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Messaggi - doxa

#1
Percorsi ed Esperienze / "Festival della malinconia"
02 Novembre 2025, 17:48:38 PM
Il 7 e l'8 novembre a Perugia  si svolgerà il "Festival della malinconia", nell'ambito di "Umbria green festival".

L'evento  si propone di esplorare la malinconia come esperienza interiore, un tempo sospeso, ma anche come possibile legame tra l'arte, le emozioni e il pensiero.

"La malinconia è l'aspirazione a un altrove che non abbiamo mai conosciuto": la frase è attribuita  a Charles Baudelaire. Per questo scrittore francese la malinconia non è solo tristezza, ma anche desiderio di un "altrove" irraggiungibile, è voglia di infinito e di bellezza, lontani dalla realtà, dallo "spleen"

Il sostantivo inglese"spleen" (= milza) evoca  l'antica medicina ippocratica, la quale credeva  quest'organo del corpo  la causa del nero "umore" (= bile nera), cioé della malinconia,  propria  di vari scrittori inglesi e francesi delle correnti letterarie  del Romanticismo e del Decadentismo.

Nella raccolta di poesie titolata "I fiori del male" (Les fleurs du mal) pubblicata nel 1857,  Baudelaire esplora temi come il peccato, la morte, la decadenza e la ricerca della bellezza.


autore sconosciuto: "Spleen" (malinconia), 1915
#2
Varie / Re: "Fotografica"
01 Novembre 2025, 22:57:28 PM
La moda dell'abito alla marinara per i bambini, maschi e femmine, si affermò come uno stile distintivo nell'ambito della borghesia e dell'aristocrazia. Inizialmente ispirata dalle uniformi dei marinai, divenne una tendenza elegante (la gonna per le bambine, i calzoncini per i bambini), caratterizzata da righe, tonalità di blu e bianco, cappelli di paglia e accessori ispirati alla nautica.

#3
Varie / Re: "Fotografica"
01 Novembre 2025, 18:21:31 PM
Nel precedente post c'è scritto

Citazione"Il primo bambino vestito da marinaio è il principe Albert, figlio della Regina Vittoria, che nel 1846, a 5 anni, durante una crociera tra le isole della Manica a bordo del Royal Yatch, indossa la divisa bianca e azzurra della Royal Navy. L'immagine colpisce al cuore e nello stesso anno Franz Xavier Winterhalter dipinge il ritratto del piccolo marinaio.

Trent'anni dopo non c'è famiglia aristocratica e modestamente borghese che non offra ai figli maschi una divisa marinara, sperando che la maglia a righe, marinière francese o tel'njaška russa, il giubbetto blu, il solino bordato di righe bianche, il cappello sulle ventitré, trasmettano forza, onore, voglia di avventura, libertà. Per la cronaca vestiranno alla marinara bambini e futuri geni come Arturo Toscani, Marcel Proust, Ludwig Wittgenstein, Franz Kafka, Eugenio Montale, Salvador Dalí, Bertolt Brecht, Jean Paul Sartre, Christian Dior, Federico Fellini, John Fitzgerald Kennedy, Alberto Sordi, Helmut Newton, Ingmar Bergman.

E le donne, a chi interessava la loro libertà? Solo alle donne e per questo a un certo punto le stesse donne, e in mostra sono molte, spavalde ed eleganti, cominciano a indossare la divisa marinara. Colette è la prima, seduta cavalcioni di una sedia, quindi tocca a Isabelle Eberhardt, classe 1877, scrittrice, giornalista poliglotta, arabo compreso, viaggiatrice nell'oceano di sabbia del Sahara. Scrive Isabelle: «Vestita come si conviene a una ragazza europea, non avrei mai visto nulla, non avrei avuto accesso al mondo, perché la vita esterna sembra fatta per l'uomo e non per la donna». Sul nastro di seta del berretto marinaro, che indossa la Eberhardt nel suo ritratto fotografico, si legge a lettere d'oro il nome della nave, Vengeur, il Vendicatore, identico a quello della barca su cui un giorno viaggerà Georges Querelle.

Anche Jerome Robbins e Gene Kelly avevano voluto vendicarsi di un secolo di principi e contadini russi, e ispirandosi alla camminata seducente dei marinai, sbarcati sui marciapiedi di New York, avevano creato un nuovo lessico, una nuova scioltezza vernacolare, tra energia fisica, elasticità e sprezzatura virile, che da allora ha plasmato la danza americana. Basta rivedersi Fancy Free, il primo balletto di Robbins creato nel 1944 per l'American Ballet Theatre, o una delle travolgenti sequenze del film Anchors Aweight, protagonista Gene Kelly in divisa candida da marinaio, uscito nello stesso anno.

La  lettura dei suddetti  paragrafi mi evocano un libro che lessi da ragazzo: "Vestivamo alla marinara": lo scrisse Susanna Agnelli, sorella di Gianni Agnelli.

Il libro fu pubblicato nel 1975 da Mondadori. E' un libro insolito. Non è un romanzo né un libro di memorie, ma ci sono rivelazioni.

E' la storia di una ragazza e del suo nome. Nel raccontare sé stessa l'autrice narra alcune vicende di una persona pubblica e nota, figlia di una ricca famiglia borghese, attirata da modelli di comportamento non più borghese ma "aristocratico".  Infatti Susanna, le sue sorelle e fratelli (erano sette) furono educati come figli di un re. I loro genitori erano Edoardo Agnelli e Virginia Bourbon del Monte dei prìncipi di San Faustino.

Nella prima pagina del suo citato libro Susanna ha fra l'altro scritto: : "Noi eravamo tanti e avevamo molte governanti che non si amavano fra di loro: sedevano nella camera da gioco e si lamentavano del freddo, del riscaldamento, delle cameriere, del tempo, di noi. D'inverno le lampadine erano sempre accese; la luce di Torino che entrava dalle finestre era grigia e spessa.

Vestivamo sempre alla marinara: blu d'inverno, bianca e blu a mezza stagione e bianca in estate.
Per pranzo ci mettevamo il vestito elegante e le calze di seta corte. Mio fratello Gianni si metteva un'altra marinara. L'ora del bagno era chiassosa, piena di scherzi e spruzzi; ci affollavamo nella camera da bagno, nella bagnarola, e le cameriere impazzivano. Ci spazzolavano e pettinavano i capelli lunghi e ricci, poi li legavano con enormi nastri neri".
.....
#4
Varie / "Fotografica"
01 Novembre 2025, 17:06:12 PM
A Bergamo fino al 9 novembre  si svolge il Quinto festival di fotografia, dedicato al tema: "Coraggiosi si diventa": 13 mostre dedicate, fra l'altro, alla forza d'animo, la resistenza e la dignità nelle nazioni coinvolte dalla guerra, ma anche all'emergenza climatica.

Una delle esposizioni è titolata: "Fotografica". Love you  alwais. Viaggio nell'oceano dei marinai e della fotografia".



è anonimo l'autore della foto: "Tatuaggio di Bert Grimm", Stati Uniti, 1940 circa

Laura Leonelli, curatrice del catalogo, nel suo articolo pubblicato sull'inserto domenicale del quotidiano "Il Sole 24 Ore", spiega perché ai ritratti anonimi dei naviganti si aggiunge la dimensione metaforica.

"Siamo tutti marinai, lo dicono i numeri. Siamo marinai per destino terrestre, perché il 71% del nostro pianeta è ricoperto d'acqua e nelle tenebre spaventose dello spazio risplende di un salvifico azzurro. E siamo marinai perché ormai navighiamo, felici e incoscienti, in un oceano di immagini. Le previsioni annunciano che alla fine di quest'anno avremmo prodotto quasi duemila miliardi di immagini, 94% delle quali nate da uno smartphone, e così capiamo perché la Kodak, un tempo regina del mercato delle pellicole e delle fotocamere, sia ormai sull'orlo del fallimento. Scendendo nel dettaglio, siamo marinai di questa mareggiata di follia iconografica perché ogni giorno condividiamo 14 miliardi di immagini sui social, ne produciamo 5, e per essere ancora più precisi ogni secondo partoriamo, svogliati e senza doglie, 64mila porzioni di noi, di quel che stiamo vedendo, mangiando, comprando, e raramente leggendo.

Che storia hanno i marinai nella storia della fotografia? Un rapporto simbiotico, elettivo, vitale, perché nessuno più dei marinai e di chi li ha amati, uomini e donne con eguale passione per quei corpi salmastri e sorrisi accecanti, ha confermato che fotografare, nella sua natura primordiale e profonda, è trattenere, è ricordare, è ritrovare, verbi che si nutrono di tempo, di attesa, di resistenza all'oblio. E se parliamo di resistenza, nulla ha resistito di più, coraggiosa nella sua fragilità, della fotografia anonima.

Nel saggio 'La camera chiara', di Roland Barthes, ci sono due immagini di marinai, una è il ritratto di Savorgnan de Brazza di Nadar e l'altra, titolo "Le Origini", è il ritratto familiare dello zio dell'autore, bambino in divisa marinara. Le fotografie anonime in mostra, più di un centinaio realizzate dal 1860 al 1960, tra Stati Uniti, Europa e parti dell'ex Unione Sovietica, raccontano appunto la vita doppia di una figura che ha intrecciato destini cartacei altissimi e ordinari, unendo l'Ulisse di Omero, il vecchio marinaio di Coleridge, i capitani coraggiosi di Conrad, i marinai abissali di Baudelaire, gli Achab di Melville alle vite di marinai senza nome, senza storia con la esse maiuscola, ma che, come suggeriva astutamente la Kodak in una pubblicità degli anni 40, in piena guerra mondiale, stavano scrivendo anche loro la Storia.

Come entrare nella grande "history"? Fotografando, magari con una Kodak Vest Pocket Camera, così piccola da stare nella tasca della divisa. E ognuna di queste piccole immagini, esposte alla vastità degli oceani e alla violenza dei "quaranta ruggenti", i venti che sibilano spaventosi a Capo Horn, hanno creato un immaginario vastissimo, di cinema, di moda, di danza, di fumetti, di emancipazione femminile e di liberazione sessuale oltre i generi. Per assurdo potremmo dire che la fotografia ha ricoperto le nostre vite come un manto oceanico, fino a sommergerci, anche grazie al fascino dei marinai. A cominciare dai bambini.

Il primo bambino vestito da marinaio è il principe Albert, figlio della Regina Vittoria, che nel 1846, a 5 anni, durante una crociera tra le isole della Manica a bordo del Royal Yatch, indossa la divisa bianca e azzurra della Royal Navy. L'immagine colpisce al cuore e nello stesso anno Franz Xavier Winterhalter dipinge il ritratto del piccolo marinaio.

Trent'anni dopo non c'è famiglia aristocratica e modestamente borghese che non offra ai figli maschi una divisa marinara, sperando che la maglia a righe, marinière francese o tel'njaška russa, il giubbetto blu, il solino bordato di righe bianche, il cappello sulle ventitré, trasmettano forza, onore, voglia di avventura, libertà. Per la cronaca vestiranno alla marinara bambini e futuri geni come Arturo Toscani, Marcel Proust, Ludwig Wittgenstein, Franz Kafka, Eugenio Montale, Salvador Dalí, Bertolt Brecht, Jean Paul Sartre, Christian Dior, Federico Fellini, John Fitzgerald Kennedy, Alberto Sordi, Helmut Newton, Ingmar Bergman.

E le donne, a chi interessava la loro libertà? Solo alle donne e per questo a un certo punto le stesse donne, e in mostra sono molte, spavalde ed eleganti, cominciano a indossare la divisa marinara. Colette è la prima, seduta cavalcioni di una sedia, quindi tocca a Isabelle Eberhardt, classe 1877, scrittrice, giornalista poliglotta, arabo compreso, viaggiatrice nell'oceano di sabbia del Sahara. Scrive Isabelle: «Vestita come si conviene a una ragazza europea, non avrei mai visto nulla, non avrei avuto accesso al mondo, perché la vita esterna sembra fatta per l'uomo e non per la donna». Sul nastro di seta del berretto marinaro, che indossa la Eberhardt nel suo ritratto fotografico, si legge a lettere d'oro il nome della nave, Vengeur, il Vendicatore, identico a quello della barca su cui un giorno viaggerà Georges Querelle.

Anche Jerome Robbins e Gene Kelly avevano voluto vendicarsi di un secolo di principi e contadini russi, e ispirandosi alla camminata seducente dei marinai, sbarcati sui marciapiedi di New York, avevano creato un nuovo lessico, una nuova scioltezza vernacolare, tra energia fisica, elasticità e sprezzatura virile, che da allora ha plasmato la danza americana. Basta rivedersi Fancy Free, il primo balletto di Robbins creato nel 1944 per l'American Ballet Theatre, o una delle travolgenti sequenze del film Anchors Aweight, protagonista Gene Kelly in divisa candida da marinaio, uscito nello stesso anno.

Dieci anni prima, nel cortometraggio 'La gallinella saggia', aveva esordito Donald Duck, che essendo un'anatra, creatura acquatica, vestiva giubba e cappello marinari. Nella pruderie disneyana non sappiamo se Paperino avesse tatuato sulle piume più nascoste l'immagine di un'àncora, come Popeye sugli avambracci, o di un veliero a tre alberi come il marinaio in copertina al catalogo, capolavoro di un maestro dell'Old American School del tattoo come Bert Grimm.

Certo è che l'onda classicamente blu del tatuaggio, oggi su moltissimi corpi, nasconde una realtà più profonda. E se la pelle, superficie fotosensibile del nostro corpo, dunque naturalmente "fotografica", fosse il nostro nuovo, irrinunciabile album dei ricordi, delle date, delle promesse, delle speranze, delle amicizie, degli amori? A differenza del cellulare, sulla pelle tutto resta".
#5
Il chiostro.

Dalla navata sinistra della basilica si entra nel chiostro cosmatesco, realizzato nel 1220 circa dal "marmoraro" Pietro de Maria nell'area precedentemente occupata dalla navata sinistra dell'antica chiesa. 

Sulle pareti sono affisse delle epigrafi marmoree,  nei corridoi  reperti archeologici medievali


La fontana al centro del chiostro fu realizzata nel 1913 con materiale di recupero.  E' formata da una vasca quadrata con al centro un  antico rocchio di colonna scanalata che sorregge due vasche circolari sovrapposte, ricavate da un unico blocco di marmo. Ornavano l'atrio della chiesa già nel IX secolo.





The end
#6









La cosiddetta "aula gotica" situata al primo piano della torre maggiore, era l'ambiente di maggior prestigio del palazzo fatto costruire dal cardinale Stefano Conti. In questo salone di stile gotico  si effettuavano pranzi, ricevimenti e, forse, si amministrava la giustizia, perché questo cardinale, tra i vari incarichi, aveva anche quello di uditore del tribunale della curia.

Il salone ha una pianta quasi rettangolare: metri 9 x 17,50 circa; è alto metri 11,50 ed è diviso da un arco trasversale in due campate con volte a crociera a sesto acuto.

Quando, nel 1996, la storica dell'arte Andreina Draghi e i restauratori che lavoravano nell'aula gotica rinvennero uno strato colorato ad affresco sotto lo scialbo delle pareti, non si aspettavano di scoprire una superficie dipinta tanto estesa, che in origine doveva essere  di circa 800 mq.

I dipinti giunti fino a noi sono sulle pareti del perimetro dell'aula e porzioni delle volte. In basso forse c'erano finti drappi o tarsie marmoree, in alto, nelle lunette e nelle volte lee raffigurazioni allegoriche.

Nelle pareti ci sono porte e finestre che hanno mutilato gli affreschi.


Nella campata verso  sud:

nel registro inferiore sono rappresentati in forma allegorica i "Mesi dell'anno", i "Vizi", le "Arti liberali", le "Stagioni" e i Venti", le costellazioni e i segni zodiacali.

Ogni mese dell'anno è personificato e raffigurato dall'attività rurale specifica. Esempi:

Il mese di gennaio



Giano trifronte, simboleggia il mese di gennaio. Sul capo  ha il petaso (cappello),  indossa la tunica e il mantello. Con la mano sinistra regge un'asta.

Alla sua sinistra un giovane gira il contenuto in un pentolone sul fuoco, mentre un altro gli porta da bere e da mangiare.

Sull'asta orizzontale ci sono salsicce, un prosciutto  e  un insaccato, il grosso topo sembra indeciso quale scegliere







Nell'allegoria del mese di marzo una donna toglie una spina dal piede di un giovane


Nelle fasce decorative ci sono fanciulli che indossano soltanto mantelli, alcuni sono alati ed evocano gli eroti.

nel registro superiore ci sono le  personificazioni  delle arti liberali (Grammatica, Geometria, Musica, Matematica e Astronomia), raffigurate come fanciulle che danzano vicino a figure sedute in  trono che rappresentano gli uomini celebri in quelle arti.

Nei pennacchi sono raffigurati i telamoni; sopra di loro le stagioni, rappresentate da quattro uomini di età differente, affiancati dai venti, raffigurati da volti alati che soffiano.

Sulla volta, Paesaggio marino, Segni zodiacali e la costellazione di Andromeda: questi dipinti sono quasi del tutto scomparsi.

Campata verso nord: nel registro inferiore, le personificazioni delle Virtù e delle Beatitudini, rappresentate da  donne in abiti militari, perché capaci di resistere al male. Ognuna reca sulle spalle un personaggio dell'Antico o del Nuovo Testamento, oppure un santo che si è distinto in una delle virtù,  mentre calpesta due figure più piccole che rappresentano il vizio e un personaggio storico noto per un determinato vizio.

La serie è interrotta al centro della parete nord dalla raffigurazione del re Salomone, che simboleggia la Giustizia.

Al di sopra c'è una fascia decorativa con pudiche figure femminili vestite che si oppongono ai seminudi fanciulli del lato opposto.

Nel registro superiore,  ci sono figure disposte in modo simmetrico, ma è rimasto soltanto la raffigurazione del dio Mitra che uccide il toro; verso nord due personaggi anziani seminudi con in mano cornucopie e cesti di fiori e frutta; a est le personificazioni del Sole (= Gesù Cristo), su una biga trainata da cavalli, e della Luna (simbolo della Chiesa cattolica), su una biga trainata da buoi.

Questo post mi sembra onirico, m'invita allo sbadiglio. Allora è meglio uscire dall'aula gotica e andare nel chiostro, frequentato dalle monache agostiniane di clausura per la deambulazione e meditazione, ma anche dai visitatori nelle ore di apertura agli estranei del complesso monumentale.

segue l'ultimo post dedicato al chiostro
#7
Nel post n. 3 ho commesso un errore. Nel primo rigo sotto il grafico del complesso abbaziale ho scritto: "Pianta del complesso con la basilica voluta dal pontefice Leone IV dopo l'incendio del 1084."



Il rigo, invece, va letto in questo modo: La pianta del complesso con la basilica è di epoca carolingia, al tempo del papa Leone IV, che pontificò dall'847 all'855, anno della sua morte.



Veduta parziale  del secondo cortile e dell'ingresso nella chiesa. 



veduta interna della chiesa

Per non annoiarvi e stancarmi mi limito a descrivere soltanto la Cappella di San Silvestro e, nel seguente post, l'aula gotica.

Al piano terra della Torre  Maggiore c'è la Cappella di San Silvestro,  A farla costruire fu il cardinale Stefano Conti, nipote del papa Innocenzo III.  Gli affreschi furono  realizzati nel 1246. Sono scene della vita di Silvestro I  (pontificò dal 314 al 335, anno della sua morte). Causa alcune leggende, venne erroneamente considerato colui che convocò il primo concilio ecumenico di Nicea e riuscì a convertire l'imperatore romano Costantino I.


Interno della Cappella di San Silvestro, veduta verso l'altare

Degli affreschi  realizzati nel 1246 sono rimasti sulle pareti della navata il ciclo delle "Storie di Papa Silvestro I", che pontificò dal 314 al 335. Fra le scene c'è quella della  inesistente "donazione" da parte di Costantino I al papa della città di Roma, le province italiane e le regioni dell'Occidente. Con tale atto si fondò il potere temporale della Chiesa e la superiorità del papa sull'imperatore. Questa leggenda nel Medioevo ebbe notevole significato politico.

La falsa donazione di Costantino è un  documento datato 30 marzo 315. Afferma che l'imperatore dopo essere guarito dalla lebbra dopo il battesimo ricevuto da papa Silvestro I, decise di concedere i suddetti privilegi alla Chiesa.

Il documento fu forse redatto nell'ottavo secolo, circa 400 anni dopo la morte di Costantino I, per giustificare il potere temporale della Chiesa nel periodo in cui si stava consolidando lo Stato pontificio.

Fu il filologo Lorenzo Valla a dimostrare nel 1440 la falsità del documento dopo l'analisi filologica, che ha evidenziato  incongruenze linguistiche e storiche La sua tesi  è  titolata "De falso credita et ementita Constantini donatione", con la quale confuta l'autenticità della cosiddetta "Donazione di Costantino".

La scoperta di Valla escluse la legittimità delle rivendicazioni della Chiesa, che per secoli aveva utilizzato quel documento per giustificare il proprio potere temporale e i diritti territoriali, oltre a rivendicare privilegi nei confronti dell'impero.

Il testo di Valla fu pubblicato molto tempo dopo, nel 1517, dal teologo  protestante tedesco Ulrich von Hutten, fautore del rinnovamento dell'impero e la sua indipendenza dal papato.

Del ciclo degli affreschi nella Cappella di San Silvestro I , che in origine ricoprivano interamente la cappella, è rimasto soltanto il ciclo delle "Storie di papa Silvestro I.

Il racconto inizia sulla controfacciata a sinistra. Vi faccio vedere alcuni esempi







Costantino, senza corona in segno di rispetto verso un'autorità superiore, il papa.  con una mano consegna la tiara (simbolo della dignità pontificia) ed il sinichio (ombrellino rituale).

segue
#8
Il complesso monastico dei Santi Quattro Coronati è su una propaggine della collina del Celio che confluisce nella piazza del Laterano;  verso nord domina la  valle che la separa dal colle Oppio. 

Le strutture architettoniche sul lato nord  prospettano lungo una strada  in salita, via dei Ss. Quattro,  che dal Colosseo conduce alla basilica di San Giovanni in Laterano e, nel passato, al Palazzo Lateranense, sede del papato.

La posizione urbanistica  dei Santi Quattro Coronati costrinse questo complesso monastico anche alla funzione militare, come roccaforte difensiva  della vicina sede papale, simile a quella di Castel Sant'Angelo per la basilica di San Pietro.

Nel giugno del 1084  fu dato alle fiamme dalle truppe del condottiero normanno Roberto d'Altavilla, detto il "Guiscardo" (in francese antico "Guischart" = volpe, astuto).

Casus belli, la "Lotta per le investiture": lo scontro tra papato e Sacro Romano Impero, che si protrasse dal 1073 al 1122, per la nomina di vescovi, abati  e il papa.

I sovrani erano convinti che fosse loro prerogativa il potere di  scegliere e nominare l'alto clero. Tale consuetudine dava al potere temporale una supremazia su quello spirituale. Il pontefice Gregorio VII, invece,  era un fervente sostenitore del primato papale su qualsiasi altro potere perciò  entrò in conflitto con  Enrico IV di Franconia,  duca di Baviera, re dei Romani e, successivamente imperatore del Sacro Romano Impero, dando inizio alla "lotta per le investiture". 

Il 21 marzo del 1084 Enrico IV con le sue truppe fece il suo ingresso a Roma. Il pontefice si rifugiò a Castel Sant'Angelo, protetto dalle  milizie a lui fedeli.

Roberto il Guiscardo, alleato del papa, dalla Puglia si diresse verso Roma con  36 mila uomini. Entrarono in città da Porta San Giovanni. Percorsero la strada che dalla collina del Celio conduce verso la via Labicana e al Colosseo. Tale strada è ancora denominata "Via dei Normanni".

Dopo tre giorni di combattimenti contro le truppe di Enrico IV che assediavano il Papa, l'esercito del Guiscardo sconfisse le truppe tedesche che si ritirarono. Ma il 31 Maggio del 1084 i Romani insorsero contro i Normanni; fu un attacco a sorpresa e  il Guiscardo stava quasi per soccombere, ma venne in suo aiuto il figlio Ruggero con i cavalieri stanziati fuori della città.

La reazione fu spietata. Ci furono  distruzioni  e saccheggi.  Tutta Roma fu depredata, ma in particolare fu colpita la zona tra il  Colosseo e i colli Aventino, Celio ed Esquilino.

Furono devastate le basiliche di San Clemente, dei Santi Quattro Coronati e dei Santi Giovanni e Paolo.  I ribelli furono torturati, uccisi, le donne violentate, numerose opere d'arte furono rubate o danneggiate. 

Quella zona di Roma a seguito dei saccheggi e devastazioni rimase disabitata, perché la popolazione preferì concentrarsi  vicino alla fortezza della Mole Adriana (= Castel Sant'Angelo) e al Vaticano. L'evento indusse anche allo spostamento della sede papale da San Giovanni in Laterano  al Vaticano. 

Gregorio VII non trasse beneficio dall'intervento dei Normanni, se non la sua salvezza personale. Fu costretto alla fuga dalla popolazione di Roma  inferocita e dovette seguire Roberto il Guiscardo. Giunse prima a Montecassino,  poi a Benevento e infine a Salerno, dove il pontefice morì il 25 maggio del 1085.

segue
#9

la torre maggiore vista da via dei Santi Quattro: in alto le finestre internamente tamponate dell'aula gotica.



Veduta esterna della zona dell'abside e del palazzo cardinalizio



lato Ovest  del monastero

Il "vicario di Cristo" Onorio I, papa dal 625 al 638, fece ricostruire ed ampliare la chiesa.

Successivamente il  capo della Chiesa, Leone IV, che pontificò dall'847 all'855, fece ristrutturare la chiesa paleocristiana: aggiunse un quadriportico per l'accoglienza dei pellegrini, la torre dove c'è l'ingresso,  le Cappelle dedicate a Santa Barbara e a San Nicola, la cripta semi-anulare per custodire le reliquie dei martiri, collocate nell'850, e fece alzare il presbiterio per dividerlo dalla navata. 

Il lato Nord del colle, in via dei Santi Quattro, fu ampliato artificialmente, anche col riuso  di preesistenti murature di epoca romana interrate, per costruire un edificio che prospettava sulla "Via papalis", percorsa dalla processione che accompagnava il papa nella sua sede dopo l'elezione al soglio pontificio (= trono del pontefice) nel  palazzo lateranense,  adiacente la basilica di San Giovanni in Laterano.

segue
#10
Altre notizie e foto sul "loco santo".

Le origini questo complesso architettonico sono del IV sec. d. C., periodo in cui c'era una villa aristocratica, dotata di un ambiente termale (una  spa...).

Nel V secolo una sala absidata della residenza  fu dedicata a  domus ecclesiae:  luogo adibito  alle riunioni liturgiche e per  l'istruzione religiosa dei fedeli in case private. Di solito essi venivano ospitati nelle domus di ricche persone convertite al cristianesimo.

Evoluzione delle "domus ecclesiae" furono i "tituli".

Titulus è il termine generico con il quale i Romani definivano un'iscrizione su un oggetto di qualsiasi natura.  In ambito cristiano, originariamente  il titulus (di marmo, legno o metallo) era una tabella con il nome del proprietario della domus o di  altro edificio privato  che metteva a disposizione dei fedeli  una sala o una casa per le adunanze ed il culto, con locale annesso per l'uso liturgico.

Il nome sulla tabella (o titolo) veniva affisso all'esterno della porta d'ingresso dell'abitazione, come si usa fare anche ai nostri giorni sulle targhette vicino le pulsantiere negli edifici condominiali o nelle villette.

Nel tempo quei luoghi di culto privati  divennero "chiese titolari" o "titoli prèsbiteriali" nella diocesi di Roma: ad ognuna  viene assegnato un cardinale  quando questo  viene "promosso" dal papa:  il pontefice gli conferisce il titolo (la titolarità) di un'antica chiesa per simboleggiare  il legame dell'eminenza con l'antica comunità dei presbiteri di Roma o di una delle sette diocesi suburbicarie dell'Urbe.

Ed ora passiamo alla visita del complesso  monastico, concesso alle agostiniane di clausura.



In primo piano  veduta aerea del  complesso architettonico dei "Santi Quattro Coronati"



Pianta del complesso con la basilica voluta dal pontefice  Leone IV dopo l'incendio del 1084. In verde le parti conservate; in azzurro chiaro le parti  fatte ricostruire dal papa Pasquale II (pontificò dal 1099 al 1118, anno della sua morte); in  azzurro scuro le parti  fatte ricostruire dallo stesso papa nella seconda fase (elaborazione grafica di Lia Barelli).



La facciata con l'ingresso nel complesso monastico



Veduta interna dell'ingresso nel primo cortile. L'arco gotico è  sovrastato da una torre del IX secolo, successivamente trasformata in torre campanaria con loggia quadrifora.

segue
#11
Offro alla vostra lettura alcune notizie riguardanti il complesso monastico  romano dedicato ai "Santi Quattro Coronati": questo appellativo si riferisce alla corona del martirio.

I "Santi Quattro" non erano soltanto quattro. Il nome fa riferimento a due gruppi di martiri, le cui agiografie furono "arricchite" di particolari fantasiosi per fini edificanti.

Il primo gruppo  è costituito non da quattro ma da cinque martiri cristiani: Castorio, Claudio, Semproniano, Nicostrato e Simplicio, tutti scalpellini, detti anche marmorari, che lavorano in una cava di marmo nella Pannonia di epoca romana. Quando fu chiesto loro di scolpire una statua dedicata al dio Esculapio, i cinque uomini rifiutarono e vennero uccisi.

Il secondo gruppo di martiri è formato da quattro anonimi soldati romani, cristiani, che non vollero fare offerte alla statua del dio Esculapio nel tempio a lui dedicato  a Roma nelle Terme di Traiano, ubicate sul Colle Oppio.

Secoli dopo, papa Leone IV (pontificò dall'847 all'855) fece cercare i resti di quei due gruppi di uomini e li fece collocare nella cripta della basilica detta dei "Santi Quattro Coronati", così narra la leggenda, per chi vuol crederci. 

Il fortificato complesso architettonico religioso a loro  dedicato, è costituito dalla basilica e da altri spazi sacri e residenziali (cripta, cortili, monastero, ex palazzo cardinalizio).


facciata esterna del complesso religioso dedicato ai "Santi Quattro Coronati"

Dal IV secolo d. C. esso  occupa l'area dove  in precedenza  c'era una domus aristocratica di epoca tardoantica, adiacente l'antica via Tuscolana, che cominciava dalla valle del Colosseo e fiancheggiava il "Ludus Magnus".


ricostruzione ideale del ludus magnus, sullo sfondo il Colosseo

La via Tuscolana usciva dalle Mura Serviane dalla "Porta Querquetulana", ubicata  nell'attuale confluenza tra via dei Santi Quattro e via di Santo Stefano Rotondo, nell'area dell'ospedale San Giovanni.

Perché "Querquetulana" ?  Il colle Celio (uno dei cosiddetti sette colli di Roma, ma sono di più) era originariamente chiamato "Mons Querquetulanus (=  querceto o bosco di querce). Il nome "Celio", deriva dalla tradizione che lo collega  a Celio Vibenna, un condottiero etrusco che abitò e contribuì a conquistare la zona durante il regno di Tarquinio Prisco.

Torno alla via Tuscolana.

Dopo Porta Querquetulana il tracciato proseguiva verso le Mura Aureliane, fatte costruire dall'imperatore Aureliano tra il 270 e il 273 per la difesa dell'Urbe.

La strada attraversava la "Porta Asinaria".

Sebbene gli studiosi non siano d'accordo sull'epoca di trasformazione della porta da semplice apertura ad accesso monumentale, concordano invece sul fatto che l'intera area compresa tra la  Porta Metronia e l'attuale Porta Maggiore non era sufficientemente sicura per la difesa dell'Urbe, perciò furono edificate le torri cilindriche ai lati del fornice, alte circa 20 metri, ancora conservate, e si provvide al rivestimento in travertino tuttora visibile sul lato esterno e all'apertura delle finestre per le baliste.


Porta Asinaria – facciata esterna

E' la sola, tra le porte antiche di Roma, ad avere contemporaneamente torri cilindriche affiancate da precedenti torri quadrangolari e questo conferma che era in origine un'apertura di scarsa importanza, posta al centro di due delle torri a base quadrata che componevano la normale architettura delle mura difensive. Una struttura così poderosa ne faceva, di fatto, una fortezza.

Questa porta deve il suo nome all'antica via Asinaria, precedente alla stessa cinta muraria, che l'attraversava confluendo nella via Tuscolana, che proseguiva verso Tusculum  (l'attuale Tuscolo, sull'omonimo monte (670 metri s.l.m.).

In epoca repubblicana ed imperiale nell'ager Tusculanus furono costruite numerose ville suburbane, tra le quali quella di Marco Tullio Cicerone, che nel 45 a. C. circa scrisse le "Tusculanae disputationes", opera filosofica in cinque libri per divulgare  la filosofia stoica. Cicerone affermava di averle elaborate nella sua villa di Tusculum.


Antico teatro di Tusculum

segue
#12
Scienza e Tecnologia / "Evolutio"
21 Ottobre 2025, 11:42:11 AM
Nella lingua latina il termine evolutio deriva da evolvere: parola composta, formata da "ex" (= fuori) + "volvere": indica l'atto di srotolare un papiro contenente un testo da leggere. 

Da "evolutio" deriva "evoluzione".

"Evolutio" è anche il  titolo della mostra romana nel Museo dell'Ara Pacis, fino al 9 novembre, dedicata al ruolo delle infrastrutture nel progresso socioeconomico dell'Italia: 120 anni di strade, ponti, dighe, metropolitane ed edifici. Fino al Ponte di Messina.

Cliccare sul link

webuild.evolutio.museum

La  società Webuild deriva dall'italiana "impregilo", famosa azienda per le grandi infrastrutture in tutto il mondo. 
1960: le società Impresit, Girola e Lodigiani crearono la "Impregilo".

2014: la fusione per incorporazione di Salini S.p.A. in Impregilo S.p.A.  crea il gruppo Salini Impregilo".
2020: Il gruppo Salini Impregilo cambia nome in Webuild, per sottolineare la strategia di crescita e l'ancoraggio al verbo "costruire" ("build").

Ha all'attivo 3.700 grandi opere realizzate nel mondo dall'inizio del XX secolo, per questa ragione è considerato leader mondiale nella realizzazione di grandi infrastrutture complesse (ora è impegnato in 150 progetti in 50 Paesi del mondo con 95 mila persone al lavoro). La mole di realizzazioni ha prodotto un archivio storico multimediale di 1,5 milioni tra foto e video, la base per il racconto della mostra.

È di fatto la storia economica e sociale dell'Italia rivista accanto alla realizzazione delle grandi opere e delle infrastrutture, cioè gli strumenti e i servizi che caratterizzano la contemporaneità.

Il percorso  della mostra propone aree tematiche: energia, acqua, trasporti, edilizia urbana, tecniche costruttive. Ci si muove seguendo il filo dei decenni: lo sviluppo energetico (dal 1930, con il valore fondamentale dell'elettricità), la crescita del sistema idrico (dal 1940, con un focus sulle dighe), le metropolitane (dal 1950), lo sviluppo delle metropoli (edifici civili, culturali, sportivi e ospedali dal 1960), la rivoluzione dei trasporti tra autostrade, alta velocità e ponti (dal 1970) e il lavoro, com'era ieri e come è oggi, puntando i riflettori sui  lavoratori.

Alcuni apparati di edutainment permettono ai visitatori di immergersi in tante diverse realtà. Per esempio ci si può sedere nella cabina di comando di una escavatrice e cominciare uno scavo. Oppure si può impugnare una lampada del tempo che cancella gli antichi treni a vapore e riporta l'Alta Velocità, oppure fa sparire le lavandaie impegnate nei fiumi e lascia apparire le lavatrici di oggi. In un corridoio improvvisamente ci si ritrova a bordo di una modernissima metropolitana, in un altro ambiente il visitatore è al centro di uno dei grandi tunnel del Novecento, per esempio il Gran Sasso.

La mostra fa riemergere tappe importanti del passato e forse sconosciute alle generazioni di oggi, come il ciclopico spostamento dal 1964 al 1968 dei Templi di Abu Simbel in Egitto (di cui l'Italia fu protagonista con Impregilo) per la costruzione della diga di Assuan che assicurò elettricità a milioni di cittadini egiziani e all'industria di quel Paese. Il complesso voluto da Ramses II nel XIII secolo a. C. venne spostato di 280 metri e alzato di 65 su una collina artificiale, ogni pezzo segato artigianalmente a mano per consentire il lavoro delle più avanzate soluzioni ingegneristiche, permettendo di mantenere intatto l'asse con gli astri e il sole, quindi l'orientamento originario.
#13
Ultimo libro letto / Re: L'importanza di non piacere
16 Ottobre 2025, 20:26:59 PM
Vorrei aggiungere altri post riguardanti "L'importanza di non piacere", ma è impossibile. Nel  citato libro, di 193 pagine,  non c'è null'altro di interessante sull'argomento. Vi assicuro che bastano i post riassuntivi che ho pubblicato al riguardo.

E' uno dei soliti volumi con titolo ad effetto per attrarre l'attenzione del possibile acquirente.

Bastano 5 pagine, invece per farlo diventare libro l'autore l'ha riempito di digressioni, anche lontane dalla questione.  Le solite furbate di editori e autori, meritevoli di rimanere sconosciuti.

Le pagine da 137 a 184 sono dedicate all'autotest su diversi stati psicologici, per esempio, autostima, vergogna, paura, ecc.. Le rimanenti pagine ai riferimenti bibliografici.

Per quanto detto, domenica mattina questo libro l'ospiterò nello scaffale dedicato al bookcrossing vicino al giornalaio.  ;D
#14
Ultimo libro letto / Re: L'importanza di non piacere
15 Ottobre 2025, 21:59:19 PM
Nessuno nasce sé stesso, ma si diventa sé stessi.

Chi si aspetta l'amore incondizionato dagli altri finirà per sentirsi tradito se dentro di sé non ha saputo costruire il significato simbolico dell'amore e dell'accettazione di sé.

Prima viene sempre il dentro, poi il fuori. Prima dobbiamo collocare i significati, i valori, dopo vanno messi in ordine. Il vero amore non si cerca fuori ma si coltiva interiormente.

Senza l'amore per noi stessi siamo radici senza fiori, sempre in attesa della primavera per coltivare il campo di un altro.

Il disagio e il senso di inadeguatezza rappresentano l'inizio di una richiesta di cambiamento interiore. L'importante è accettare che siamo diversi da ciò che eravamo prima. Qualcosa ci dice che la nostra personalità è pronta al cambiamento.

Uno degli scopi della vita è capire chi siamo, qual è il nostro potenziale e adattarci alla nostra natura nel modo più equilibrato possibile.
Alcuni esperti dicono che quando ci innamoriamo riusciamo a comprendere la parte intima e naturale di noi stessi, perché alla base dell'innamoramento c'è il riconoscimento di sé e ci sentiamo a nostro agio con la persona amata.

Un vero amore e la passione ci permettono di andare oltre la paura del giudizio altrui, al di là del desiderio di piacere a chi abbiamo davanti.

Riconoscendo la persona ideale di cui innamorarsi, il nostro mondo interiore scopre la completezza.
#15
Ultimo libro letto / Re: L'importanza di non piacere
15 Ottobre 2025, 19:11:09 PM
Ciao Fabriba  (Fabri = Fabrizio ?),

da quanto ho letto finora nel libro mi sembra che l'autore non inviti all'individualismo ma voglia incoraggiare le persone insicure, con scarsa autostima, che tendono a voler piacere agli altri per non sentirsi escluse, di essere sé stesse.

Non bisogna vivere la vita che gli altri vorrebbero per noi e ci rende infelici ma fare ciò che si vuole, senza danneggiare nessuno.  :)

A 20 anni il non piacere agli altri può provocare sofferenza, disagio. Isolamento.
Più vai avanti, più ti rendi conto, se fai un percorso di crescita personale, di quanto l'unica persona a cui è importante piacere sei tu.