Sette frati in Algeria: dove si mostra il bene

Aperto da Jacopus, 28 Dicembre 2025, 22:56:28 PM

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Jacopus

Cos'é il bene? Non lo so. Probabilmente ha tante sfaccettature come tutti i principî astratti: la giustizia, la libertà, la violenza, il male, il desiderio, la ricerca.
Ma in questa storia l'ho sentito passarmi accanto.
É la storia di un piccolo convento trappista in Algeria alla fine degli anni 90 dello scorso secolo. Sette monaci francesi furono trucidati e furono trovate, qualche mese dopo, solo le loro teste. In quel convento vi era un ambulatorio sanitario, l'unico nel raggio di centinaia di chilometri. Ma l'integralismo in quegli anni picchiava forte e le istituzioni algerine e francesi premevano affinché i frati abbandonassero il convento, troppo lontani da chi li poteva proteggere e troppo vicini a chi li avrebbe trucidati.
Ma i frati rimasero e morirono.
Due anni prima della strage, frère Christian, priore del Convento scrisse questa lettera:
"Se mi capitasse un giorno di essere vittima del terrorismo che sembra coinvolgere tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese. La mia vita non ha più valore di un'altra, non ne ha neanche meno. In ogni caso non ha l'innocenza dell'infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra prevalere nel mondo, ed anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca. Venuto il momento, vorrei avere la lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e al tempo stesso di perdonare chi mi avesse colpito...Rendo grazie a Dio per la mia vita e in questo grazie includo voi, amici di ieri e di oggi, e anche a te amico dell'ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì anche per te voglio questo "grazie" e questo Ad-Dio da te previsto, e che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen! Inshallah."

In questa lettera scorgo il bene. Il bene di chi accetta la morte ingiusta e la descrive attraverso una lente che unisce colpevoli e innocenti, poiché nessuno è completamente colpevole e nessuno completamente innocente. Questa è la religione del risentimento, come predicava Nietzsche? Davvero riteniamo migliore una società fondata sulla vitalità del più violento, dei signori sui servi, sull'eterna ritorsione e sull'eterna vendetta? Nelle parole di Frere Christian, da non credente, scorgo una potente testimonianza del bene e finché vi saranno testimonianze del genere la lotta fra il bene e il male continuerà ad essere aperta.
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Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

anthonyi

Citazione di: Jacopus il 28 Dicembre 2025, 22:56:28 PMIn questa lettera scorgo il bene. Il bene di chi accetta la morte ingiusta e la descrive attraverso una lente che unisce colpevoli e innocenti, poiché nessuno è completamente colpevole e nessuno completamente innocente. Questa è la religione del risentimento, come predicava Nietzsche? Davvero riteniamo migliore una società fondata sulla vitalità del più violento, dei signori sui servi, sull'eterna ritorsione e sull'eterna vendetta? Nelle parole di Frere Christian, da non credente, scorgo una potente testimonianza del bene e finché vi saranno testimonianze del genere la lotta fra il bene e il male continuerà ad essere aperta.
Nella lettera del frate c'é certamente lo spirito Cristiano, quello spirito primi genio che ha guidato la crescita della Chiesa nei primi secoli. E quello spirito viene dalle parole di Cristo, per cui c'é poco da fare considerazioni sociologiche o filosofiche poco sensate come quelle di Nietzsche. Nel Cristianesimo non c'é risentimento ma l'affermazione di principi etici alternativi a quella che il Vangelo definisce la concezione del mondo. E la concezione del mondo non ha riferimenti di classe, così come non li ha il Cristianesimo.
Piuttosto possiamo dire che mentre nella concezione del mondo il povero ha ragione di sentirsi risentito per la sua condizione, nella visione Cristiana accetta la sua condizione di povertà. 
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Meglio morire liberi che vivere da schiavi! 🤗

Koba

Andare praticamente in modo volontario incontro al martirio non suggerire forse risentimento o almeno rifiuto della vita degli uomini? Quella vera, non quella immaginata da Gesù, quella fatta di assassini e di violenza (quella del colonialismo francese prima, quello dell'integralismo islamico poi, quella del bandito deficiente che uccide, nello stesso deserto, Charles De Foucauld, per quattro cianfrusaglie senza valore)?
Risentimento nel senso di essere stati offesi, feriti, dalla vita vera degli uomini, dalla natura degli uomini, dalla propria natura. E reagire a questa offesa con la costruzione di un'altra vita, fragilissima, come si vede. Un sogno.
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Phil

Citazione di: Jacopus il 28 Dicembre 2025, 22:56:28 PMNelle parole di Frere Christian, da non credente, scorgo una potente testimonianza del bene e finché vi saranno testimonianze del genere la lotta fra il bene e il male continuerà ad essere aperta.
Non vorrei risultare cinico, ma più che una testimonianza del bene leggo nella faccenda una "sconfitta" del bene (se assecondo l'immagine della "lotta fra bene e male"), nel senso che la scomparsa di chi fa il bene è a suo modo sempre una sconfitta, almeno per il bene terreno. Partirei dalla frase: «ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male [...] anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca»(cit.); c'è infatti complicità maligna in chi sceglie di farsi prevedibile vittima del carnefice: se voglio che i leoni si estinguano, non mi offro come facile preda. Scegliendo di alimentare il male, non si rende servizio al bene; alimentare il male non è certo come fare il male, ma c'è appunto complicità; anche se una certa "retorica del martirio" tende a imbiancare i sepolcri.
Scegliendo di diventare martiri, ancor più vestendosi di perdono per il carnefice, si fa forse il proprio bene (magari ci si guadagna un posto in paradiso), ma non si fa il bene né degli altri (a cui saremmo serviti come bene-fattori da vivi, non da morti), né si emenda o si riduce il male del malfattore, a cui diamo invece opportunità di essere ancora più peccatore e malvagio (ne aggraviamo la situazione, facendo quindi il suo male). Se c'è una via di uscita, che consentirebbe di continuare a far dal bene ad altri (abbandonando quell'avamposto della cristianità medicale), togliendo inoltre qualche vittima dalle grinfie dei malevoli, scegliere invece di esporsi inermi al male non mi sembra sia un modo per "tenere aperta la partita" fra male e bene, ma, appunto, una sconfitta del bene (ad eccezion fatta del bene individuale ultraterreno del martire).
In sintesi, per evitare il "paradosso del bene impossibile" (uccidere i cattivi è male, lasciarsi uccidere è male) si sarebbe potuto tentare forse un "pareggio", per tenere davvero aperta "la partita": bilanciare la permanenza del male, facendo almeno del bene altrove, ad altri (anche qui la retorica del «La mia vita non ha più valore di un'altra» si dimostra fallace poiché, almeno in ottica di bene/male, è evidente che la vita di un monaco-medico vale, per il Bene, più di quella di un terrorista; quantomeno sul piano terrestre del discorso).
Chiarisco che non sto affatto giudicando la scelta dei frati (sarebbe sciocco), dico solo che faccio fatica a non leggerla come una sconfitta per il bene, cristianamente inteso (ma posso sbagliarmi).
In fondo, se non si distingue una morte (e un male) inevitabile da un bene (e una vita) salvabile, si rischia di fraintendere il punteggio della partita scambiando un autogol per un gol.
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niko

#4
La colpa per i mali del mondo, e tanto piu', la colpa di esistere e per esistere, non e' mai del (singolo) uomo, quindi io, da aspirante superuomo, che dire, mi associo di cuore al "grazie", ma non giammai al "perdono", del fraticello.

Non vorrei essere brutale, ma la vita e' una cosa seria: tutto e' calcolato, tutto e' limitato. La morte del Padre, prima ancora che quella di Dio, ci restituisce al Giorno Increato, cioe' a una dimensione diciamo cosi' del meriggio montaliano, fin troppo soleggiato, non consolatoriamente eterno. Quando ti arriva una pallottola addosso, tu hai, se ti va bene, in tutti i sensi, un solo secondo. E quindi, oh Zaratustra, di' la tua parola e infrangiti. La tua, singola, parola. Se e' "grazie", quella parola, non e' e non puo' essere "perdono". Per la contraddizione che non lo consente. Lo consentirebbe, certo, semmai, col tempo; ma tu, che obliquo cadi, in quel preciso momento, non hai storia, non hai tempo.

Se pretende di essere "grazie", e "perdono" insieme, allora, da filosofo dico, non e' nessuno dei due, e la critica di Nietzsche, che evidenzia proprio questo, cioe' l'inconcilabilita', in generale nella vita, del "grazie", e del "perdono", ha ragione di essere.

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Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

anthonyi

Citazione di: Phil il 29 Dicembre 2025, 13:56:33 PMNon vorrei risultare cinico, ma più che una testimonianza del bene leggo nella faccenda una "sconfitta" del bene (se assecondo l'immagine della "lotta fra bene e male"), nel senso che la scomparsa di chi fa il bene è a suo modo sempre una sconfitta, almeno per il bene terreno. Partirei dalla frase: «ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male [...] anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca»(cit.); c'è infatti complicità maligna in chi sceglie di farsi prevedibile vittima del carnefice: se voglio che i leoni si estinguano, non mi offro come facile preda. Scegliendo di alimentare il male, non si rende servizio al bene; alimentare il male non è certo come fare il male, ma c'è appunto complicità; anche se una certa "retorica del martirio" tende a imbiancare i sepolcri.
Scegliendo di diventare martiri, ancor più vestendosi di perdono per il carnefice, si fa forse il proprio bene (magari ci si guadagna un posto in paradiso), ma non si fa il bene né degli altri (a cui saremmo serviti come bene-fattori da vivi, non da morti), né si emenda o si riduce il male del malfattore, a cui diamo invece opportunità di essere ancora più peccatore e malvagio (ne aggraviamo la situazione, facendo quindi il suo male). Se c'è una via di uscita, che consentirebbe di continuare a far dal bene ad altri (abbandonando quell'avamposto della cristianità medicale), togliendo inoltre qualche vittima dalle grinfie dei malevoli, scegliere invece di esporsi inermi al male non mi sembra sia un modo per "tenere aperta la partita" fra male e bene, ma, appunto, una sconfitta del bene (ad eccezion fatta del bene individuale ultraterreno del martire).

La tua tesi é corretta, Phil, ma il Cristianesimo ha un altro modo di vedere le cose. Nel Cristianesimo Gesú sconfigge il male proprio esponendosi inerme alla condanna, I Frati non fanno che imitare la scelta di Gesú, e, tenuto conto dello sviluppo del Cristianesimo in questi duemila anni direi che si tratta di un approccio che funziona. Il martire é un testimone di verità di fede, il messaggio che lascia morendo é talmente forte che rafforza la fede in tanti che lo vedono, e quindi fa vincere il bene nel cuore degli uomini. 
Non bisogna poi dimenticare l'altro effetto di repulsione verso il male generato dal vedere la sofferenza che si arreca al martirizzato. 
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Phil

#6
Citazione di: anthonyi il 29 Dicembre 2025, 17:25:58 PMI Frati non fanno che imitare la scelta di Gesú
Questo è uno dei fraintendimenti interpretativi che, come dicevo, confonde i gol con gli autogol. Il cristiano è chiamato ad imitare Gesù non offrendosi come agnello sacrificale appena ne ha occasione (ricordiamo che Gesù non è proprio un cristiano qualunque...), ma soprattutto con lo stile di vita e, quindi, in vita. Se un aspirante martire è perseguitato e non ha scampo, fa bene ad offrire la sua vita al Signore; viceversa, se un cristiano può salvarsi, semplicemente cambiando residenza, per continuare a fare del bene, essere di esempio e conforto, etc. non credo che il cristianesimo gli chieda di restare dov'è andando incontro a morte certa.
Citazione di: anthonyi il 29 Dicembre 2025, 17:25:58 PMIl martire é un testimone di verità di fede, il messaggio che lascia morendo é talmente forte che rafforza la fede in tanti che lo vedono, e quindi fa vincere il bene nel cuore degli uomini.
La morte di quei frati ha davvero "fatto vincere il bene nel cuore degli uomini"? In quali uomini? Non in quello dei terroristi, si direbbe, e nemmeno in quelli che quei frati avrebbero potuto aiutare, da cristiani e da sanitari vivi.
Citazione di: anthonyi il 29 Dicembre 2025, 17:25:58 PMNon bisogna poi dimenticare l'altro effetto di repulsione verso il male generato dal vedere la sofferenza che si arreca al martirizzato.
Questa repulsione c'è davvero stata fra i martirizzanti o è una repulsione che "attecchisce" solo in chi già non è un martirizzante e già solidarizzava con i martirizzati prima che fossero tali?
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Jacopus

#7
In realtà ho un po' sintetizzato la lettera. In un passo Frate Christian aggiunge, riferendosi alla sua possibile morte: "non potrei auspicare una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo". Non era un pazzo alla ricerca del martirio ad ogni costo, ma è rimasto coerente al suo compito. É vero che può sembrare un comportamento eccessivo e mi sono domandato io stesso se non fossi troppo influenzato dalla cultura cattolica di cui sono imbevuto (come tutti gli italiani del resto). Ma in quell'atto, come in quello di Gesù, c'è la conferma di una missione che non può scendere a compromessi. Se esiste l'ingiustizia allora affrontiamola, anche se può significare la mia morte. Ma la mia vita è meno importante del senso di giustizia che deriva da quel restare. È la stessa scelta di Etty Hillesum, di padre Kolbe, di Salvo d'Acquisto. Possiamo scappare ed essere buoni per la prossima battaglia ma invece si resta in una sorta di eroismo antieroico. Rispetto al pragmatico e molto umano "fuggitivo", chi resta e chi condivide la sofferenza manda un messaggio al giorno d'oggi rivoluzionario: " la vostra sofferenza è la mia sofferenza. Se voi miei fratelli mi ucciderete é perché c'è stata prima una storia di sofferenza che voi avete subito a cui sono stato partecipe e quindi non sono innocente".
La domanda è come interrompere quella sofferenza, come ripristinare la giustizia fra gli uomini. E il comportamento di padre Christian, di Etty Hillesum, di Salvo D'Acquisto ci interroga grazie al loro atto sovraumano, che suggerisce come la giustizia collettiva sia più importante della salvezza individuale. Io ci vedo anche un po' di Socrate, ma non escludo neppure che il catechismo abbia fatto un buon lavoro su di me, fin dai malleabili tempi della infanzia.
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Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

anthonyi

Citazione di: Phil il 29 Dicembre 2025, 18:23:52 PMQuesto è uno dei fraintendimenti interpretativi che, come dicevo, confonde i gol con gli autogol. Il cristiano è chiamato ad imitare Gesù non offrendosi come agnello sacrificale appena ne ha occasione (ricordiamo che Gesù non è proprio un cristiano qualunque...), ma soprattutto con lo stile di vita e, quindi, in vita. Se un aspirante martire è perseguitato e non ha scampo, fa bene ad offrire la sua vita al Signore; viceversa, se un cristiano può salvarsi, semplicemente cambiando residenza, per continuare a fare del bene, essere di esempio e conforto, etc. non credo che il cristianesimo gli chieda di restare dov'è andando incontro a morte certa.La morte di quei frati ha davvero "fatto vincere il bene nel cuore degli uomini"? In quali uomini? Non in quello dei terroristi, si direbbe, e nemmeno in quelli che quei frati avrebbero potuto aiutare, da cristiani e da sanitari vivi.Questa repulsione c'è davvero stata fra i martirizzanti o è una repulsione che "attecchisce" solo in chi già non è un martirizzante e già solidarizzava con i martirizzati prima che fossero tali?
Ti ripeto, Phil, tu hai le tue ragioni, ma le ragioni del Cristianesimo sono differenti. I martiri cristiani dell'antica Roma morivano in un mondo dove era il popolo a volere la loro morte come spettacolo, eppure proprio grazie a quelle morti é il cuore di quel popolo a cambiare, progressivamente. 
Siamo tutti umani, criminali e non, e abbiamo similari meccanismi emotivi che ci spingono a certi tipi di reazioni. 
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Phil

La scarsa rilevanza dell'empatia per il martirio dei cristiani nei cambiamenti a lungo termine della cultura e della società romana è questione di fonti, così come il lasciarsi uccidere (da non confondere con il morire senza scampo) per ingiustizia, al netto di ogni retorica, si è sempre dimostrato, in un ottica di bene, meno utile del combattere da vivi contro l'ingiustizia (Cristo a parte; per quanto, come detto, si tratta di un "uomo" piuttosto unico del suo "genere").
Per completezza, a questo link è consultabile l'intera lettera.
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Alberto Knox

Citazione di: Jacopus il 29 Dicembre 2025, 19:20:22 PME il comportamento di padre Christian, di Etty Hillesum, di Salvo D'Acquisto ci interroga grazie al loro atto sovraumano, che suggerisce come la giustizia collettiva sia più importante della salvezza individuale.
Aggiungerei Il giudice Falcone, aggiungerei Borsellino, aggiungerei Rosario Livatino. Sapete come è morto il magistrato Rosario Llivatino? ve lo dico io. A livatino era stata offerta una scorta pochi giorni prima della sua morte . Lui rispose piu o meno così " Se quelli vogliono farmi fuori lo faranno con o senza scorta , ma se io prendo la scorta allora non ci sarà solo una famiglia a piangere la perdita del suo caro ma quattro o cinque famiglie" fu superato da un auto mentre si recava in tribunale, solo e senza scorta, gli spararono dal finestrino colpendolo ad una spalla , tentò disperatamente di salvare la propia vita scappando a piedi fra i campi ma fu raggiunto e freddato da numerosi colpi di pistola. 

«Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili.» 
Rosario Livatino. 
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Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Alberto Knox

Questi uomini non erano dei martiri, ma avevano a mii avviso un qualche cosa nell animo. Che li spingeva ad andare avanti nella lotta contro l ingiustizia della mafia e che cos'era questo qualcosa? un senso, un sentimento, si un sentire che c'era qualcosa più grande di loro sulla quale si sentivano in dovere di rispondere.
Questo qualcosa di più grande di loro sarà stata la giustizia , per altri può essere Dio, altri ancora il bene comune, altri ancora può essere la salvaguardia degli animali e dell ecosistema per altri può essere la verità come nel caso di Socrate e di Gesù. Il sentirsi responsabili di fronte a tali cose piu grandi di noi è ciò di cui fa di un uomo un uomo e non un animale . Un animale infatti non ha scelta, segue i binari di madre natura e seguono l'istinto di sopravvivenza. Questi esempi di uomini mi fa capire che l'uomo , a volte, può scegliere di venir meno all istinto di sopravvivenza in nome di un qualcosa di molto più grande e piu importante di loro. 
E il loro gesto non può essere compreso a fondo se non ci recespisce il messaggio che hanno lasciato e non può essere distinto dal loro coraggio personale. 

Allora perchè Socrate ha scelto di bere la cicuta e non di rinnegare tutto quello che aveva detto sino ad allora ? si sarebbe salvato invocando la grazia così come si sarebbe salvato Gesù . Perchè sentivano entrambi di non poter venir meno alla missione che avevano intrapreso , anche a costo di pagare con la vita? 
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Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

niko

#12
Citazione di: Jacopus il 29 Dicembre 2025, 19:20:22 PMIn realtà ho un po' sintetizzato la lettera. In un passo Frate Christian aggiunge, riferendosi alla sua possibile morte: "non potrei auspicare una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo". Non era un pazzo alla ricerca del martirio ad ogni costo, ma è rimasto coerente al suo compito. É vero che può sembrare un comportamento eccessivo e mi sono domandato io stesso se non fossi troppo influenzato dalla cultura cattolica di cui sono imbevuto (come tutti gli italiani del resto). Ma in quell'atto, come in quello di Gesù, c'è la conferma di una missione che non può scendere a compromessi. Se esiste l'ingiustizia allora affrontiamola, anche se può significare la mia morte. Ma la mia vita è meno importante del senso di giustizia che deriva da quel restare. È la stessa scelta di Etty Hillesum, di padre Kolbe, di Salvo d'Acquisto. Possiamo scappare ed essere buoni per la prossima battaglia ma invece si resta in una sorta di eroismo antieroico. Rispetto al pragmatico e molto umano "fuggitivo", chi resta e chi condivide la sofferenza manda un messaggio al giorno d'oggi rivoluzionario: " la vostra sofferenza è la mia sofferenza. Se voi miei fratelli mi ucciderete é perché c'è stata prima una storia di sofferenza che voi avete subito a cui sono stato partecipe e quindi non sono innocente".
La domanda è come interrompere quella sofferenza, come ripristinare la giustizia fra gli uomini. E il comportamento di padre Christian, di Etty Hillesum, di Salvo D'Acquisto ci interroga grazie al loro atto sovraumano, che suggerisce come la giustizia collettiva sia più importante della salvezza individuale. Io ci vedo anche un po' di Socrate, ma non escludo neppure che il catechismo abbia fatto un buon lavoro su di me, fin dai malleabili tempi della infanzia.


Socrate rappresenta il sacrificio altruistico della vita che avviene a sovranita' e dignita' perfettamente mantenuta (di fatto si uccide perche' cosi' comanda la sua stessa comune e comunitaria legge, da vero ateniese) Cristo, che piaccia o no muore attraverso un complesso e "masochistico" rito di umiliazione, il sacrificio altruistico finanche della propria dignita'/sovranita', che ptoprio in quanto tale puo' solo avvenire oltre, e al di la' della vita.

Sembra la stessa cosa, ma non e', la stessa cosa.

Il secondo supera il limite, che il primo non voleva e non poteva assolutamente superare, il limite cioe' della legge quale dimensione comune e comunitaria dell'individuo, mettendo fine, proprio con questo superamento, ad ogni possibile, e successiva, morale delfica e del limite. Socrate e' e resta un caso tra gli innumerevoli previsti da una legge, un caso astraibile, l'oggetto di una sentenza; Cristo ha la (bella) pretesa di dare compimento (temporale, sul piano di un evento) ad una legge, primordiale e feroce, intrinseca dell'uomo, perche' ne segua (temporalmente) una liberazione: insomma sale su una certo, ben determinato strumento di tortura, e ci sale, con l'idea, francamente folle, di essere l'ultimo. L'ultimo in senso non reale, ma rituale. Dopo di lui non ci sara' piu' bisogno, di sacrificare.
Il secondo, insomma, rivela, che non era perfetto, il sacrificio del primo. E la morale, di questa "nuova" favola, e' sempre che un uomo, adulto e disincantato, muore non gia' per salvare il mondo, da "fondatore" e da primo cristiano, anche se questo piacerebbe a molti, ma, sapendo perfettamente che il mondo e' gia' salvo, da ultimo ebreo. La sovrabbondanza, dell'amore, rivela, o quanto meno, dovrebbe rivelare, la vanita', di ogni sacrificio. Non si ama cio' che vale, in una scelta erotica incanalata di oggetto quindi, necessariamente escludente qualcosa, ma l'amore stesso, conferisce valore, in una scelta, cosi', almeno potenzialmente, non escludente nessuno e nulla.

In altre parole, rispetto all'universalita' del tempo storico, il sacrificio socratico e' possibile sempre, e' qualcosa di fermamente parallelo all'universalita'del tempo; mentre invece il sacrificio cristico e' possibile solo in momenti di estrema dissoluzione ed anomia, in cui valori quali dignita' e sovranita', la maschera insomma della persona, per eclisse, ed elissi, di un precedente e perduto Stato, tornano, fatidicamente, ad appartenere, singolarmente all'individuo e, questo singolo individuo, ora ineditamente assurto a nuovo, universale, di essa, ne dispone scandalosamente come vuole, ad esempio (supremo) donandola altrui insieme alla vita, come se essa, la maschera, fosse il corredo della vita (che, almeno in tempi normali, non e').

Socrate, in morte, siamo abbastanza sicuri che lui, la "sua" maschera, la sua sovranita' di cittadino, non ce la puo' donare, perche' essa non appartiene a lui, ma allo Stato. Muore, al di qua' di un limite, al di qua di una maschera. La sua morte, e' antitragica. Ci dona, tra mille virgolette, "solo" la sua vita e (dunque) il suo insegnamento, che e' appunto quello che lui, da buon ateniese, e da primo filosofio, si sente, in morte, di donarci. Morto per mano della legge e non sotto le zanne della belva umana in particolare. Su Gesu', siamo autorizzati, invece, ad avere fideisticamente e in questo stesso senso qualche dubbio. Perche' il tragico circostanziatamente riemerge, nella possibilita', per lui e solo per lui, di un sacrificio totale, che sia di vita e di dignita' insieme, e che quindi paradossalmente si stentera', a posteriori, a  riconoscere, come un sacrificio. L'uno, e' un segno di epoca, l'altro e' un segno di crisi.



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Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

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