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Messaggi - epicurus

#1
Tematiche Filosofiche / Re:Perchè il materialismo basta
20 Settembre 2018, 14:44:59 PM
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 15:32:28 PM
Citazione di: epicurus il 19 Settembre 2018, 12:09:02 PM
Per me la realtà può essere ritagliata in vari modi, a seconda degli scopi del discorso, e a priori non è detto che tali modi siano riducibili tutti ad uno solo.
Concordo, infatti la proposta di SamuelSilver da cui sono partito è
CitazioneCon "il materialismo basta" intendo dire che è sufficiente per rendere conto dei fenomeno mentali.
e rendere conto dei fenomeni mentali non comporta rendere conto anche dei fenomeni sociali, del loro senso (ecco perché la filosofia è ben altro dalla scienza della materia).
Se chiudo la mano, poi alzo il mignolo e l'indice, questo gesto può essere descritto a livello fisico (di certo meglio di quanto abbia fatto io), ma anche a livello segnico ("corna"), a livello sociale (offesa o commento sul rapporto coniugale di un destinatario), etc. la fisica descrive solo la materia, ma il senso che l'uomo dà alla materia è un altro livello. Questa stratificazione l'avevo data per scontata ed è imprescindibile per evitare monismi ingenui.

C'è anche un livello di descrizione mentale (o come preferisco io: adottare una prospettiva agenziale) e anche questo è uno dei tanti livelli possibili che a priori potrebbero non essere eliminabili/riducibili.

Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 15:32:28 PM
Citazione di: epicurus il 19 Settembre 2018, 12:09:02 PM
Quindi il fisicalismo non basta. E non basta non perché esiste un mondo mentale o un mondo immateriale, ma perché le risorse concettuali per comprendere e parlare del mondo sono così eterogenee e varie che pare, almeno ad oggi, che il linguaggio della fisica delle particelle non possa bastare per tutto.
Certamente, non si può ridurre il senso dell'agire umano alla fisica delle particelle o alla sola materia che muta e si muove; il fisicalismo può bastare se vogliamo descrivere alcuni fenomeni solo sul piano fisico, ovvero la struttura del reale; sugli altri piani sovrastrutturali (etico, sociale, economico, politico, artistico, etc.) spetta indubbiamente alle discipline di competenza.

Io non parlerei di sovrastrutture, io parlerei di schemi concettuali diversi, prospettive diverse o (a là Wittgenstein) di giochi linguistici diversi. Posso essere interessato ad una disfunzione neurale e allora adotterò una prospettiva neurologica, ma se sono interessato a capire l'egoismo allora né adotterò un'altra, o un insieme di altre prospettive (quella agenziale, quella economica, quella matematica, quella biologica...).
#2
Tematiche Filosofiche / Re:Perchè il materialismo basta
20 Settembre 2018, 14:34:54 PM
Citazione di: sgiombo il 19 Settembre 2018, 13:20:07 PM
Citazione di: epicurus il 19 Settembre 2018, 12:09:02 PM
Qui condivido il discorso generale di Phil. Se ci sono eventi non fisici che causano/interferiscono con eventi fisici, allora la tesi della completezza del fisico è falsa. Ma ad ogni nulla ci suggerisce che sia falsa e tutto ci suggerisce che sia vera in riferimento al rapporto mente-corpo: in ogni istante nel mondo ci sarebbero miliardi di eventi mentali che causerebbero/interagirebbero con miliardi di corpi (e di conseguenza, a cascata, con infiniti altri oggetti materiali), e avremmo quindi infinite anomalie inspiegabili dalla fisica. Ma secoli di ricerca non hanno rilevato queste infinite anomalie fisiche, confermando la chiusura del fisico.
CitazioneNon esistono solo dualismi "interazionisti" (per esempio quello cartesiano), incompatibili con la chiusura causale del mondo fisico.

Esistono anche dualismi "trascendentisti" con essa compatibilissimi.

Mi potresti linkare un post dove spieghi bene il tuo dualismo?
(Premetto che non ho un buon rapporto con il "noumeno", quindi c'è il rischio che si potrebbe portare tanto offtopic la discussione.)
#3
Tematiche Filosofiche / Re:Perchè il materialismo basta
20 Settembre 2018, 11:47:04 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 19 Settembre 2018, 14:17:08 PM
Citazione di: epicurus il 19 Settembre 2018, 12:09:02 PM
Provo ad inserirmi in questo discorso partendo dalla chiusura causale del mondo, che io preferisco chiamare "completezza del fisico": la fisica contiene in sé tutte le risorse per una piena spiegazione di ogni fenomeno fisico.

Qui condivido il discorso generale di Phil. Se ci sono eventi non fisici che causano/interferiscono con eventi fisici, allora la tesi della completezza del fisico è falsa. Ma ad ogni nulla ci suggerisce che sia falsa e tutto ci suggerisce che sia vera in riferimento al rapporto mente-corpo: in ogni istante nel mondo ci sarebbero miliardi di eventi mentali che causerebbero/interagirebbero con miliardi di corpi (e di conseguenza, a cascata, con infiniti altri oggetti materiali), e avremmo quindi infinite anomalie inspiegabili dalla fisica.

CARLO
Intanto vorrei sottolineare che l'ipotesi dualista non contempla la possibilità che la mia attività mentale interferisca (checché ne dicano i sostenitori della "telepatia") con la tua mente, o col tuo corpo, o con qualsiasi altro corpo che non sia il mio.
Premesso questo, non esiste alcuna violazione alla "completezza del mondo fisico", se la mente interferisce col rispettivo corpo attraverso un trasferimento di informazione e non di energia.

No, per il dualismo se io lancio un sasso contro un vetro, la mia attività mentale è "causa" (o fa parte di una catena causale) della rottura del movimento del mio braccio, della rottura della finestra, dell'attività mentale del proprietario della finestra che vede la finestra rotta e si arrabbia, del coinvolgimento di un avvocato, ecc.

La violazione della completezza del fisico c'è perché ad un certo punto, per spiegare la rottura della finestra (e tutte le altre conseguenze di tale evento) dovrei uscire dal dominio della fisica.

Citazione di: Carlo Pierini il 19 Settembre 2018, 14:17:08 PM
EPICURUS
Detto questo, se scopro che dato uno stimolo fisico (come un fascio di luce nell'occhio, o una stimolazione elettrica direttamente nella corteccia cerebrale, o altro ancora) ogni volta corrisponde una determinata esperienza soggettiva, allora non vedo come tale esperienza soggettiva possa essere considerata al di fuori dalla fisica.

CARLO
Infatti non c'è alcuna uscita dalla Fisica, se gli stimoli trasmessi dall'occhio alla corteccia cerebrale si trasferiscono come informazione alla coscienza e non come passaggio di energia, come è ammesso dalla Fisica quantistica.
"Uscita dalla Fisica" in definitiva non significa altro che una eventuale (impossibile) comparsa o scomparsa di materia-energia, cioè una violazione del principio di conservazione della materia-energia. Ma il dualismo non viola questo principio.

Tu hai parlato della conservazione della materia-energia, io no. Si viola la completezza della fisica per i motivi spiegati sopra.

Riguardo allo stimolo fisico che causerebbe un'esperienza mentale, se tale rapporto, come sembra, è regolato da regole precise e definite, allora si rientra nel dominio della fisica, e in quanto tale posso dire (per come ho definito "eventi fisici" nel mio precedente post) che tale esperienza mentale è un evento fisico.

Citazione di: Carlo Pierini il 19 Settembre 2018, 14:17:08 PM
EPICURUS
Per me la realtà può essere ritagliata in vari modi, a seconda degli scopi del discorso, e a priori non è detto che tali modi siano riducibili tutti ad uno solo.
In quest'ottica, la mia proposta è simile al monismo anomalo di Davison (in cui mentale e fisico sono semplicemente due livelli di descrizione diversi), ma generalizzato ed esteso a più livelli (cioè a più "linguaggi").

CARLO
...Sempreché tali "livelli di descrizione" non siano in contraddizione tra loro, ma complementari
Esatto, io parlo di descrizioni o linguaggi complementari.
#4
Tematiche Filosofiche / Re:Questione sulla critica.
20 Settembre 2018, 11:00:41 AM
Citazione di: Lou il 19 Settembre 2018, 18:43:18 PM
Ciao epicurus.

Sull'esempio uno.
Anche.
Sull'esempio due.
Come sopra.

Ora però pongo io un esempio.
Mettiamo che io scriva un libro e ne dica di peste e di corna su, per esemplificare, una rete di vendita che si chiama, facciamo "Abbason"  [...]

Dal tuo intervento posso allora dire che la domanda iniziale del topic è troppo generale, cioè comprende casi molto diversi e ogni di questi deve essere considerato nella sua specificità.

Riguardo il mio primo esempio, mi pare un comportamento normale e democratico. E riguardo al secondo esempio, anche qui non ci vedo nessun problema, la dimostrazione per assurdo è una tecnica di dimostrazione legittima.

Mentre, riguardo il tuo ultimo esempio, io direi che tale persona sarebbe un ipocrita. Non capisco però come, dal punto di vista filosofico, vuoi sviluppare la discussione.
#5
Tematiche Filosofiche / Re:Perchè il materialismo basta
19 Settembre 2018, 12:09:02 PM
Provo ad inserirmi in questo discorso partendo dalla chiusura causale del mondo, che io preferisco chiamare "completezza del fisico": la fisica contiene in sé tutte le risorse per una piena spiegazione di ogni fenomeno fisico.

Qui condivido il discorso generale di Phil. Se ci sono eventi non fisici che causano/interferiscono con eventi fisici, allora la tesi della completezza del fisico è falsa. Ma ad ogni nulla ci suggerisce che sia falsa e tutto ci suggerisce che sia vera in riferimento al rapporto mente-corpo: in ogni istante nel mondo ci sarebbero miliardi di eventi mentali che causerebbero/interagirebbero con miliardi di corpi (e di conseguenza, a cascata, con infiniti altri oggetti materiali), e avremmo quindi infinite anomalie inspiegabili dalla fisica. Ma secoli di ricerca non hanno rilevato queste infinite anomalie fisiche, confermando la chiusura del fisico.

Io riterrei vero per definizione che un evento è un evento fisico se e solo se è un evento nel dominio della fisica attuale o futura: mi rendo conto della fluidità di tale definizione con il riferimento al futuro, ma mi pare comunque una proposta onesta e forse inevitabile. Detto questo, se scopro che dato uno stimolo fisico (come un fascio di luce nell'occhio, o una stimolazione elettrica direttamente nella corteccia cerebrale, o altro ancora) ogni volta corrisponde una determinata esperienza soggettiva, allora non vedo come tale esperienza soggettiva possa essere considerata al di fuori dalla fisica. L'esperienza soggettiva, per ipotesi, sarebbe inserita in una cornice concettuale ed esplicativa fisica, quindi la considererei a tutti gli effetti un evento fisico.

Ma il materialismo basta? O, più attualmente, il fisicalismo basta?

Come ho spiegato in altri topic in passato, non gradisco molto parlare di sostanze ("sostanza fisica", "sostanza mentale", "sostanza immateriale", ecc.) o di mondi ("mondo fisico", "mondo mentale", "mondo immateriale", ecc.). Per me la realtà può essere ritagliata in vari modi, a seconda degli scopi del discorso, e a priori non è detto che tali modi siano riducibili tutti ad uno solo. Nello specifico, non credo che sia una verità evidente che i discorsi di macroeconomia siano riducibili ai discorsi della fisica delle particelle, così come non credo sia una verità evidente che i discorsi su agenti siano riducibili a discorsi sulla fisica delle particelle. Ad oggi tali discorsi sono così diversi che, per ora, mi pare più ragionevole sostenere che siano discorsi non riducibili, e questo ha anche un'innegabile vantaggio metodologico (se ad un tratto gli economisti decidessero di studiare i fenomeni economici solo tramite la fisica delle particelle, sicuramente avremmo la morte istantanea dell'economia).

Quindi il fisicalismo non basta. E non basta non perché esiste un mondo mentale o un mondo immateriale, ma perché le risorse concettuali per comprendere e parlare del mondo sono così eterogenee e varie che pare, almeno ad oggi, che il linguaggio della fisica delle particelle non possa bastare per tutto.

In quest'ottica, la mia proposta è simile al monismo anomalo di Davison (in cui mentale e fisico sono semplicemente due livelli di descrizione diversi), ma generalizzato ed esteso a più livelli (cioè a più "linguaggi").
#6
Tematiche Filosofiche / Re:Questione sulla critica.
18 Settembre 2018, 15:50:00 PM
Citazione di: Lou il 13 Settembre 2018, 18:37:45 PM
La questione appare banale eppure oggi ci ri-riflettevo: chi critica un sistema e gli strumenti che esso (pro)pone e mette a disposizione, pur stando al medesimo tempo dentro quel sistema e usufruendo di quegli stessi strumenti criticati, messi in discussione e denunciati come è da valutare?

Ciao Lou.

Prendiamo il caso che io sia contro ad una specifica legge italiana, la legge X. Io criticherei il sistema italiano, nello specifico la legge X, dal suo interno cioè utilizzando tutti gli strumenti messi a disposizione dal sistema italiano. Ecco, questo esempio rientrerebbe nell'ambito di pertinenza della domanda iniziale da te posta?


Ora, cambiando radicalmente esempio: supponiamo che io critichi un sistema filosofico dall'interno, cioè utilizzando gli strumenti del sistema stesso, di fatto argomentando per assurdo. Chiedo ancora: questo caso rientrerebbe nello scopo della tua domanda iniziale?
#7
Citazione di: Phil il 22 Giugno 2018, 17:17:05 PM
Citazione di: epicurus il 22 Giugno 2018, 10:20:00 AM
Per chiarire meglio: poniamo che il verace guasto abbia un cappello rosso, bene lui risponderebbe affermativamente a tutte queste domande: "hai un cappello giallo?", "hai un cappello bianco?", "hai un cappello nero?"......
Non avevo capito bene, allora... lo avevo immaginato forse troppo "umano", credendo che dovesse rispettare anche il principio di non contraddizione (se afferma che il suo cappello è giallo, pensavo non potesse affermare che il suo cappello è anche nero; invece, se gli chiedo se è un androide, mi dirà "no", ma poi se gli chiedo se è un "androide funzionante" mi dirà "si"... giusto?).
Non sono proprio pratico di androidi  ;D


P.s.
Se tuttavia gli facciamo una domanda aperta, come risponde? Ad esempio, se gli chiediamo "che giorno è oggi?", risponderà nominando tutti i giorni della settimana tranne quello giusto? E se gli chiediamo quanti anni ha? Dirà "tutti" i numeri naturali tranne la sua età?
Venendo meno il principio di non contraddizione, non sarà facile conversare con lui...!
Ciao Phil, sono androidi guasti, quindi non mi stupirei se si contraddicessero... d'altro canto il fatto che ci si contraddica è un tratto abbastanza comune persino negli esseri umani.  ;D

Considera che questa è la mia reinterpretazione per seguire l'ambientazione originale di Eutidemo. Ma solitamente questi indovinelli hanno esseri umani denominati "pazzi" (al posto di androidi guasti).

Comunque diciamo che non ci è dato sapere di preciso come si comporterebbe un verace guasto in caso di questioni aperte. Cioè, se chiedi che giorno è oggi, sai a priori solo che non risponderà il giorno corretto: diciamo che la descrizione "essere verace guasto" non è determinata al 100%. Potrebbe risponderti sempre nello stesso modo, sbagliando, ma in modo autoconsistente, oppure no. Dai dati del problema non ci è dato sapere.  ;)
#8
Ciao Paul,

non sono un intenditore di Nietzsche, tutt'altro, quindi non entro nella questione se Eco (o altri) lo abbiano interpretato correttamente o meno. Comunque, per completezza, inserisco qui di seguito il link al brano di Nietzsche a cui Eco si riferisce: Su verità e menzogna in senso extramorale.

Il brano è relativamente corto (poco più di 6 pagine), quindi si legge velocemente.  ;)
#9
Citazione di: Phil il 21 Giugno 2018, 23:53:15 PMPer cui, anche se sembrerà forse fuori luogo (in un forum di "filosofi"), pongo questa domanda: al di fuori del settore scientifico e tecnico, quanto è davvero rilevante la verità (anche potendola trovare), se la storia dell'uomo la fanno, a quanto sembra, le interpretazioni e le verità "che hanno successo" (più di quelle verificate con assoluta accuratezza)?
Non intendo sostenere che non sia affatto importante accertarsi della verità, in ambito sociale o storico, ma solo notare come, a volte, la si rintraccia così in ritardo (la ricerca ha i suoi tempi) che non le si può più rendere adeguatamente giustizia, a causa di tutta "la storia degli effetti" che la non-verità ha già provocato (ormai il politico ha il suo posto in parlamento, ormai il gatto nero non è più un gatto qualunque e ormai Eva e Adamo hanno fatto un guaio sotto un melo...).
Ciao Phil, concordo con il tuo discorso. Ovviamente in prima analisi può shockare e disorientare notare come una falsità creduta vera possa avere importantissime e vastissime conseguenze. Ma, naturalmente, noi dobbiamo considerare, come giustamente fai anche tu, la componente performativa degli enunciati: con le parole, prima ancora di dire qualcosa, noi stiamo compiendo un atto nel mondo, con tutte le conseguenze del caso.

Quindi, a prescindere dalla verità o meno di un enunciato, le nostre parole hanno ovviamente conseguenze. John Austin fu il primo a sviluppare e sistematizzare questa concezione:
https://it.wikipedia.org/wiki/Atto_performativo
https://plato.stanford.edu/entries/speech-acts/
#10
Citazione di: Apeiron il 20 Giugno 2018, 14:29:20 PM
Citazione di: epicurus il 20 Giugno 2018, 12:34:52 PMIncollo qui di seguito un pezzo di un saggio di Eco: "Di un realismo negativo". Non solo ci permette di capire esattamente la posizione di Eco, ma lo trovo interessante ai fini generali di questa discussione.

Grazie mille epicurus per aver condiviso questo scritto, davvero interessante  8)
Molto lieto di sapere che sia tu che 0xdeadbeef abbiate trovato interessante lo scritto.  ;)

Citazione di: Apeiron il 20 Giugno 2018, 14:29:20 PMComunque, se posso fare un breve commento all'idea del "realismo negativo"... ebbene è un'ottima tesi per restare "scettici" senza cadere in alcune versioni di "post-modernismo", "relativismo", "pensiero debole" ecc.  Inoltre mi sembra un'ottima argomentazione contro la teoria della coerenza della verità almeno in alcune sue forme, ovvero che la verità di una proposizione vera consiste nella coerenza con un insieme di un specifico insieme di proposizioni.

Tuttavia, mi pare una prospettiva piuttosto incompleta, almeno per chi cerca di "comprendere" la realtà.
Sì, Eco stesso è consapevole che la sua è un prospettiva minimale. Io stesso la condivido nel suo nucleo, ma ci aggiungo delle "estensioni", per così dire.  :)

Citazione di: Apeiron il 20 Giugno 2018, 14:29:20 PM
In sostanza, come "confessione della propria ignoranza" è un'ottima prospettiva e molto rispettabile. Tuttavia non offre, a sua volta, spiegazioni sul perchè:
1) certe prospettive sono, effettivamente, false ("Ma se l'interpreto come vera porta aperta [n.d.r. anziché disegnata] e cerco di attraversarla, batto il naso contro il muro...");
2) non spiega perchè il "relativismo" è falso (o più precisamente: semplicemente utilizza il criterio empirico per falsificarlo. Ma non da una spiegazione soddisfacente in proposito - in sostanza è come dire: "è falso ma non saprei dirti il motivo");

3) certe prospettive sono "migliori" di altre (interpretare la porta aperta come semplice disegno su un muro).


Quindi come "critica" sia contro varie forme di "relativismo" che contro varie forme di "dogmatismo", il relativismo negativo è molto buono. Ma, personalmente, mi sembra una prospettiva troppo "pessimista". Personalmente ritengo che, per lo meno, le nostre "prospettive migliori" siano tali perchè sono in qualche modo un'approssimazione "della realtà" (e almeno dal punto di vista teorico, è possibile pensare ad una prospettiva che conosca la realtà in modo inerrante). Ritengo, quindi, che ci è possibile avere almeno una conoscenza parziale "delle cose" utilizzando la nostra mente concettuale ("parziale" e quindi parzialmente erronea - ma anche parzialmente veridica).

Per usare un esempio della fisica: non credo che la fisica, per ora, ci abbia fatto capire solamente che, ad esempio, la meccanica newtoniana non è una accurata descrizione "della realtà". Personalmente, ritengo invece che la fisica ci abbia fatto capire che le teorie più recenti sono migliori approssimazioni "della realtà" (così come la meccanica newtoniana è ancora un'ottima approssimazione). In sostanza, un semplice "realismo negativo" mi sembra molto incompleto! Tuttavia, è una prospettiva che rispetto  ;)

Come dicevo sopra, anch'io reputo la teoria di Eco troppo minimalista. Quindi condivido la tua obiezione generale di fondo, vediamo però se riesco a mostrare che nella teoria di Eco, se non ci sono risposte completamente sviluppate alle tue domande, almeno ci sono i semi.

1. Non spiega perché certe prospettive sono effettivamente false.
Eco parla di zoccolo duro dell'essere, continuum, mondo, evidenze, Dio, puro limite... ecco, è questa la realtà di Eco, cioè ciò che rende vere o false le nostre credenze.

2. Non spiega perché il relativismo è falso.
Nella parte del testo si potrebbe reinterpretare il suo discorso nel senso che il relativismo è incoerente perché se diciamo che la realtà, o qualcosa, è relativo, allora quel qualcosa deve esserci e ciò non può essere relativo. Poi, tutto il suo brano è da leggersi come una critica al motto relativistico "everything goes".

3. Non spiega perché alcune teorie sono migliori di altre.
Qui ci ricolleghiamo al primo punto. Penso che Eco ti risponderebbe che comunque bisogna fare i conti con i vincoli che impone la realtà. E noi stiamo di volta in volta creiamo teoria sempre migliori, cioè teorie con minori punti di resistenza sulla realtà. Io credo che la concezione di Eco sia prima di tutto gnoseologica, cioè ci sta parlando dei limiti della nostra conoscenza della realtà, non di come la realtà è. Eco reinterpreta il fallibilismo e il falsificazionismo e li include nel suo realismo negativo. Il fatto dell'approssimazione alla verità credo sia da lui espressa quando dice "in the long run, alla fin fine, sia pure sempre parzialmente noi possiamo portare avanti la torcia della verità."


Citazione di: Apeiron il 20 Giugno 2018, 14:29:20 PM
Detto ciò. Torno nel mio silenzio.  ;D  

P.S.
Colgo l'occasione per chiedere scusa per aver interrotto così bruscamente la mia partecipazione alle discussioni forumistiche.  Purtroppo, in questo periodo non riesco a trovare il tempo per mettermi a discutere seriamente.
Mi unisco ad altri dicendoti che mi dispiace molto non averti con più presenza qui. Ma, purtroppo, anch'io in questo periodo fatico molto ad essere attivo sul forum.
#11
Citazione di: Phil il 20 Giugno 2018, 17:09:57 PM
Se ci mettiamo dal suo punto di vista, egli si reputa un "mendace funzionante" (esatto?), quindi si identificherà come tale e, conseguentemente, dirà di non essere tutte le altre combinazioni...
Lui si reputa qualsiasi cosa sia falsa. Un verace guasto risponderà affermativamente a tutte queste domande: "sei un verace funzionante?", "sei un mendace guasto?", "sei un mendace funzionante?". Per chiarire meglio: poniamo che il verace guasto abbia un cappello rosso, bene lui risponderebbe affermativamente a tutte queste domande: "hai un cappello giallo?", "hai un cappello bianco?", "hai un cappello nero?"......

Citazione di: Phil il 20 Giugno 2018, 17:09:57 PM
Se io chiedessi al verace guasto: "sei un mendace guasto?", lui mi dirà si o no?  ;)
Come dicevo sopra, lui risponderà sì a qualsiasi proposizione falsa.  ;)
#12
Citazione di: Phil il 20 Giugno 2018, 15:47:58 PM
Citazione di: epicurus il 20 Giugno 2018, 15:25:20 PMMa un verace guasto dovrebbe dire il falso. ;)
Se non ho frainteso, un verace guasto dovrebbe credere il falso (essendo guasto):
Un verace guasto crede il falso e dice quello che crede, quindi dice il falso.  :D

Citazione di: Phil il 20 Giugno 2018, 15:47:58 PM
Citazione di: epicurus il 02 Maggio 2018, 12:37:15 PM

Data è un verace guasto. Data crede il falso [...] e dice ciò che crede

se "dice ciò che crede", un verace guasto crede di essere altro (mendace funzionante) e lo afferma, in buona fede, reputandolo vero (è verace): "sono un mendace funzionante" o, compatibilmente, la frase che proponevi "non sono un mendace guasto" (frase che quindi non identifica con certezza solo un verace funzionante).
Ho capito bene?

Chiediti: è vero che un verace gusto non è un mendace funzionante? Sì. Quindi un verace guasto non lo crede e non lo dice. Giusto?
#13
Citazione di: Phil il 19 Giugno 2018, 16:17:15 PM
Perché non potrebbe essere un "verace guasto"? Crede di essere "mendace funzionante" (è guasto, quindi sbaglia tutto) e dichiara ciò che ritiene vero (è verace), ovvero di non essere un "mendace guasto" poiché si ritiene "mendace funzionante".
A questo punto, credo la soluzione sarebbe l'affermazione "non sono mendace guasto"... o no?

Consideriamo un verace guasto: se dicesse "io non sono un mendace funzionante" starebbe dicendo il vero, cioè come stanno le cose. Ma un verace guasto dovrebbe dire il falso.  ;)
#14
Incollo qui di seguito un pezzo di un saggio di Eco: "Di un realismo negativo". Non solo ci permette di capire esattamente la posizione di Eco, ma lo trovo interessante ai fini generali di questa discussione.

*****

A questa curiosa eresia ["non esistono fatti solo interpretazioni", nota di Epicurus] avevo da gran tempo reagito, a tal segno che a una serie di miei studi degli anni Ottanta avevo dato nel 1990 il titolo I limiti dell'interpretazione, partendo dall'ovvio principio che, perché ci sia interpretazione ci deve essere qualcosa da interpretare – e se pure ogni interpretazione non fosse altro che l'interpretazione di una interpretazione precedente, ogni interpretazione precedente assumerebbe, dal momento in cui viene identificata e offerta a una nuova interpretazione, la natura di un fatto – e che in ogni caso il regressus ad infinitum dovrebbe a un certo punto arrestarsi a ciò da cui era partito e che Peirce chiamava l'Oggetto dinamico. [...]

È vero che quando si cita lo slogan per cui non esistono fatti ma solo interpretazioni anche il piú assatanato tra i postmodernisti è pronto ad asserire che lui o lei non hanno mai negato la presenza fisica non solo dell'edizione Einaudi dei Promessi sposi, ma anche del tavolo da cui sto parlando. Il postmodernista dirà semplicemente che questo tavolo diventa oggetto di conoscenza e di discorso solo se lo si interpreta come supporto per un'operazione chirurgica, come tavolo da cucina, come cattedra, come oggetto ligneo a quattro gambe, come insieme di atomi, come forma geometrica imposta a una materia informe, persino come tavola galleggiante per salvarmi durante un naufragio. Sono sicuro che anche il postmodernista a tempo pieno la pensi cosí, salvo che quello che stenta ad ammettere è che non può usare questo tavolo come veicolo per viaggiare a pedali tra Torino e Agognate lungo l'autostrada per Milano. Eppure questa forte limitazione alle interpretazioni possibili del tavolo era prevista dal suo costruttore, che seguiva il progetto di qualcosa interpretabile in molti modi ma non in tutti.

L'argomento, che non è paradossale, bensí di assoluto buon senso, dipende dal problema delle cosiddette affordances teorizzate da Gibson (e che Luis Prieto avrebbe chiamato pertinenze), ovvero dalle proprietà che un oggetto esibisce e che lo rendono piú adatto a un uso piuttosto che a un altro. Ricorderò un mio dibattito con Rorty, svoltosi a Cambridge nel 1990, a proposito dell'esistenza o meno di criteri d'interpretazione testuali. Richard Rorty – allargando il discorso dai testi ai criteri d'interpretazione delle cose che stanno nel mondo – ricordava che noi possiamo certo interpretare un cacciavite come strumento per avvitare le viti ma che sarebbe altrettanto legittimo vederlo e usarlo come strumento per aprire un pacco.

Nel dibattito orale Rorty alludeva al diritto che avremmo d'interpretare un cacciavite anche come qualcosa di utile per grattarci un orecchio. Nell'intervento poi consegnato da Rorty all'editore l'allusione alla grattata d'orecchio era scomparsa, perché evidentemente Rorty l'aveva intesa come semplice boutade, inserita a braccio durante l'intervento orale. [...] Un cacciavite può servire anche per aprire un pacco (visto che è strumento con una punta tagliente, facilmente manovrabile per far forza contro qualcosa di resistente); ma non è consigliabile per frugarsi dentro l'orecchio, perché è appunto tagliente, e troppo lungo perché la mano possa controllarne l'azione per una operazione cosí delicata; per cui sarà meglio usare un bastoncino leggero che rechi in cima un batuffolo di cotone. C'è dunque qualcosa sia nella conformazione del mio corpo che in quella del cacciavite che non mi permette di interpretare quest'ultimo a capriccio.

[...]
Che non vi siano fatti ma solo interpretazioni viene attribuito a Nietzsche e credo che persino Nietzsche ritenesse che il cavallo che aveva baciato non lontano da qui esistesse come fatto prima che lui decidesse di farlo oggetto dei suoi eccessi affettivi. Però ciascuno deve assumersi le proprie responsabilità, e queste responsabilità emergono chiaramente in quel testo che è Su verità e menzogna in senso extramorale. Qui Nietzsche dice che, poiché la natura ha gettato via la chiave, l'intelletto gioca su finzioni che chiama verità, o sistema dei concetti, basato sulla legislazione del linguaggio. Noi crediamo di parlare di (e conoscere) alberi, colori, neve e fiori, ma sono metafore che non corrispondono alle essenze originarie. Ogni parola diventa concetto sbiadendo nella sua pallida universalità le differenze tra cose fondamentalmente disuguali: cosí pensiamo che a fronte della molteplicità delle foglie individue esista una «foglia» primordiale «sul modello della quale sarebbero tessute, disegnate, circoscritte, colorate, increspate, dipinte – ma da mani maldestre – tutte le foglie, in modo tale che nessun esemplare risulterebbe corretto e attendibile in quanto copia fedele della forma originale».

L'uccello o l'insetto percepiscono il mondo in un modo diverso dal nostro, e non ha senso dire quale delle percezioni sia la piú giusta, perché occorrerebbe quel criterio di «percezione esatta» che non esiste, perché «la natura non conosce invece nessuna forma e nessun concetto, e quindi neppure alcun genere, ma soltanto una x, per noi inattingibile e indefinibile». Dunque un kantismo, ma senza fondazione trascendentale.

A questo punto per Nietzsche la verità è solo «un mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi» elaborati poeticamente, e che poi si sono irrigiditi in sapere, «illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria», monete la cui immagine si è consumata e che vengono prese in considerazione solo come metallo, cosí che ci abituiamo a mentire secondo convenzione, avendo sminuito le metafore in schemi e concetti. E di lí un ordine piramidale di caste e gradi, leggi e delimitazioni, interamente costruito dal linguaggio, un immenso «colombaio romano», cimitero delle intuizioni.

Che questo sia un ottimo ritratto di come l'edificio del linguaggio irreggimenti il paesaggio degli enti, o forse un essere che rifiuta di essere irrigidito in sistemi categoriali, è innegabile. Ma rimangono assenti, anche dai brani che seguono, due domande: se adeguandoci alle costrizioni di questo colombaio si riesce in qualche modo a fare i conti col mondo, per esempio decidendo che avendo la febbre è piú opportuno assumere aspirina che cocaina (che non sarebbe osservazione da nulla); e se non avvenga che ogni tanto il mondo ci costringa a ristrutturare il colombaio, o addirittura a sceglierne una forma alternativa (che è poi il problema della rivoluzione dei paradigmi conoscitivi). Nietzsche non sembra chiedersi se e perché e da dove un qualche giudizio fattuale possa intervenire a mettere in crisi il sistema-colombaio.

Ovvero, a dir la verità, egli avverte l'esistenza di costrizioni naturali e conosce un modo del cambiamento. Le costrizioni gli appaiono come «forze terribili» che premono continuamente su di noi, contrapponendo alle verità «scientifiche» altre verità di natura diversa; ma evidentemente rifiuta di riconoscerle concettualizzandole a loro volta, visto che è stato per sfuggire a esse che ci siamo costruiti, quale difesa, l'armatura concettuale. Il cambiamento è possibile, ma non come ristrutturazione, bensí come rivoluzione poetica permanente. «Se ciascuno di noi, per sé, avesse una differente sensazione, se noi stessi potessimo percepire ora come uccelli, ora come vermi, ora come piante, oppure se uno di noi vedesse il medesimo stimolo come rosso e un altro lo vedesse come azzurro, se un terzo udisse addirittura tale stimolo come suono, nessuno potrebbe allora parlare di una tale regolarità della natura». [...]

In altre parole: una volta accettato il principio che dell'essere si parla solo in molti modi, che cosa è che ci impedisce di credere che tutte le prospettive siano buone, e che quindi non solo l'essere ci appaia come effetto di linguaggio ma sia radicalmente e altro non sia che effetto di linguaggio, e proprio di quella forma di linguaggio che si può concedere i maggiori sregolamenti, il linguaggio del mito o della poesia? L'essere allora, oltre che (come ha detto una volta Vattimo con efficace piemontesismo) «camolato», malleabile, debole, sarebbe puro flatus vocis. [...]

Decisione per nulla confortante, visto che, una volta regolati i conti con l'essere, ci ritroveremmo a doverli fare con il soggetto che emette questo flatus vocis (che è poi il limite di ogni idealismo magico). Qual è lo statuto ontologico di colui che dice che non vi è alcun statuto ontologico?
Non solo. Se è principio ermeneutico che non ci siano fatti ma solo interpretazioni, questo non esclude che ci possano essere per caso interpretazioni «cattive». Dire che non c'è figura vincente del poker che non sia costruita da una scelta del giocatore (magari incoraggiata dal caso) non significa dire che ogni figura proposta dal giocatore sia vincente. Basterebbe che al mio tris d'assi l'altro opponesse una scala reale, e la mia scommessa si sarebbe dimostrata fallace. Ci sono nella nostra partita con l'essere dei momenti in cui Qualcosa risponde con una scala reale al nostro tris d'assi?

Tornando al cacciavite di Rorty si noti che la mia obiezione non escludeva che un cacciavite possa permettermi infinite altre operazioni: per esempio potrei utilmente usarlo per uccidere o sfregiare qualcuno, per forzare una serratura o per fare un buco in piú in una fetta di groviera. Quello che è sconsigliabile farne è usarlo per grattarmi l'orecchio. Per non dire (il che sembra ovvio ma non è) che non posso usarlo come bicchiere perché non contiene cavità che possano ospitare del liquido. Il cacciavite risponde di sí a molte delle mie interpretazioni ma a molte, e almeno a una risponde di no.

Riflettiamo su questo no, che sta alla base di quello che chiamerò il mio realismo negativo. Il vero problema di ogni argomentazione «decostruttiva» del concetto classico di verità non è di dimostrare che il paradigma in base al quale ragioniamo potrebbe essere fallace. Su questo pare che siano d'accordo tutti, ormai. Il mondo quale ce lo rappresentiamo è certamente un effetto d'interpretazione, e sino a ieri lo interpretavamo come se i neutrini viaggiassero anch'essi alla velocità della luce e forse domani dovremo deciderci a cambiare idea mettendo in crisi una presunta costante universale. Il problema è piuttosto quali siano le garanzie che ci autorizzano a tentare un nuovo paradigma che gli altri non debbano riconoscere come delirio, pura immaginazione dell'impossibile. Quale è il criterio che ci permette di distinguere tra sogno, invenzione poetica, trip da acido lisergico (perché esistono pure persone che dopo averlo assunto si gettano dalla finestra convinte di volare, e si spiaccicano al suolo – e badiamo, contro i propri propositi e speranze), e affermazioni accettabili sulle cose del mondo fisico o storico che ci circonda? Poniamo pure, con Vattimo, una differenza tra epistemologia, che è «la costruzione di corpi di sapere rigorosi e la soluzione di problemi alla luce di paradigmi che dettano le regole di verifica delle proposizioni» (e ciò sembra corrispondere al ritratto che Nietzsche dà dell'universo concettuale di una data cultura) ed ermeneutica come «l'attività che si dispiega nell'incontro con orizzonti paradigmatici diversi, che non si lasciano valutare in base a una qualche conformità (a regole o, da ultimo, alla cosa), ma si dànno come proposte "poetiche" di mondi altri, di istituzione di regole nuove». Quale regola nuova la comunità deve preferire, e quale altra condannare come follia? Vi sono pur sempre, e sempre ancora, coloro che vogliono dimostrare che la terra è quadra, o che viviamo non all'esterno bensí all'interno della sua crosta, o che le statue piangono, o che si possono flettere forchette per televisione, o che la scimmia discende dall'uomo – e a essere flessibilmente onesti e non dogmatici bisogna pure trovare un criterio pubblico onde giudicare se le loro idee siano in qualche modo accettabili.
Di lí l'idea di un realismo negativo che si potrebbe riassumere, sia parlando di testi che di aspetti del mondo, nella formula: ogni ipotesi interpretativa è sempre rivedibile (e come voleva Peirce sempre esposta al rischio del fallibilismo) ma, se non si può mai dire definitivamente se una interpretazione sia giusta, si può sempre dire quando è sbagliata. Ci sono interpretazioni che l'oggetto da interpretare non ammette.

Poniamo che su quel muro sia dipinto uno splendido trompe l'oeil che rappresenta una porta aperta. Posso interpretarlo come trompe l'oeil che intende ingannarmi, come porta vera (e aperta), come rappresentazione con finalità estetiche di una porta aperta, come simbolo di ogni Varco a un Altrove, e cosí via, forse all'infinito. Ma se l'interpreto come vera porta aperta e cerco di attraversarla, batto il naso contro il muro. Il mio naso ferito mi dice che il fatto che cercavo di interpretare si è ribellato alla mia interpretazione.

Certamente la nostra rappresentazione del mondo è prospettica, legata al modo in cui siamo biologicamente, etnicamente, psicologicamente e culturalmente radicati cosí da non ritenere mai che le nostre risposte, anche quando appaiono tutto sommato «buone», debbano essere ritenute definitive. Ma questo frammentarsi delle interpretazioni possibili non vuole dire che everything goes.
In altre parole: esiste uno zoccolo duro dell'essere, tale che alcune cose che diciamo su di esso e per esso non possano e non debbano essere prese per buone.

Chi ha mai detto che i fatti che interpreto possano pormi dei limiti? Come posso fondare il concetto di limite?
Questo potrebbe essere un semplice postulato dell'interpretazione, perché se assumessimo che delle cose si può dire tutto non avrebbe piú senso l'avventura della loro interrogazione continua. A questo punto anche il piú radicale dei relativisti potrebbe decidere di assumere l'interpretazione del piú radicale dei realisti vecchio stampo, visto che ogni interpretazione vale l'altra.

Noi abbiamo invece la fondamentale esperienza di un limite di fronte al quale il nostro linguaggio sfuma nel silenzio: è l'esperienza della morte. Siccome mi avvicino al mondo sapendo che almeno un limite c'è, non posso che proseguire la mia interrogazione per vedere se, per caso, di limiti non ce ne siano altri ancora.

[...]
Se il continuum ha delle linee di tendenza, per impreviste e misteriose che siano, non si può dire tutto quello che si vuole. Il mondo può non avere un senso, ma ha dei sensi; forse non dei sensi obbligati, ma certo dei sensi vietati. Ci sono delle cose che non si possono dire.

Non importa che queste cose siano state dette un tempo. In seguito abbiamo per cosí dire «sbattuto la testa» contro qualche evidenza che ci ha convinto che non si poteva piú dire quello che si era detto prima.
Naturalmente ci sono dei gradi di costrizione.

Ci sono delle cose che non si possono dire. Ci sono dei momenti in cui il mondo, di fronte alle nostre interpretazioni, ci dice no. Questo no è la cosa piú vicina che si possa trovare, prima di ogni filosofia prima o teologia, alla idea di Dio o di legge. Certamente è un Dio che si presenta (se e quando si presenta) come pura negatività, puro limite, pura interdizione.

E qui debbo fare una precisazione, perché mi rendo conto che la metafora dello zoccolo duro può fare pensare che esista un nocciolo definitivo che un giorno o l'altro la scienza o la filosofia metteranno a nudo; e nello stesso tempo la metafora può fare pensare che questo zoccolo, questi limiti di cui ho parlato, siano quelli che corrispondono alle leggi naturali. Vorrei chiarire (anche a costo di ripiombare nello sconforto gli ascoltatori che per un attimo avevano creduto di ritrovare una idea consolatoria della realtà) che la mia metafora allude a qualcosa che sta ancora al di qua delle leggi naturali, che persisterebbe anche se le leggi newtoniane si rivelassero un giorno sbagliate – e anzi sarebbe proprio quel qualcosa che obbligherebbe la scienza a rivedere persino l'idea di leggi che parevano definitivamente adeguare la natura dell'universo. Quello che voglio dire è che noi elaboriamo leggi proprio come risposta a questa scoperta di limiti, che cosa siano questi limiti non sappiamo dire con certezza, se non appunto che sono dei «gesti di rifiuto», delle negazioni che ogni tanto incontriamo. Potremmo persino pensare che il mondo sia capriccioso, e cambi queste sue linee di tendenza – ogni giorno o ogni milione di anni. Ciò non eliminerebbe il fatto che noi le incontriamo.

Credo che ci siano dei rapporti tra questo mio modestissimo realismo negativo (per cui avvertiamo qualcosa fuori di noi e dalle nostre interpretazioni solo quando riceviamo un diniego) e l'idea popperiana per cui l'unica prova a cui possiamo sottoporre le nostre teorie scientifiche è quella della loro falsificabilità. Non sapremo mai definitivamente se una interpretazione è giusta ma sappiamo con certezza quando non tiene.
Credo di essermi attenuto a questo principio di realismo negativo sin da quando, all'inizio degli anni Sessanta, nel sostenere l'indispensabile collaborazione del fruitore a ogni testo artistico, intitolavo il mio libro Opera aperta. Questo apparente ossimoro mirava a sostenere che l'apertura, potenzialmente infinita, si misurava di fronte all'esistenza concreta dell'opera da interpretare. Che era poi da parte mia una ripresa dell'idea pareysoniana che l'interpretazione si articola sempre in una dialettica di iniziativa dell'interprete e fedeltà alla forma da interpretare.

Infinite sono le interpretazioni possibili del Finnegans Wake ma neppure il piú selvaggio tra i decostruzionisti può dire che esso racconta la storia di una contessa russa che si uccide gettandosi sotto il treno.

Potrei tradurre questa mia idea di realismo negativo in termini peirceani. Ogni nostra interpretazione è sollecitata da un oggetto dinamico che noi conosceremo sempre e solo attraverso una serie di oggetti immediati (l'oggetto immediato essendo già un segno, che può essere chiarito solo da una serie successiva di interpretanti, ciascun interpretante successivo spiegando sotto un certo profilo il precedente, in un processo di semiosi illimitata). Ma nel corso di questo processo produciamo degli abiti, delle forme di comportamento, che ci inducono ad agire sull'oggetto dinamico da cui eravamo partiti e a modificare la cosa in sé da cui eravamo partiti, offrendo un nuovo stimolo al processo della semiosi. Questi abiti possono avere o meno successo, ma quando non l'ottengono il principio del fallibilismo deve portarci a ritenere che alcune delle nostre interpretazioni non erano adeguate.

È sufficiente intrattenere questa idea minimale di realismo, che coincide benissimo col fatto che conosciamo i fatti solo attraverso il modo in cui li interpretiamo? Una volta Searle aveva detto che realismo significa che siamo convinti che le cose vadano in un certo modo, che forse non riusciremo mai a decidere in che modo vadano, ma che siamo sicuri che esse vadano in un certo qual modo anche se non sapremo mai quale. E questo ci basta per credere (e qui Peirce viene in soccorso a Searle) che in the long run, alla fin fine, sia pure sempre parzialmente noi possiamo portare avanti la torcia della verità.

La forma modesta del realismo negativo non ci garantisce che noi possiamo domani possedere la verità, ovvero sapere definitivamente what is the case, ma ci incoraggia a cercare ciò che in qualche modo sta davanti a noi; e la nostra consolazione di fronte a ciò che altrimenti ci parrebbe per sempre inafferrabile consiste nel fatto che noi possiamo sempre dire, anche ora, che alcune delle nostre idee sono sbagliate perché certamente ciò che avevamo asserito non era il caso.
#15
Scrivo la risposta qui sotto per chi fosse interessato (spoiler!):

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Data fa la seguente affermazione all'extraterrestre: "Io non sono un mendace guasto". Quindi l'extraterrestre può correttamente dedurre che Data è un verace funzionante. Lascio la dimostrazione a chi ne ha voglia. ;D