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Messaggi - Brugmansia

#1
Ma è stata proprio la verità che ho sperimentato fino a questo momento la causa del mio isolamento.
La ricerca puoi farla solo in solitudine, senza tutto quel chiacchiericcio, quel rumore di sottofondo che ti disturba e ti distrae...
L'unica verità a cui sono giunta è che si nasce e si muore soli. In mezzo, poche presenze e troppe comparse.
Scusate, spero di non portare negatività.
#2
Per quel poco che so, è alla base di molte scuole di pensiero (per esempio quella buddhista) il non-attaccamento. E penso sia giustissimo. In un eremo tra i monti forse posso riuscirci: mi basta quello splendido paesaggio e una scodella di riso. Ho delle albe e dei tramonti così belli... di che altro potrei aver bisogno?
Ma io (purtroppo) mi affaccio tra lo smog, il traffico e la gente incarognita (come me) che conduce un'esistenza stressante di cui non capisce il senso. È difficile non attaccarsi a niente.
È difficile non desiderare qualcosa (che sia un amore o un oggetto) che mi distragga momentaneamente dalla mia condizione di topo nel labirinto.
Posso provare a ridurre la mia smania: comprare meno e rassegnarmi al fatto che l'amore eterno non esiste (è già tanto che superi una scadenza breve, figuriamoci). Ma ridurre non è eliminare.
E su larga scala (in risposta all'Africa): nessuna colonizzazione, nessuno che si impiccia degli affari degli altri. Che sia un paese povero che invadiamo con la scusa di aiutare, oppure l'amica che consigliamo (male) per indurla a fare la scelta che faremmo noi al posto suo. È bellissimo, ma temo sia impossibile da applicare. Inoltre: sarebbe saggezza o indifferenza?
Nel mio piccolo, forse posso provare a non desiderare delle risposte... tanto non le troverei comunque.
#3
Scusate se non mi esprimo bene come voi.
Ho le vertigini solo a immaginare l'universo infinito... figuriamoci a postulare come sia nato.
Credere in Dio o, al contrario, non credere affatto: mi sembra presuntuoso anche avere un'idea.
La domanda che mi faccio è: si vive meglio da credenti o da atei?
Si vive meglio con la convinzione di essere il frutto di un'idea creatrice o con la certezza di essere il risultato di una somma di fortunate casualità di cui poi non resterà più niente?
Direi che vivere con l'illusione di Dio sia più facile. La morte non è veramente tale e per qualcuno esiste anche un riscatto meritocratico (paradiso, karma).
Ma, una volta giunti al dunque?
Se non esiste niente: PUF! Sei morto, finisce lì.
Avevi torto. Pazienza: la fede ti ha permesso di vivere una vita più "leggera".
In virtù di questo, forse hai avuto ragione.
Oppure, in punto di morte, vedi qualcosa.
Ma se il tunnel di luce, le proiezioni extracorporee e altro, fossero solo chimica cerebrale per agevolare il trapasso?
E, per buttar lì un'altra teoria, la sopravvivenza di te in forma di energia, ma senza coscienza né ricordi, in cosa differisce dal concetto di morte in un ateo?
Confesso di invidiare chi ha una certezza. Di qualsiasi tipo.
L'arte, la filosofia, l'esoterismo, la scienza... sono tutte figlie di questo non darsi pace. Noi umani portiamo il fardello più grosso. Come si fa a (con)vivere con questi pensieri? Solo tentativi e teorie, che hanno portato progresso (anche il regresso del progresso speso male) ma nessuna risposta.
Fiorisce l'industria della distrazione, perché è meglio non pensarci.
Mi stordisco col cibo, col vino, col sesso, Netflix, la Playstation. Accumulo oggetti e poi perdo altro tempo per disfarmene e sostituirli con altri (magari più ecocompatibili, così la terra muore più lentamente e io crepo prima).
Trascorrono gli anni, alla fine forse una grave patologia mi desta dal torpore.
Se vinco, probabilmente tornerò a inebetirmi selvaggiamente.
Se perdo, a qualcuno toccheranno i dettagli dello smaltimento della mia carcassa (non è più un mio problema).
A me sembra che siamo sempre più disperati. Non si può avere fede per forza.
Ci vorrebbe una ricetta semplice e veloce per la speranza.
#4
Ultimo libro letto / Re:L'evoluzione della bellezza
05 Agosto 2020, 17:35:51 PM
Credo che la probabilità di generare figli belli non sia un pensiero immediato in chi contempla la bellezza. È una riflessione che subentra in un secondo tempo. Un figlio bello sarà anche un figlio che avrà più possibilità di riprodursi e meno di morire in solitudine. Un figlio bello avrà dunque più possibilità di perpetuare la discendenza e di far sopravvivere qualcosa di te anche quando non ci sarai più.
La bellezza ha a che fare con la vita, è ciò che allontana il pensiero della morte e della sofferenza.
È nella giovinezza, non nella vecchiaia. È nella muscolatura prestante, non nelle carni flaccide. È nella rassicurante simmetria, nelle proporzioni armoniose.
Le asimmetrie eccessive sono quasi delle deformità, sinonimo di sofferenza, vicinanza della morte.
La bellezza può essere soggettiva, ma la bruttezza non lo è mai.
La bellezza è rassicurante, qualcuno ci vede Dio o un disegno divino. Un pensiero creativo che governa l'universo e le nostre esistenze.
La bruttezza è caos, un errore di programmazione che ti fa dubitare dell'esistenza del programmatore, fa pensare di essere abbandonati a noi stessi in attesa della morte.
Come si inserisca la fascinazione per il bello nel cervello degli altri animali non saprei. Mi ha sempre colpito il modo in cui l'uccello giardiniere attira la femmina, creando un bellissimo nido, pieno di vetrini colorati e altre decorazioni raccolte in giro: quando il piumaggio non basta più.
Comunque, conoscevo già questo libro e l'ho visto su uno scaffale proprio oggi, ma è un argomento che mi crea sempre molta ansia, mi fa sprofondare in una spirale di pensieri pirandelliani che inevitabilmente finiscono con un elevato tasso alcolemico.
Alla fine ho comprato "l'ordine nascosto" di Sheldrake e "la cultura del narcisismo" di Lasch. Funghi e paranoie.
#5
Presentazione nuovi iscritti / Re:Brugmansia
05 Agosto 2020, 09:52:06 AM
Grazie a tutti!
#6
Presentazione nuovi iscritti / Brugmansia
04 Agosto 2020, 13:23:52 PM
Buongiorno, grazie per avermi attivato l'account.
So che buttare giù due righe di presentazione è una questione di educazione, ma non vorrei raccontare molto di me. Sono sempre stata una persona molto solitaria, ai limiti del patologico. Non ho amici, non uso i social network. Le mie interazioni si limitano ai familiari e a quelle conoscenze nebulose che quotidianamente mi ruotano intorno.
Ho sempre frequentato i forum, perché ti concedono il lusso di fare logout. Quando hai voglia, leggi o scrivi. Quando non ne hai più, spegni. Senza responsabilità, senza timore del giudizio altrui, senza sentirti in vetrina, senza dover dimostrare niente a nessuno. Solo un nickname in mezzo a tanti. Spero di poter imparare qualcosa da questa esperienza, non ho la pretesa di poter insegnare.