima alla morte, potrebbe essere colta dalla tentazione di "lasciarsi andare"; e che, anche a causa di pressioni esterne, possa assumere decisioni che in altre condizioni, magari, non avrebbe preso (e, cioè, di essere soppressa).
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Tuttavia, la Corte Costituzionale nella recentissima sentenza in questione, ha replicato: "Ma tale obiezione è stata confutata dalla stessa ordinanza n. 207 del 2018, rilevando come la legge n. 219 del 2017 abbia già ammesso la possibilità di considerare validamente espressa la volontà di congedarsi dalla vita proveniente da persone tenute in vita da trattamenti di sostegno vitale, le quali, se capaci di autodeterminarsi, hanno l'inviolabile <<DIRITTO>> di ottenere l'interruzione delle cure, e, quindi, di morire!".
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Ed invero, l'obiezione di cui sopra, secondo la Corte, configurerebbe: "uno scenario in palese contrasto con l'assetto ordinamentale, ormai cristallizzato dall'art. 1, comma 5, della legge n. 219 del 2017, che rimette unicamente alla libera scelta della persona di se e come curarsi (e. di conseguenza, anche la scelta di se e come morire)".
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La Corte Costituzionale, sempre con sentenza 135/2024 del mese scorso, ha altresì precisato che,  tra i trattamenti sanitari che il paziente può rifiutare, non ci sono solo la "nutrizione e l'idratazione artificiali", bensì anche qualsiasi altro tipo di trattamento sanitario, il cui elenco non deve ritenersi "tassativo"!
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Ed infatti, scrive la Corte: "...come emerge da un esame della casistica, le commissioni mediche hanno ritenuto integrato il requisito in discorso anche in casi nei quali al paziente era stato applicato un "pace-maker", ovvero "un catetere vescicale permanente", ovvero nel caso di somministrazione a una malata oncologica di "farmaci antitumorali", ecc.ecc.
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Nella recentissima sentenza in questione, la Corte ha altresì ricordato un'altra possibilità concessa ai pazienti, qualora essi non siano tenuti in vita da eventuali trattamenti sanitari, in quanto : "L'art. 2, comma 2, della legge n. 219 del 2017 prevede che possano accedere alla <<sedazione palliativa profonda continua>> i pazienti con prognosi infausta a breve termine o che si trovino in imminenza di morte e <<in presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari>>: e, questo, <<a prescindere dal fatto che tali condizioni dipendano, o no, dal rifiuto di un trattamento di sostegno vitale!>>"
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Infine la Corte ha anche ricordato la sua sentenza n. 242 del 2019,  la cui "ratio decidendi"  fu quella di escludere la punibilità nei casi di "aiuto al suicidio" prestato a favore di soggetti che già avrebbero potuto lasciarsi alternativamente morire mediante la rinuncia a trattamenti necessari alla loro sopravvivenza, ai sensi dell'art. 1, comma 5, della legge n. 219 del 2017."
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