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LOGOS - Argomenti => Percorsi ed Esperienze => Discussione aperta da: Jess il 31 Agosto 2018, 12:37:58 PM

Titolo: Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Jess il 31 Agosto 2018, 12:37:58 PM
E' la prima volta che scrivo pubblicamente questi miei pensieri...è una sorta di atto curativo, nella speranza che esorcizzando quello che ho dentro qualcosa possa aiutarmi a cambiare la mia prospettiva, che attualmente mi sta portando verso l'autodistruzione mentale. Per cui perdonatemi se sarò confusionaria, sarà come leggere il diario di una ragazzina che scrive di getto quello che le passa per la testa, famelica del bisogno di lasciare una testimonianza della sua vita e dei suoi travagli. Anche se non sono più una ragazzina..

Il tempo. Eterno accompagnatore. Eterno nemico personale. Per me il tempo è tragico. Da sempre vivo il tempo come una sorta di ghigliottina, che più avanza più si avvicina al mio collo, pronta a recidere qualcosa di vitale. Non lo so esattamente da dove mi arrivi...sicuramente la morte improvvisa di mio nonno ha lasciato un segno profondo, ma purtroppo credo mi arrivi da dentro, da sempre, al di là di tutto e di tutti. Mio nonno, senza farla lunga e troppo patetica, era l'unica figura maschile della mia infanzia a preoccuparsi per me, a insegnarmi, a educarmi. Sono figlia di genitori troppo giovani e senza la testa adatta, quindi mentre loro continuavano a crescere e a provare a diventare figure genitoriali io passavo la maggior parte del mio tempo dai miei nonni, quindi il loro ruolo nella mia vita era fondamentale. Mia nonna è la persona che più amo, e sono così grata che sia ancora su questo mondo. Mio nonno era una brava persona, stimato da tutti, attivo socialmente, culturalmente, curioso ed esploratore, adoravo quando suonava la chitarra in camera da letto. Era un buon uomo, un buon esempio. Morì quando avevo nove anni, dopo un ictus inaspettato. Durò credo circa una settimana su un lettino di ospedale, ma mio nonno era già morto. Non volli andare al funerale, ma mio padre (suo figlio) per la prima volta si impose su di me per una buona causa, e quindi fui obbligata ad andare a dargli un ultimo saluto. Vabbè...scusate ho preso una tangente.
Torniamo al tempo.
Il tempo è inarrestabile, anche se per noi esseri umani è possibile immaginare un punto. Una fine corsa. Noi sappiamo che ad un certo punto moriremo. Come tutti.
Ecco, io proprio non lo capisco come si faccia ad alzarsi la mattina e trovare le forze per fare. Fare. Qualsiasi cosa di produttivo, costruttivo... Anche solo curare la propria persona, lavarsi, cucinarsi un buon pranzo... Io non lo capisco più. Una volta, quando ancora vivevo da mia madre ed avevo un'età meno indipendente, riuscivo. Trovavo bellezza in ogni angolo della strada, in ogni dettaglio di qualcuno o qualcosa. Mi piaceva vagare sola per il paese ed osservare il mondo, le persone, le interazioni... Per quanto può suonare da sociopatici, mi piaceva e mi faceva sentire bene, parte di questo mondo, parte di qualcosa. Mi dava la sensazione di godermi la mia vita, per quanto limitata, per quanto imperfetta, per quanto faticosa.
Ma la morte è sempre lì, e io la vivo ogni giorno. Non c'è notte in cui non vada a letto chiedendomi se il giorno dopo sarò ancora viva, il mio compagno sarà ancora vivo, Dutch sarà ancora vivo, Peppe sarà ancora vivo, Sasà sarà ancora vivo...mia nonna...il mio fratellino...il pianeta... Io non lo so. Questo mi distrugge.
Io. Non. Lo. So.
Non sopporto di non capire, non sapere. Quando so che dovrei sapere.
E' tutto così incontrollabile, così caotico.
Come si fa a progettare una carriera di lavoro a breve o lungo termine, se sai che potresti morire? come fai a vivere con una persona, a fare dei figli, se sai che potresti morire? E morirai.
Come esseri umani sappiamo così poco di tante cose...la nostra consapevolezza è così poco sviluppata, le nostre capacità pure...abbiamo così tanto da scoprire, da imparare, da evolvere...e il meglio che la maggior parte riesce a volere per la sua vita è di avere una famiglia e pagare il mutuo di una bella casa col lavoro full time in azienda. E cosa resterà di tutto questo?? Niente. Sì, certo, puoi lasciare i tuoi figli a tua testimonianza...come estremo atto d'egoismo narcisistico.
Per cosa hai vissuto?? Che cosa hai fatto della tua vita? A chi l'hai dedicata? Per chi sei morto?
Che senso ha, nascere, crescere, provare tutto il dolore, scegliere una strada, lavorare, pagare, innamorarsi, se questo non cambia il mondo...non lo migliora...? Io non posso più tornare indietro, non posso più scegliere di nuovo la mia strada in modo da diventare la persona utile che vorrei essere. Posso solo cercare di fare del mio meglio, ma il mio meglio non mi basta...non trovo più senso nel respirare ossigeno e consumare cibo. Sto trascinando un'esistenza ininfluente. E non so perché, ma questo mi fa soffrire indicibilmente.
Vorrei essere capace. Vorrei essere capace di ambire alla vita per come ci è data viverla. A noi persone (perdonatemi il termine) normali. Quanto, quanto vorrei che il mio obiettivo prossimo fosse comprare un appartamento in centro. Quanto vorrei che le mie scelte di studi e professionali fossero state di un buon posto in un ufficio, weekend libero, pensione a 65 anni. Quanto vorrei sentire il bisogno di mettere su famiglia.
Vorrei essere una di quelle persone che le vedi...sanno vivere. Per quanto in un modo che magari può non piacermi...sanno vivere. Sanno avere una relazione stabile. Sanno mantenere una casa. Sanno fare carriera. Sanno essere efficienti, affidabili, professionali. Sanno anche fare i genitori. Loro non respirano diversamente da me, non mangiano poi tanto diverso da me, vivono vicino a casa mia, nel mio stesso paese...eppure, siamo appartenenti a due razze diverse... Razze che non si differenziano per il pigmento della pelle, o per la forma degli occhi... razze che vivono due stati mentali completamente diversi. Non c'è alcun parametro che li unisce.
Io soffro. E amo. e mi distruggo. penso troppo...vedo troppe cose che mi fanno soffrire.
Amo questo pianeta e amo tutto ciò nel quale trovo della bellezza, per me ovviamente... E non riesco a godermi questa sensazione, perché improvvisamente la ghigliottina avanza: "sì, ma tanto un giorno morirai", "sì, ma tanto un giorno morirà". Tutto ciò su cui poso gli occhi, ha una fine. E non so come e quando succederà. Ma so che succederà. Per cui per me, un bimbetto paffuto in braccio alla sua mamma, è subito un'immagine tenera e commovente, quasi da provarne gratitudine...e subito dopo un'immensa tristezza, perché per quanto posso non saperne niente di loro e della loro vita presente e futura una cosa la so: soffriranno. Perché si amano. E se anche la loro vita sarà serena e gioiosa senza increspature, soffriranno perché uno dei due vedrà l'altro morire.
La morte cancella tutto. Strappa via. Aggrapparmi all'illusione che vivendo una vita significativa, essendo utile a persone che un giorno potranno ricordarsi di me, non mi basta più...non mi dà più abbastanza energie per provarci davvero.
Che senso ha...che senso ha??
Come si fa a vivere?
Per non parlare delle scelte...oh...le scelte.
Non so scegliere. Come si fa a decidere consapevolmente di buttare via quasi tutte le opzioni coi loro possibili sviluppi, per tenersi una strada sola?
E' tutta la vita che mi chiedo cosa voglio fare da grande...e finchè sei bambina, questa domanda è elettrizzante, è avvincente, è come la prima nota di una sinfonia di beethoven! Ma quando sai che dovresti essere cresciuta da un pezzo...questa domanda è sempre più pesante, è sempre meno sopportabile sentirsi chiedere a se stessi tutto questo. Ti rendi conto delle tappe perse...del tempo andato... Ti rendi conto, o meglio io, io mi rendo conto che per il terrore di buttare via delle buone possibilità per la mia vita, alla fine ho buttato via la mia vita aspettando il coraggio di una decisione, di una scelta. E non si torna all'inizio. Non c'è il tasto "gioca una nuova vita".
Non avere idea di niente sulla propria vita, è brutto. Questo è il periodo più brutto della mia vita, e purtroppo, diversamente dal passato, non intravedo più la speranza di un cambiamento. Me la sono sempre cavata...arrivo sempre ad un certo punto nel quale le cose devono cambiare, il fondo è troppo prossimo e io non voglio raggiungerlo...e con rabbia risorgo, trovando nuove opportunità, nutrendomi di questo enorme cambiamento; ma questa volta no, sento di avere esaurito le energie anche solo per innescare la miccia del cambiamento. Non ho più motivi per combattere. Non trovo più il bello. Prima almeno lo vedevo, per quanto poi mi facesse soffrire...ora è sempre più raro per me trovare qualcosa che valga un sorriso. I cani. Giusto loro ancora mi danno qualcosa che mi porta fuori da me...che mi fa percepire qualcosa al di là di me (il che è ottimo, visto che con me è difficile vivere). La mia ultima parvenza di spiaggia, il mio ultimo miraggio (pur riconoscendolo come tale) me la danno i cani. La speranza di riuscire a fare qualcosa di utile per loro, con loro. E così adempiere a quel desiderio che avevo sin da bambina, quando, nonostante tutto lo schifo, mi sentivo felice, a casa dei miei nonni, giù nel cortile a giocare a nascondino con le altre bimbe.
...e dire che volevo cambiare il mondo.
Anche se lo scopo ultimo della mia vita è quello di morire bene. E non so più come poterlo fare. Non lo so.
Scusate la cupezza del tutto. Ma devo riuscire a buttarla fuori...e questo è un tentativo nuovo per me, che sì, ricadrà per qualche minuto sulle spalle di chi avrà abbastanza tempo e voglia (o noia) per leggere tutto...ma di questi tempi, è una colpa che mi posso permettere di sopportare.
Ah, il titolo è una sorta di clickbait (non mi andava di scrivere un titolo patetico come il mio post)...non sono mai stata da uno psichiatra, per cui potrei e non potrei essere affetta da tanatofobia. In ogni caso è una definizione che non mi cambia nulla...non mi sento meglio ad essere inquadrata in una definizione, per quanto abbia bisogno di stabilità. E non mi sento meglio a ritenermi "malata". Sono di matrice socratica, per cui tendo a cercare tutto dentro me, cure comprese. Non mi definirò mai "affetta da tanatofobia", per quanto probabilmente secondo i test lo sia. Ma non sono solo quello...per cui...
Buona giornata.

...non lo so più, alla fin dei conti, cosa vorrei ottenere dall'aver scritto questo...so quanto è forte quello che ho dentro, e so che non cambierà per l'averlo scritto qui...quindi non lo so più cosa volevo. Forse volevo solo sfogarmi. Forse volevo una parvenza di reale contatto umano. Forse ho bisogno di qualcuno con cui parlare. Forse ho bisogno di lasciare una traccia della mia esistenza, anche se davvero una terribile testimonianza della quale non poter essere orgogliosi, pur di non sapermi così rarefatta. Forse è tutto questo insieme. Non lo so... sono tante le forze che mi governano, paure per lo più. E narcisismo credo... sicuramente.
La comprensione è il primo passo verso l'accettazione. Adesso devo solo sperare che il primo passo duri solo trent'anni, Così magari posso finalmente vivere i prossimi decenni in previsione di un secondo e terzo passo.

Rispondete, se volete, quello che volete...ma per favore non provate a convincermi di nulla...non è utile a nessuno. Sono bravissima a vedere le possibilità, le conosco tutte. Quindi so cosa altro può essere la vita e il suo senso. Ma non riesco a vivere quelle possibilità. Per favore, sarò contenta (davvero) di leggere qualsiasi risposta di chiunque vorrà esprimere la sua testimonianza sui temi di cui parlo...al di là della mia.
Non sono abbastanza corazzata per leggere critiche e suggerimenti.
Ancora buona giornata a tutti, spero di non essere offtopic o di aver offeso qualcuno, in ogni caso non era mia intenzione. Grazie per l'ospitalità. In fin dei conti credo che sia stato utile a farmi stare un poco meglio.
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Sariputra il 31 Agosto 2018, 14:32:14 PM
Ciao Jess (Gessica, forse?...ho un'amica con questo bel nome :)) e ben trovata!
Sono uno che si è letto tutto il tuo post... e senza annoiarsi! Intanto perché è scritto veramente bene e poi perché, come ampiamente ammesso dal sottoscritto, sono curioso di vite altrui peggio di una scimmia... :( 
Non mi sembri affatto malata di "tanatofobia". In realtà mi sembri palesare un'acuta consapevolezza del divenire, del mutare delle cose, di cui la morte è solo un volto, forse quello che più ci opprime e spaventa. Sì, la vita è sostanzialmente impermanenza, divenire continuo. Uno smarrire e smarrirsi incessante, persino nei ricordi stessi...
Questa acuta percezione del mutare di ogni cosa l'ho personalmente vissuta sin dalla giovinezza, e la vivo attualmente, e quindi mi ritrovo molto in quello che scrivi .
Non credo siano necessari suggerimenti od opinioni, tra l'altro giustamente non graditi, visto che questo è semplicemente il nostro vissuto, ciò che ci rende persone 'così' e non 'cosà'.
Posso solo dire che, per me, è stata, ed è tutt'ora, la molla che mi spinge alla riflessione, alla meditazione e alla spiritualità.
La spiritualità appare proprio la lotta che s'instaura tra il bisogno di senso e l'impermanenza che lo nullifica...finchè, forse, essa stessa non si fa segno e significato.
Una delle caratteristiche, forse la caratteristica più tipica, di questa consapevolezza che ci indebolisce, che logora la volontà di fare, è proprio il senso di inadeguatezza al mondo; mondo che probabilmente ci delude , proprio perchè la sensibiltà del "mono no aware" di tutte le cose ce lo fa amare in modo struggente. La bellezza del mondo avrebbe bisogno di essere fermata, essere fermato il momento in cui si ascolta il nonno suonare la sua chitarra, il momento del gioco da bambine...ma non è possibile, e questo è dolore.
Impermanenza e dolore vanno sempre a braccetto, come i fidanzati che osservano il fluire del fiume dal ponte, chiedendosi:

cit.Jess:
Come si fa a vivere?
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: bobmax il 31 Agosto 2018, 18:20:08 PM
Con la morte della persona cara mi si spalanca davanti l'abisso.
Penso sia l'evento che più di ogni altro mi ha costretto a guardare in faccia la Medusa, che mi fissa mostrandomi l'orrore del mondo: "E adesso?"
E' l'assolutamente inaccettabile! Eppure vero...

Con la morte, ogni speranza diventa vana. Perché non c'è niente a cui possa davvero aggrapparmi: tutto finisce.
E anche chi amavo, era davvero ciò che ora mi sembra di ricordare? Chi, cosa era davvero l'oggetto del mio amore? Perché tutto si fa incerto. Non è altro che una mia continua rielaborazione.
Dov'è la verità?
 
Mi ritrovo di fronte al limite, di questa mia vita assurda.
 
Tuttavia il limite, se riesco a tenerlo almeno un istante a bada, ossia senza cadere nella disperazione che mi annichilisce, e senza neppure cercare di razionalizzarlo (così va il mondo...), può scuotermi nel profondo.
Può costringermi a cercare dentro di me chi davvero io sono! 

La morte, il nulla che ho effettivamente davanti, sono la muta imperiosa domanda di senso, a cui solo io, in perfetta solitudine, posso rispondere.

Ed è tanto difficile rispondere, ma ne va del destino del mondo.
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Jacopus il 31 Agosto 2018, 18:36:20 PM
Ringrazio Jess per la sua testimonianza che sento molto autentica. La morte attende ognuno di noi ma non la vedo così terribile. Il mio ciclo vitale un giorno terminerà e gli atomi di cui è composto il mio corpo andranno a costituire altri sistemi organici e inorganici in un continuo divenire.
Finchè sono qui, in uno spazio e in un tempo dove sono stato a mia insaputa precipitato, posso ballare il ballo della vita, respirare, sentire il sole sulla mia pelle, ascoltare la pioggia che cade o una sinfonia, vedere i miei figli crescere, accettare la morte dei miei amici, entrare nel vortice della depressione e combattere per superarla, sentire l'amore per un mio simile o ricordarlo, guardare gli altri e ascoltare la loro voce interiore.
Tutto questo è meraviglioso e non c'è bisogno di nulla di più. Quando non saremo più, lasceremo spazio ad altri che ripeteranno altre esperienze e tutti insieme costruiremo la storia dell'uomo.
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Apeiron il 01 Settembre 2018, 11:50:48 AM
Ciao Jess,

mi associo anche io ai ringraziamenti per la tua testimonianza.  Inoltre, concordo con Sariputra che la tua, secondo me, non è tanatofobia bensì è una profonda consapevolezza della realtà dell'impermanenza. Purtroppo, non è facile conviverci.

Anche io ho questo tipo di consapevolezza e mi faccio molto spesso le domande che ti fai sul "senso" delle azioni umani. Anche per me, la consapevolezza dell'impermanenza è una spinta fortissima alla spiritualità, alla filosofia e nel mio caso anche alla scienza. In fin dei conti, lo studio della matematica e della fisica, nel mio caso, nascono dalla volontà di contemplazione di verità a-temporali (matematica) e delle regolarità della natura (fisica), le quali permangono nel flusso degli eventi. Inoltre, la riflessione dell'impermanenza per me ha anche un'importanza etica, visto che notando l'inevitabilità della morte, ho la spinta a sfruttare il tempo che ho a disposizione nel modo migliore (l'etica ovvero, chiedersi "Come si fa a vivere?").

Faccio notare che condivido il tuo concetto di "morte" come qualcosa di pervasivo nella nostra esperienza. Perchè non solo c'è la morte fisica, la fine di questa vita. Ma tutte le nostre esperienze svaniscono via, inevitabilmente. In realtà, cos'è il "divenire", il "flusso del tempo" se non un continuo sorgere e svanire di esperienze - ovvero una continua sequenza di nascite e morti. La morte è veramente una "realtà" della nostra esperienza. Il presente diventerà passato. Come non vedere che impermanenza e dolore sono intimamente connessi?

Sulla stretta connessione tra riflessione filosofica e contemplazione della morte, lascio questa citazione di Schopenhauer (Mondo come Volontà e Rappresentazione, vol II): "La morte è il vero genio ispiratrice, o la musa della filosofia, per questa ragione Socrate ha definito quest'ultima come θανατου μελετη. Certamente senza la morte gli uomini filosoferebbero a stento."
"θανατου μελετη" (translitterazione: "thanatou melete") = "meditazione (melete) sulla morte (thanatou)"
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: sileno il 05 Settembre 2018, 11:32:54 AM
Citazione di: Jess il 31 Agosto 2018, 12:37:58 PM

... per favore non provate a convincermi di nulla...non è utile a nessuno. Sono bravissima a vedere le possibilità, le conosco tutte. Quindi so cosa altro può essere la vita e il suo senso. Ma non riesco a vivere quelle possibilità.
Non sono abbastanza corazzata per leggere critiche e suggerimenti.



A una ragazza che non accetta consigli

Non dare udienza
a chi ti dice
la tua convenienza

Non è detto ti sia adatto:
sai già da te il tuo meglio

E non dare ascolto
al mio discorso:
consiglio dar non voglio!

sileno
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Uroboro il 09 Settembre 2018, 21:23:32 PM
E' da quando ho quattrordici anni che quest'oscura consapevolezza si è spalancata di fronte a me. In effetti non la definirei paura della morte, ma piuttosto la disperazione del non esistere. E' devastante, tanto più si è onesti con sé stessi, tanto più divora, devasta e svuota di senso la vita.
Come hai fatto a vivere fino ad ora? Spesso me lo chiedo di me stesso: come ho fatto? Non lo so. Passo spesso per un 'mezzo' depresso, e quasi sempre per uno stramboide, ma in realtà io adoro vivere, adoro il sole sulla pelle quando l'inverno sta finendo, adoro i piedi sull'erba, poter camminare, poter pensare, ridere, toccare la pelle di qualcuno che mi piace o strapazzare un cane simpatico. Credo che piaccia più a me vivere di quanto non piaccia a quelli che tu definisci normali.
Sarò presuntuoso ma li vedo come dei sempliciotti che scelgono di non guardare negli occhi la morte. E' una scelta legittima, ma è proprio da lì che si evince che anche loro non sanno che senso abbia la vita. Fanno quello che fanno gli altri, si riempiono la bocca di 'capire che fare della propria vita', ma alla fine non c'è nulla in particolare da fare nella propria vita.
Ameremo, soffriremo, viaggeremo o staremo in casa, famiglia o non famiglia, ma la verità è che non farà una grande differenza proprio perchè non dà un senso alla nostra vita.
Per quello che riguarda noi, basta esserne consapevoli. Io vorrei una famiglia, a determinate condizioni s'intende, ma so benissimo che non sarà una realizzazione. Di sicuro è una spinta narcisista a farmi volere dei figli. Anch'io vado a letto la notte preoccupato che presto o tardi, forse anche domani, forse anche tra dieci minuti, mi arriverà una telefonata per dirmi che mia mamma è morta, o che io ho un cancro. Non è che io abbia paura che stia per succedere, ma so per certo che prima o poi succederà. E da lì il nulla che ogni cosa distrugge mi stringe e poi esplode nel petto, nello stomaco, e vorrei piangere e mi dico 'no, non può essere vero'.
E spero che avrai voglia di rispondermi, perchè è tanto raro per me trovare qualcuno con questi pensieri, da rendere la tua conoscenza preziosa.
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Socrate78 il 12 Settembre 2018, 17:28:42 PM
@Uroboro: Tutte le tue riflessioni hanno un presupposto che dai per scontato: "La morte è l'annientamento dell'essere, la fine di tutto senza rimedio". Chi l'ha detto che sia davvero così? Io non lo credo affatto, credo che esista in noi un'energia che sopravvive anche alla morte fisica, tutto ciò che esiste allo stato elementare è solo energia, che ci permette di vivere, amare, comprendere, sperare. Quest'energia sopravvive alla morte fisica, io ne sono convinto. La tua paura della morte è solo il frutto della cultura materialistica tanto diffusa oggi secondo cui solo la materia esiste: la scienza stessa, sappilo, ha da tempo superato questa visione unilaterale che trae il fondamento dalla fisica classica, secondo la fisica quantistica la realtà non avrebbe fondamentalmente nulla di veramente SOLIDO, ma sarebbe solo un insieme di vibrazioni energetiche. Queste convinzioni non vengono divulgate solo perché sono contrarie alla cultura dominante. Non può quindi esistere alcuna MORTE in questo sistema, è l'idea di morte ad essere la grande illusione che ci incatena e ci vincola, ci fa cadere nella trappola del nichilismo. Se nella vita avrai operato per il bene, avrai amato, coltivato la conoscenza, tutto questo ti resterà anche dopo. E poi, ammesso pure e non concesso che tutto finisca con la morte, in definitiva che senso avrebbe disperarsi per un evento che non possiamo evitare e per cui non possiamo soffrire una volta che è accaduto? Quando c'è la morte non ci siamo noi e quando ci siamo noi non c'è la morte, diceva il saggio Epicuro. C'è di peggio della morte, peggio della morte sono la solitudine senza speranza, l'angoscia, la sfiducia totale nel prossimo, il DOLORE estremo insomma sia fisico che morale.
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Uroboro il 12 Settembre 2018, 18:40:59 PM
Esiste un'energia in noi che sopravvive? Mi sembra lecito supporlo. In effetti io non mi spiego nemmeno come possa esistere la coscienza di esistere, ma questa esiste. Tuttavia, il fatto che esista non presuppone che questa poi sopravviva alla morte, anzi, se il post-vita e il pre-vita fossero in qualche modo uguali significherebbe non avere coscienza in ogni caso.
Hai ragione, dal tuo punto di vista la morte potrebbe non esistere, così come la nascita. Cosa vuol dire che il bene operato rimarrebbe anche dopo la morte? In che forma? Dando per scontato (solo per semplicità!) che quello che conosciamo è reale, io so che morirò, e il mio corpo si decomporrà, ma soprattutto il mio "io" non esisterà più. Esiste la possibilità che non sia così? Esiste tanto quanto la possibilità che tutto questo sia un sogno, il nostro o quello di un altro, ma se anche fosse io non ne ho contezza.
Che senso ha soffrire per qualcosa che non possiamo evitare? Nessuno, assolutamente nessuno. Purtroppo però non funziona così. Non viviamo per buon senso ma per passioni. Se io e te prendessimo un aereo e questo cominciasse a precipitare a gran velocità verso le montagne là sotto, senza speranza, avrebbe senso disperarsi? No, ma penso che non saremmo molto sereni.
Sono d'accordo con te anche sul dolore estremo. Credo che il dolore estremo possa portare anche a desiderare la morte, considera che a me fa arrabbiare anche avere la tonsillite...
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Socrate78 il 12 Settembre 2018, 19:43:23 PM
@Uroboro: L'"Io" scomparirà? Guarda, gli scienziati si stanno dando da fare da molto tempo per cercare di scoprire quale parte del cervello si identica con l'IO, e non l'hanno trovato da nessunissima parte! Quindi, non trovandolo, hanno finito per dire che è solo il frutto dei processi biochimici del cervello, un sottoprodotto della materia. Ma in questo modo hanno complicato le cose, infatti come può la materia produrre qualcosa che non corrisponde a niente di materiale? Eppure nessuno si sentirebbe a proprio agio nel dire che l'Io non esiste, perché si tratta di un'intuizione immediata, quindi o tutta la nostra vita mentale è un colossale INGANNO (tremendo pensarlo, ridurre l'uomo a COSA, a macchina) oppure abbiamo qualcosa in noi che è pura energia pensante ed è molto vicino a quello che le religioni definiscono con il termine di anima. Non ti sembra coerente come riflessione?
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Uroboro il 12 Settembre 2018, 21:25:07 PM
Mi sembra un discorso plausibile, e vorrei tanto che fosse come dici tu. Io però non collegherei "energia" con "pensante". Un malato di Alzheimer chi è? Il suo pensiero è sempre il suo oscurato dalla malattia o è stato danneggiato come fosse una "cosa"? L'uomo con un forte danno al cervello che sopravvive con le sue facoltà intatte ma stravolge la sua personalità come lo spieghiamo? Una qualunque persona trattata con psicofarmaci che cambia radicalmente la natura dei suoi pensieri come lo spieghiamo?
Io non mi so davvero spiegare il miracolo della coscienza, e in questo senso il tuo discorso è coerente, ma in effetti la nostra vita mentale è plausibile sia tutta un inganno.
Inoltre, poniamo che effettivamente esista un'anima o energia pensante: perchè dovrebbe, e in che forma, vivere in eterno?
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Socrate78 il 12 Settembre 2018, 22:42:30 PM
Ebbene, io credo che sostanzialmente il cervello sia il VEICOLO della coscienza, ma essa sia NON-locale, nel senso che non risiede in un luogo MATERIALE preciso e determinato come possono essere i lobi frontali della corteccia cerebrale: il cervello con la neo-corteccia è come una stazione di onde-radio che riceve segnali dalla coscienza (o anche "anima, energia") e se la stazione ricevente è lesa è naturale che la trasmissione sia cattiva ed errata, ma ciò secondo me non implica affatto che la persona SIA anche danneggiata nella sua intima essenza, nella sua coscienza individuale. E' questo il motivo a mio avviso per cui gli scienziati non hanno individuato la sede della coscienza, perché essa non è localizzabile all'interno di una parte di materia. Se i danni alla stazione ricevente cerebrale sono gravissimi, la coscienza non riesce ad esprimersi, ma ciò non significa che essa non esista. Per semplificare il discorso, io posso essere anche il miglior pianista del mondo (Coscienza), ma se il pianoforte è rovinato (leggi "cervello") la musica che produca non può essere delle migliori. Il mio modo di pensare può forse sembrarti strano e contrario a ciò che comunemente e socialmente viene ritenuto vero, ma se ci pensi è un modo di vedere in grado di dare davvero pienezza e valore ad ogni persona, anche a chi presenta patologie che lo riducono ad uno stato chiamato "vegetativo" (orrendo termine...) o anche con gravissime turbe psichiche, proprio perché la vera essenza dell'individuo non si identifica con la malattia o l'handicap, ma va molto oltre questi condizionamenti del corpo. Poi ovviamente sei liberissimo di ritenere tutte queste illusioni, ma se fai una ricerca sul concetto di Coscienza non locale troverai molte corrispondenze anche nel mondo scientifico. Ci sono stati casi e si verificano situazioni di persone malate di Alzeheimer che prima di morire hanno momenti di lucidità assolutamente imprevisti, inaspettati, riconoscono i familiari, ora non è strano che ciò accada prima della dipartita? Secondo me, potrà anche sembrarti una gran cavolata, ciò accade perché la loro energia/anima si sta staccando dal corpo e quindi inizia a non risentire più dei condizionamenti dovuti alle lesioni della patologia.
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Ercole il 13 Settembre 2018, 19:18:05 PM
Anch'io ciclicamente ho questa paura e la tengo a bada pensando che tutta la realtà è destinata alla decadenza e alla fine e non solo io... in particolare questi versi di Quasimodo possono far comprendere questo concetto meglio di tante considerazioni:

... E Sirio perde colore/ e ogni ora si allontana / e il gabbiano infuria sulle spiagge derelitte
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Uroboro il 14 Settembre 2018, 00:18:00 AM
Citazione di: Socrate78 il 12 Settembre 2018, 22:42:30 PMCi sono stati casi e si verificano situazioni di persone malate di Alzeheimer che prima di morire hanno momenti di lucidità assolutamente imprevisti, inaspettati, riconoscono i familiari, ora non è strano che ciò accada prima della dipartita? Secondo me, potrà anche sembrarti una gran cavolata, ciò accade perché la loro energia/anima si sta staccando dal corpo e quindi inizia a non risentire più dei condizionamenti dovuti alle lesioni della patologia.

Non seguo quando dici che se l'anima si stacca diventano di nuovo lucidi nonstante le trasmissioni danneggiate irreparabilmente. Mi sembra un po' contraddittorio. L'Alzheimer l'ho conosciuto anche in famiglia e so che ci possono essere momenti di lucidità. Non necessariamente prima di morire, e comunque parliamo di una lucidità non valutabile oggettivamente. Esistono delle scale con domande o compiti banali che persone apparentemente ben orientate nello spazio e nel tempo falliscono sorprendentemente.

Quanto al concetto in generale che hai espresso del cervello come veicolo dell'anima la trovo una teoria affascinante e che ho considerato anch'io a suo tempo. Ho dovuto constatare però che non c'è nessuna indicazione in questo senso che ci dia modo di pensare che sarà così. In ogni caso, comunque, l'esistenza dell'anima o di una componente trascendente il corpo, non implica che questa sia eterna. E' abbastanza conveniente per noi pensare che non tutto finisce.
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Uroboro il 14 Settembre 2018, 00:20:55 AM
Citazione di: Ercole il 13 Settembre 2018, 19:18:05 PM
Anch'io ciclicamente ho questa paura e la tengo a bada pensando che tutta la realtà è destinata alla decadenza e alla fine e non solo io... in particolare questi versi di Quasimodo possono far comprendere questo concetto meglio di tante considerazioni:

... E Sirio perde colore/ e ogni ora si allontana / e il gabbiano infuria sulle spiagge derelitte

A te pensare che anche il mondo sia destinato alla fine ti tranquillizza? A me pensare che il sole un giorno in cui giorno non sarà più, sarà freddo e l'oblio eterno annienterà tutto ciò che è stato, non lo trovo particolarmente stabilizzante, anzi...

E ogni ora si allontana.
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Phil il 14 Settembre 2018, 01:17:32 AM
Citazione di: Ercole il 13 Settembre 2018, 19:18:05 PM
... E Sirio perde colore/ e ogni ora si allontana / e il gabbiano infuria sulle spiagge derelitte
... poi Sirio riprende colore / e ogni ora si avvicina / e il gabbiano plana sulle spiagge brulicanti

Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Socrate78 il 14 Settembre 2018, 15:02:25 PM
@Uroboro: E' conveniente per noi pensare che non tutto finisca, ma è vero fino a un certo punto, visto che, non sapendo che cosa ci aspetta, potrebbe anche essere molto peggio che nella vita terrena. Io, come ti ho detto, voglio coltivare l'idea che ci sia una continuazione della vita, ma ad essere sincero sino in fondo non mi andrebbe affatto di essere giudicato alla fine della vita da una qualche divinità che stabilisce il mio destino (come le religioni insegnano), perché se le nostre azioni derivano dalla nostra individualità Dio stesso se esistesse cadrebbe in contraddizione nel giudicarci, poiché è Lui ad averci creati e a sapere già in anticipo ogni nostro comportamento. Non trovi?
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Kobayashi il 15 Settembre 2018, 17:29:15 PM
Forse l'angoscia per la morte nasconde un'angoscia peggiore che è quella che viene dall'imperativo a fare della propria vita qualcosa, con tutti i dubbi su quale forma darle, con la sensazione perenne che qualsiasi cosa si faccia si tratti in realtà di un inganno, di un tradimento della propria vocazione, la quale, col passare del tempo e delle esperienze, sembra destinata a rimanere un enigma irrisolvibile.
È il destino di un certo tipo di persone che si sentono straniere in questo mondo ma che non hanno più un dio a cui rivolgere la propria dedizione.
Sono (forse) nobili, elevate, ma sentono, col trascorrere degli anni, che la propria riserva di purezza, di integrità, si va pericolosamente esaurendo, e sentono approssimarsi la caduta.

In un brano di "Al di là del bene e del male" (par.55), Nietzsche parla di come nelle epoche preistoriche gli uomini sacrificavano al proprio Dio esseri umani, spesso proprio le creature più amate, i primogeniti. In seguito, nell'epoca morale, si passò al sacrificio degli istinti più forti, della propria natura.
"E infine, che cosa restava da sacrificare? Non si doveva finalmente sacrificare una buona volta tutto ciò che c'è di confortante, di sacro, di risanante, ogni speranza, ogni fede in una occulta armonia [...] ? Non si doveva sacrificare Dio stesso e, per crudeltà contro se stessi, adorare la pietra, la stupidità, la pesantezza, il destino, il nulla? Sacrificare Dio per il nulla - questo paradossale mistero dell'estrema crudeltà fu riservato alla generazione che proprio ora sta sorgendo: noi tutti ne sappiamo già qualcosa."
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Uroboro il 15 Settembre 2018, 19:33:04 PM
Citazione di: Socrate78 il 14 Settembre 2018, 15:02:25 PM
@Uroboro: E' conveniente per noi pensare che non tutto finisca, ma è vero fino a un certo punto, visto che, non sapendo che cosa ci aspetta, potrebbe anche essere molto peggio che nella vita terrena. Io, come ti ho detto, voglio coltivare l'idea che ci sia una continuazione della vita, ma ad essere sincero sino in fondo non mi andrebbe affatto di essere giudicato alla fine della vita da una qualche divinità che stabilisce il mio destino (come le religioni insegnano), perché se le nostre azioni derivano dalla nostra individualità Dio stesso se esistesse cadrebbe in contraddizione nel giudicarci, poiché è Lui ad averci creati e a sapere già in anticipo ogni nostro comportamento. Non trovi?

Sono perfettamente d'accordo, l'idea che Dio ci giudichi per come in fondo ci ha creati è paradossale. Inoltre l'eventuale prosecuzione della nostra esistenza dopo la morte potrebbe tranquillamente non essere benevola.
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Uroboro il 15 Settembre 2018, 19:35:17 PM
Citazione di: Kobayashi il 15 Settembre 2018, 17:29:15 PMÈ il destino di un certo tipo di persone che si sentono straniere in questo mondo ma che non hanno più un dio a cui rivolgere la propria dedizione.
Sono (forse) nobili, elevate, ma sentono, col trascorrere degli anni, che la propria riserva di purezza, di integrità, si va pericolosamente esaurendo, e sentono approssimarsi la caduta.
[...] Non si doveva sacrificare Dio stesso e, per crudeltà contro se stessi, adorare la pietra, la stupidità, la pesantezza, il destino, il nulla? Sacrificare Dio per il nulla - questo paradossale mistero dell'estrema crudeltà fu riservato alla generazione che proprio ora sta sorgendo: noi tutti ne sappiamo già qualcosa."

Pronti a sacrificarsi per una nobile causa, che però non c'è, sì, questo è parte del problema.
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Ercole il 15 Settembre 2018, 20:47:37 PM
Citazione di: Uroboro il 14 Settembre 2018, 00:20:55 AM
Citazione di: Ercole il 13 Settembre 2018, 19:18:05 PM
Anch'io ciclicamente ho questa paura e la tengo a bada pensando che tutta la realtà è destinata alla decadenza e alla fine e non solo io... in particolare questi versi di Quasimodo possono far comprendere questo concetto meglio di tante considerazioni:

... E Sirio perde colore/ e ogni ora si allontana / e il gabbiano infuria sulle spiagge derelitte

A te pensare che anche il mondo sia destinato alla fine ti tranquillizza? A me pensare che il sole un giorno in cui giorno non sarà più, sarà freddo e l'oblio eterno annienterà tutto ciò che è stato, non lo trovo particolarmente stabilizzante, anzi...

E ogni ora si allontana.

Lo vedo in modo positivo per un ragionamento forse un po' gretto: non solamente io ma tutto cesserà di esistere, il nulla trionferà su ogni cosa e tra me e la piramide di Cheope la differenza è solo quantitativa...
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Ercole il 15 Settembre 2018, 20:48:37 PM
Citazione di: Phil il 14 Settembre 2018, 01:17:32 AM
Citazione di: Ercole il 13 Settembre 2018, 19:18:05 PM
... E Sirio perde colore/ e ogni ora si allontana / e il gabbiano infuria sulle spiagge derelitte
... poi Sirio riprende colore / e ogni ora si avvicina / e il gabbiano plana sulle spiagge brulicanti

Sarebbe bello ma finora Sirio ha perso sempre colore...
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Jean il 24 Settembre 2018, 22:19:27 PM
Giusto ieri mattina ho afferrato con la mano un parapetto di legno per discendere un dislivello di alcuni metri. 
Il palo cui era solidale, all'apparenza integro, nella parte interrata era stato corroso dall'umidità ed ha ceduto proprio in quel momento (non era la prima volta che me ne servivo).

Sono rotolato a corpo morto per un paio di metri, fermandomi prima di un'ulteriore dislivello, ben più consistente e con un bordo in cemento.

Durante il breve tragitto e le due giravolte su me stesso (accompagnate da una poco sommessa imprecazione) per pochi centimetri ho sfiorato dei sassi e strusciato su della vegetazione appuntita ma, fortunatamente, non mi son rotto nulla né bucato un occhio... solo un modesto ematoma e una contusione alla schiena, ah... una svirgolata alla pellicola del cellulare, roba da un paio d'euro.

Possiamo prestare tutte le attenzioni possibili ed immaginabili... ma inevitabilmente qualcosa sfuggirà alla nostra capacità di padroneggiare tempo, spazio e gli eventi che vi accadono. 

Da quella zona non illuminata dalla nostra  (presunta) consapevolezza entra il Destino che ci riguarda... ieri mi è andata di lusso e, naturalmente, per il futuro confido nel mio angelo custode, sin che può...

Può essere, Jess, che come dici tu conosca tutte le possibilità ma sono solo quelle che ti fornisce la tua (presunta) consapevolezza, non l'interezza della vita.

Siamo pedine in un gioco molto più grande della nostra capacità di concepirlo (è la mia opinione) e per tutti noi, giocatori volenterosi o controvoglia, accadono le stesse cose, prima o poi saremo messi di fronte alla lotteria dell'esistenza, vedremo portar via la pedina che ci precede se non addirittura quella da poco entrata nel terreno di gara.

Protesteremo, reagiremo in qualche modo o affatto... ma senza che tutto ciò interrompa o rallenti minimamente il flusso del tempo - il braccio armato del destino - che ci trascina con sé, tutti, sino alla casella conclusiva.

C'è un al di là, oltre quel confine?

E c'è un aldilà dal gioco stesso?

C'è una domanda più importante di questa?

Non possiamo decidere neppure le nostre domande... e  qualsiasi risposta di chiunque vorrà esprimere la sua testimonianza sui temi di cui parlo... al di là della mia son sempre la medesima risposta...

 
Un cordiale saluto
Jean
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Ipazia il 02 Ottobre 2018, 18:46:37 PM
Epicuro aveva ideato una sua ricetta contro la tanatofobia: non è il caso di preoccuparsi della morte perchè, finchè siamo vivi, lei non c'è e quando lei ci sarà, non ci saremo più noi. Senz'altro più originale dei numi. Io trovo che funzioni pensare ogni attimo in sè, proprio come fanno i tuoi saggi compagni canini, ogni giorno come se fosse l'ultimo.

Una volta fatto il grosso salto del rigetto di ogni illusione ultraterrena, il senso della vita - e della morte, che ne è l'ultimo gesto - va ricercato in noi stessi. Personalmente di motivazioni ne ho trovate molte: negli affetti, interessi, conoscenze, curiosità. Nella consapevolezza di essere parte privilegiate dell'universo autocosciente che, con tutti i limiti del caso e del caos, ha un minimo ruolo di protagonista sul proprio destino. Sono soddisfazioni che meritano di essere valorizzate.

Poi anche la natura aiuta al passaggio, un po' come assiste le donne durante quell'autentico percorso di guerra che è il parto: invecchiando la morte stessa si addolcisce e invita suadente a cedere il testimone alle nuove generazioni di umani.
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: everlost il 02 Ottobre 2018, 20:50:51 PM
Ipazia, scrivevi già nel vecchio forum o sbaglio? 
Comunque mi è piaciuto molto il tuo commento.  :-*
Poco prima di andarsene, lo scienziato Hawking mi aveva sorpreso con un'osservazione inaspettata da uno come lui, ateo e costretto all'immobilità da una tremenda malattia: disse che la vita è un dono prezioso anche per chi non crede in Dio e nell'immortalità dell'anima, perché non tutti ricevono dalla natura questa possibilità. Solo pochi ci arrivano. La vita stessa è una straordinaria eccezione, per molti aspetti un'anomalia. E allora bisogna approfittarne al massimo, senza piangersi addosso per quello che non si ha.
La scienza non ci spiega perché siamo qui, non può (ancora) farlo, forse non potrà mai.
Può raccontarci che siamo abbarbicati a una minuscola sfera rocciosa rotante nello spazio con mari di magma sotterranei e faglie in continuo movimento, che ci siamo evoluti per pura coincidenza da minuscoli esseri monocellulari, che una divinità non è necessaria per spiegare il big bang, che una meteora potrebbe distruggere in pochi attimi tutto il nostro pianeta e ciò che abbiamo costruito, che siamo destinati in un lontano futuro ad essere  bruciati dal Sole (una stellina come tantissime altre, neppure fra le più grandi della nostra piccola galassia), che forse esistono altri universi o realtà parallele a noi invisibili, ecc. ecc.
Nulla di buono e di confortante, ma proprio per questo noi, miseri bachi fra miliardi di bacherozzi, dovremmo sentirci orgogliosi di essere vivi e pensanti, nati per quale scopo non ci è dato sapere, forse per semplice caso, forse per un grandioso progetto.
Immensa gloria per un Creatore, se ci fosse; ma anche scoprire di essere soli in uno spazio terrificante ci invita a trovare il senso della vita qui ed ora, fra di noi.
Potrebbe migliorare molto il modo in cui viviamo, l'intera società.

L'idea di cedere il testimone evocata da Ipazia mi sembra commovente e molto giusta...intendo dire, Jess, che tutti abbiamo timore della morte e siamo angosciati dal pensiero di perdere le persone care, ma nessuno di noi è talmente unico e indispensabile da fermare il mondo.  
Facciamo tutti parte di una storia in cui ognuno  aggiunge una parola. Alcuni scrivono appena due righe, altri capitoli interi, e per questo, forse, possono sperare di essere ricordati a lungo. 
Tanti altri finiranno nell'oblio dopo un paio di generazioni, anche se la loro parola sarà stata utile al racconto.
So che non cerchi consigli : del resto io non te ne potrei dare, a che titolo? Se vuoi,  però, pensa alle parole di S. Hawking. A me sono servite, specialmente dopo la morte di mia madre.
Un saluto affettuoso
Titolo: paura della vita
Inserito da: sileno il 03 Ottobre 2018, 14:30:16 PM
Ci sono testimonianze che molti credenti pur avendo fede in un'oltre vita sono terrorizzati dall'idea della morte: perchè? In realtà temono che sia la fine di tutto, che non esista un aldilà, verso cui pur professano fede. Sembra sia questa la paura più diffusa: morte come fine di tutto. Nessuna garanzia esiste che dopo la morte ci sia qualche forma di sopravvivenza: questione di fede, maii, pare, veramente assoluta.

All'opposto molti filosofi, letterati, poeti, ecc.hanno considerato la morte come fine di tutto, salvezza dal peso della vita che in alcune circostanze può essere molto gravoso: temono la vita.Alcuni affermarono di credere in un ritorno dove stavano prima di nascere.
"Dei mali della vita ci si consola pensando alla morte e della morte pensando ai mali della vita" - Schopenhauer
"La morte si sconta vivendo" – Ungaretti
"E' il pensiero della morte che aiuta a vivere" – Saba
"E' la morte che consola e che fa vivere" - Baudelaire

C'è chi teme il morire, non la morte: per arrivare alla morte certi devono sopportare un percorso molto lungo e doloroso
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: Ipazia il 03 Ottobre 2018, 18:38:33 PM
Citazione di: everlost il 02 Ottobre 2018, 20:50:51 PM
Ipazia, scrivevi già nel vecchio forum o sbaglio?
No. Ipazia è un nick molto gettonato.

Tornando al senso della vita. Forse la risposta a "qual'è il senso della vita ?" sta nell'assenza di senso della domanda. Imparare a non farsela, come fanno gli animali e i bambini, è il primo passo per capire il senso della vita. Anche Eraclito, sul finire della sua vita scoprì che vi era molto più senso della vita nei giochi dei bambini che nelle paturnie finalistiche degli adulti. Stringendo: il senso della vita è viverla.
«Αἰὼν παῖς ἐστι παίζων, πεσσεύων παιδὸς ἡ βασιληίη»  (Il tempo [della vita] è un bimbo che gioca, con le tessere di una scacchiera: di un bimbo è il regno)    WP
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: everlost il 03 Ottobre 2018, 19:07:42 PM
Negli  atteggiamenti di alcuni mi pare di intravvedere una vera e propria malattia: la fobia della realtà, l'incapacità di accettare l'esistenza umana che è fatta di vita e morte, salute e malattia, unione e separazione.  
Sono fenomeni a cui nessuno può sfuggire. Se eviti l'uno, ricadi nell'altro.
Il timore della sofferenza fisica lo si può comprendere : a chi piace soffrire, a parte i masochisti? Si spera sempre che la medicina riesca a debellare il dolore, specie nelle gravi malattie croniche.
Poi c'è il terrore della fine : alcune volte siamo così abituati al nostro trantran, alle persone e alle cose che abbiamo intorno, che il solo pensiero di doverle lasciare ci getta nello sconforto. 
Tutto ciò che finisce provoca tristezza e ansia, vorremmo poterlo prolungare all'infinito - anche se a volte ci annoia o ci disturba, ovvero la routine quotidiana ci dà conforto e ci rassicura sempre, malgrado i suoi momenti negativi.
Un filosofo di cui non ricordo il nome diceva che è inutile temere la morte perché quando sei vivo la morte è lontana, e quando sei morto non senti più niente, non soffri più. 
Sì, ma vallo a spiegare a tante persone: ciò che fa loro paura è proprio il nulla.
E se la realtà non esistesse, non fosse altro che illusione? 
Eppure anche questo dubbio ci appare debole e vano, preferiamo comunque il tepore fittizio della nostra confortevole matrix a un salto nel buio.
L'unico antidoto a questi malesseri credo (spero) sia dedicare più tempo all'esistenza collettiva, alla socialità. Insomma, vivere come parte di un tutto e non rinchiusi nel  proprio individualismo a crogiolarsi su immaginarie superiorità e antitesi rispetto agli altri. 
Che non significa per forza frequentare gente e fare ciò che fanno tutti, mi riferisco all'atteggiamento. Si può stare appartati a leggere un bel libro e sentirsi uniti al mondo intero, come pure si può sentirsi isolati e diversi nel mezzo di una festa o di un mega concerto.
Titolo: Re:Riflessioni di una tanatofobica
Inserito da: everlost il 03 Ottobre 2018, 19:12:43 PM
Ipazia, Eraclito era straordinariamente moderno...o forse, dipende dal fatto che l'esistenza è ciclica.