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Messaggi - 0xdeadbeef

#1
Citazione di: paul11 il 24 Giugno 2019, 23:17:48 PM
Poni l'IO, come coscienza ,come concetto irriducibile.
Togli qualunque sovrastruttura culturale: scienza, filosofia, fisicalismo,spirtualità,ecc quindi porsi nella sospensione di giudizio, l'epochè.
Adesso osserva un fenomeno e descrivilo, psicologicamente, logicamente, emotivamente, narrativamente, nella sua completezza e non come le sovrastrutture culturali separano, e avrai l'interezza del fenomeno. E' il tuo IO, soggettivo, personale che in quanto coscienza intenziona le cose del mond., E' in estrema sintesi la fenomenologia di Husserl, il ritornare alle cose del mondo.



Ciao Paul
Vorrei un tuo parere un pò più esteso su questo punto della riflessione fenomenologica...
A me sembra semplicemente assurdo affermare che si possa astrarre da ogni giudizio, diciamo,
"condizionato" per osservare il fenomeno nella sua più intima purezza; nella sua "essenza";
nel suo essere "in sé".
Kant aveva detto che nella pratica si doveva agire "come se" la teoresi avesse reso possibile
la conoscenza "in sé" (e, in definitiva, come se la morale avesse un fondamento certo...).
Aveva cioè lasciata "aperta" la porta dell'indeterminazione; una porta che adesso la
Fenomenologia ri-chiude di nuovo ri-ponendosi di fatto su una posizione idealista (perchè
a me sembra che la Fenomenologia, affermando la conoscibilità dell'"essenza", di fatto
affermi la coincidenza di realtà e razionalità).
saluti
#2
Citazione di: Freedom il 24 Giugno 2019, 21:16:18 PM

L'umiltà è uno dei doni più grandi di cui l'uomo dispone. Non è contemplata nella sua giusta luce dall'uomo moderno un po' per la sua grande, intollerabile, inaccettabile e incomprensibile superbia. Un po' perché non la si capisce bene: l'umiltà non è quella del poverino che si dichiara una nullità sperando che l'interlocutore lo incensi. Non è insomma falsa modestia bensì il riconoscere nella realtà il corretto valore di ogni cosa e specialmente dell'essere umano.

A Freedom
Molti anni fa arrivai ad una "conclusione" (se così si può dire; ma non ho poi mai cambiato
parere): o esiste Dio, e quindi l'uomo "vale" in considerazione di essere una sua creatura o,
se Dio non esiste, non solo l'uomo ma l'intero universo "vale" quanto un filo d'erba, o un
granello di polvere...
La vanità è dunque, ed in ogni caso, irrazionale (e quindi l'umiltà doverosa...).
Mi chiedo dunque, e lo chiedo innanzitutto a me stesso, perchè la vanità? La risposta che mi
sono dato è perchè non sappiamo abbastanza, e il nostro sapere (il mio in particolare) è un
sapere solo apparente, comunque non consapevole e profondo.
saluti
#3
A Jacopus e InVerno
Noto che negli USA vige ancora almeno un residuo di quella che fu l'etica capitalistica, che portava
appunto il miliardario, arrivato alla vecchiaia, a donare ad associazioni benefiche o ad istituire
delle fondazioni.
G.W.Bush senior lo chiamava "conservatorismo compassionevole", e lo riteneva perfettamente coerente,
come in effetti lo è, con la dottrina neoconservatrice di cui era il massimo esponente politico.
Una dottrina, Jacopus, che rifugge come la peste ogni regola "costruttivista" (nel senso dato a
tal termine da Von Hayek, e che in definitiva si sintetizza nella teoria di una visione
"escatologica" ed ontologizzante dell'utilitarismo classico).
Insomma: nemmeno ci si sogni di andare a dire ai seguaci più intransigenti del "mercatismo" di
abolire le scuole private d'eccellenza o tutto ciò che sorge "spontaneamente" dal perseguimento
dell'utile individuale. Perchè tutto ciò che sorge spontaneamente (da "spontaneismo") dal
perseguimento dell'utile individuale immediato rappresenta la realizzazione della migliore
fra le condizioni possibili.
saluti
#4
Citazione di: Ipazia il 23 Giugno 2019, 18:33:43 PML'esperienza del socialismo reale ha confermato al di là di ogni ragionevole dubbio che una società egualitaria va continuamente presidiata perchè rimanga tale e lo si fa sulla base di un libero arbitrio collettivo che ha scelto (coscienza) quel modello sociale contrapponendolo ad uno, storicamente prevalente, ancora dominante e sempre risorgente, di tipo classista.

A Ipazia
A parere mio non fai, o non fai abbastanza, i conti con quella "frattura epistemologica" di cui
parla Althusser.
Sembi infatti dar preminenza a quel "soggettivismo marxiano" che, in netto contrasto con
l'oggettivismo evoluzionista presente soprattutto in alcune letture de: "Il Capitale",
porterà molti pensatori a teorizzare appunto la preminenza del "partito" come soggetto
storicamente determinato.
Intendiamoci, credo anch'io che quell'interpretazione (che mi pare la tua) sia quella "giusta",
perchè rende conto di altre "istanze" che sono in definitiva di carattere sovrastrutturale
(seppur rimanendo l'"ultima" quella strutturale) e perchè giustifica appieno quell'aggettivazione
di "storico" che Marx attribuisce al materialismo.
Però, come dire, l'equivoco rimane sullo sfondo, e condiziona pesantemente ogni sviluppo successivo
del pensiero di Marx.
La presunta scientificità "dura" della dottrina marxiana, che si compie nel concetto della struttura
che determina la sovrastruttura senza che vi siano "istanze" diverse, porterà la sinistra mondiale,
davanti ai nuovi scenari e paradigmi posti dalla modernità, a considerare Marx come confutato, e dunque
da "rottamare".
Perchè questo è quel che è successo (basta leggere il fondamentale "Capitalismo e teoria sociale", di
A.Giddens, per rendersi conto di come questo equivoco abbia segnato profondamente il passaggio verso
questa pseudo-sinistra liberale odierna).
saluti
#5
Io, se con "preghiera" intendessimo qualsiasi parola o pensiero rivolto alla dimensione spirituale,
prego molto spesso. Non credo di credere, se mi è permesso questo gioco di parole, perchè non ho
mai "percepito" una presenza divina (percepisco anzi il "nulla"; la assoluta mancanza di qualsiasi
senso e significato). Ma mi ostino, così, assurdamente, a "voler sperare" contro ogni mia
sensazione.
La mia preghiera è, a volte, la ripetizione "pappagallesca" delle orazioni classiche (lo faccio
essenzialmente per "punire" la mia abnorme vanità); molto più spesso è fatta di pensieri densi
di disperazione circa l'insensatezza dell'universo e l'indifferenza crudele della natura.
Durante questi momenti in genere non penso ad altro; tanta, anzi massima è l'importanza che gli
attribuisco.
Tuttavia non vedo male queste "distrazioni" dell'amico Freedom, visto che il riconoscere la propria
natura debole e peccaminosa è segno certo di umiltà e sapienza.
saluti
#6
A Freedom
Ma tu, cosa intendi con il termine "preghiera"?
saluti
#7
A Viator
Negli anni 50 ci si stupiva fin quasi allo scandalo che Adriano Olivetti (famoso imprenditore che
precorse i tempi nel campo del calcolo elettronico) guadagnasse 50 volte il salario di un suo
operaio. Fai tu il calcolo di quante volte, oggi, un "manager" o un campione dello sport eccede il
salario di un operaio (chiaramente precario)...
Quel che voglio dire è che, sì, al collettivismo possono essere attribuite molte nefandezze (fino
addirittura alle peggiori tragedie del 900), ma non è che con questo possiamo dare "campo libero"
all'individuo, come lo stiamo dando (l'individuo ha ormai assunto una veste totalizzante, ontologica
direi).
Lo accennavo già in quella risposta all'amico Jacopus che citi: è una questione di misura (e qui non
ce n'è più nessuna).
E non soltanto per una questione di mera giustizia sociale, ma è anche per un motivo propriamente
economico che le eccessive diseguaglianze sono dannose, come molti ed autorevoli studi
dimostrano (ad es. T.Piketty e R.Reich).
saluti
#8
A Jacopus
No, non ritengo che il processo di "individuazione" sia necessario nel senso di "inevitabile
destino" (non credo ad alcuna "necessità", quindi neanche a questa).
Men che meno credo a fantomatici "processi di potenziamento", che mi rimandano direttamente ai
fraintendimenti della teoria darwiniana e, in ultima analisi, alla teoria metafisica del "progresso".
Nel corso della storia abbiamo molte volte assistito a forti riprese del collettivismo inteso come
cambiamento di prospettiva davanti alla, chiamiamola, "monadicità" dell'individuo (in parole povere
alla considerazione dell'individuo come "universo a sé"). Ma, per così dire, sempre si è fatto un
passo avanti per poi farne due indietro, visto che l'emergere dell'individuo sembra, come tendenza,
essere costante.
Diciamo che questo mi sembra essere ciò che "avviene" (se poi uno crede che ciò che avviene, avviene
per necessità è libero di farlo, ma non è il mio punto di vista).
Credo che né l'individualismo né il collettivismo siano "necessariamente" (questo avverbio ritorna
fatalmente, e non a caso...) brutta o buona cosa.
Però, come giustamente noti, oggi che l'individuo ha assunto veste totalizzante (è soprattutto Von
Hayek a mostrarlo chiaramente, come ho cercato di spiegare lungo questa discussione), il problema è
il problema dell'agire collettivo come problema etico.
Ma non solo, perchè visto che il problema etico è anche il problema giuridico, il problema diventa
allora, e direi drammaticamente, il problema del "diritto".
Non a caso nell'ottica liberale si parla non di "diritto", ma di "libertà" (il diritto "vive" infatti
in una dimensione collettiva che non è quella della "libertà" come intesa dagli anglosassoni).
Lo "sguardo del mondo" moderno, che è plasmato su quello della filosofia anglosassone, "risolve"
il problema con lo strumento del "contratto", che come afferma Von Hayek è lo strumento più efficace
per risolvere le controversie fra gli individui.
saluti
#9
Citazione di: Ipazia il 21 Giugno 2019, 17:17:41 PM
I liberali sono quelli che proclamavano il diritto dell'uomo alla felicità mentre si facevano servire a tavola, nei campi e a letto da schiavi africani (non è che siano cambiati molto col tempo). I marxisti, epigoni compresi, credono così tanto alla "natura umana necessariamente buona" da aver postulato la dittatura del proletariato per tenere a bada la borghesia che evidentemente doveva avere una natura umana di tipo diverso  ;D


A Ipazia
Su questo punto credo tu faccia finta di non capirmi, visto che ho più volte ripetuto che NON
ritengo il marxismo una dottrina buonista, ghandiana insomma; ma che ritengo il marxismo poggiare
sull'idea di un essere umano naturalmente buono (sull'idea rousseiana del "buon selvaggio",
insomma).
Sai meglio di me come la "dittatura del proletariato", nell'ideologia marxista, serva a rimuovere
ogni parvenza ideologica sovrastrutturale borghese. E come, attraverso la completa "rivoluzione" dei
rapporti di produzione, serva in ultima istanza (...) a rimuovere ogni forma di potere politico
(fino all'anarchia rappresentata dal "comunismo").
Ovviamente questo "fine" non sarebbe ipotizzabile né nel caso si considerasse l'essere umano come
"homo homini lupus", né lo si considerasse dotato di "libero arbitrio".
E' evidentissimo, al punto che risulta banale sottolinearlo, come in tutto il "sottosuolo" del
pensiero di sinistra la "colpa" giuridica venga attribuita ad agenti esterni (che in ultima
istanza sono riconducibili ai rapporti di produzione); mai ad un atto dovuto a "dolo", cioè ad
un atto di piena e consapevole volontà di agire al fine di nuocere.
saluti
#10
A Ipazia
Sì certo, non discuto la tua definizione di "capitalismo"; ma essa è appunto quella peculiare del
pensiero di Marx (il quale, non è sicuramente un "signor nessuno" in materia, intendiamoci).
Mi chiedo, dicevo, se già l'accumulo e il capitale "familiare" (nel senso di "famiglia" come
unità sempre più ristretta ed "individuata", che nel corso della storia passa da una concezione
"larga", quale quella della tribù o del "clan", alla attuale) già non possano pregigurare una
forma capitalistica (o precapitalistica nel senso indicato dallo stesso Marx).
E in ogni caso ritengo molto problematico l'affermare che l'economia mercantile mediaevale non è
capitalistica.
In essa, del capitalismo abbiamo forse già la caratteristica principale: l'interesse (che non a caso
genera le prime banche e la prima forma finanziaria - oltre ad una prima forma di globalizzazione,
con il Fiorino fiorentino assunto come moneta di scambio internazionale).
Quando la filosofia anglosassone afferma che l'utile individuale è "bene" non lo intende in senso
merceologico (sarebbe in ogni modo intelligente chiedersi il perchè un certo prodotto merceologico
viene definito "bene"...).
No, per essa il "bene" non è quel qualcosa di stabilito a priori della filosofia "continentale"
(chiaramente sulla base del "comandamento divino"), ma è l'utile individuale stesso, con il
quale coincide.
Da questo punto di vista, non parlavo del "bene" come di un prodotto merceologico, ma del "bene"
metafisicamente inteso (o naturalisticamente inteso, se preferisci...).
L'utile individuale è, per la filosofia anglosassone, SEMPRE bene (tant'è vero che coloro che
non sanno perseguire questo utile, i poveri, finiscono dritti all'inferno...).
Sul successo economico orientale vorrei segnalarti un'opera molto "originale" ("Democrazia e
mercato", di J.P.Fitoussi), in quanto mi risulta essere uno dei pochissimi (almeno fino a qualche
anno fa) studi sul rapporto che lega fra loro le forme politiche della democrazia e le forme
economiche del mercato.
Bene, Fitoussi afferma che il momento più "efficiente" in termini di mercato è stato quello della
democrazia messicana negli anni 70. La qual cosa vuol dire che mercato e democrazia si "sposano"
bene fino a un certo punto, che è quel punto in cui i diritti democratici non vanno "troppo" (...)
ad intaccare la libertà economica...
Insomma, mi sembra evidente che i pochi diritti di cui godono i lavoratori orientali si sposano
alla perfezione con l'estremismo capitalistico che vige in quei paesi. Semmai ci sarebbe da
fare un certo discorso per quanto riguarda l'individualismo, ma dire che il successo economico
orientale poggia sulla "coscienza sociale" mi sembra un paradosso.
saluti
#11
A Jacopus
La democrazia nasce come superamento del vincolo del sangue, quindi come ripartizione territoriale
("damoi", da cui "demos") di ciò che prima era tribù, clan, "fratria" (oggi, facci caso, il medesimo
concetto si ripropone nel dibattito circa il diritto di cittadinanza - lo "ius sanguinis" che viene
superato in favore dello "ius soli").
Il passaggio mi sembra dunque molto chiaro e molto "moderno": viene negata la "fratellanza"; dunque la
"comunità" è obliata in favore della "società" (come spiegato dal sociologo F.Tonnies); ma questo
sempre avviene, nella storia, quando si è in presenza di un crescente sentimento di individualità
che, appunto, va "governato" secondo metodi che non possono più essere quelli propri delle comunità
strette da dei vincoli parentali.
Non a caso, la forma politica della democrazia (che è da distinguere dalla repubblica) nasce nella
mercantile Atene, e si ripropone secoli e secoli più tardi nella "capitalistica" Inghilterra.
Chiaramente la percezione di una propria individualità "monade" (cioè bastevole a se stessa, come nella
celebre definizione di Leibniz) coincide con la percezione di individualità "altre".
E' vero che per il Cristianesimo siamo tutti uguali in quanto tutti creature di Dio; ma questo solo in
potenza, perchè negli effetti alcuni finiscono in paradiso ed altri all'inferno.
E del resto sull'argomento già aveva detto qualcosa di molto significativo Aristotele con la celebre
distinzione circa la giustizia "distributiva" e/o "commutativa".
Quindi ecco, certamente la percezione di una propria individualità è la percezione di altre individualità.
Ma la percezione DELL'individualità (propria e altrui) è anche la percezione della "differenza" (una
percezione solo molto attenuata nelle comunità unite dal vincolo parentale - in queste comunità, notano
molti studi antropologici ed etnologici, praticamente non esiste l'accumulo).
Infine, per quanto concerne una presunta "necessità" (nel senso di "inevitabilità") che l'individualismo
conduca all'egoismo, cioè per quanto concerne la presunzione circa la naturalità dell'"homo homini lupus",
personalmente credo che l'unica "natura" dell'uomo sia il "progettarsi in possibilità" (come nel primo
Heidegger - cosa che in teologia si chiama "libero arbitrio")
Di conseguenza credo anche che, come non esiste una natura umana necessariamente "ferina", così non esiste
una natura umana necessariamente "buona" (l'homo homini deus di Spinoza), come invece credono i Liberali
e troppi epigoni non all'altezza di Marx.
saluti
#12
Citazione di: Ipazia il 20 Giugno 2019, 17:48:53 PM
Il valore come merce, valore di scambio, è strettamente correlato allo sviluppo capitalistico, che dura da non più di 5 secoli, nei quali, almeno fino al '900 il valore d'uso ha mantenuto la sua importanza nella produzione capitalistica. Lo "sguardo" mercificante si libera totalmente dal valore d'uso solo con l'avvento del capitalismo finanziario. L'utilitarismo spiega poco, come l'antinomia egoismo-altruismo. Ciò che conta - antropologicamente - è il concetto di valore che ha un'aura semantica complessa che si distende dalla metafisica, all'etica, all'economia (l'ordine di priorità è casuale).

L'utilità di un bene è una precondizione economica, ma non così centrale da poterci costruire una Weltanschauung totalizzante. Cose utili in un contesto socioeconomico diventano inutili in un altro. Lo stesso vale per gli individui. Se lo sviluppo occidentale si fosse limitato a individui e utilità sarebbe già fallito. I social imperversano e seppelliscono ogni illusionalità individualistica nella vita privata. In quella pubblica va ancora peggio. Il successo economico orientale poggia sulla coscienza sociale, non su quella individualistica. Spiace per tutti gli orfani dell'Individuo che con Dio ed Essere fa una bella terna di utilità metafisiche un tantino fuori corso.


A Ipazia
Sullo sviluppo capitalistico che: "dura da non più di 5 secoli" dico semplicemente che questa
affermazione è, al massimo, coerente con la visione che aveva Marx del capitalismo...
In realtà, non saprei se già l'accumulo, che probabilmente comincia con le tecniche di conservazione
del cibo, possa essere definito come una forma capitalistica (per non parlare poi di certi
sviluppi mercantili, già nella Mesopotamia o nell'Atene classica, fino alle vere e proprie
rendite capitalistiche presenti, soprattutto, a Genova e nelle città marinare sia italiane che
nordeuropee - con tanto di banche e finanza modernamente intesa - già nel medioevo).
Per come io la vedo, lo sviluppo "capitalistico" (da me naturalmente inteso non nel senso dell'
ortodossia marxiana, come accennato, ma in uno molto più "largo") va di pari passo con
l'emergere dell'individuo. E non potrebbe essere altrimenti, perchè il capitalismo è, nella
sua stessa essenza, LA forma economica dell'individualismo.
L'utilitarismo inteso come: "cose utili in un contesto socioeconomico diventano inutili in un
altro" non è, semplicemente, l'utilitarismo così come inteso dalla filosofia anglosassone (che è
l'utilitarismo così come è oggi inteso dallo "sguardo moderno").
La qual filosofia definisce "l'utile" non solo come ciò che è oggetto di volizione individuale,
ma anche come ciò che è "bene".
La tua definizione di "utile" è oggettiva ("continentale e costruttivista", la definirebbe
Von Hayek), in quanto suppone un utile "universalmente noto" che, appunto, può risultare
anche inutile laddove si sottoponesse a critica quell'"universalmente noto" (come tu in effetti
fai).
L'utile come oggetto di volizione e desiderio individuale non si cura del "contesto"; rimane se
stesso in quanto espressione soggettiva (non ha nessuna importanza se il mio utile non equivale
al tuo).
Sul "successo economico orientale che poggia sulla coscienza sociale, non su quella individualistica"
mi permetto di esprimere una forte perplessità circa il fatto se tu stia scherzando o meno...
E infine, vorrei saperne un pò di più su ciò che intendi circa l'intelligenza arfificiale.
Che vuol dire che questa polemica è totalmente datata di fronte ad essa?
saluti
#13
A Jacopus
Ne ho (a proposito di dati) appena illustrato, seppur per sommi capi, uno molto significativo: il cambiamento di paradigma
circa il valore di un bene economico (che da valore-lavoro come era per l'economia classica diventa
valore di scambio nel Marginalismo).
Potrei, ad esempio, iniziare con la celebre difesa di Socrate dei generali imputati del disastro delle
Arginuse (Socrate disse, contro la tradizione che voleva punizioni collettive, che la responsabilità
era sa intendersi solo come individuale), per poi passare al Cristianesimo e al suo concetto di
colpa e merito individuali.
Attraverso numerosi e significativi momenti, sia "reali" che filosofici (come non citare l'avvento su
larga scala delle democrazia,  il "rasoio di Ockham o la "rivoluzione copernicana del pensiero" di Kant?)
potremmo arrivare alla odierna sempre minor importanza dell'istituzione collettiva (stato, sindacato, etc.),
non trovi?
Certo non mi sono sfuggite le tue considerazioni (cui ho risposto) circa il momento attuale, con la ripresa
"sovranista", ma di sento di poter affermare che l'emersione dell'individuo costituisca, durante il corso
della storia, una specie di "filo rosso" di assoluta evidenza.
saluti
#14
A Ipazia
Lo "sguardo", chiaramente traduzione raffazzonata del celebre "weltanshauung", è di tutti, o perlomeno
della stragrande maggioranza delle persone.
E lo "sguardo" occidentale, che è essenzialmente individualista e utilitarista, sta ormai rapidamente
diventando lo sguardo del mondo intero.
E non è neppure quel frutto che certa retorica attribuisce all'elité politico-economica dominante, visto
che la sua storia data ormai qualche buon millennio (come vado spesso ripetendo, tutta la storia dell'
occidente è la storia del progressivo emergere dell'individuo - e di conseguenza dell'utilitarismo).
Ritengo incredibile che si cerchi di obliare un dato di fatto di una simile evidenza: basta solo
conoscere un minimo di storia del pensiero e...aprire gli occhi sulle persone che ci circondano.
Dopo essere arrivati dove siamo, trovo del tutto "naturale" che si arrivi alla concezione del "valore"
(non solo economico, come dico in risposta all'amico Paul11) come valore che ad un certo "oggetto"
attribuiscono gli individui.
Come già ebbi occasione di dirti, a quel tempo le opere di Michelangelo non erano belle perchè erano di
Michelangelo, ma perchè ritenute belle "in sé". Oggi sarebbero belle perchè di Michelangelo, come certi
obbrobri "firmati" mostrano con le loro valutazioni astronomiche.
In altre parole, il "brand" oggi conta molto di più che non la quantità di lavoro necessaria a produrre
un certo bene; ed è per questo che la teoria di Marx è oggi perdente su quella di Von Hayek.
Tornando al "fine", esso non c'è (più) proprio perchè non c'è (più) l'"in sé" delle cose.
Trovo che ridurre l'Essere filosofico a "Dio" non sia del tutto assurdo, ma sia in ogni caso una "soluzione"
troppo semplicistica.
In quel passaggio, Heidegger voleva a parer mio dire che l'essere umano (l'"esserci") ha una "sostanza";
un qualcosa di identico nel molteplice; e questo qualcosa è (anzi era, visto che ha poi cambiato
idea) la capacità di darsi un progetto futuro.
Quindi, per Heidegger, l'essere umano come quell'essere che ha la capacità specifica di "progettar-si",
cioè di darsi un "fine".
Ora, secondo la mia tesi l'essere umano non è (più) quello di Heidegger, ed è evidente che non lo è più
proprio perchè non più capace di progettar-si, di darsi un fine che non sia quello immediato e
coincidente con il mezzo. E l'essere umano è incapace di ciò perchè, dicevo, non c'è più l'"in sé"
delle cose, cioè appunto perchè non c'è più una "sostanza"; una qualcosa di identico nel molteplice
a caratterizzarlo (l'essere umano).
In questo vi è evidentemente una radice metafisica, ma ridurre tutto questo discorso a "Dio" (e magari
al dio di una qualche religione storica) è, ripeto, troppo riduttivo.
saluti
#15
Citazione di: Ipazia il 17 Giugno 2019, 14:18:06 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Giugno 2019, 21:00:32 PM
A Ipazia
La domanda: "cosa me ne faccio del profitto capitalistico?" sottintende la domanda circa il fine del profitto capitalistico; ma tutto lo "sguardo" moderno non si pone quella domanda, perchè non si pone proprio alcun fine (chi vive, come noi viviamo, solo nel presente non si pone fine alcuno).

Allora chiediamoci perchè non si pone alcun fine ? Non puoi rispondere alla domanda da te posta nella discussione con una tautologia che si limita a menare il can per l'aia.


A Ipazia
Lo "sguardo" moderno non si pone alcun fine perchè "fine" è l'utile immediato, cioè il mezzo.
E ciò vuol naturalmente dire che mezzo e fine coincidono. Sul "perchè" succede questo ti rimando
al famoso: "l'esserci progetta il suo essere in possibilità", di Heidegger: l'esserci non ha (più)
un essere, cioè l'uomo non viene più visto nella sua "sostanza" umana.
Soros sa perfettamente quel che sapeva il "principe" machiavelliano: per mantenere il potere bisogna
accrescere la propria potenza. Quindi sì, da un certo punto di vista sa benissimo quel che farci con
i soldi; ma anche qui, ripeto, si tratta di capire che non è tanto scomparso il fine, quanto che
ormai esso coincide con il mezzo.
Per epigoni di Marx non intendo affatto i "cattocomunisti", bensì praticamente TUTTI i pensatori
di scuola marxiana. E quando dico: "uomo naturalmente buono" non intendo certo dire che la dottrina
marxista si fonda sul "buonismo", come del resto già accennavo. Ma se ritieni (non senza buone ragioni)
che questo argomento sia fuori tema la chiudo qui.
saluti