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Messaggi - Aleph

#1
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Terrorismo
06 Agosto 2016, 19:36:49 PM
io la penso come questi due tizi, che si esprimono probabilmente meglio di me:

https://www.youtube.com/watch?v=1GJeXSB7ltw

Non voglio costringervi a sentire i 20min e passa dell'estratto, nonché le ore del video(che consiglio comunque), e mi limito a riportare alcune frasi salienti dell'argomento:

"Per il terrorismo islamico il grande satana è il sistema capitalistico"

"lo scontro tra mondo islamico e non islamico è di retroguardia"

"Le religioni non capiscono che il loro nemico è la simbiosi tra sottosuolo* e ciò che consente alla tecnica di procedere liberamente"

"Siamo avvezzi a pensare che l'Islam attacchi l'occidente, relativizzando lo sguardo l'occidente ha messo sotto attacco l'islam. Il capitale è un monoteismo idolatrico del mercato che non accetta concorrenti e vuole convertire i popoli. La relazione Islam-Occidente è dunque biunivoca"

"la globalizzazione capitalistica occupa gli spazi come il colonialismo (aumento demografico, non contenimento del divario tra i ricchi e poveri ecc)"

"Nel mondo capitalistico tutto diventa merce, anche il tempio"


*Il sottosuolo è la percezione concreta della realtà assunta come luogo in cui non esiste più un eterno (valori, assunti epistemici, dio ecc) ma solo il divenire.


Comunque sia vorrei aggiungere soltanto che la religione è una cosa seria, forse la più seria fino a questo momento della storia umana, e credo bisogni stare attenti a non correre il rischio di assumerla come mero punto di vista erroneo della realtà. La religione, ma come anche gran parte della filosofia a partire da quella socratica, cerca di dare all'uomo qualcosa che la sua volontà richiede a priori, e se la fede crolla, la volontà rimane e persiste, e si fa sentire anche con le guerre. L'uomo ha bisogno di spiegarsi il mondo, ma soprattutto ha bisogno di constatare o quanto meno intuire che potrà spigarsi almeno qualcosina, e non nulla, altrimenti impazzisce, l'uomo necessita di una direzione e chi la conserva ancora oggi in certe modalità sarà sicuramente spinto a condurre una battaglia di retroguardia. La frase "esportare la democrazia" penso sia una frase che nell'occidente possa apparire insipida e innocente, o magari addirittura una frase morale o di aiuto, ma altrove la intendono più chiaramente di noi.

Con questo non scambiatemi per un simpatizzante, sto solo facendo una riflessione e aimhè la parola biunivocità tra occidente e mondo islamico mi sembra quanto meno perentoria.
#2
Citazione di: verdeidea il 31 Luglio 2016, 14:35:40 PM
Il metro di misura per delineare il confine tra normalità e disturbo mentale, lieve o più o meno grave, credo possa benissimo essere l'adattamento all'ambiente. 

Ecco qui. In tutte le mie congetture avevo dimenticato completamente il termine che bilancia i membri di ogni equazione: adattamento. Illuminante, generalizzare con un pensiero esteso troppo al comunitario puo' far dimenticare questa parola, perché per quanto si siano evolute specie e civiltà, è sempre stata opera del singolo che prima si è adattato e tale componente è probabilmente così forte che giustifica ogni mezzo. E il fatto che molti rifiutino questa società non significa assolutamente che non ci si adattino... anzi, per l'appunto rifiutarla è diventato un luogo comune. Forse è vero che le problematiche di un individuo dunque sorgono dal suo adattamento, e la coazione a ripetere potrebbe ridursi alla preservazione di quella identità quale unica che abbia avuto successo ad adattarsi. Molto prima che si aggiungesse il pensiero evoluzionistico Aristotele diceva che chi non si integra nella società puo' essere solamente o un animale o un dio.
#3
grazie per le risposte :)  credo di essere stato troppo prolisso e potrei esprimere di nuovo il pensiero con una domanda più corta:
Di solito una persona affetta da disturbi vede la realtà in maniera diversa, o vede del tutto un'altra realtà, e questo puo' farla star male. Quindi, se una persona vede la realtà in maniera oggettiva, lucida e sana, puo' secondo voi stare male? e stare male costantemente, alla pari di uno che ha un disturbo, poiché la realtà incombe su di lui quotidianamente, e tale realtà "vera" e per lui la peggiore? In questo caso sarebbe una persona "normale" o malata?
Come diceva Jacopus, la guerra puo' fare impazzire e lo considero un buon esempio. Un soldato ha visto una realtà, è stato messo di fronte ad una verità che lo ha cambiato e devastato psicologicamente, e per questo puo' avere sintomi simili a quelli nevrotici o psicotici, allucinazioni, umore  oscillante ecc. Però c'è una cosa, ovvero, credo che la guerra o la violenza domestica debba essere considerata un trauma, al seguito del trauma possono esserci complicazioni, ma ci si augura una guarigione.

Diverso potrebbe essere chi non è andato in guerra, ma è come se la vedesse e ne risentisse quotidianamente, come se stesse permanentemente nel campo di battaglia. La competizione, il possesso, la paura di perdere ciò che si ha, già una visione leopardiana non vedo perché non possa annichilire una persona. Quindi forse il problema è che chi sta male per queste cose che forse si potrebbero reputare secondarie, non è chi vede una realtà diversa, ma chi non ha difese contro la realtà più condivisibile, la realtà che si considera tale, vera a livello collettivo.

Per quanto riguarda l'aspetto religioso mi ritengo scettico, ad esempio Caterina da Siena, da una parte la vedrei una donna molto devota, fatta tra l'altro santa, dall'altra puo' benissimo sembrarmi un caso clinico, di chi sente la voce di dio ed ha un delirio di onnipotenza tale da scrivere frequentemente al papa per ordinargli cosa fare e rimproveragli la condotta, fino a che si è ammazzata di digiuno. E ciò prescinde incontrovertibilmente dal consenso che all'epoca riceveva. Non mi stupirei se una persona fortemente dissociata dalla realtà riuscisse a trarre grande consenso dalla massa, specie se fa leva sulla misticità, le masse di certo non sono un indicatore per capire l'equilibrio di un singolo, la storia ce lo dice chiaramente.
#4
salve, il post è più orientato alla psicologia sociale che alla cultura, come da titolo.

E' un luogo comune il definirsi noiosi quando si è troppo normali e interessanti quando pazzi, e credo che molti si siano chiesti quale sia il confine tra la cosiddetta normalità e il disturbo mentale. Vorrei rinnovare la domanda, perché mi è sembrata di solito una questione da ignorare, da mettere tra i casi impossibili e studiarla diventerebbe per molti poco divertente: oggi ci si proclama liberi come da manifesto, in accordo con l'idea di un divenire delle cose che nascono e muoiono quotidianamente, dove un giorno nulla verrà preservato e dunque, la follia ritorna come idea a far parte delle componenti dell'agire, forse più della ragione.
 
Eppure i disturbi mentali ci sono e sono abbastanza classificati, parlando con un mio amico (psichiatra e psicoterapeuta) mi è stato rivelato che in alcuni casi i disturbi si scoprono molto tardi, perché non essendoci stato un caso eclatante di schizofrenia nessuno ha denunciato o fatto chiamare i soggetti, e il caso eclatante in se è una componente diagnostica rilevante, un indicatore, senza il quale il colloquio in alcuni casi potrebbe avere un risultato relativo. Cosa ancora più sorprendente è che i disturbi schizofrenici, depressivi, bipolari, borderline ecc sono considerati come ereditari nella maggior parte dei casi, o comunque hanno una forte componente biologica: a prescindere più o meno da come ti va la vita, o ci sei o ci diventerai per come è fatto il tuo cervello. Questo mi sembra di capire. Da qui iniziano le domande, spero legittime o costruttive. Prima domanda. Se un disturbo di tipo depressivo o dissociativo è considerato come un disturbo primariamente biologico, è possibile che possa essere generato da fattori esterni? Cioè è possibile avere un'infelicità (o una tristezza chiamatela come volete) che diventi depressione? Secondo lo psichiatra a quanto pare non è possibile. Secondo lo psichiatra la tristezza è una cosa ben diversa dalla depressione clinica, come è diverso un lutto. Ma se quella tristezza non fosse un lutto dovuto alla scomparsa di un genitore o di un gatto (che per quanto doloroso prima o poi si puo' realizzare e forse ci siamo evoluti per questo), ma alla scomparsa di alcune certezze, di come si vedeva il mondo prima, allora non credete sarebbe una disfunzione? 
Heidegger ha detto "Nietzsche mi ha rovinato la vita". Non si è capito bene il senso, se fosse per una questione sociale, editoriale, politica, se stesse scherzando... non importa, ma se fosse stato semplicemente per quello che ha detto Nietzsche, per il suo essere dinamite, come avrebbe fatto Heidegger ad uscirne? sarebbe stata una tristezza perenne? In quel caso forse un qualche psichiatra consiglierebbe farmaci, perché non sarebbe più una tristezza, ma il coltivare una convinzione che diventa sempre più forte, e più forte diventa più si sta male, sembrerebbe in effetti simile a una depressione clinica.
Per cui la seconda domande è (e spero di non aver dato una noia ingente finora): è possibile stare molto male, ma non essere depressi o avere disturbi, è possibile stare più male di un soggetto che abbia una patologia mentale eppure essere praticamente sano? A quel punto però il cosiddetto male si deve spiegare, come si spiega il lutto, si deve conoscere la sua origine quantomeno, se non ci fosse l'origine starebbe tutto solo nella materia grigia che non funziona, e non solo, tale origine deve essere però condivisibile...(ad esempio non "i servizi segreti mi vogliono morto"). Ma poniamo la scena di Woody Allen in Io ed Annie, dove il protagonista da bambino è triste dallo psicologo e non vuole fare nulla, perché dice che nulla ha senso perché tanto gli scienziati hanno scoperto che l'universo finirà e collasserà. Per quanto possa sembrare ironico, una persona ha il "diritto" di essere devastata da una cosa del genere? In altre parole è condivisibile? o nella vita vera ci sarebbero solo le due soluzioni: la prima è quella di intristirsi lì per lì, ma poi continui a fare la vita di tutti i giorni, la seconda è quella in cui capisci che già avevi qualche problema, eri predisposto e quindi meglio che vieni trattato come un depresso clinico, l'universo non c'entra.

Scusate la prolissità