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Messaggi - maral

#1
Non so su che si basi l'assunto che "tutte le azioni umane sono dettate dal tornaconto o dal piacere egoistico", forse da un auto esame di coscienza, io non ci credo, è un'affermazione arbitraria (vale quanto dire il contrario) ed evidentemente falsa nella sua pretesa totalizzante, anche perché, se così fosse, un simile essere umano totalmente egoista si sarebbe già estinto da un pezzo., proprio come un essere umano totalmente altruista.
Tralasciando comunque questi rimasugli filosofici dozzinali con le loro pretese totalizzanti sulla bio-psicologia umana tornerei ai dati e alle considerazioni reali sull'immigrazione.
Riassumo alcuni punti:
1- è totalmente falso che l'intero continente africano si stia riversando qui da noi, l'immigrazione africana in Europa è del tutto secondaria, le maggiori correnti migratorie provengono invece dall'Europa dell'Est e non avvengono via mare ed è in maggior parte femminile. Attualmente i paesi con maggiore densità di immigrazione sono, lo ripeto ancora, i paesi del Medio Oriente, almeno finché non arriviamo noi a sconquassarli per insegnare la democrazia.
2- è totalmente falso che i migranti portano via il lavoro ai "nativi". I lavori che vanno a fare gli immigrati sono quelli che i nativi non trovano più conveniente fare, potendo comunque contare su una rendita parentale che permette loro di non farli.
3- non risulta fino a oggi, anche se a qualcuno fa molto piacere pensarlo, che le ONG siano state in combutta con i trafficanti di uomini per fare soldi sui migranti. Le ONG operano per il soccorso sul mare, che dovrebbe essere un obbligo per tutti gli stati i quali invece preferiscono non fare nulla e mettersi d'accordo con gli stessi trafficanti di uomini e chi li appoggia per allestire campi di concentramento, tortura e vendita di schiavi. E, se devo dire la verità, a me fanno molto più schifo i governi che operano in tal modo rispetto anche a eventuali ONG in combutta. Nessun migrante è mai stato comunque portato a forza in catene in Europa.
4- se c'è qualcosa per cui l'Occidente dovrebbe andare fiero, non è per il grado di benessere raggiunto (peraltro sempre più precario e certo non per colpa dei migranti, ma di politiche economiche disastrose), frutto del più becero sfruttamento di popolazioni e risorse a livello mondiale, ma dei diritti umani e civili che è andato maturando. Quegli stessi diritti che andrebbero applicati a tutti gli esseri umani in quanto tali. Il fatto che li si metta in discussione e di fatto li si neghi in nome di "ragioni economiche" è sintomo di una debolezza e di una ipocrisia enorme.
5- La querelle destra-sinistra, anche se fa piacere ai nostalgici dell'uomo forte e del "quando c'era lui", è totalmente fuori luogo, perché non esiste più alcuna politica di sinistra, ma solo varie sfumature di destra. Il famigerato Trattato di Dublino è stato sottoscritto nelle sue revisioni da tutti i governi, Berlusconi con Bossi e Maroni compresi, l'ultima versione del 2013 che contiene la competenza del primo stato di arrivo sull'istanza di accoglienza fu firmata da Alfano e Cancellieri e non dalla Bonino. I migranti che vogliono restare in Italia, sono comunque (per ovvi motivi) una minoranza.
6- La legge Bossi-Fini è stata un orrendo pasticcio all'italiana, a cui gli stessi governi di destra di cui sopra hanno dovuto porre rimedio con sanatorie.
7- Esistono certamente delle difficoltà di reciproca integrazione, non solo tra migranti e nativi, ma anche e soprattutto tra le varie etnie di migranti, costrette a convivere nei campi e nelle strutture di riferimento. E' sul superamento di queste che occorre lavorare, superamento che non è certo possibile con misure discriminatorie che non hanno altro effetto che di aumentare la clandestinità e quindi il crimine.
8- E' una balla colossale alla "Superciuk" che la delinquenza è caratteristica dei poveri (brutti, sporchi e cattivi per antonomasia). Vero è che la delinquenza dei ricchi fa molto meno rumore, ma è ben più tragica e catastrofica.   
   
#2
Citazione di: baylham il 22 Novembre 2017, 11:33:42 AM
Non appena l'Italia supererà la persistente crisi economica favorirà l'arrivo di nuovi immigrati e concederà la regolarizzazione a quelli già arrivati, come è già accaduto con i governi di destra sostenuti da forze xenofobe come la Lega. Evidentemente i politici xenofobi aspirano a creare uno stato basato sull'apartheid.
I politici xenofobi hanno buon fiuto a cavalcare il disagio delle masse, ribaltandone i motivi sugli ultimi arrivati di turno: ieri l'altro i Meridionali che si spostavano al Nord con i loro fagotti maleodoranti e la mafia, ieri gli Albanesi e i Rumeni stupratori, oggi i Neri nullafacenti e spacciatori. Poi le cose cambiano, i pericolosi intrusi di un tempo diventano indispensabili e i politici xenofobi partono subito alla ricerca del prossimo capro espiatorio da dare in pasto al malessere popolare, cosicché la vera causa di questo malessere resti occulta e continui a operare garantendo al politico xenofobo un mestiere di successo e stabile sia solo la facilità con cui riescono a menare per il naso la gente dandole ragione, magari anche distribuendo sacchetti di alimentari ai poveri, purché (i poveri) a denominazione di origine controllata.
#3
Citazione di: cvc il 22 Novembre 2017, 09:18:47 AM
Maral, il tuo ragionamento parte dal presupposto che, se noi volessimo, potremmo migliorare le condizioni di tutti quelli che stanno scappando (a calci nel sedere) e nel contempo non rinunciare a granché del nostro attuale benessere, o perlomeno non al punto di ritrovarci anche noi con le pezze al .... Io suppongo invece che le risorse siano scarse, e che se nella storia dell'umanità le risorse fossero sempre state distribuite equamente, probabilmente il progresso non sarebbe andato molto oltre alla scoperta della ruota e del fuoco. La stessa filosofia nacque in Grecia in un periodo di grande floridità. Se le risorse fossero distribuite tutte equamente, saremmo tutti mediamente povere. Non so te, ma io non ho ambizioni francescane...
Penso invece che il nostro benessere, se realmente tale, non possa in alcun modo prescindere dalla possibilità di una vita decente altrui. Le risorse non sono scarse, anzi non sono mai state così abbondanti e, per una consistente fetta i mondo, anche così superflue. Basti pensare all'enorme spreco alimentare, peraltro effettuato in quei paesi che traggono le loro risorse da altre zone del mondo, quelle dove più si stenta. Non si tratta di essere tutti mediamente poveri, ma di creare le condizioni per una convivenza umana possibile, che esca dalla demenzialità di una distribuzione del tutto iniqua. Per il resto penso che il problema del sentirsi ricco o povero debba essere filosoficamente e non economicamente affrontato, l'economia non trova in se stessa il proprio fondamento, come nel pensiero vigente erroneamente si crede facendo affidamento su un dozzinale materialismo apparentemente pragmatico. Che cosa significa essere ricchi o poveri? In un mondo dove si muore per fame lo straricco è davvero tale o solo il più pezzente dei miserabili?
Lo sviluppo tecnologico è stato in grado di moltiplicare alla grande i pani e i pesci, ma dove finiscono quei pani e quei pesci? Il miracolo che ci occorre non sono i pani e i pesci, ma poter capire e comprendere in che modo si possa ancora ritrovarsi e riconoscere se stessi in un mondo di 6 miliardi di persone, delle quali almeno un terzo rischia di morire quotidianamente per quello che noi abbiamo in esorbitante sovrappiù (e proprio perché noi lo abbiamo in esorbitante sovrappiù).
E questo non significa che la povertà apre i cieli della beatitudine, ma che questa ricchezza di cui immaginiamo di godere e siamo pronti a difendere con gli artigli è una miseria che è peggio della povertà.
#4
Citazione di: altamarea il 21 Novembre 2017, 18:19:01 PM
Io invece vedo migliaia di parassiti che mangiano, bevono, dormono, che vengono vestiti e sovvenzionati con denaro pubblico, che non pagano il ticket sui bus o sui treni, che spacciano droga o commettono altri reati.
Io invece queste migliaia di parassiti non li vedo dove li vedi tu, li vedo piuttosto tra le classi dominanti che gestiscono le loro politiche di rapina sistematica e sfruttamento schiavistico. I parassiti sociali li vedo in quello 0,1% della popolazione che nasconde una ricchezza pari al doppio del PIL statunitense nei paradisi fiscali e con quella corrompe l'intera politica mondiale lavorando come un'idrovora di smisurata potenza e mi rendo conto che è questo lo scandalo che a cascata genera tutto il resto. Non in chi non avendolo cerca disperatamente cibo, vestiario e alloggio, ma in chi possedendo cibo vestiario e alloggio a dismisura continua a rapinarlo con il più feroce accanimento possibile, giustificando la rapina in nome dell'esigenza finanziaria. Le migliaia di parassiti li vedo ai vertici del potere bancario e a gestire imprese multinazionali, stimati e spesso pure portati ad esempio come parassiti di successo grazie alla loro avida ferocia.
Non sono i "barboni" nullafacenti che mi preoccupano, ma chi li crea in un'epoca in cui l'umanità potrebbe godere di una ricchezza incomparabile grazie allo sviluppo tecnologico. E mi fa ribrezzo l'inganno di chi indica nel "barbone", nel fuggitivo per fame o persecuzione, nella sterminata massa degli ultimi il motivo del disastro (questo sì globale) che si approssima, che sta già accadendo.     

#5
Citazione di: Elia il 21 Novembre 2017, 10:27:20 AM
A proposito di questa battutina innocente di chi è convinto di avere sempre ragione (i famosi "radical-chic boriosi che si beffano dell'ignoranza altrui")
Non so se qualcuno, riuscendo a scendere dalle stelle di tanto in tanto, ha per caso seguito ieri sera la trasmissione tv di Rai Tre, "Report",  dove hanno mostrato il giro fraudolento delle ong e dello sciocco accordo preso sottomano dal governo italiano con Triton. È inutile ripetere che siamo governati, sia a livello nazionale che europeo, da incapaci sventolanti bandiere... della pace? No, di sinistra.

"Anche Report documenta i saluti tra Ong e trafficanti di uomini. Dopo il terremoto che ha investito le organizzazioni non governative questa estate, quando la procura di Trapani ha messo sotto inchiesta Jugend Rettet e sequestrato la nace Iuventa, ora anche la trasmissione di Rai3 certifica i rapporti "amichevoli" in mezzo al mare tra scafisti e soccorritori.

Certo che fanno scandalo i saluti tra Ong e trafficanti di uomini, mentre ci rassicurano gli accordi tra lo stato italiano e quegli stessi trafficanti di uomini ora sovvenzionati per gestire i campi di concentramento e tortura profughi in Libia, con le milizie libiche socie nel business.
Il problema più che il buonismo radical chic di una sinistra che non esiste più mi pare l'ipocrisia lercia di un mondo per il quale tutto va bene purché non si vedano musi neri dalle nostre parti a disturbarci in quel benessere sempre più immaginario che nasce dal loro sistematico sfruttamento, corruzione e rapina.
#6
Citazione di: Sariputra il 17 Ottobre 2017, 11:52:54 AM
Mi intrometto di nuovo per riportare un passo di questa interessante dissertazione sul nostro che ho trovato per caso. E' di Antonio Gargano in "Istituto Italiano Studi Filosofici".  Lo faccio, oltre che per fare il bastian contario e farvi imbufalire, perché la discussione non si riduca ad un coro di osanna verso il filosofo tetesko ( è sempre interessante arricchire anche con opinioni critiche...o no?...) : ;D
Fai bene Sari a indicare opinioni critiche su Nietzsche o chiunque altro, ma personalmente non sono per nulla d'accordo con quanto scrive Gargano. Sappiamo che il discorso sulla validità di una teoria indipendente dalla sua genealogia è il discorso che sta massimamente al cuore delle scienze, è infatti la scienza (la fisica e poi tutte le altre) che rivendica il fatto che le teorie scientifiche sono valide del tutto indipendentemente dai loro autori e del tutto indipendentemente dalla loro storia, sono infatti, una volta verificate, "verità oggettive" per le quali la genealogia è al massimo un'amena curiosità. Ora, a mio avviso, proprio questa è una pretesa che non ha alcun fondamento "oggettivo", e se non lo ha per la scienza, figuriamoci per l'etica o la filosofia dove la ricostruzione genealogica dei significati è fondante.
La ricostruzione che Nietzsche fa dei principi morali (che restano comunque i principi morali dell'uomo occidentale del suo tempo, non sono principi universali esistiti in ogni tempo e luogo, anche se la nostra pretesa sarebbe quella: l'Occidente come portatore dell'unica vera civiltà reale) è fondamentale, poiché la genesi è propriamente ciò che essi sono, genesi unica e irripetibile, ma quella è e quella storia, nient'altro, è la loro verità. Si può dire che la ricostruzione genealogica di Nietzsche contiene errori ed arbitrarietà e certamente ne contiene, come qualsiasi altra, ma non si può prescindere da una genealogia per parlare sensatamente del significato delle cose e certamente questo vale in primo luogo per i valori morali. Nietzsche coglie la crisi morale della sua epoca e presagisce con grandissima perspicacia quel secolo tremendo che sarà il XX, a fronte di questa immensa crisi non si può in alcun modo pensare di porsi al riparo restituendo a quei principi un valore in sé, come se niente fosse accaduto, collocarli nell'adamantino arcadico empireo della loro santissima verità inscalfibile, lo trovo assurdo quanto lo sarebbe andare in giro con parrucca incipriata e marsina non a Carnevale. "Dio è morto" non è semplicemente un proclama anti religioso, è molto di più, è il tramonto di un'intera civiltà, quella greco cristiana, con tutti i suoi valori e tutte le nefandezze orribili da cui quei valori scaturirono acquistando, proprio dalle nefandezze fondanti, il loro significato. La sfida che ci attende, non è rimetterne sugli altari le icone impagliate di antichi sogni ideali, ma tentare, se è possibile, di ravvisare ciò che genealogicamente acquisisce verità, se ancora questa parola è possibile, se ancora una società e un individuo sono possibili, se ancora l'essere umano è possibile o non è già defunto da parecchi decenni, senza che alcun Oltreuomo sia arrivato a rimpiazzarlo (o magari sì, magari è in embrione, chi può dirlo).
#7
Tematiche Filosofiche / Re:La felicità
18 Ottobre 2017, 22:14:36 PM
E se fosse il contrario? Se la felicità fosse il poter desiderare? Dopotutto era proprio quello che sosteneva Leopardi ne "Il sabato del villaggio"? Felicità come attesa e preparazione dell'evento di festa, quale altra felicità sarebbe mai concessa agli uomini? E in tal caso la felicità non sarebbe la morte, ma proprio la vita che corre a preparare il suo ultimo istante.
#8
Non credo che batteri patogeni e virus siano dei mostri di egoismo, semplicemente vivono per quello che sono e non distruggono ecosistemi (questo semmai è l'uomo da sempre a farlo), ma vi partecipano in cooperazione. D'altra parte anche la patogenicità è un fattore relativo (patogeno per chi?) e sulla patogenicità verso altre specie e pure verso la propria si potrebbe considerare che gli esseri umani non sono secondi a nessuno, neppure ai peggiori virus.
Ma il problema che sollevi qui riguarda il Creatore: come potrebbe un Dio che crea questo mondo con tutte le sue disgrazie, sofferenze e malvagità essere ritenuto amorevole e giusto?
Nella Bibbia c'è un racconto bellissimo e terribile che pone questo problema, è il racconto di Giobbe: che razza di Dio sei, chiede Giobbe dopo che gli sono stati inferti i più terribili dolori, nonostante fosse sempre stato buono, pio e giusto, se permetti che accada tutto questo? Perché? E il bello è che lo chiede pure Cristo, uomo sulla croce, al Padre celeste, di nuovo perché, "Perché mi hai abbandonato?"
E più angosciante ancora è se questo perché della creatura umana non trova una risposta.
Ma Dio risponde a Giobbe e la sua risposta è netta e definitiva nel non dare ragione: chi sei tu, creatura, per rivolgere una tale domanda al tuo creatore, come puoi solo anche lontanamente ritenere di capire.
 
C'è chi dice che gli Dei non esistono perché non si manifestano e questa è la loro sola giustificazione, ma io credo che la faccenda vada intesa in modo diverso: gli Dei non si manifestano perché se si manifestassero sarebbe la fine dell'umano, di quello scarto di libertà in cui l'uomo può esistere. Questo è il loro più alto atto di misericordia nei nostri confronti. Solo che l'esistenza che ci lasciano, per quello che è, è anche dolore e il dolore più grande è mancare a se stessi, a quello che si è. E questo in qualche modo, dipende tutto da noi, non da un Dio che non si manifesta per lasciarci vivere. E' il prezzo da pagare per il fatto di esserci sapendo di esserci in questo mondo enorme, sconvolgente, infinito, mentre continuamente, senza rendercene conto se non in rarissimi istanti, moriamo.
Virus e batteri pare che questo non lo sappiano e per questo non sono egoisti né distruggono ecosistemi.   
#9
Ciao Garbino, per quanto riguarda Protagora c'è un'interessantissima lezione di Sini su Youtube dal titolo "relativismo". E' divisa in sette parti, ma quelle fondamentali relativamente a Protagora sono la seconda, la terza e la quarta. E' interessante anche perché Sini presenta dal suo punto di vista, il perché della necessità di una cultura filosofica, soprattutto negli ultimi interventi con il pubblico.

Per quanto riguarda Severino in realtà egli pone l'assoluto dell'ente sulla base della tautologia del significato. Ora, si può sicuramente sospettare se questa presa dell'ente nell'assoluto della sua tautologia non rischi di rendere di fatto l'ente stesso niente. E questo mi pare la critica che si rileva in Carrera. La tautologia è certamente sempre vera ed è impossibile contestarla, ma proprio per questo, proprio in quanto da un punto di vista logico è assolutamente vera e incontestabile, essa non dice niente, cancella in una totale insignificanza quel significato che nella sua totale autoreferenzialità ha reso un assoluto innegabile, dunque eterno. Il fondamento del pensiero di Severino nega assolutamente l'autocontraddizione, ma negandola paradossalmente la ritrovo in se stesso. Cos'è allora l'ente reso assoluto se non il niente della sua perfetta  e inattaccabile tautologia. Ed è per questo che poi Severino dal rigore logico incontestabile della sa assunzione (che sarà pure arbitraria, ma se non si assume l'identità di ciò che si dice perde di senso ogni dire), è costretto a un certo punto a sviluppare una sorta di pensiero di sapore mistico che muove dal fondamento logico e in cui compare la Gloria e il Destino della Gioia. Ma qui ancora è possibile chiedersi cosa giustifica questa Gloria e questa Gioia nell'ente che solo in astratto sa della sua eternità, ma non potrà mai sentirla effettivamente, non potrà mai viverla, non potrà mai concretamente conoscerla, in quato la concretezza non può non partecipare di una limitatezza e del conseguente dolore. Qual è la invisibile radiosità gioiosa di questa eternità' Dove se ne potrà mai prendere visione?
Il niente è l'opposto della tautologia, poiché niente, come dice Severino, è l'autocontraddizione, ma il punto è che questi due opposti finiscono con il coincidere, identicità di ogni ente a se stesso e autocontraddizione e il pensiero entra in un abisso da cui solo un grande afflato mistico pare poterlo liberare facendo apparire la Gioia come Destino.
#10
Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2017, 12:07:51 PM
L' amianto come copertura degli edifici funzionava.

Il DDT come insetticida funzionava.

I motori a due tempi per i veicoli funzionavano.

Eppure si tratta di tecnologie che sono state arrestate (e ragionevolmente si può presumere in via definitiva, nei limiti di prevedibilità del comportamento umano).

Eccezioni che confermano la regola?

Secondo me confermano la regola che sono gli assetti sociali dominanti e i rapporti di forza nella lotta di classe (in ultima analisi e solitamente attraverso complesse mediazioni) a condizionare l' uso (o meno; o più speso l' uso più o meno limitato) delle tecniche, e non demiurgicamente le tecniche stesse.
No non sono eccezioni, a un certo punto si è constatato che non funzionavano (tutti i funzionamenti sono contingenti e temporanei). Se mi faccio un tetto di amianto che mi protegge dal freddo invernale, ma poi scopro che con quel tetto di amianto rischio l'asbestosi, difficile sostenere che l'amianto funzioni anche se mi protegge dal freddo. Se scopro un modo migliore di costruire un motore, il funzionamento del vecchio motore non risulta più abbastanza funzionale quindi non lo si fa più e così via. E Cambiando i modi di operare cambiano ovviamente anche quelli di pensare che a loro volta fanno di nuovo cambiare i modi di operare e così via.
#11
Che, se non avesse qualcosa da osservare e in rapporto alla quale definirsi osservatore, non sarebbe affatto osservatore
#12
Tematiche Filosofiche / Re:Se ripetessimo la storia?
28 Settembre 2017, 11:55:35 AM
Impossibile che un evento torni identico, poiché ciò che torna non può essere ciò che la prima volta si è presentato e dunque in questo rispetto, proprio per come lo si vive, non è identico.
Nel caso in cui, come nell'eterno ritorno nicciano, ciò che torna ad accadere fosse effettivamente identico, nulla lo distinguerebbe dal suo primo accadere, dunque sarebbe a tutti gli effetti ogni volta la prima volta che accade.
#13
Non vi è dubbio che l'osservatore, per osservare, qualunque cosa e con qualsiasi metodologia osservi, si collochi necessariamente rispetto a una prospettiva ed è rispetto a tale prospettiva (e non certo in assoluto) che egli giudica e che quindi va indicata a premessa di ogni giudizio che si possa ritenere sensato. Peraltro l'osservatore non è certo un'entità assoluta. in quanto tale è sempre relativo in termini dialettici a quanto viene osservando, non può esservi alcun osservatore con nulla di osservabile, non può esservi alcun soggetto senza un oggetto altro rispetto a lui che lo fa essere, nessun io esiste senza il mondo, senza il quale nessuna coscienza (in quanto coscienza di qualcosa, fosse pure me stesso questo qualcosa) può sussistere. E questa necessaria complementarietà che fa sì che ogni osservato determini il suo osservatore si manifesta come resistenza persistente all'osservazione, il fondo oscuro e insondabile che costituisce l'essenza più profonda di ogni cosa, la realtà stessa che vanifica ogni pretesa di conoscenza totalizzante.
In tal senso, se l'Io è inteso come il principio dell'individualità personale, non è vero che dove c'è l'Io c'è Dio, ma esattamente il contrario, dove c'è l'Io Dio non può esserci e viceversa, ce ne è invece l'assenza e il desiderio.
#14
Il computer è semplicemente uno strumento tecnico come gli altri piccoli e grandi strumenti tecnici che l'uomo ha progettato e non ha potuto fare a meno di progettare e utilizzare nel corso della sua storia e preistoria, a cominciare dai sassi schiaccianoci. Come tutti gli strumenti tecnici modifica il mondo in cui l'uomo vive e quindi lo stesso modo di essere dell'uomo , modifica l'osservatore. Tutti gli strumenti possono entusiasmare, sconcertare, angosciare per la potenza che sono in grado di realizzare attraverso il perseguimento facilitato degli scopi che con essi mostrano di poter realizzare.
L'essere umano cambia con le cose che è in grado di fare, cambia anche come osservatore, vede cose diverse, prospettive diverse, vede se stesso in modo diverso. Il problema che ha dinnanzi quando si trova all'inizio a usare un nuovo strumento è, a fronte dei vantaggi che quell'uso gli prospetta, il timore di finire "spodestato", di diventare lui stesso  strumento di quello strumento, quasi che in esso si celasse una forza demoniaca (e questo è accaduto tante volte nel corso della storia umana, salvo che, demoniaco o meno che fosse il nuovo strumento, alla fine, se funzionava, è stato sempre utilizzato e ha realmente cambiato l'uomo, magari senza che gli uomini se ne rendessero conto, illudendosi di essere rimasti sempre gli stessi, perché l'essere umano che vive usando l'energia elettrica non è più sicuramente l'essere umano che viveva prima della scoperta dell'energia elettrica, il mondo è cambiato e l'essere umano con esso, modi di pensare, di giudicare e di sentire compresi).
Il problema dunque non è il cambiamento che si presenta inevitabile con la tecnica (che a sua volta è inevitabile per l'uomo), ma la velocità (e la continua immane accelerazione) di questo cambiamento (la potenza secondo la definizione fisica della parola). Per milioni di anni il sasso per schiacciare noci o scheggiare altre pietre con cui tagliare è stata l'unica tecnologia umana, ora invece, in un solo secolo nuove tecnologie sono esplose con tutta la loro smisurata potenza, l'informatica è una di queste, ma le nuove biotecnologie renderanno presto risibili i nostri progressi fin qui compiuti, portandoci come sempre il senso di un dono meraviglioso e insieme demoniaco.
E' questo che getta "l'osservatore" (l'adulto che credeva di aver acquisito una visione stabile di se stesso) nell'angoscia, non ci si ritrova più, non con la tecnologia, ma proprio con se stesso: chi sono io? Cosa sto diventando? Il tempo necessario per sentire la propria identità nel mutamento viene a mancare (è il problema di un'individualità liquida, la cui origine è tecnologica, non sociale, sociale è l'effetto).
Come si affronta questo problema? E' possibile affrontarlo, dato che lo sviluppo di nessuna tecnologia se funziona può essere arrestato? Questa è la domanda più difficile, per cui nessuna illusoria indipendenza dell'osservatore dalle cose che usa per fare e osservare con i suoi strumenti può rassicurare. Noi diventiamo diversi accendendo il computer e ancor di più lo diventeremo in futuro con le nuove tecnologie e il grande angosciante problema è come poter continuare a riconoscerci per quello che siamo nel nostro continuo e sempre più rapido mutamento senza finire con il dare di matto, come in un'eterna crisi adolescenziale.
#15
Citazione di: green demetr il 19 Settembre 2017, 11:02:23 AM
Seguendo ancora la mia intuizione (basata sulla tradizione ermetica) infatti non esiste l'assoluto, esiste solo il dissolvimento.
Concordo, l'assoluto è dissolvimento.

CitazioneL'assoluto Hegeliano è un simbolo. L'assoluto Severiniano non so se lo sia. (devo ancora inziare uno, dico uno dei suoi libri).

E' ovvio che il problema è che è un segno formale, ossia indica qualcosa che è fuori dell'Intelletto.
Potrebbe indicare solo ciò che l'intelletto non può assolutamente intelligere. Ciò che intendiamo è appunto la sua assenza, un'assenza che lo rende presente proprio nel suo non esserci.


CitazioneIo detesto questi nominalismi estemporanei, come se la vita di ciascuno non avesse a che fare con reali oggetti.

Dove reale si intende come qualcosa che resiste alla interpretazione, e sì anche il fuoco che ci brucia in un appartamento, è la resistenza alla interpretazione, anzi per dirla all'altezza dei tempi, è la morte che è la resistenza al discorso.
Ma esattamente come nel processo di lutto, non è la morte in sè ad avere senso, ma il reale, e cioè ciò che rimane alla morte.(ossia i sopravvissuti).
Tutto ciò che esiste, esiste in quanto resiste. Per questo l'assoluto non esiste nel senso letterale del termine, come non esiste la morte anche se appare a ciascuno come resistenza insormontabile, come essenza di ogni esistenza.
E' difficile mantenere il filo di questi discorsi, occorre rifletterci a lungo con la dovuta cautela.