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Messaggi - niko

#1
Citazione di: iano il 28 Luglio 2025, 17:43:07 PMNon è che la impedisce: non c'è.
Un essere metabiologico non avrebbe maggior fortuna avendo una interazione con la realtà, perchè non c'è una realtà oggettiva, ma c'è una realtà oggettivabile.
E non necessariamente oggettivabile in quanto unità divisibile, perchè  la divisione è solo un esempio di interazione con la realtà, e possiamo portarlo come esempio perchè operazione a noi nota.
Noi non conosciamo in genere l'operazione oggettivante.
Una però la conosciamo, quella che porta avanti la ricerca scientifica, la quale però non produce  propriamente l'oggettività che ci aspetteremmo, in quanto produce una oggettività  definibile, contrariamente all'oggettività attesa, non definibile, se non si ha l'ardire di accettare ''la cosa che è in se'' come definizione .
Perchè, ora che disponiamo di un oggetto definibile, entità fisica, la cosa in sè dovrebbe apparirci per esclusione,  come cosa che nasce da un operazione di non defezione.



Sono d'accordo direi. Non c'e' una realta' oggettiva. Solo una oggettivabile. 

Direi che non ci puo' essere nemmeno un essere, o un punto di vista sul mondo, "metabiologico". Tutto cio' che vive, e' biologico, e punti di vista fuori dalla vita... non ce ne sono.

#2
Citazione di: Jacopus il 28 Luglio 2025, 16:30:34 PMSe devo essere sincero Niko, non ho capito granché del tuo ultimo intervento, evidentemente mi sto velocemente rimbecillendo. Ad ogni buon conto mi sai dire brevemente se dalle leggi di natura si possono trarre leggi morali, e in caso di risposta affermativa, mi domando come conciliare questa prescrittività etico-naturale, con il cambiamento pressoché continuo della natura e delle sue strutture.
Ho il sospetto che tu riconduca tutto alle teorie scientifico-naturalistiche del marxismo classico, che però hanno fatto il loro tempo. Credere in una teoria oggettivamente e naturalmente "vera", va contro la necessità di ritrovare Marx e la sua teoria "vera" dello sfruttamento e dell'alienazione, ma su basi non oggettive o naturalistiche ma culturali (ed ecco avveratosi l'off-topic dell'off-topic, del resto se sono gli stessi moderatori a dare l'esempio🤓).


> si, penso che si possa trarre una morale dalla natura.

> ma, no, non l'ho fatto in questa sede e in questo topic, quindi, non mi piace che mi si imputi la fallacia naturalistica solo perche' ho parlato dell'impossibilita' di una conoscenza oggettiva, e del fallimento del paradigma metafisico occidentale, insomma di cosa resta di Dio, che poi, sarebbe l'argomento iniziale. Sostanzialmente, affermare, come ho fatto io, che l'apparire del mondo dipenda dalla volonta' di vivere dei singoli viventi, e magari dire anche che, la forma di questa apparenza sia altamente condizionata,
quantomeno perche' la vita non galleggia, in un mare di liberta' infinita quanto a se stessa e alle sue specifiche condizioni, (data a la verita' di un caso, sono vere anche tutte le ragioni necessarie del suo verificarsi), sempre come ho fatto io, non e', e non costituisce, una fallacia naturalistica, perche' manca, l'elemento prescrittivo, esortativo, morale o di giudizio.


> la natura e' dinamica, e quindi, pure una morale naturalistica deve esserlo, ma la cosa ci porterebbe lontano... ti dico solo che, dato che secondo me siamo consegnati all'assoluto della vita, la sua qualita', conta piu' della sua conservazione o quantita'.

Io voglio fare la rivoluzione, ma non perche' io come uomo o come soggetto collettivo voglia in qualche modo "salvarmi", tantomeno lo voglio contro una, eventuale, spaventosa, possibilita' opposta, di non salvarmi (e quale sarebbe mi chiedo? ridicolo...) ma perche', a condizioni di vita mediocri e o indecenti, la salvezza stessa, fa problema.

Non si evolve verso lo smettere di volere, ma verso il volere qualcosa si diverso... il volere qualcosa di diverso, pero', a sua volta, implica il terminare, il compito o l'atto, storico, di volere, quello che (gia') c'e'; di terminare, quello che e' gia' iniziato. E' facile, parlare di rivoluzione ma la verita' e' che quello di cui vuoi liberarti, devi volerlo in modo esaustivo, devi viverlo fino in fondo, proprio per, e al fine di, non volerlo piu'.
E quindi, questo mondo, pieno di guai, non passa, si sofferma e perdura, proprio perche' nessuno, realmente, lo ama e lo vuole, soprattutto: non per quello che realmente esso e'; molti, semmai, lo vedono, si illudono e lo amano per quello che dovrebbe essere, per la differenza che non e', per il fantastico e fantasioso "mondo dietro al mondo" e con cio', diciamo cosi', gli fanno, ulteriormente torto. Ma la sua mera, innegabile, scheletrica e non metafisicamente abbellita presenza, per noi, per il suo sognificato rispetto a noi intendo, e' (solo) una grande richiesta di amore, e (solo) in questo senso, fintanto che essa resta ignorata, abbellita o negata, ha tutto il diritto a durare; questo tempo, con tutte le sue montagne, le sue torri, i suoi ingranaggi e i suoi campanili, deve passare entro e oltre la soglia della nostra (non libera) volonta', cioe' realmente... deve passare, intendo, realmente.

#3
Citazione di: Jacopus il 28 Luglio 2025, 13:36:20 PMIn realtà neppure la vita è il "fondamento ultimo" indiscutibile e prescrittivo. Lo sarebbe in un mondo di monadi, ma la vita e la morte sono fenomeni relazionali. Anche in questo caso può nascondersi la fallacia naturalistica. Oltre al caso dell'uomo grasso, basti pensare al diritto di aborto, alla guerra, al diritto in nome della vita di poter possedere un harem, per riprodursi. La fallacia naturalistica presuppone che tutto sia dinamico e tutto sia relazionale, per cui il fondamento della "vita giusta" va cercato altrove. La distinzione prescrizione/descrizione è sia un principio logico afferente alla necessità di distinguere due dimensioni  (che possano interagire è un altro discorso), sia una affermazione che mette in primo piano la singolarità della specie sapiens in natura. Una singolarità che ha tratto origine dalla natura (ovvero un cervello fuori dal comune) ma che si è affrancata dalla natura grazie a quella singolarità. Ci troviamo così nella scomoda situazione di agire nella natura, sfruttandola così a fondo, da mettere a rischio la nostra sopravvivenza come specie. Il che comunque non è un evento eccezionale, visto che, mediamente si estinguono circa 1000 specie all'anno, dal 1980 in poi ( le specie esistenti sono circa l'uno per cento di tutte quelle che si sono presentate  sul pianeta terra).
Un altro argomento riguarda come la morte sia connessa con la vita addirittura negli stessi meccanismi biologici naturali che favoriscono la vita, come l'apoptosi.

Io volevo dire solo che il condizionamento biologico della nostra percezione e del nostro pensiero, e quindi indirettamente anche della nostra cultura, impedisce l'esistenza di una "realta' oggettiva", e quindi, di un "sapere disinteressato", o insomma di una contemplazione, abbastanza pregnante o abbastanza interessante da essere fondamento e motivo di esistere per la filosofia, in quanto disciplina; il fondamento e il motivo di esistere dell'universo mondo, invece, qui, non era in
questione.

Ribadisco, la vita ci vincola, ma la vita nasce dal caso, e il caso, non vincola. La forza vincolante dell'istinto, e' un a priori, di una descrizione, a posteriori. Se c'e' un orologio (vita) c'e' un orologiaio (istinto, e struttura). Non si tratta di affermare un assoluto, ma una inoggettivita' e inoggettualita' della conoscenza e del processo del conoscere, in quanto condizionato, dalla vita stessa. C'e' chi ci puo' vedere un assoluto, chi un modo si essere relativo, per cui stante un fatto, ci sono alcune premesse. Stante un caso grande, c'e' una reticolare concatenazione di casi piu' piccoli.

L'inoggettualuta' della conoscenza, non deriva dell'accettazione della premessa di un assoluto della vita o del vitalismo come filosofia, ma (semmai) dall'accettazione, dalla premessa, della realta', del condizionamento istintuale e biologico sulla conoscenza e presso la conoscenza.

Poi ho detto che l'abbaglio, umano, nella credenza in una simile oggettivita', e' molto simile all'abbaglio, uomano, della credenza in Dio. Dio e' morto, e con esso, la verita' oggettiva. O se vogliamo la verita' oggettiva, e' morta, insieme con Dio. Dio e' l'assoluto, opposto, all'assoluto, che

I tre punti fondamentali qui sono:

> Che io non ho tratto una morale prescrittiva dalla natura. Non ho detto a nessuno cosa fare, tranne forse che l'intelletto si deve adeguare alla volonta' e non viceversa, ma mi pare abbastanza vago, da permettere ad ognuno di vederci quello che vuole, dentro e attraverso questo mio "consiglio", che comunque, non e' e non vuole essere, anche,  un "giudizio".

> Che io eventualmente, quando in altra sede, e non in questa, traggo una morale prescrittiva dalla "natura", sono consapevole di farlo, e cerco di renderne consapevole chi mi legge. La fallacia interessante, a mio modo di vedere, e per quanto possibile anche di comunicare, semmai, e' quella segnalata. Con le strisce stradali, i cartelli eccetera. Questo sempre intendo, vale in generale.

> Che quando io in altra sede, traggo una morale prescrittiva dalla natura, questa, non ha niente, ma proprio niente, a che vedere con il divieto di aborto, piu' di qualcosa, si', con la guerra,  poco o quasi niente con gli harem maschili. Percio' lasciate perdere, le fallacie naturalistiche che credete di intendere. La vita non va' difesa, si difende da sola.

L'apoptosi e' come la vita intende la morte. Essa, l'apoptosi, e' un vantaggio per il gruppo e per il seme/gene, ma non gia' per il singolo, e, tanto meno, non per il singolo in quanto cosciente e desiderante. Non ci fa', accettare serenamente la prospettiva di schiattare, semplicemente, diciamo cosi', ce la impone. Un po' come tutto il resto, dei condizionamenti biologici. E istintuali. Da cui l'estrema difficolta' a trarre morali individuali dalla biologia. Si tratterebbe di trarre morali, inevitabilmente in certa misura individuali, cioe' contemplanti il piacere e la coscienza, da cio' che, nelle sue reali tendenze e finalita', e' tutto, essenzialmente, sovra/individuale (cioe' massificato, ecologico e moltitudinario) o sub/individuale (cioe' genico/genetico). L'individuo, e' proprio l'agnello sacrificale della biologia. Perche' esso e', direttamente, il "livello" della realta' che biologicamente e naturalisticamente, non esiste. Esistono, il suo sopra, e il suo sotto. Percio', se uno prende sul serio, il compito, di trarre una morale dalla natura/biologia, scusa, ma non puo' non sorridere di harem e aborti. E un po' anche di guerre. Perche' si rende conto di quanto ingrato sia, questo compito.



#4
Citazione di: Phil il 27 Luglio 2025, 14:09:39 PML'ho tirato in ballo, come dicevo (correggimi sempre se sbaglio), per il suo residuo realista (il sum), ma non per la confutazioni del volontarismo e dell'"illusionismo" che tu mi/gli hai imputato e di cui non credo sia comunque capace.Questo è il rovesciamento fallace che mi ha spinto a segnalarti la fallacia naturalista: il volere la vita, il voler vivere non è una prescrizione (di chi? la natura non "prescrive", essendo essa solo un insieme strutturato di rapporti causali, come insegnano le scienze), tale volere è un istinto. Se affermi che l'uomo vuole vivere per istinto, ne fai una descrizione che non credo sollevi obiezioni. Se invece valutiamo tale istinto come bene, giusto, sano, etc. o, andando oltre l'istinto, scegliamo consapevolmente di restare vivi, in entrambi i casi non possiamo argomentarlo semplicemente descrivendo la voglia (o la scelta) di restare vivi come parte dell'esser vivi (ecco la fallacia). Per una argomentazione valida, non fallace, servono altre argomentazioni e altre prescrizini, prese (non dalla descrizione dell'uomo con la testa attaccata al collo) dalla morale, dalla metafisica, da valori esistenziali, etc.Qui sarò sintetico perché ormai siamo offtopic anche rispetto all'offtopic: l'intelletto non può adattarsi alla volontà (di fatto capisco anche quello che non vorrei capire, come già detto, e non posso illudermi del contrario) e credo sia noto che quando la volontà sottomette (so che hai scritto «adeguarsi» e non «sottomettersi») l'intelletto, lo stato di scollamento fra desiderio e ragione può produrre le migliori frustrazioni, paranoie e altri stati non proprio "felici, decenti e interessanti" (se intuisco cosa intendi con queste espressioni).
L'espressione «volontà/estensione» forse uccide Cartesio più di quando gli ho imputato una calcolatrice e, almeno scritta così, è un ossimoro e non colgo il senso di contrapporla a intelletto/cogito, che ossimoro non è: intelletto e cogito sono affini, ma volontà ed estensione direi di no. Non credo nemmeno tu intenda che l'intelletto sta alla volontà come il cogito sta all'estensione. Forse alludevi al fatto che, secondo te, l'intelletto deve adattarsi alla volontà come il cogito deve adattarsi all'estensione; tuttavia sia l'intelletto che la volontà che il cogito sono "mentali" (passami il termine vago) mentre l'estensione non lo è (se intendi il mondo extra-soggettivo), quindi la proporzione mi sembra un po' vacillante (oltre a quanto già detto sull'improbabile adattamento della intelletto alla volontà).
Ok, non sono stato sintetico, ma almeno credo si capisca che non è questione da sbrogliare in un topic intitolato "Tacere, quando opportuno? Dio nessuno l'ha visto; bisogna restar zitti?" di cui abbiamo già abusato con la fallacia naturalistica (che, almeno borderline, riguarda anche la divinità).


La vita e' prescrittiva nel senso che essa e' un caso, ma, dato il caso, ci sono (solo!) un numero conchiuso e coerente e limitante di microcasi, o casi minori, che lo giustificano.

Se lancio due dadi a sei facce e ottengo 7 e' un caso, ma se ho a posteriori l'informazione che e' uscito, proprio, il totale di 7, e non un altro, sono sicuro, a priori, o se vogliamo retrospettivamente, che le combinazioni possibili sono [4 +3, 5+2, 6+1]. So, che e' uscita una di queste, anche se non vedo la combinazione precisa, ad esempio, sono cieco e un mio amico, vedente, mi informa che e' uscito 7 di totale.

Ugualmente la vita, (tanto sulla terra, come destino comune, quanto nella nostra singola storia personale, come destino individuale!) nasce per caso (non e' prescritta in assoluto) ma una volta nata ci vincola, e ci vincola a delle prescrizioni che, in grandissima parte non sono etiche o morali, non dipendono dal giudizio; sono tali di fatto, prescrizioni di fatto. Istinto di sopravvivenza, e volonta' di vivere prima di tutte. Se abbiamo un corpo, abbiamo il programma di mantenerlo vivo, e, quel corpo, ha specificamente gli organi di pensiero, di sentimento e di senso che gli servono per mantenersi vivo e proluferare, ( 5+2; 4+3, 6+1... ci vuole tanto a capirlo?) non, certo, organi di pensiero e di senso concepibili secondo la categoria, nefasta in quanto ad oggi culturalmente abusata,  di "liberta' ", o di caso.

Stante il, descritto, 7 (avere una vita) e' prescritto, l'implicito, 5+2, 6+1, 4+3 (avere un istinto, e un programma, di sopravvivenza, e organi di pensiero e di senso altamente condizionati, ai fini della sopravvivenza).

Secondo me, tu non mi capisci o fai finta di non capirmi, perche' sei ottimista, e pensi che l'umano giudizio, sulle cose, conti tantissimo. Il mondo per te, dovrebbe girare intorno al fatto, o meglio, alla differenza, che una, eventuale, valutazione etica dell'istinto, non sia, immediatamente, l'istinto.

Spoiler: nella stragrande maggioranza dei casi, incluso questo, l'umano giudizio non conta niente. Siamo polvere di stelle, fiato nel vento, diramazioni impreviste, note a margine. 

Se esce sette, e tu lo sai, la combinazione dei dadi in particolare, che tu non sai, non chiede il tuo permesso, per essere una tra 5+2, 6+1, 4+3. E' cosi' e basta. Non c'e' riflessione possibile, non c'e' duplicazione dei dadi e del loro risultato in un universo metaetico, non c'e' una morale della favola da trarne, non c'e' necessita' (solipsistica) di una tua precisa conoscenza in merito perche' le cose stiano come stanno, non c'e' bisogno che tutto questo sia, in qualche modo, "sancito". Le cose che sono arrivate tutte allo stesso identico punto, e che noi constatiamo, che sono arrivate li', magari, per la gioia degli ottimisti e degli idealisti non avranno seguito, tutte, necessariamente la stessa identica strada, ma sicuramente, lo stesso numero, limitato di strade.

E dunque, ai fini di stabilire quanta oggettivita' e quanto distacco sia possibile nell'ambito della  "conoscenza", conoscenza che poi, si riduce all'atto, umano, finito e ripetibile, dell'esperire e del conoscere, l'istinto di sopravvivenza e l'avere un corpo, esteso, contano; la riflessione pseudoetica o metaetica sull'istinto di sopravvivenza e sull'avere un corpo, in confronto, contano, si', ma come il due di coppe quando briscola e' bastoni. Io mi rifiuto, di metterli sullo stesso piano, perche' non stanno sullo stesso piano. E non voglio dire cosa sia buono e cosa sia cattivo. La prescrizione, qui, ai fini di questo discorso non e' etica perche' il mondo non gira, intorno all'etica. Non e' comportamentale, non e' una consulenza, non e' una pubblicita', non e' una prestazione. La prescrizione, qui, e' immediatamente la descrizione, senza esserne ne' inferita ne' argomentata. Ne' inferibile ne' argomentabile. Mi importa assai, se c'e' una regola, logica, che impedisce di inferirla. Anzi, che mi impedirebbe di inferirla se io volessi, inferirla.

E quindi, il Dio/conoscenza oggettiva, e' stato tale perche', e finche', piacque all'uomo, che fosse tale. Finita l'illusione, del Dio, resta il desiderio, che ci ha portato, ad immagginare quel Dio. La memoria, dell'errore, non e', a sua volta, errore. La maschera, sia pure riposta e dismessa, non smettere di essere, maschera. E questo impedisce di resettare la storia, o la vita, in modo stupido, ovvero in modo automatico, impedisce, un bel mattino, di capovolgere la clessidra per atto politico o con gesto della mano.

Il significato, di un sogno, e' l'irreversibilita', sostanziale, di quel sogno, stante la potenza della memoria che lo attinge. Stante il modo, tipico, dell'esperienza umana. Per cui la perdita di realta' o di verita', di qualche cosa che nella memoria si deposita, e che da un certo punto del nostro cammino in poi, noi sappiamo non essere piu'vero, non sempre, anzi, quasi mai, e' perdita di sensorialita' e di certezza, rispetto all'esperienza ed esperibita' di quella stessa data cosa. Non e' altro, non e' interessante il gioco infinito di cercargli un significato, altro. Al sogno.


#5
Citazione di: Phil il 19 Luglio 2025, 16:55:08 PMSe così fosse dovremmo vivere in un'illusione, come in un sogno, ma resta lecita la domanda: chi sogna? dov'è chi sogna? Esiste solo chi sogna, in un vuoto cosmico? L'"ontologia del desiderio" a volte rischia di sottovalutare la semplice potenza (ed evidenza) del cogito cartesiano e delle sue conseguenze, che ancorano qualunque metafisica ad un minimo di realismo difficilmente alienabile, fosse anche solo come residuo fenomenologico dell'esistenza. Il desiderante non è desiderio, il mondo ontico in cui il desiderante si muove non è desiderio, etc. per questo le scienze, anche filosofiche, che si occupano dell'uomo e del mondo, non possono essere appiattite in mero "esercizio" di desiderio, come non ci fossero un agente e un mondo "pre-" ed extra-desiderio (il che non significa certo espungerlo dall'orizzonte umano, di cui è sicuramente parte pulsante e costituente).





E' qui che tiri in ballo il cogito cartesiano...

Comunque dalla descrizione non deriva la prescrizione per inferenza logica, ma non si vive solo di inferenza logiche, anzi, il problema e' che spesso e' piu' originaria la prescrizione, della descrizione. Cioe' andrebbe, semmai, inferita, la descrizione. Dall'antecedente piu' generico e piu' "genetico" di una prescrizione. E magari, si finge il contrario. E' quello che dico fin dall'inizio: il fatto che dobbiamo e vogliamo vivere, e' piu' originario, di quello che la vita in quanto pensiero discorsivo e in quanto coscienza, ma spesso anche in quanto emozione e sentimento, ci riflette e ci mostra... l'oggetto di conoscenza non domina e non informa il desiderio, ma il contrario...

Quanto al sum del cogito, non c'e' un inizio del tempo, c'e' un inizio (attuale) della vita nel tempo nonostante l'infinita' del tempo come ostacolo, e quindi, qualcosa mi dice che, ai fini della felicita', o quantomeno do una vita decente e interessante, l'intelletto/cogito, deve adeguarsi alla volonta'/estensione, e non viceversa... 


#6
Citazione di: Phil il 25 Luglio 2025, 23:14:37 PMNon ti imput(av)o la fallacia naturalistica per rimproverarti o sminuirti, ma come quello che ti vede guidare con un faro fulminato e ti lampeggia dalla sua auto, non certo per accecarti.
Ciò premesso, a scanso di equivoci, questa a me sembra proprio una fallacia naturalistica che parla di bene e male radicati nella biologia (corsivo mio):Anche questa mi sembra una fallacia naturalistica (corsivo mio):e anche questa (sempre corsivo mio):con questo corollario esplicativo:mentre dividere descrizione e prescrizione è proprio il consiglio per evitare la fallacia naturalistica.
Questa "difesa" della fallacia naturalistica, a livello della nuda vita, non spiega cosa sia, a questo punto, la "prescrizione" per la nuda vita, rispetto alla sua descrizione:Se tale "prescrizione" è il funzionamento della vita, allora è sinonimo di descrizione (quindi, mi stai praticamente "trollando"); se invece è un obbligo non immanente alla descrizione, allora è qualcosa che non può essere logicamente inferito dalla descrizione (e siamo in piena fallacia). Quando parlavi di metafisica, bene/male e radicamento della biologia e nell'istinto, non parlavi di questa coincidenza puramente descrittiva dell'oggetto con il suo dover essere (o no?).
Come dire: descrivo il teorema di Pitagora o la legge di gravitazione, qual è la prescrizione (come la intendi tu)? Che la legge descritta funziona sempre? Ma ciò fa parte del suo esser legge e, soprattutto, non è una prescrizione umana, ovvero quel tipo di prescrizione di cui parla la fallacia naturalistica (larga o stretta che tu le intenda) e che consente di parlare di bene e male (che, non a caso, non hanno senso se applicati al teorema di Pitagora o alla legge di gravitazione, salvo, appunto, cadere in fallacia naturalistica).



A livello della nuda vita, la descrizione coincide con la prescrizione, proprio perche' l'anatomia ti descrive, in quanto essere umano, con la testa attaccata al collo, e la medicina/biologia ti consiglia/suggerisce che non puoi vivere, senza la tua testa attaccata al tuo collo, quindi, di evitare per quanto possibile che te la stacchino, ad esempio con una ghigliottina. Il mantenimento/implementazione della descrizione e', anche, buono, cioe' consigliabile, il suo stravolgimento, specie su tempi brevi e con poca gradualita', e' malvagio, cioe' sconsigliabile. La prescrizione, qui, di mantenerti vivo cioe' in buona misura coerente con la tua tipica descrizione, non e' assoluta, ma parte dal presupposto che tu voglia sopravvivere, cioe' che sopravvivere sia un obbiettivo per te. E anche veder sopravvivere le persone che ami, nella misura in cui le ami. E siccome questo e' quasi sempre vero, per quasi sempre tutti gli uomini in tutti i momenti, tranne forse I suicidi, il nesso tra descrizione e prescrizione a livello della nuda vita e' forte, e' un nesso forte, e quindi anche l'ammissibilita' della fallacia naturalistica... e' pressoche' totale!

Ci sono quindi un sacco di casi in cui noi umani, di oggi, comunemente accettiamo la fallacia naturalistica:

Le case hanno I tetti >>> le case devono avere I tetti.

Gli i bambini hanno due braccia >>> I bambini devono avere due braccia. (E ad esempio, ci scandalizzano per i bambini mutilati dalle mine, e cerchiamo di curarli o quantomeno mettergli una protesi, se essi hanno una malattia o un incidente per cui rischiano di perdere un braccio, soprattutto se sono i nostri figli).

Pochi, invece i casi in cui comunemente, a nostro probabile giudizio, la fallacia naturalistica in senso lato noi non la accettiamo:

I lavoratori di Amazon sono sfruttati >>> I lavoratori di Amazon devono essere sfruttati.

Viene da dubitare, dell'interesse filosofico di una fallacia che implica una riflessione su di essa caso per caso, cioe' che sostanzialmente non e' tale, non e' una fallacia.

Ma il motivo per cui e' nato tutto questo discorso e' che tu pensi che il cogito, il residuo ineliminabile della coscienza sia idoneo a confutare l'illusorieta' della vita.

Tu dici:
C'e' qualcosa di descrittivo e non volontaristico >>> il cogito >>> che confuta l'illusorieta' volontaristica e utilitaristica della vita.

Io ti dico che la vita vuole vivere, e quindi vuole avere, e mantenere, in forma di durata, il cogito. E, proprio volendolo e proprio perche' lo vuole, in una certa misura e per un certo tempo, lo ottiene, e lo mantiene. La volonta' e' (gia') nel pieno della relazione con il suo oggetto, con il suo voluto, al momento e all'atto dell'apparire del cogito. Che poi, non puo' apparire senza la sua relazione reale e immediata con un corpo, con buona pace di Cartesio.

Il cogito insomma non e' l'oggetto di conoscenza che con il suo apparire limita la volonta', ma e' la nuda vita stessa come oggetto comune e universale di tutte le volonta', che con il suo stesso apparire si auto realizza, almeno, appunto, nella sua forma comune elementare minima, e dischiude la possibilita' dell'apparire di nuovi, ulteriori, e piu' complessi, e piu' difficilmente ottenibili, oggetti del volere e del desiderio. Volere il cogito >>> cioe' volere, direttamente, la nuda vita, si supera, certo volendo nel cogito>>> la qualita', e il pudore, e il capriccio, di una, ulteriormente sopravveniente "vestita" vita; ma una obbiettivita', un punto di vista obbiettivo e disinteressato, in tutta questa dinamica e dialettica, non sorge mai.

Poi, tu dici che il male e il trauma, confutano, la natura di illusione volontaristica e utilitaristica della vita. Non ogni conosciuto e' un voluto.

Insomma tu dici:

Se potessimo proiettare la vita come sogno >>> la proietteremmo perfetta. Ma non la proiettiamo perfetta >>> allora la vita non e', illusione e sogno.

Ma io ti dico che tutte le volte che accetti il male che ti capita nella vita e vai avanti, preferisci restare nell'illusione, perche' l'alternativa all'illusione, che e' la vita, e' la morte, cioe' un male e una disillusione ancora peggiore. Non si sopravvivere al male, si sopravvive all'inscindibilira' del bene, dal male, cioe' si sceglie la vita, anche se questa contiene, il male. E proprio scegliendo nonostante tutto e nonostante tutto il male, la vita, si dimostra che essa, la vita non e' un sopravveniente oggettivo e conoscibile contro la volonta', ma, ancora e sempre un oggetto, di volonta'.

L'uomo ricerca il sapere, ma il sapere non e', un oggetto (passibile di descrizione) piu' forte dell'uomo, che, una volta conseguito, lo limiti: e', invece, un riflesso del voler vivere stesso dell'uomo, del suo volersi auto-sentire, in quanto e nella misura in cui, proprio, l'auto-sentirsi, l'avere un senso interno e una riflessione interna, e' forma e condizione stessa della vita e di quasi ogni vita, quantomeno complessa. Voler avere conoscenza, insomma, e' sempre una complicazione, e una co-implicazione, del voler avere e mantenere coscienza, cioe' del voler vivere, e del voler vegliare, vegetare e vigilare, sempre inteso ed intendibile finanche e basilarmente nel senso della nuda vita. E l'avere coscienza ci e' prescritto, dal corpo e dal suo programma di sopravvivenza, almeno nella misura in cui il suo oggetto, l'oggetto di coscienza, un descritto, e un descrivibile. Il descritto, qui, in questo caso, compare, immediatamente, gia', prescritto. Non c'e' "salto" possibile, perche' differenza alcuna, non c'e'.  Fallacia naturalistica. In questo caso, per me, pienamente accettabile.


#7
Citazione di: Phil il 25 Luglio 2025, 19:04:36 PMNon so quali fonti hai usato per intendere la fallacia naturalistica in quel modo, ma evidentemente non sono molto affidabili. La fallacia ha quel nome (naturalistica), in ambito filosofico, perché si applica a descrizioni naturali (della natura, quindi non c'entrano né gli schiavi, né i tetti delle case), sostenendo che da queste descrizioni naturalistiche non sia logicamente corretto derivare logicamente prescrizioni etiche. Indizio: nel bistrattato articolo di Wikipedia, al punto «Metaetico» (che direi è quello che qui ci interessa) c'è un link alla legge di Hume.
Un esempio sarebbe sostenere che: «la dualita' metafisica essere = conoscenza e bene/ e nulla = ignoranza e male [sia] radicata nella biologia e nell'istinto di sopravvivenza» (citazione dal post 92).
Il fatto che dopo un trauma non sempre ci si uccida non dimostra che, come sostenevi, «quello che conosci > rientra, sempre necessariamente > in quello che vuoi» (cit.). Dimostra che, constatazione che nessuno qui ha mai messo in dubbio, il suicidio è molto meno istintivo, culturale e "praticato" dell'attaccamento alla vita (come confermano le scienze che studiano la vita e gli umani, anche se decidiamo di far finta che non siano abbastanza "oggettive" da essere affidabili).


La fallacia naturalistica, primariamente, si puo' intendere in senso ampio, come ogni situazione in cui, da una descrizione, derivi una prescrizione.

Vale per le case, per la schiavitu', per ogni possibile situazione consimile per tutto. Ogni volta che da una descrizione, si salta capsiosamente a una prescrizione, la fallacia naturalistica e' in agguato. Le Ferrari (macchine) sono sempre state rosse, le Ferrari devono continuare, ad essere, rosse.

Poi, secondariamente direi, si puo' intendere in senso stretto, come qualcuno che dia giudizi, o consigli o derivi norme comportamentali prescrittive in base al concetto che cio' che e' naturale, sia buono, e cio' che e' innaturale, sia cattivo.

In natura i pinguini non sono omosessuali, quindi, l'omosessualita', anche umana, e' un abominio.

Ma i gibboni hanno un'alta percentuale di omosessuali, quindi l'omosessualita', anche umana, e' una meraviglia. 

Si puo' andare avanti all'infinito. Il passo successivo, e' stabilie se sia piu' rappresentativo di un essere umano un pinguino, oppure un gibbone. O meglio ancora: lasciare perdere.

Mi pare(va) ovvio che ne stavamo parlando in senso lato, perche' io, scusa, in questa sede non ho mai dato consigli a nessuno, non ho giudicato nessuno, e non mi sono mai appellato alla natura come naturalita' o come vitalusmo per giustificare una mia, qualunque posizione etica (che poi quale sarebbe? Non ne ho espressa nessuna...).

Ho detto solo, in estrema sintesi, che la descrizione, della coscienza, vale identicamente [anche] come prescrizione, dal momento che ognuno vuole avere e mantenere per se' vita, e quindi, coscienza. Se ti e' prescritta la vita, ti e' prescritta la coscienza. E quindi, la coscienza stessa non si struttura a casaccio, ma per durare, e per restare. E anche per non restare e autodistruggersi, a certe condizioni, perche' la selezione naturale stessa non e', solo individuale, e' individuale e anche di gruppo, mentre, a quanto pare, la coscienza e', solo individuale. Non possono non esistere situazioni e strategie perfettamente razionali, ai fini di un gruppo ma distruttive e irrazionali, ai fini di un singolo; ad esempio tutte le situazioni di apoptosi e morte programmata. La vita e' iscritta fin dall'origine in un proggetto volontaristico, di autoperpetuazione e autoaccrescimento, sebbene a-finalistico, e ad origine (extra vitale) casuale. La nostra coscienza, si struttura nella vita, quindi, in questo stesso proggetto essendone parte in causa, possibile ostacolo, possibile risorsa, possibile oggetto di contesa, possibile mezzo ad altri, e ad essa esterni, fini. Non e' l'osservatore, non e' l'arbitro, non e' il testimone; semmai, in senso sportivo e' essa stessa un giocatore; in senso processuale e' una della parti in causa, e' l'avvocato o l'imputato. Insomma ho fatto una fallacia naturalistica, in senso lato, perche' ritengo che in un certo dato ambito, quello della nuda vita, la fallacia naturalistica intesa in senso lato (cioe' la "violazione", della legge di Hume "originale", non come ripresa e riformulata da Moore) non sia una fallacia. Ma una cosa giusta /vera, e a tratti perfino ovvia.

Ma certo non ho detto a nessuno cosa fare, o cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, appellandomi alla natura.

E bada, che la fallacia naturalistica in senso stretto, come tu ora improvvisamente la intendi, e altrettanto improvvisamente me la imputi, prevede che dalla natura, si derivi cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, cosa sia consigliabile e cosa no, non, cosa sia vero o falso da un punto di vista strettamente gnoseologico o conoscitivo, (a-etico, altriche' metaetico!) tantomeno da uno, di punto di vista, che parta dalla natura, e nella natura resti, per dire di un fatto naturale, senza dare, consigli o giudizi.

Quindi, se non ho provato a venderti una crema dimagrante o non ho detto che tutti gli omosessuali sono pervertiti e l'aborto e' un omicidio a partire dalla potenza prescrittiva della natura, e non mi pare sia questo il caso, evita per il futuro, di imputarmi la fallacia naturalistica in senso stretto completamente a caso.

#8
Attualità / Re: Guerra in Ucraina III
25 Luglio 2025, 18:31:19 PM
Chissa' se Gergiev potra' infine dirigere la sua musica a Pokrovsk...

Occidente discutibile, ma Italia terra d'eroi di sicuro...
#9
Citazione di: Phil il 25 Luglio 2025, 15:03:51 PMMi concederai che se usi la parola «illusione», ci insisti, non la definisci e poi dici che in realtà non intendevi «vera illusione», mi rendi un po' difficile cercare di seguirti (ho solo le tue parole come punto di contatto con i tuoi pensieri); ma è un "buona palestra" anche questa. Comunque, è importante aver capito che l'illusione "vera" non c'entra, siamo (infine) d'accordo.«Sempre» e «necessariamente» sono parole molto impegnative; infatti non sempre ciò che conosco rientra in ciò che voglio. Spesso veniamo a conoscenza di realtà che non avremmo voluto fossero tali, ma le conosciamo pur non volendo e pur non volendole. Si pensi ad esempio ai traumi, o a ciò che semplicemente non avremmo voluto vedere o sapere, ma di fatto, purtroppo, abbiamo conosciuto; contro, prima e/o fuori della nostra volontà (a te non è mai capitato? Pensaci bene).In realtà non ho mai detto quello che il filosofo deve fare o studiare (correggimi pure se sbaglio), ma quello che il filosofi può fare (come quando dico che la filosofia può essere anche epistemologia, può dialogare anche con altre discipline senza chiudersi in sé stessa, etc.), fino a spingermi ad affermare che la filosofia può essere come la definisci tu, l'importante è usare lo stesso significato quando usiamo quella parola (per cui non posso certo assegnare doveri a ciò che non definisco rigidamente). Potere non è dovere, e questa differenza è fondamentale per capire tutto quello che ho scritto finora.
Ho citato Wikipedia per praticità, ma sono sicuro che sai approfondire da solo la questione. Tu stesso hai già fatto esempi di fallacia naturalistica e io l'ho esemplificata al volo (male fisico → male etico). Capisco se non ti fidi di me, quindi evito di dare lezioni "più grandi di me", ma non salterei frettolosamente alla conclusione che «se Wikipedia non lo spiega con un semplice esempio per bambini, allora la fallacia naturalistica è solo "ciofeca cervellotica"». Approfondisci tu stesso online o offline così la (e mi) capirai meglio (se sei interessato, ovviamente è solo un consiglio). Approfondendo, scoprirai ad esempio che la fallacia naturalistica non afferma che descrizione e prescrizione sono in contraddizione (come nel tuo esempio del cavallo, che è l'ennesima fallacia naturalistica, se mai mancassero esempi migliori).

Sul fatto che l'autentica filosofia debba per te essere l'eudemonologia "platonico-americana"(!), non ho obiezioni (stante il «per te»), ma sulla separazione fra descrizioni e prescrizioni spiegata spezzando un gatto in due, pur volendo spiegarla a un bambino, mi permetto di invitarti ad un'analisi un po' più filosofica attenta (e qui ritorna utile l'approfondimento consigliato sopra).


P.s.
Con quel «visto che ti piace tanto» riferito a Cartesio, dopo che lo avevo persino confuso con Pascal, mi hai strappato un sorriso, grazie.


Io penso che ci sono un sacco di ambiti, nella vita, in cui e' pienamente corretto derivare le norme dai fatti:

Le case hanno i tetti >>> le case devono avere i tetti.

Gli uomini hanno la testa attaccata al collo>>> gli uomini devono, avere la testa attaccata al collo.

Prova a vivere senza testa o in una casa fatta di solo pavimento e pareti e poi ne riparliamo. Non sara' una verita' universale, questa, ma e' vera nella misura in cui tu vuoi vivere, e vuoi veder vivere le persone che ami, e vuoi vivere in una casa decente, e vuoi vedere le persone che ami, vivere, in una casa decente.

Non si puo' "enunciare" la fallacia naturalistica perche' non ci sono, esempi universalmente validi di essa. Validi cioe', in base alla forma stessa del possibile enunciato. Come nella vere, e facilmente esemplificabili, fallacie logiche.

Bisogna, o meglio, bisognerebbe, invece, per tentare, invano, di "enunciare" (che poi, un vero, enunciare non e' e non sara' mai perche' la verita', di quanto enunciato, non dipende e non dipendera' mai, dalla forma, dell'enunciato stesso) la fallacia naturalistica, toccare casi limite, del tipo:

Quelli che raccolgono i pomodori, in Puglia, sono pagati poco [fatto, su cui tutti, tranne forse i matti completi, saranno perfettamente d'accordo]

>>> che evidentemente non giustifica, e non e' equivalente a:

>>> Quelli che raccolgono i pomodori, in Puglia, devono, essere pagati poco [affermazione prescrittiva: chiunque sia comunista, o un minimo progressista, o un raccoglitore di pomodori diretto interessato non sara' d'accordo, e non lo sara' pur essendo d'accordo, con la prima, versione, dell'enunciato].

I latifondisti sudisti, hanno gli schiavi neri

>>> non giustifica, e non e' equivalente a:

>>> i latifondisti sudditi devono, avere gli schiavi neri.

Evidentemente, non tutte le prescrizioni, derivano dalle descrizioni, ma la maggior parte, si'.

La nuda vita e' sia una descrizione, che una prescrizione. Da cui l'anatomia e tante belle cose simili. La medicina, a un livello molto basilare, si limita, ad aggiustare, quello che non funziona.

Il tuo cuore, definitivamente e irrimediabilmente non funziona (piu') >>> o fai un trapianto, o muori.

Non e' che ci siano molti filosofemi o alternative in merito. E io parlo, e parlavo di nuda vita.

Quante volte, tu hai ricevuto una brutta notizia e non ti sei suicidato?

Ecco, tutte quelle volte, tu, hai continuato a vivere. Hai riconfermato la vita, la tua vita, come voluta. Alla meno peggio, come un voluto. Brutta notizia compresa. Hai soppesato, hai simulato con la mente i vari scenari, e hai visto che la morte, la tua, morte, sarebbe stata un brutta notizia, ancora peggiore. Di quella appena ricevuta. In mancanza dell'onnipotenza, e di un mondo ideale, hai voluto fare quello che potevi, per andare avanti.

E quindi, chi davanti al trauma non si suicida, riconferma la vita, e dunque con essa la coscienza, e tutti gli oggetti, i concetti e le rappresentazioni che essa contiene, come oggetto di una, attuale, effettiva sua scelta e, quindi, anche, come una soggettivamente avvertita, necessita'. Necessita' per la vita, stante che di una vita, non si puo' vivere, selettivamente solo quello che si vorrebbe o si vuole, di una coscienza, non si puo' esperire selettivamente solo quello che si vuole, e che l'alternativa al viverla, tutta intera, tale vita nella sua innegabile indivisibilita' (il cogito, la monade), sarebbe la morte. Chi si suicida, la riconferma comunque, la sua vita, come astratta, possibilita', contro almeno un'altra singola, di possibilita', quella rappresentata dal suicidio stesso.

Proprio dopo il trauma come non ridere, di chi voglia studiare la vita come un oggetto di coscienza o di conoscenza neutro, dantesi a prescindere dalla volonta'. Anzi, forse proprio questa e' l'unica cosa che, dopo il trauma, comincia, o continua, a farci, ridere.

La vita, o e' scelta direttamente necessaria a se stessa, o e' possibilita' languente e galleggiante tra le altre, di possibilita'. Quello che essa non e', e' proprio il darsi neutro di una verita' o di un oggetto. Cio' che appare, appare gia', nel proggetto, di una volonta'che lo vuole. Anche solo continuando a vivere, e sopravvivendo a tale apparire. Per perseguire l'obbiettivita', e magari la salvificita' in quanto tale del sapere, la superiorita' del noetico in generale sulla volonta' in generale e sul voluto, bisogna, o meglio bisognerebbe, ignorare tale proggetto, ed e'giusto, e dignitoso, a un certo punto della storia del pensiero, smettere, di ignorarlo; smettere di pensare, che la conoscenza sia indisponibile alla volonta', e magari buona, e salvifica, proprio per questo. Quello che e' sempre e comunque voluto, un voluto, magari non sara' illusione, ma non puo' essere e non sara' mai, nemmeno, gelida, e intellettualmente divisibile obbiettivita'.
Sopravvivere nonostante, l'indivisibilita'del bene, dal male, e' sopravvivere, direttamente alla, indivisibilita' del bene, dal male. Al problema che essa in quanto tale e in quanto indivisibilita' pone. Accettare che la vita e', restare interi, restare monadici, e quindi, anche convivere con la memoria del male subito, che ormai, una volta avvenuto il male, fa parte di noi, e della nostra, vitalmente necessaria, e direttamente alternativa alla morte, interezza.





#10
Citazione di: InVerno il 25 Luglio 2025, 09:41:00 AMC'è il vicino oriente, il medio oriente, quello lontano, l'europa orientale e una volta anche l'impero romano d'oriente, ho paura che come sosteneva Said "oriente" in occidente è finito per significare semplicemente lontano, esotico, diverso. Per occidentale si intende una cultura, quella europea continentale e postcoloniale, che ha delle radici etnico religiose linguistiche comuni, per oriente si intende Cina, India, Filippine, e il minimo comune denominatore proposto sarebbe il collettivismo, cioè un eufemismo socialista per giustificare gli scarsi diritti dell'individuo, insieme ad altri parenti altrettanto capziosi come il "centralismo democratico", la tecnica è sempre la stessa giustificare una privazione (democrazia, diritti) con un sistema migliore (centralismo, collettivismo) che alla fine dei conti è solo la somma di quelle privazioni, il negativo di una foto all'occidente, ecco cosa è l'oriente.


Dev'essere per questo, che una volta giunti, in un dato luogo o in un dato tempo, allo stato mistico di "occidentalità ", quasi tutti gli individui appartenenti a quel dato luogo o a quel dato tempo, razionalmente smettono, di fare politica in un modo e in un senso conflittuale, tranne quelli che continuano a farla, con il segreto (e in realtà altrettanto razionale) intento, di rimorchiare.

Nella vita, e dal paleolitico ad oggi, o si lotta, e si scende in piazza, per essere democratico occidentali, o si lotta, e si scende in piazza, per rimorchiare.

E un poveraccio di maschio adolescente brufoloso ai suoi primi tentativi di avere un'autonomia personale non potrà nemmeno decidere liberamente per quale delle due, no, la cosa dipenderà, come un ennesimo automatismo, dall'anno e dal posto in cui questi è nato.

Nonni partigiani, nipoti rimorchiatori. Ucraini di Maidan eroi, italiani rimorchiatori.

E' un mondo difficile, non c'è che dire.





#11
Citazione di: Phil il 24 Luglio 2025, 14:12:51 PMQuesto è invece un (altro) buon esempio di fallacia naturalistica; pensaci bene (soprattutto se associ il desiderare al "bene" e lo strappare l'occhio al "male", ossia confondendo "male" fisico con male etico).


Che, a livello della nuda e semplice vita, la descrizione coincida con la prescrizione, mi sembra indubitabile. Prova a vivere senza testa, o senza cuore. Stiamo sempre all'ancoramento al corpo del cogito cartesiano, come residuo, dopo il dubbio, di indubitabilità.

Invece, ho notato che wikipedia, alla voce fallacia naturalistica, non ci degna di un esempio, di fallacia naturalistica.

Ci sono esempi, invece, alla voce "fallacia dell'uomo di paglia", fallacia della brutta china, petizione di principio eccetera.

Il motivo per cui il filosofo non è un ermeneuta o uno gnoseologo, è proprio perché il filosofo sa', che una cosa, una certa affermazione, se non si può spiegare con un esempio a un bambino di sette otto anni, a livello prettamente filosofico, quella cosa è spazzatura. Non aiuta, a vivere meglio.

Può essere interessante ermeneuticamente, gnoseologicamente, scientificamente, può essere anche vitale e decidere del destino di tantissime persone, può perfino in certi casi giustificare lo stipendio che prende un professore universitario, ma una cosa, se non si può spiegare con un semplice esempio, resta una "ciofeca" ai fini della filosofia intesa nel suo senso originale e originario.

La vita, può anche non essere considerata consegnata ad una volontà assoluta o mistico idealistica poiché essa nasce per caso, e avrebbe potuto anche non nascere, ed è assente in certi (immensi) luoghi e tempi e presente solo in certi (pochi) altri, ma noi siamo in quel caso, siamo nati fisicamente e simbolicamente nel caso che è la vita, e non troveremo metodo gnoseologico ed ermeneutico migliore, che non esaminare la serie di circostanza e micro-casi che quel macro-caso, rendono possibile.

Un gatto, vuole vivere, sia nel senso che lui preferisce vivere, insomma sente la preferibilità del piacere rispetto al dolore, sia nel senso che, stante e posto come a priori che vive, può vivere solo in un certo conchiuso e limitato modo o serie di modi, e non in un altro, o serie di altri. Avere quattro zampe e non tre, è il bene del cavallo, e rientra nell'idea platonica di cavallinità anche intesa nel suo valore noetico, causale e gnoseologico. Se vediamo un disegnino di un cavallo con tre gambe, è meno probabile che lo riconosciamo immediatamente come disegnino di un cavallo, che non se lo vedessimo fatto "meglio" e con un po' più di cura, con quattro. I due sensi, descrizione del cavallo, e prescrizione, del bene, del cavallo, non sono in contraddizione tra loro.

Ci viene in aiuto anche la monade leibniziana: se spezzi in due un sasso, adesso hai due, sassi.

Se spezzi in due un gatto, adesso hai ancora un gatto, morto.

Il gatto è più vivo, del sasso, nel senso che è meno, divisibile, in parti uguali, simili, o equivalenti, rispetto ad  esso. E' più vicino al concetto di a-tomo, indivisibile, sebbene rideclianto in senso non fisico, ma spirituale.

E come non puoi dividere in due un gatto senza ottenere un gatto morto, non puoi, a livello della nuda vita, dividere in due una descrizione da una prescrizione, senza ottenere una nuda vita, morta. Il gatto, è intero e deve, essere intero. Non c'è niente, di più lezioso e d inutile, che stare a dividere questo essere, da questo dover essere. Quantomeno dal punto di vista del gatto. E di chi lo ama. E ne piangerebbe la morte eccetera eccetera. Ma anche se uno fosse radicalmente egoista e amasse pochi o nessun altro essere al di fuori di se', e non fosse propenso a piangerne la morte, quantomeno, avrebbe il punto di vista della vita e della nuda vita, valido per se stesso e in considerazione di se stesso. In cui la descrizione, coincide, con la prescrizione.


#12
Citazione di: Phil il 24 Luglio 2025, 14:12:51 PMEppure tale "illusione utile alla vita" viene di fatto «indagata ad un livello, e con un intento, [...] gnoseologico o categoriale». Tu stesso definendola «illusione utile alla vita» la categorizzi (e lo fai ancor più innestandola nel discorso volontaristico simil-nietzschiano con le sue ulteriori categorie) e tutte le scienze che si occupano della volontà e del volere (dalla psicologia alle neuroscienze, passando per la sociologia e l'antropologia), si occupano proprio di quello che secondo te non si può studiare. Altrimenti quelle discipline di cosa parlano, quando parlano di volontà, desideri etc.?



Come te lo devo dire? Un illusione utile alla vita, non è una vera illusione (mannaggia a me e a quando l'ho chiamata così, che tanto la gente si attacca sempre alle parole) ma è un vero voluto, perché la vita è un oggetto di volontà. Ed è anche un'unica ed auto conchiusa possibilità, e quindi una relativa necessità, a livello ontico, perché non si può esistere, al di fuori della vita.

Quindi, c'è una gerarchia che indica anche un contenimento, se vogliamo, insiemistico, nel rapporto, unico possibile, tra volontà e conoscenza:

quello che conosci > rientra, sempre necessariamente > in quello che vuoi.

[Quantomeno perché gli organi di pensiero e di senso, si sono formati biologicamente ed evolutivamente, e a fini biologici ed evolutivi funzionano. Il cogito, anche inteso come residuo ineliminabile dopo un'applicazione metodica del dubbio, e' utile alla vita, e non può esistere, senza un corpo. Quando lotti per la vita, lotti anche per l'ultimo barlume, della coscienza/residuo, come può capire, senza tanti filosofemi e chiacchiere, chiunque si sia trovato, almeno una volta, in evidente ed immediato pericolo di morte, tipo scampato ad un incidente un annegamento eccetera.]

Viceversa

quello che vuoi > non sempre e non necessariamente, rientra > in quello che conosci.

Quantomeno perché è esistito Freud, e non mi dilungo.

Questa gerarchia, nel paradigma metafisico, appunto, platonico cristiano, cammina coi piedi per aria, nel senso che la temperie intellettuale e culturale corrispondete a tale paradigma è che: quello che vuoi, sempre rientra in quello che conosci, quello che conosci, non sempre rientra in quello che vuoi. Basti pensare a Cartesio, visto che ti piace tanto: l'intelletto, secondo Cartesio è virtualmente infallibile, la possibilità dell'errore, è attribuibile all'ambito della volontà, la quale "rfallisce", proprio perché, e nella misura in cui NON, si adegua e non si conforma all'intelletto. E invece, secondo me, che sono un anti cartesiano, la volontà, è infallibile, l'intelletto, è passibile di errore. Mi auguro, spassianatamente, un "adeguamento" di segno, e di gerarchia, direttamente opposta.

Io dico che il filosofo, debba fare una scelta, non indicare cosa si possa studiare e cosa no. Nell'ambito delle scienze e delle altre discipline. Quello, lo dici tu.










#13
Citazione di: Phil il 23 Luglio 2025, 15:36:12 PMUna illusione che di fatto mantiene vivi è un'illusione? Potremmo dire che respiriamo e ci cibiamo di illusioni, quando se non respiriamo e ci cibiamo accade la morte? Anche essa è un'illusione?
Dipende tutto da cosa intendiamo con «illusione»; per questo mettevo in guardia dal maneggiare questo concetto senza preoccuparsi delle sue conseguenze quando poi si parla di altre discipline o, in questo caso, di mera soddisfazione di bisogni primari (che siano o meno intesi come forma primitiva di desiderio, o qualcosa di totalmente altro).
Questa è la nota fallacia naturalistica (qui in sintesi ) elevata alla potenza di quel nozionismo umanistico e matafisico di cui ancora non si riesce a fare a meno (nonostante le lezioni del novecento). I concetti di «bene» e «male», per quanto possano sembrare scontati nel nostro ragionare umano, non hanno nulla di minimamente biologico. Non siamo spinti dal nostro istinto a mangiare perché «ciò è bene», o perché «restare vivi è bene», ma solo perché la nostra natura ci "programma" per farlo (e che tale programma sia metafisicamente "rivolto al bene" è ciò che rende fallace quel tipo di ingenuo "naturalismo"). La nostra interpretazione (che moraleggia e religioneggia sull'istinto naturale fino a definire «male» il suicidio) non usa categorie né naturali né biologiche quando parla di «bene e male» in quel contesto.
Altrimenti: quali sarebbero tali nessi "causali" fra biologia e morale (che è ciò che si occupa di bene/male e che, guarda caso, non è "scientificabile")? Sappiamo già dove portano queste banalizzazioni tipo vita=bene e quanti asterischi poi ci si finisca col mettere («in realtà dipende da questo... c'è però questa eccezione... è vero, ma non nel caso in cui... etc.»).
Un atomo che decade o una reazione chimica sono bene o male? Oppure la natura ha un "contenuto" di «bene e male» solo quando è relativa al "giardiniere dell'Eden", alla "creatura eletta", a "noi che siamo davvero intelligenti e quindi superiori agli altri animali", etc.?
Manca il (meta)criterio che possa coniugare intelletto e volontà per sancire eventuali errori: quando l'intelletto ci dice di non uccidere il prossimo anche se vogliamo farlo (e le mutazioni biologiche, oggettive, del nostro corpo quando siamo adirati ci preparano a farlo e "non mentono"), tale intelletto è in errore contro la volontà della vita?
Di nuovo: usiamo il nostro intelletto (con annessi imprinting culturali e, volenti o nolenti, religiosi), non certo la volontà, per scegliere cosa preservare dell'istinto, perché è "bene", e cosa invece scartare, seppur parimenti istintivo, perché è "male". Solo una volontà addomesticata dalla ragione può parlare di errori; una volontà che non ragiona è solo istinto (e sappiamo quale è il suo ruolo in una società umana, reale o ideale che la pensiamo).
Il senso del tempo non è «l'aumentare a valanga del passato» più di quanto non sia «l'aumentare a effetto domino del futuro» in cui non vi è «la sconfitta della volontà umana quale...» ma la sua possibile realizzazione, proprio nel senso di diventare realtà. La creatività umana è sconfitta se pensa di cambiare retroattivamente il passato, come un cecchino che prima preme il grilletto e poi inserisce il proiettile (non mi intendo di armi, ma credo si capisca). La materia non passatificata direi che è per definizione il futuro ed è a quello che si rivolge una "sana" creatività e volontà: se voglio creare una mia azienda, non è al passato che devo mirare per pianificare le mie attività (quello che mi torna utile è un calendario degli anni futuri, non passati).
Di fatto non è necessario che mi piaccia; l'importante, per intendersi, è avere una comune definizione di filosofia. Possiamo anche concordare che la filosofia è metafisica, che la filosofia è scienza dell'invisibile oppure edonismo, onanismo o altro; l'importante è capirsi (anche cestinando qualunque coerenza filologica e storica del termine). Potrei comunque obiettare che la filosofia americana (non quella stereotipata della cultura pop americana) non parla di sé stessa esattamente come «stile di vita finalizzato alla ricerca della felicità e dell'autenticità», nel senso che i filosofi americani (sempre se concordiamo su quali essi siano; evito di fare nomi) non sono in generale affatto estranei al desiderio di capire il mondo in senso epistemologico (tuttavia, come detto, l'importante è avere fra noi un linguaggio comune).
Qualche post fa, non a caso, citai Derrida... quindi proprio per questo non possiamo che concordare che l'ermenutica (che dice anche ciò che hai appena scritto sulla presenza, sulla disseminazione, etc.) non sia propriamente una "caduta della filosofia".
Puoi definirla tale alle luce della tua definizione di filosofia? Certo, se tutto il discorso sulla "sostituzione della presenza", sull'invio di senso, sul circolo ermeneutico, sulla storia degli effetti, etc. per te non ha nulla di filosofico.


Te l'ho gia' detto nel mio post 92: un'illusione che di fatto mantiene vivi, e' primariamente un oggetto di volonta' e di desiderio, e' un voluto (chiunque a livello fisiologico vuole vivere, e, a livello intellettuale e conscio quasi chiunque lo vuole, tranne forse i suicidi) e quindi, tale "illusione utile alla vita" NON (e questo e' il punto fondamentale: NON) puo' essere indagata ad un livello, e con un intento, puramente gnoseologico o categoriale.

Basti comprendere il complesso rapporto tra Kant e Schopenahuer: il soggetto che conosce, NON puo' essere a sua volta conosciuto, ed esso E' (coincide con) la volonta' di vivere, proprio nella misura in cui, la vita "apparente" stessa, cioe' la rappresentazione, il grande teatro del mondo, e' oggetto di volonta' e non "oggetto" neutro.

L'oggetto di desiderio sovrasta, l'oggetto di conoscenza, e comprendere questo, rappresenta la fine del grande sogno, sia classico che positivista, di una conoscenza neutra oggettiva, cioe' sovrastante il desiderio, e potenzialmente anastetizzante il desiderio di per se stessa, e quindi, anche, eticamente "buona" per questo, per questa sua "drogante" potenzialita', state che il desiderio, sia primariamente sofferenza, e quindi un qualcosa di negativo, da estinguere. La volonta' NON puo' essere conosciuta, quantomeno non con categorie analitico divisive puramente intellettuali, perche' essa e' l'attivita' incessantemente ed eternamente conoscente che persegue, e mantiene, la vita quale oggetto di desiderio. 

Due piu' due fa quattro e magari, apparentemente, non si puo' realizzare una volonta' volente diversamente, tipo, che faccia cinque, ma il fatto che due piu' due faccia quattro e' gia' di per se' una illusione utile alla vita nel suo proggetto di perpetuarsi e riprodursi, e' gia' un voluto sebbene apparentemente non ammetta altri e il realizzarsi di altri. E lo e' proprio perche', diversamente, accade, la morte. In un modo deserto dagli uomini e dalla loro presenza, due piu' due, non fa quattro. E non fara' quattro, neanche quando, saremo sottoterra.

Derrida e' un critico della metafisica della presenza, e un fan della piena leggittimita' filosofica della scrittura, ma io sono rimasto al Fedro di Platone, sara' perche' ho trovato una . Certo per lui la scrittura e' cio' che lascia traccia, e quindi, cio' che e' idoneo a modificare la struttura pre-nascita e post-morte del mondo in relazione all'uomo, superando, la metafisica della presenza stessa. Condividiamo la scrittura con gli animali, perche' anche loro, proprio nel senso che ho detto adesso, lasciano traccia.

Io, dicevo solo che la base eudaimonistica e politica della filosofia e' un concetto molto americano, ma che e' sano e giusto, e che c'e' fin dai primordi. Sebbene in modo meno individualista, di come lo declinerebbe un americano medio.


La fallacia naturalistica non c'entra niente, perche' la fallacia naturalistica e' corretta a livello della vita e soprattutto della nuda vita, dove la descrizione, coincide, almeno in grandi linee, con la descrizione. Avere un occhio, presso in corpo umano e' un fatto descrittivo e descrivobile, ma molti, tra i vivi, avrebbero qualcosa da ridire se glielo strappassero. E ne proverebbe grande dolore.  E' evidente; che il loro occhietto lo desiderino, sia in quanto tale, sia in quanto mezzo, utile per altri, fini e proggetti.



#14
Citazione di: Phil il 19 Luglio 2025, 16:55:08 PMLa domanda esistenziale sulla conoscenza non «si acquieta e si paga nel riscoprire se stessa forma e manifestazione del desiderio», giacché di tale quiete e appagamento non scorgo traccia, né nell'etica (quando la bioetica confligge con la conoscenza come poter fare), né nell'estetica, né in riflessioni esistenziali sulla conoscenza (e tantomeno, ovviamente, nell'epistemologia). Qualcuno può di certo trovarvi quiete e ristoro, ma non è una posizione che estenderei a discorsi più generali, come quello in corso.Riecco in azione la confusione fra metafisica e filosofia: nel secolo scorso la caduta dell'una (parte) è stata la liberazione dell'altra (tutto); magari può non piacere, soprattutto ai metafisici, che quindi parlano di secolo triste, ma è stato triste solo per quelli che si illudevano la filosofia sarebbe stata per sempre "la più bella del reame" (e quanto accaduto all'altra compagna di metafisica, ovvero la teologia, non è un caso).
In campo scientifico la filosofia non può essere più che epistemologia e se ciò viene visto come un difetto o una "caduta", di nuovo, si sta ancora ragionando con velleità meta-fisiche di altre epoche; ovvero ci si è persi almeno due o tre secoli in cui la filosofia, inevitabilmente, si è ristretta lasciando spazio a discipline più autonome e specializzate. Il che può essere un "male", appunto, solo se si intende la filosofia in modo "medievale", ossia come un regno che deve espandersi fino a conquistare il mondo intero, sottomettendo le altre discipline perché è lei quella trascendente spazio e tempo.
Si è passati dalla filosofia delle origini, che era anche umiltà del non-sapere, alla filosofia come armata del Risiko nello scibile umano; ora pare la filosofia stia ricalibrando la sua "messa a fuoco" su obiettivi che le sono più consoni (detto altrimenti: non è caduta, è solo riatterrata da un salto troppo ambizioso e se dice che "l'uva non è matura" non ne esce certo con più dignità).Che l'ermeneutica sia «nota a margine sul lavoro altrui» (v. sopra) o sia «negazione stessa della filosofia» mi sembra una svista e, nel dubbio, ripassare la storia dell'ermeneutica filosofica del novecento credo chiarisca sia cosa sia davvero l'ermeneutica, sia ogni dubbio in merito alla sua dialogicità.


La filosofia non e' ne' tuttologia ne' metodo, e' uno stile di vita finalizzato alla ricerca della felicita' e dell'autenticita'. Questa spiegazione, tutta americana, non ti piacerà ma amen.

Diventare gnoseologia, ermeneutica eccetera e' un destino di caduta della filosofia: la filosofia non e' ancella ne' della fede ne' della scienza, semmai, e' il controllo politico e sociale, della fede e della scienza, che e' altra cosa, rispetto all'ancillarita'.

Tu vuoi il metodo per interpretare correttamente o in buona fede o spassionatamente un testo, Platone ti direbbe vai a chiedere direttamente all'autore o lascia perdere. Se proprio e' morto o irraggiungibile, E se proprio non vuoi lasciare perdere, chiediti se ci sono obbiettivi comuni tra te e l'autore e se te la senti di continuare a perseguibili. In ogni caso, la scrittura prolifera nelle sue infinite interpretazioni, proprio perche' fallisce nel sostituire una presenza.


 

#15
Citazione di: Phil il 19 Luglio 2025, 16:55:08 PMIl passaggio dall'inamovibile/immodificabile Verità divina, alla abbozzata e dinamica verità post-divina (fosse anche solo post-verità), è il marchio dell'attualità; doveva morire Dio affinché la verità potesse risorgere in tutta la sua umanità (e che il rapporto umano con il mondo sia pura illusione e desiderio è forse un spunto buddista, comunque di non facile coniugazione con l'epistemologia, e ancor meno con politica e dintorni).Non vedo cosa ci sia di impossibile ed eticamente non auspicabile, in ottica post-metafisica, nel farsi passato del presente (di oggetti o soggetti che sia). Forse il paradigma post-metafisico (se proprio vogliamo impropriamente usare il singolare) è contro il tempo o non ha bisogno del tempo o aspira al senza tempo? Forse l'etica, fuori della metafisica, è un'etica che non ha bisogno del passato? Non ti seguo.



La passatificazione del futuro, fa problema perche' il passato e' il regno dell'immodificabile e dell'inattingibile alla volonta': il passato non si puo' cambiare. E quindi, se il senso del tempo e' l'aumentare a valanga del passato, allora il senso del tempo e' (anche) la sconfitta inesorabile della volonta' umana quale continuo proggetto creativo, che in quanto tale continuamente prevede una materia malleabile alla creazione, una materia fangosa e morbida, e quindi, per assurdo, una materia non passatificata. 

La conoscenza, se ne infischia della volonta'. Se tu sai che due piu' due fa quattro, questa verita', non la puoi cambiare. Il passato, se ne infischia della volonta', e tutti noi vivi, che non in un certo senso conosciamo la morte, quale morte del se', conosciamo pero' il lutto, quale morte dell'altro. Passato e conoscenza, hanno in comune di prescindere dalla volonta', di metterla fuori campo, e sono praticamente la stessa cosa nella misura in cui la conoscenza e' flusso interiorizzato del tempo conoscenza-del-passato.

Il paradigma metafisico e' fondato sulla preminenza della conoscenza sulla volonta'. L'oggrtto di conoscenza, ci si presenta indipendentemente dalla volonta' e proprio da questo suo esserne indipendente e non da altro si riconosce come tale, e puo' rapresentare una possibilita' di sallvezza, di vita migliore, proprio nella misura in cui la volonta', e con essa la sofferenza, nella contemplazione di esso e nella partecipazione ad esso, si acquieta. Tutti vogliono il bene, non tutti lo conoscono. La forma universale della preminenza della conoscenza sulla volonta', e' proprio l'irreversibilita' del passato e la rammemorazione del passato, la dimensione memorica in cui vive l'uomo. Se si vuole (ri) mettere sul trono la volonta' come potenza creatrice infinita, bisogna ridimensionare, potenza della conoscenza e potenza del passato. E queste cose, si ridimensionano (solo) accettando che viviamo in una illusione utile alla vita e non in un mondo oggettivo o dantesi a prescindere da noi.
Non puoi (veramente) uccidere Dio, se permetti alla conoscenza o al passato di prendere immediatamente il posto del cadavere di Dio, se continui a considerarle cose-che(come fu Dio)-non-si-possono-cambiare.