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Messaggi - davintro

#1
Tematiche Filosofiche / Re: Contro il rasoio di Ockham
05 Gennaio 2025, 01:49:13 AM
Citazione di: Jacopus il 05 Gennaio 2025, 00:36:08 AMQui trovo una fallacia. Non si deve dimostrare l'inesistenza di un ente, ma si deve dimostrare la sua esistenza, altrimenti si giunge alla teiera di Russell (vedi la voce su Wiki).

Buona sera e ben ritrovato. Quello che volevo argomentare consiste proprio nell'idea che ogni negazione dell'esistenza di qualcosa implica sempre l'affermazione di qualcosa che sostituisce nella propria visione della realtà ciò che viene negato. Chi nega l'esistenza della teiera volante sta affermando, in primo luogo, la verità della propria visione dell'universo in cui la teiera non c'è, e poi la verità dell'esistenza di ciò che nella sua prospettiva sostituisce la teiera occupando il luogo dello spazio in cui chi afferma l'esistenza della teiera ritiene di vederla, così come nel mio esempio, Caio vede un tratto di cielo dove Tizio vede un campanile. Affermazione e negazione sono solo scelte linguistiche convenzionali, struttura formale delle frasi entro cui esprimiamo giudizi, ma nella sostanza ogni giudizio, di esistenza o inesistenza, è sempre un'intenzionalità in cui sto sostenendo in positivo una certa visione della realtà, il religioso sostiene l'esistenza di Dio, l'ateo sostiene l'esistenza di un "qualcosa" che dal suo punto di vista riesce a spiegare meglio dell'ipotesi teista ciò che il religioso ritiene si possa spiegare tramite Dio. La contrapposizione tra teista e ateo è molto più nominale di quel che si crede e l'onus probandi spetta a entrambi nella stessa misura.

Quando parlavo di soggettivismo nella modernità non avevo in mente la scienza, ma il percorso della filosofia moderna da Cartesio, passando da Kant, verso l'idealismo tedesco, fino a sfociare nel prospettivismo nicciano del "non esistono fatti ma solo interpretazioni", che trovo da un lato esito radicale e paradossale dell'idealismo stesso, dall'altro la denuncia stessa del suo fallimento. Percorso in cui son sempre più messe in crisi le categorie del realismo della metafisica classica. Tale questione non è dalla scienza affrontata direttamente, ma la coinvolge "suo malgrado", in quanto le pretese di validità della scienza, come del resto di ogni forma di conoscenza, compresa la metafisica, richiedono di essere legittimate da un realismo filosofico, in cui la sussistenza di un mondo naturale oggettiva deve essere riconosciuta autonomamente dall'arbitrio soggettivo dell'Io osservante (altrimenti ogni osservazione sarebbe limitata solipsisticamente alla coscienza soggettiva dell'osservante senza poter rispecchiare un mondo reale). Non a caso nel Novecento gli attacchi più polemici contro l'oggettività delle verità scientifiche, almeno in Italia, non sono venuti da metafisici di ispirazione religiosa, ma guardacaso, da idealisti laici come Gentile e Croce, che accanto alla polemica "antiscentifica" tenevano bene in vista quella contro il realismo della metafisica cristiana classica (specie la Scolastica), accusata di perseguire nel rivendicare il primato dell'Essere o della realtà, rispetto al pensiero soggettivo.
#2
Tematiche Filosofiche / Contro il rasoio di Ockham
04 Gennaio 2025, 23:36:39 PM
Saluto con piacere il forum, dato che era un pò di tempo che non passavo a scrivere, e ogni tanto mi prende un pò la nostalgia.

Un consueto cavallo di battaglia nelle discussioni sull'esistenza o meno di entità metafisiche come "Dio", "anima", "sostanza" ecc. da parte del "fronte" antimetafisico, di fronte all'ammissione dell'impossibilità di dimostrare l'inesistenza di tali entità, è chiamare in causa il "rasoio di Ockham". Non moltiplicare gli enti se non necessario, cioè in assenza di dimostrazioni a sostegno o contro l'esistenza di un ente, sarebbe più ragionevole la tesi della non esistenza, in quanto più semplice e meno necessitante di spiegazioni. Vorrei provare a spiegare i motivi che suscitano in me molta perplessità su un' autentica validità epistemica di tale argomento.

La concezione classica della verità la intende come corrispondenza tra proposizione e stato di cose oggettivo, cioè la verità sarebbe data dall'adeguamento dell'intelletto alla realtà. Nel rasoio i termini del rapporto vengono invertiti, si pretende che sia la realtà a doversi adeguare alle esigenze soggettive di comodità di ricerca, una visione della realtà semplice da verificare sarebbe più ragionevolmente vicina al vero di una complessa e impegnativa da indagare. Ciò inaugura quella deriva soggettivista e relativista che via via si imporrà nella modernità. I teorici del rasoio cercano di giustificare ciò affermando che quanto maggiori sono le condizioni necessarie al realizzarsi di un evento, tanto più tale realizzazione sarà ostacolata e resa improbabile, per cui l'esistenza di un evento "semplice", necessitante di minori condizioni di realizzabilità, sarà più probabile. Questo è il fondo di verità del rasoio, solo che è estremamente limitante per garantirne la validità epistemica. Io e Mozart concorriamo per la vittoria di un premio di musica, e viene stabilito che per vincere mi sarebbe sufficiente ottenere il voto anche solo di 1 dei 5 giurati che compongono la commissione valutante. Ora, un utilizzatore del rasoio non si farebbe problemi a scommettere sulla mia vittoria, essendo un evento con molte meno condizioni di realizzazione rispetto a quella di Mozart. Invece, ovviamente, Mozart stravince. L'errore del rasoio sta nel limitarsi a valutare, in termini meramente quantitativi, gli ostacoli esteriori da dover superare per realizzare un certo evento ignorando ciò che è più importante, la qualità interna dei singoli fattori di realtà (nell'esempio, il genio di Mozart paragonato alla mia difficoltà di mettere insieme tre note giuste al flauto imparato alle Medie), tale per cui, una causa particolarmente potente può con più facilità realizzare un evento superando un maggior numero di ostacoli rispetto a una causa più debole che pure avrebbe di fronte meno condizioni da assolvere per ottenere il suo effetto. La validità del rasoio implicherebbe l'assunzione di un modello di realtà materialista nel quale tutto ciò che accade è frutto di rapporti di forza quantitativi e misurabili, entro cui è possibile un calcolo delle probabilità, ignorando tutti i fattori qualitativi e immateriali, la natura delle singole cause, da analizzare una alla volta, tali per cui un a maggior numero di condizioni atte a realizzare un evento si può assolvere sulla base di un grande talento o una morte motivazione psicologica, mentre una volontà debole può avere difficoltà a realizzare azioni apparentemente semplici.

La seconda obiezione è più radicale: la prima voleva andare a riconoscere la grande limitatezza del margine di applicabilità del rasoio, questa vorrebbe andare a colpire proprio il cuore del rasoio, la presunta distinzione tra visioni "semplici" e "complesse". Il rasoio indica di non "moltiplicare gli enti se non necessario" e in questo modo assume un modello di realtà rozzamente intesa come una sorta di lista della spesa in cui ogni attribuzione di esistenza conduce a un allungamento della lista. Secondo me non esistono visioni più semplici o più complesse, in quanto i limiti delle umane visioni sono dati dalla prospettiva da cui i soggetti vedono la realtà, non dalla quantità di oggetti compresi in quelle visioni. Tizio e Caio si affacciano alla stessa finestra, Tizio vede un campanile, Caio, guardando nella stessa direzione, non lo vede. Ora, un teorico del rasoio direbbe che, fintanto che non si vada ad accertare l'esistenza del campanile, la prospettiva di Caio dovrebbe essere preferibile, in quanto più "semplice ed economica". Ma, come insegna Husserl, il pensiero è sempre "pensiero di qualcosa", questo vuol dire che l'assenza del campanile dalla visione di Caio presuppone che al posto del campanile ci sia qualcos'altro che riempirebbe lo stesso spazio che nell'ottica di Tizio è riempita dal campanile. Il nulla non è altro che nulla, dunque ogni negazione dell'esistenza di un ente implica l'affermazione "in positivo" di un altro ente che riempie il posto lasciato vuoto nella visione, senza così che tale negazione renda la visione più semplice. Il teorico del rasoio a questo punto potrebbe ribattere dicendo che la prospettiva di Caio resta più semplice (dunque preferibile) in quanto al posto del campanile si vede il cielo, cielo che è già presente nella visione di Tizio, il quale, vedendo anche il campanile, sta rendendo la sua prospettiva più complessa, più ricca di esistenza, più ontologicamente costosa. Ma non è così: il materialista che, usando il rasoio ed eliminando entità metafisiche, ritenendo di poterle sostituire con oggetti presi dal mondo delle scienze come "natura", "big bang" "evoluzione" ecc. presenta la sua visione come più "semplice" ed "economica" in quanto quelle categorie indicherebbero realtà che anche il metafisico può riconoscere, sta in realtà giocando su un ambiguità linguistica semantica. Infatti, nel momento in cui vengono utilizzate come sostitutive delle entità metafisiche, subiscono uno stravolgimento semantico rispetto al significato entro cui erano state pensate per rispondere alle questioni scientifiche, distinte da quelle metafisiche. La prospettiva materialista è solo apparentemente più semplice ed economica rispetto a quella metafisica, in quanto l' eliminazione delle categorie della metafisica è ottenuta a condizione di rendere più "costose" le categorie naturalistiche con cui vengono sostituite, che, nell'esser presentate come risolutive di questioni filosofiche e non solo scientifiche, diventano qualcosa di totalmente diverso dalla loro accezione scientifica originaria, molto più complesse così come il "cielo" nella visione di Caio è molto più complesso del cielo di Tizio, in quanto presume di invadere anche lo spazio entro cui quest'ultimo vede il campanile. il livello di complessità è lo stesso, non aumenta o diminuisce e l'onere della prova che ha Tizio nel dimostrare l'esistenza del campanile è pari a quello di Caio nel dimostrare la realtà del tratto di cielo che nella sua visione occupa lo spazio in cui Tizio vede il campanile, così come l'onere della prova per il metafisico di dimostrare l'esistenza di Dio, anima, sostanza, è pari a quello del materialista per dimostrare l'esistenza di realtà mondane chiamate a render ragione di ciò che invece il metafisico ritiene di poter spiegare tramite le sue categorie.

In realtà, non voglio dire che il rasoio non abbia alcun valore, solo che penso che tale valore sia accettabile in un'ottica meramente pragmatica e non teoretica, cio una sorta di regola producerale per le ricerca. Essendo il tempo della nostra vita limitato, si può accettare di fissare parametri in base a cui evitare di prolungare ricerche inerenti ipotesi comportanti tempi eccessivamente lunghi di verifiche, ma ben consapevoli che ciò non va in alcun modo ad intaccare il presunto valore teoretico/veritativo dell'ipotesi scelta, ma si tratta solo di una scelta pragmatica di razionalizzazione del tempo e dei costi dello studio, insomma trattare il rasoio non molto diversamente dall'accorgimento di vestirsi pesante se si va a fare esplorazioni al polo nord... insomma più che "contro il rasoio di Ockham" sarebbe più corretto dire che volessi argomentare contro gli abusi del rasoio, abusi purtroppo molto frequenti.
#3
Idee per migliorare il forum / Re: Intoccabili ? SSN
24 Maggio 2024, 09:16:29 AM
Buongiorno
Torno a scrivere dopo parecchio tempo in questo forum, perché venuto a conoscenza del fatto che si è accennato al mio abbandono, perlomeno provvisorio, del forum in questo topic in termini che mi spingono a dover fare dei chiarimenti. Non ho smesso di scrivere perché, come detto da qualcuno "ho esaurito gli argomenti". Continuo nella mia vita, con tutti i limiti che mi contraddistinguono, a occuparmi di filosofia, leggerla e scriverne, e anche discuterne con altre persone in altre sedi, solo che mi son sentito, in questo specifico contesto, di staccare perché ho avuto la percezione che si fosse arrivati a un punto per il quale, in ogni discussione, indipendentemente dal tema di partenza, si arrivava a dover ribadiree più o meno le stesse posizioni già ripetutamente discusse in passato, senza più speranza di poter giungere a una sintesi o a un punto di incontro. Non vuol dire "esaurire gli argomenti", ma solo rendersi conto del fatto di una certa inconciliabiltà dei punti di vista, tra il mio e una gran parte degli utenti del forum. Assolutamente nulla di male, so benissimo che ciò non è dovuto ad atteggiamenti pregiudizialmente ostili di nessuno di voi, ho sempre riscontrato correttezza e cortesia, penso che in certi casi sia un esito inevitabile delle dialettiche. In generale ho notato come, almeno fino al periodo in cui ho continuato a scrivere, fosse diventata ampiamente maggioritaria, una tendenza di stampo materialistica nelle posizioni del forum, atta a vedere la metafisica come un approccio antiquato e superato, in favore di una concezione della filosofia fortemente vincolata alle scienze naturali, al punto da delegittimare la qualifica di "filosofia" a tutti gli approcci filosofici che tendono al contrario a rivendicare l'indipendenza, contenutistica e metodologica, della filosofia, rispetto alle altre scienze, al punto che notavo come spesso e volentieri si finisse nei topic della stessa sezione della filosofia, a portare argomenti presi dalla biologia o dalla medicina invece che quelli classici specifici della filosofia, cosa che trovo non abbia molto senso, se si premette che si sta discutendo nell'ambito di quest'ultima. In questo contesto era inevitabile che il mio punto di vista, fortemente legato a un'idea della filosofia che indaga un livello di realtà trascendente rispetto a quello ricavabile dall'esperienza dei sensi, idea vicina soprattutto alla tradizione platonica-agostiniana, non potesse essere accolto con favore, o perlomeno, che si fosse giunti a un punto dialettico in cui tra me e gli interlocutori non c'era da aspettarsi di spostarsi di me più dalle posizioni di partenza.

Non centra l'essere "idealisti" (non mi considero tale, definendo idealismo quella corrente filosofica che vede il reale come in tutto e per tutto produzione del pensiero umano, non rientro affatto in esso, mi considero "realista", anche se non nell'accezione naturalista, ma metafisica del termine, però capisco che, per chi parte da un assunto materialista, tutte le posizioni divergenti dalla sua per forza di cosa diventino "idealiste" perché si parte dal presupposto che lo "spirito" sia mera "idea", mentre lui sarebbe "realista", ma in un'accezione del termine abbastanza tautologica, se ritengo che il mio pensiero, indipendentemente dai contenuti sia quello che rispecchia la realtà, sarò realista per forza e gli idealisti son quelli che hanno torto. Personalmente preferisco utilizzare i termini "idealista" e "realista" in modo diverso, nell'accezione in cui si identificano con delle specifiche correnti sviluppatesi nella storia della filosofia, in questo senso l'idealismo è quella corrente che si sviluppa in Germania da Fichte in poi, e io non mi ci riconosco).

Chiedo scusa se sono entrato a gamba tesa in un topic non impostato per parlare di me, ma dato che si è fatto il mio nome, mi son sentito in diritto di chiarire delle cose, senza rancore per nessuno. Mi fa piacere se, anche se è passato del tempo, sia restato nella "memoria forumistica" di qualche utente, e spero di aver lasciato, al netto delle divergenze, un buon ricordo, come io lo ho di tutti voi. Per quanto mi riguarda, il forum lo ricorderò sempre come una bella esperienza che mi ha arricchito, chissà che in futuro, non mi decida a tornare in modo più sistematico. Grazie
#4
Citazione di: Phil il 05 Agosto 2023, 10:55:34 AMCredo che l'inconscio, come ogni possibile "insieme di oggetti" di coscienza (e conoscenza), vada inteso in modo dinamico e "diacronico" (oltre che, nello specifico, anche "concettuale", come ricordato da Pensarbene). In generale, affermare che ciò che è in una condizione di negazione, come l'inconscio, l'ignoto, l'assente, etc. non possa trovarsi successivamente in una condizione di positività, è un'affermazione falsificata dalla realtà: l'ignoto può diventare noto, l'assente può diventare presente e l'inconscio può diventare conscio. Sarebbe come dire che le terre ignote, in quanto tali, non sarebbero potute essere scoperte dagli esploratori o che, analizzando un gesto spontaneo, non se ne possano indagare, in seguito, le pulsioni latenti e, appunto, inconsce, ossia di cui non eravamo consci all'esecuzione del gesto; ma possiamo diventarlo dopo, a seguito di analisi.
Sul fatto che tale (psico)analisi possa essere esaustivamente razionalizzata, standardizzata, protocollarizzata, etc. credo ogni psicoanalista abbia le sue riserve, nel senso che mi sembra che il ruolo umano dell'interprete comporti, nella (psico)analisi, anche di esulare dalla pura razionalità; ma non sono abbastanza competente per entrare troppo nel merito.
Nondimeno suppongo che ognuno di noi, nel suo piccolo, riflettendo su alcune sue azioni, a mente fredda, abbia talvolta individuato plausibili moventi inconsci (o «inconsapevoli», se si preferisce, l'importante è non "cosificare" l'inconscio), portando a posteriori (Kant docet) alla luce della coscienza "tensioni psicologiche" che poi hanno confermato, nel tempo, la loro presenza (magari dimostrandosi anche buona chiave di lettura "retroattiva" di altri eventi).
Infatti il mio obiettivo non era negare l'esistenza dell'inconscio, ma solo affermare che ogni considerazione, descrizione, analisi "in positivo" possiamo fare su di esso, sarebbe possibile solo nella misura in cui cessa di essere tale, allo stesso modo in cui possiamo riconoscere l'esistenza delle "terre ignote" solo nel momento in cui smettono di esserlo o, restando nella mia metafora, gli angoli in ombra del pozzo possono essere osservati nella misura in cui smettono di essere in ombra, cioè vengono illuminati dalla luce della torcia. Il problema nasce nel momento in cui si pretende di trattare l'inconscio come dimensione psichica separata dalla coscienza a cui attribuire proprietà, facoltà che la distinguono da essa, allora nasce a mio avviso la contraddizione fra la pretesa di renderlo oggetto di un sapere "in positivo", e la definizione letterale di "inconscio" come ciò che sta fuori dal raggio della coscienza. Ma se invece si dice che ciò che la psicanalisi chiama "inconscio" può benissimo vedersi come una sorta di "coscienza latente", livelli psichici inizialmente non coscienti ma che lo diventano in determinate condizioni, non avrei nulla da obiettare, ma certo credo che questa interpretazione, per quanto più logicamente sensata, sminuirebbe di molto l'impatto della novità dell'avvento della psicoanalisi nella storia del pensiero. Cioè, non penso che prima di Freud nessuno si fosse reso conto dell'impossibilità per una coscienza limitata come quella umana di avere sulla psiche un sapere e un controllo totalizzante in ogni momento, senza necessità di una diacronia nello scandaglio della vita interiore, e nemmeno penso fosse ignoto il concetto di coscienza latente, distinto dalla coscienza attualmente oggetto della riflessione e dell'attenzione ma comunque presente in noi. Penso alle Confessioni di S.Agostino, alle pagine che dedica al tema della dimenticanza, quando parla delle idee degli oggetti che sembrano scomparsi dal raggio della coscienza ma che, nel momento in cui un certo stimolo li riporta alla luce, sappiamo riconoscerli, cioè riacquistiamo la memoria di quelle idee non come qualcosa che di totalmente nuovo, ma come di una coscienza che era sempre presente in noi, ma che era solo provvisoriamente nascosta a livelli psichici troppo profondi per esser raggiunti dalla luce dell'Io riflettente, restando però comunque "in atto", in attesa di rientrare nell'ambito dei contenuti dell'attenzione. E questa geniale intuizione dei meccanismi dell'interiorità è stata possibile senza necessità di inventarsi una sorta di luogo psichico separato dalla coscienza, ma solo riconoscendo una stratificazione della coscienza, attribuendole dei livelli di maggiore o minore vicinanza rispetto all'Io riflettente, ma comunque sempre "coscienza".
#5
l'Io è innato anche se latente. L'idea sia qualcosa che si sviluppa a posteriori sulla base della serie di stimoli provenienti dal mondo esterno presuppone un'errata concezione dell'Io, visto in termini quantitativi come mera sommatoria di esperienze del mondo che si accumulano progressivamente. Non è così, l'Io ha un proprio specifico oggetto a cui riferire la propria intenzionalità, il Sè, gli atti di coscienza (non a caso si parla di auto-coscienza, coscienza riferita a se stessa), e il riferimento al proprio sé come realtà è un atto specifico, sui generis, rispetto a quelli rivolti a contenuti di esperienza esteriori. In linea teorica si può immaginare un soggetto che fa esperienza di oggetti esteriori come pietre, alberi, senza per questo necessariamente attribuirgli un Io, una coscienza di sé come soggetto dell'esperienza degli alberi, delle pietre ecc. Se io posso immaginare un'esperienza del mondo esterno senza necessariamente essere accompagnata dall'Io, allora se ne deduce che la presenza dell'Io non debba essere fondata su tale esperienza come sua ragion sufficiente. L'esperienza esteriore arricchisce l'io, ma non lo produce dal nulla. Anzi, capovolgendo il discorso, è l'Io che consente all'esperienza del mondo il passaggio dalla mera sensazione, l'insieme degli stimoli fisici che impattano sui nostri organi percettivi, alla percezione in senso proprio, l'inizio dell'intenzionalità vera e propria della coscienza nel rapporto col mondo: percepire una pietra vuol dire immaginare dei lati nascosti rispetto a quello attualmente stimolante i nostri sensi corporei, ciò che consente all'esperienza della pietra di avvertirla non solo come immagine ma oggetto concreto tridimensionale, laddove la sensazione è sempre e solo bidimensionale Per fare questo è necessaria la memoria, cioè il ricordo delle precedenti esperienze delle associazioni in cui il contenuto attuale della sensazione risultava accompagnato dagli altri lati che ora sono in ombra ma che immagino, e la memoria presuppone l'Io: per ricordare, necessito di un Io che ricorda relativamente ai suoi atti passati, cioè un soggetto capace di rapportarsi a se stesso e non solo determinato passivamente da stimoli esterni. In questo senso l'idea kantiana dell'Io penso come presupposto della sintesi delle intuizioni sensibili che consente di organizzare il materiale in delle unità lo reputo un valido spunto (e scrive uno che di solito non è affatto tenero con Kant, in particolare con la sua gnoseologia). Insomma l'Io non va visto come la somma o l'insieme di esperienze esteriori, che si svilupperebbe e ingrandirebbe man mano che queste si accumulano, bensì come lo sfondo originario entro cui ogni contenuto esperito assume un senso, una posizione all'interno di una visione del mondo, cioè in cui passa dall'esser mero contenuto di qualcosa di passivo come la sensazione a qualcosa in cui inizia la vita di coscienza intenzionale, la percezione, in cui l'oggetto acquisisce una prima forma, una prima interpretazione.

L'Io di cui si sta parlando non è quello riflessivo, l'Io che riconosce se stesso in termini espliciti e pienamente consapevoli, che dice di se stesso, linguisticamente, "Io", che si riconosce allo specchio ecc., ma l'Io latente, atto entro cui la coscienza vive se stessa, i propri contenuti, avverte se stesso come soggetto dei propri atti, anche se magari non sa "riempire" questa intuizione originaria di un nome, di un volto. Il bambino può iniziare a dare "Io", a riconoscersi allo specchio (autocoscienza riflessa) molto tempo dopo la nascita, ma quell'atto vago generico di riferimento a stesso è già presente in modo latente sin da primo passaggio dalla sensazione alla percezione, presupponente la continuità temporale delle esperienze entro cui l'Io del presente si connette all'Io del passato. La tesi anti-innatista nasce dalla confusione tra queste due accezioni, si ricava dall'osservazione del comportamento esteriore del bambino segni di un inizio dell'attività dell'autocoscienza successivo alla nascita, quando in realtà, tale premessa epistemologica (osservazione dall'esterno) presuppone in partenza la tesi che si vorrebbe sostenere, la riduzione dell'essere umano ai suoi aspetti superficiali, esteriormente studiabili, entro cui l'autocoscienza riflessa si sviluppa sulla base degli stimoli provenienti dal mondo, ignorando una profondità interiore, che invece è l'implicazione correlata ad ogni innatismo, che è lo spazio presenza latente, pre-linguistica e pre-riflessiva in nuce che gli stimoli esterni "svegliano", sviluppano, portano alla luce, ma non creano.
#6
Tematiche Filosofiche / l'equivoco dell'inconscio
04 Agosto 2023, 23:55:08 PM
Tutta la storia della psicoanalisi muove da un grande equivoco: la confusione tra razionalità e coscienza, tipica del clima positivista ottocentesco in cui Freud è vissuto. Per combattere, cosa corretta, l'idea positivista di un controllo, di un sapere pieno della ragione, della scienza su noi stessi, e riducendo, scorrettamente, la coscienza al controllo razionale e riflessivo dell'Io sul Sé, ecco che Freud ha dovuto inventarsi "l'inconscio", un'area della psiche esterna alla coscienza, senza rendersi conto dell'assurdo logico di una studio (riconduzione alla coscienza) di qualcosa, l'inconscio, che per definizione, non può essere "conscio", contenuto di un sapere della coscienza. Ecco che la psiche viene descritta con la metafora dell'iceberg, la punta che fuoriesce, la coscienza, e la gran parte in ombra sotto il mare, l'inconscio, quando in realtà la metafora più indicata sarebbe quella del pozzo e della torcia. La psiche è un pozzo illuminato dalla luce della coscienza emanata da una torcia (l'Io), ma sempre e solo parzialmente, essendo lo speleologo necessitante di non staccare per troppo tempo il contatto col mondo esterno, necessario alla sopravvivenza. Le zone d'ombra che restano è l'inconscio, della cui esistenza non abbiamo però esperienza  (coscienza è appunto lo sfondo entro cui ogni esperienza è resa possibile e ha significato, non solo la ragione e la riflessione), ma solo un concetto astratto derivato per via negativa, dall'avvertimento dei limiti della luce della coscienza. L'inconscio è il buio, il freddo, il Nulla, il Male, concetti di cui non abbiamo un sapere intuitivo, ma che possiamo solo ricavare dialetticamente dai loro opposti, che invece riempiono lo spazio della nostra esperienza, la luce, il caldo, l'Essere, il Bene. Per quanto sembri paradossale, l'inconscio è un concetto molto più "razionale" della coscienza, proprio perché a differenza di quest'ultima, di cui abbiamo, per definizione, per essenza, una costante esperienza intuitiva, esso è solo un concetto astratto ricavabile per deduzione logica, senza che possa mai darsi come concreto contenuto di esperienza significativa (altrimenti diverrebbe coscienza, ciò a cui si contrappone). Checché se ne dica, S. Agostino e Husserl resteranno sempre guide per la nostra interiorità infinitamente più preziose che Freud e i suoi seguaci.
#7
Penso che evoluzionismo e religione possano essere incompatibili solo nella misura in cui i testi sacri vengono interpretati in modo ottusamente letterale (il primo esempio che viene in mente è la Genesi, ma ovviamente il discorso si può allargare a innumerevoli passi). Non a caso la diatriba creazionismo-evoluzionismo è un problema tipicamente anglosassone, americano, in una società dove proliferano gruppi protestanti che rifiutano ogni interpretazione metaforica o allegorica della Bibbia, interpretazione invece giustamente riconosciuta dalla Chiesa Cattolica, che invece riconosce l'evoluzionismo come dottrina non incompatibile col Magistero. Il richiamo all'interpretazione allegorica potrebbe apparire ad alcuni come un goffo ripiego in cui credenze smentite dai fatti della scienza cercano di salvarsi in calcio d'angolo rinunciando alla pretesa di tramandare in modo diretto ed esplicito fatti oggettivi nei loro scritti di riferimento. Personalmente la vedo all'opposto, il riconoscimento della metafora e dell'allegoria restituisce alla religione la sua originaria autenticità, quella di una dimensione che, proprio perché richiama al riconoscimento di una spiritualità trascendente ed eccedente rispetto alla materia, non potrebbe, in coerenza con ciò, affermare che il significato delle idee espresse nei testi (spirito) sia qualcosa di totalmente comprensibile a partire dalla semplice e meccanica lettura dei segni fisici in cui sono espresse (materia). Ciò implicherebbe  il rendere lo spirito, il significato, adeguato e commisurato alla materia, i segni fisici, cadendo in una posizione immanentista e materialista del tutto contraddittoria rispetto a ogni forma di religiosità. La metafora, l'allegoria restituisce il senso di un'ambiguità, di un ostacolo interpretativo conseguente invece allo scarto, all'irriducibilità del messaggio spirituale rispetto al linguaggio materiale, cioè preserva l'idea della trascendenza dello spirito sulla materia, aspetto fondante la religione, e dunque si pone come modello interpretativo del tutto coerente e conseguente con essa.

Solo, la Chiesa raccomanda di mantenere il riconoscimento della verità dell'evoluzionismo come riferito agli aspetti materiali ed esteriori della realtà, senza impattare su quello profondo e metafisico. Ciò non ha niente a che fare con un atteggiamento antiscientifico che pretenderebbe di imporre alla scienza dei limiti dall'esterno, al contrario è un richiamo al limite che è del tutto attinente alla scienza nella sua metodologia che, muovendo sempre a partire dall'esperienza dei sensi, relativi alla realtà materiale, non potrebbe in alcun modo pretendere di interferire col mondo metafisico per entrare in contraddizione con le posizioni che ad esso fanno riferimento, senza spezzare il legame con la sua base epistemica, i sensi. L'evoluzione mi parla di una serie di passaggi, di adattamenti che le diverse forme di vita hanno dovuto affrontare per realizzarsi progressivamente fino al punto con cui oggi le conosciamo, e ciò non ha nulla di incompatibile con l'idea che ogni anello della catena evoluzionistica non fosse già da sempre, sin dall'inizio dei tempi, pensato e progettato da una Mente divina che pensa e progetta al di sopra dei tempi e degli spazi. Se si parla di "caso", qualunque scienza seria, cosciente dei suoi limiti epistemici, non potrà che ammetterlo come nome per indicare ciò che sfugge, provvisoriamente o meno, al complesso attuale delle sue conoscenze (sempre formulabili all'interno di rapporti di causa-effetto), ma non certo alla negazione di una causalità di stampo metafisico. Questa negazione presupporrebbe la capacità di elevarsi al di sopra dei limiti della contingenza spazio-temporale per assolutizzarla e affermare che al di fuori del complesso di cause scientificamente riconoscibili non c'è nulla, cosa del tutto al di fuori dei limiti metodologici della scienza stessa, che per assolutizzare il proprio ambito di riferimento, lo spazio-tempo, dovrebbe porsi al di fuori del proprio approccio empirico. Qualunque principio causale la scienza riconosca come origine del movimento dell'evoluzione sarà sempre qualcosa la cui azione sarà inserita in un tempo e spazio determinato, senza che si potrà mai escludere l'ipotesi di un'altra causa antecedente in un tempo più remoto e in uno spazio ulteriore, essendo tempo e spazio entità numerabili, ed i numeri potenzialmente infiniti, senza poter interrompere in modo certo e definitivo il regresso all'infinito nell'individuazione delle cause. 
#8
Citazione di: Claudia K il 04 Aprile 2023, 14:51:38 PML'ho detto io e me lo tengo caro caro... :)

Dopo un'angoscia imperversante in ogni dove sullo "scientismo"...sarà lecito ricordare che anche in Treccani esiste il parallelo che è "filosofismo" ?
Mi sembra un parallelo poco felice, nel senso che per "scientismo" si intende la posizione di chi considera la scienza sapere assoluto al punto di pretendere di poter negare "scientificamente" il valore di verità di qualunque prospettiva diverga da quella attinente alle scienze naturali, mentre la mia posizione "filosofista" non ha mai assolutamente inteso squalificare sulla base della filosofia il valore di verità delle scienze, ma solo riconoscerne la limitatezza del campo di ricerca e conseguentemente la presenza di un piano ulteriore, metafisico, in cui la filosofia possa indagare in piena autonomia, sulla base del suo statuto di razionalità Se così non fosse non avrei, riguardo la discussione sul complottismo contestato l'atteggiamento dei vari Cacciari e Fusaro di entrare nel merito di posizioni strettamente specifiche dall'alto di una forma mentis filosofica. Ma il rispetto della demarcazione dei piani d'indagine dovrebbe valere da una parte e dall'altra.

Per il resto, rispondendo anche ad Ipazia, il mio non voleva affatto essere un processo sommario al forum, non mi permetterei  mai e mi dispiace moltissimo se la cosa è passata in questo modo e ne chiedo scusa. Quando ribadisco la mia stima per il forum e per gli utenti non è una aggiunta formale e retorica fatta per indorare pillole, ma qualcosa che sento di cuore, sinceramente. Il mio voleva essere uno sfogo personale, magari troppo personale  e forse ho sbagliato a farlo, come conseguenza di un disagio dovuto al vedere il mio approccio squalificato dal punto di vista della dignità filosofica, cosa che mi tocca nel profondo, dato che, al di là del forum di filosofia mi occupo e ci scrivo, e se qualcuno sostiene che la mia non sia filosofia, è come se, implicitamente, si volesse segnalare un mio fallimento esistenziale, dato che la filosofia è il mio primo interesse nella vita. Però ognuno, ci mancherebbe, è libero di pensarla come vuole, e nel caso mi sentissi di staccare da questo ambiente non vorrei mai lasciare un brutto ricordo, di persona negativa e polemica, se non maleducata verso un contesto che mi ha sempre rispettato umanamente al di là dei legittimi dissensi, cosa che è l'ultima delle mie intenzioni
#9
Non so cosa si debba intendere con "respingere" o "ignorare" le scienze. Io non le respingo affatto, in quanto riconosco la validità del metodo scientifico relativamente alla conoscenza del suo campo d'indagine. Non "ignoro" la scienza, nel senso che penso che l'epistemologia debba certamente tenere in considerazione il significato essenziale del concetto di "scienza", di "metodo scientifico", delle categorie fondamentali che la scienza utilizza, a partire dal principio di causalità, cosa però ben diversa, coma qua si pretende, che la filosofia debba assumere i risultati delle scienze e porli come vincolanti per il suo sapere, privandosi della possibilità di indagare un ambito del reale distinto e trascendente rispetto a quello materiale delle scienze naturali. Margine di autonomia senza il quale la filosofia viene privata di senso, riducendo il reale nel suo complesso alla realtà materiale, e ponendo le scienze come uniche depositarie della conoscenza della realtà. Identificare la filosofia come "tuttologia", somma di tanti saperi, presi uno per uno, extrafilosofici, vuol dire ucciderla, renderla insensata: basta fare la somma di tutte le scienze per avere una visione complessiva del reale, senza che la filosofia possa aggiungere dei propri contenuti distinti rispetto a tutti gli altri, non avendo un proprio campo di indagine specifico.

Al netto di tutto, mi ha fatto molto piacere in questi giorni tornare a scrivere e frequentare il forum, ma penso che stando le cose in questo modo, sarebbe preferibile di nuovo nascondermi e dedicare la mia attenzione ad ambiti in cui per il mio approccio e per la sua patente di "filosofia" ci sia più considerazione. Senza alcun rancore, e con intatta la stima che ho per il forum e per gli utenti che lo frequentano, ma con un pò di amarezza: io posso essere in disaccordo con chi contesta una visione di tipo spiritualistico della filosofia, con un materialista, ma non mi sento di arrivare al punto da negargli la qualifica di "filosofo", riducendolo a "filosofista", con tono dispregiativo, che di fatto sembra un invito a fargli cambiar mestiere, cosa che viene fatto nei confronti, di me (implicitamente, certo), del mio approccio, della corrente di pensatori che seguo (ad affermare che il valore di verità della filosofia non debba essere vincolato alla matematica o alla scienza, non sono certo l'unico, non c'è nulla di originale). Mi chiedo, perché, al massimo non si può dire "non condivido il tuo punto di vista sul rapporto filosofia- scienza" senza per questo arrivare a contestare la qualifica di filosofo? Per riconoscersi tra filosofi bisogna per forza pensarla allo stesso modo? Non posso sentirmi a mio agio in un ambiente in cui molte persone, ora che ho rivelato le mie nulle o scarse conoscenze e interessi di matematica e scienze naturali (che ripeto, non vuol dire che neghi loro il valore veritativo e l'importanza per un discorso di cultura generale che va al di là della filosofia), mi giudichino per questo come ignorante o incompetente a discutere anche di filosofia. Non si tratta di pretendere di interagire solo con chi si condivide (per anni mi sono confrontato qua su questi temi, ma ad un certo punto si finisce per ripetersi e riscontrare l'impossibilità di poter arrivare a un punto di incontro, dato che, legittimamente, si parte da presupposti teorici troppo diversi), ma del fatto che penso di aver bisogno di avvertire, nel dissenso, una stima da parte degli interlocutori, un sapere che, al netto delle divergenze, il tuo discorso sia riconosciuto come avente a che fare con la filosofia (e non col filosofismo), e che hai un livello di competenze nel discuterne. Ribadisco, c'è del dispiacere, ma non del rancore.
#10
Citazione di: Claudia K il 03 Aprile 2023, 19:37:11 PMReplico per la parte in cui questo concetto possa essere attribuito al postato da me.
Personalmente non ne faccio una questione di <forte interesse> per le scienze (io stessa non ho mai avuto alcuna passione per la fisica, mentre ero ammaliata dalla chimica, per dire). Dico soltanto che quell'amore del sapere che è (addirittura etimologicamente) la filosofia...finirebbe per contraddire se stesso nel momento in cui ignorasse interi comparti del sapere. Il che non vuol dire contribuire a produrli, ma quanto meno aver contezza di loro contenuti e acquisizioni.
Nella stessa direzione mi porta anche la storia della filosofia  dalle origini, puntellata com'è dal ruolo e spessore di Filosofi che furono per lo più anche matematici, astronomi, alchimisti.
E non mi sembra fantasioso ipotizzare che l'impulso alla speculazione filosofica sia sorto da quel "voler sapere ancora e oltre, sapendo il massimo del possibile nelle varie epoche".
In mancanza di questa visione d'insieme del sapere (che è perenne work in progress)...più che Filosofia...rischia di diventare la versione presuntosa dell'opinionismo ad uso talk-show.
(Prova di intelligenza data da una ospite al programma TV di Geppi Cucciari : viene presentata come filosofa e prontamente replica "filosofa?  :-[ Sono laureata in Filosofia e ho qualche pubblicazione. Tutto qui!" )

Torno al mio esempiuccio di partenza della defunta parente (insegnante) : non so quanto possa aver influito già allora qualche decadimento cognitivo da invecchiamento, ma era donna che abitualmente viaggiava da sola in auto per lunghe percorrenze...
Potevano in lei  aver ripreso consistenza schemi infantili, tipo la volta celeste immaginata come la carta blu a stelline che si usa per i presepi o il Dio che tanto amava collocato fisicamente in qualche posto fisico tra capanna e volta di carta del presepe?
Certo è che se per cultura generale (che doveva necessariamente avere) le fosse stato chiaro che l'universo è ben altro che Terra-Luna e che per il Cattolico Dio è ovunque e non visibile...della battuta attribuita a Gagarin in propaganda ateista...avrebbe solo potuto ridere.
Mentre l'apparente oblìo/decadimento soggettivo del suo sapere d'insieme la condusse a perplessità del tutto risibili (e rilevabili nella risibilità persino dai bambini).



A me non sembra giusto che si debbano etichettare come pessimi filosofi quei pensatori che hanno scelto di concentrare il loro interesse filosofico su un ambito specifico del sapere, l'interiorità, la spiritualità tralasciando la dimensione materiale e naturale. Dovremmo togliere la qualifica di filosofia a S. Agostino, Kierkegaard, Rosmini, tutto l'esistenzialismo cristiano, l'idealismo, lo spiritualismo perché nella loro filosofia fanno a meno di utilizzare categorie della scienza. Io penso che un deficit di cultura scientifica va a colpire la completezza del bagaglio culturale di una persona, ma non le sue competenze filosofiche, perché la filosofia, lungi dall'essere tuttologia, va vista come sapere specialistico, anche se fondativo di tutti gli altri. Che nell'antichità i filosofi fossero al contempo fisici, biologi è la componente di inattualità del pensiero classico, che la specializzazione e la distinzione dei campi epistemici dovrebbe aver superato. Io credo anche oggi se vogliamo valutare il valore dei pensatori sia leggere i loro scritti e le loro pubblicazioni, anziché dire, siccome avevate voti bassi in matematica, fisica, chimica ecc, allora non potete essere bravi nemmeno in filosofia. Io ritengo di essere stato fortunato a non aver mai incontrato all'Università professori di filosofia che prima di farmi passare gli esami mi abbiano chiesto che voti avessi in matematica o fisica, e poi siccome ho quasi sempre avuto insufficienze in quelle materie, consigliato di cambiare studi e lasciar perdere la filosofia. Valutiamo il rigore filosofico delle persone in base al modo in cui scrivono e discutono, anziché distruggere loro l'autostima etichettandoli come pessimi filosofi per delle lacune in saperi diversi dalla filosofia
#11
Citazione di: daniele22 il 03 Aprile 2023, 15:13:07 PM
Data una certa coincidenza in origine immagino ben che un fisico si dedichi ai meccanismi della conoscenza, ma un filosofo puro dovrebbe fare altrettanto, essendo questa la domanda per eccellenza; e non dovrebbe certo occuparsi più di tanto della storia della filosofia, dato in più che a questa domanda non si è ancora data risposta ... a dire il vero io pretenderei di averla data, ma nessuno l'accetta ... E un filosofo puro non potrebbe non occuparsi almeno superficialmente di scienza, così come non può non occuparsi di tutte le altre cose di cui i suoi simili si nutrono lui compreso ... Altrimenti che filosofo sarebbe? Tra i fisici che si occuparono di filosofia ci sarebbe pure un certo Max Plank, nome sicuramente importante. Nel suo "La conoscenza del mondo fisico" fece un ragionamento assai bizzarro sulla legge di causa effetto estendendola filosoficamente. Pretendeva, non ricordo se dimostrare o mostrare tanto fa lo stesso, che l'uomo può svincolarsi da tale legame insito nel nostro comune pensare dicendo che egli può benissimo immaginare che il sole nasca a nord, o a ovest etc etc. Beh! Sinceramente questa mi pare proprio filosofia da due soldi.
Infine, il filosofo puro deve occuparsi solo dei meccanismi della conoscenza, e non mi sembra che, allo stato attuale delle cose, la distinzione tra classico e scientifico rappresenti chissà quale orrore.
Un saluto

Dipende cosa si intende con l'"occuparsi di scienza almeno superficialmente". Per me la filosofia è indagine razionale riferita alla dimensione spirituale, che è distinta da quella materiale. Personalmente ho sempre trovato la matematica e le scienze naturali poco interessanti e stimolanti, e mi dispiace che, solo per questo, debba essere etichettato come persona che non avrebbe strumenti nemmeno per occuparsi al meglio di filosofia, quando in realtà l'interesse che ho sempre nutrito per la filosofia io l'ho sempre percepito in me, e non trovo giusto che questo mi debba essere tolto perché a questo non si accompagnava un forte interesse per le scienze naturali. La conoscenza delle scienze naturali è importantissima per la cultura generale di una persona, ma non penso debba essere vista come una conditio sine qua non per occuparsi di metafisica, pena la confusione dei piani di indagine e la caduta in un materialismo in cui, senza alcuna valenza scientifica, si nega alla filosofia l'accesso ad un livello di realtà distinto da quello fisico, e dunque un'autonomia contenutistica e metodologica rispetto alle scienze. 
#12
Citazione di: Ipazia il 03 Aprile 2023, 08:31:52 AMAver fede nella comunità scientifica è ancora più deleterio a suicida che "credere nella scienza ". Se la covidemia non ha insegnato nulla ...
Le due cose sono distinte in senso concettuale-astratto, ma di fatto sono reciprocamente implicate. Una volta riconosciuto che il metodo scientifico è la strategia più efficace di comprensione del mondo fisico, allora va da sé che ciò implichi legittimare l'autorità di chi quel metodo ha mostrato empiricamente di saperlo applicare con i risultati migliori, cioè il complesso della comunità scientifica. E questa legittimazione non necessita in alcun modo fede cieca nella scienza e negli scienziati, convinzione circa la certezza assoluta dell'infallibilità della comunità scientifica (assoluto è una categoria della filosofia, non della scienza, non si può contestare la scienza perché non riesce a raggiungere un obiettivo che è fuori dalla portata del metodo che la definisce, sarebbe come contestare una tigre perché non sa volare, è la sua natura, non un suo fallimento intenzionale). La legittimità della scienza va fondato su un piano di fiducia pragmatica che comprende una valutazione costi/benefici.

Devo attraversare la strada mentre passano le macchine a gran velocità. Io non ho alcun bisogno di avere la certezza assoluta che i sensi non mi ingannino nella visione delle macchine perché la mia scelta di aspettare sul marciapiede sia motivata razionalmente. Mi basta sapere che, nel caso attraversassi e i sensi non mi ingannano, mi mettono sotto, mentre, restando sul marciapiede e anche invalidando la motivazione che mi spinge a fermarmi, cioè anche nel caso i sensi mi ingannassero e la strada fosse sgombra, il danno sarebbe molto inferiore, cioè mi limiterei a perdere un pò di tempo. Ecco perché pragmaticamente è opportuno tener conto nei sensi, non perché riconosciuti teoreticamente come infallibili, ma perché accettando l'ipotesi della loro adeguatezza se ne ricavano conseguenze molto più impattanti per la nostra vita. La stessa cosa vale per la comunità scientifica, tenere conto delle indicazioni, non in quanto infallibili con certezza, ma perché l'ipotesi della loro inadeguatezza aprirebbe la strada a infiniti punti di vista entro cui risulta impossibile stabilire un sistema di criteri in base a cui decidere una gerarchia di autorità, mentre la comunità scientifica indica una certa direzione definita, prevalente rispetto le altri possibili, sulla base di una metodologia non perfetta e infallibile, ma che garantisce il massimo possibile di razionalità relativa alla conoscenza della realtà nell'ambito fisico.
#13
Citazione di: Claudia K il 02 Aprile 2023, 23:56:50 PMEcco però che tu, Ipazia, citi teorie che possono proprio definirsi modaiole del passato, e che sono state anche molto velocemente superate dalla stessa scienza, mentre tu, Davintro, ne trovi prova attuale presso i ragazzini sui social...

La realtà, però,  resta quella di una comunità scientifica che procede per studi e verifiche sulla sola realtà fisica, i cui membri non di rado sono credenti, e ancor più spesso sono indotti a interrogativi e riflessioni squisitamente metafisici...dalla constatazione sempre più stringente che di "casuale" non esista poi nulla!

Indubbiamente ha poi ruolo determinante il <fattore umano> (in scienza come in ogni ramo dello scibile). E in scienza ci sarà lo scienziato che...alla fine è un ottimo e zelante tecnico...talmente preso dall'ambascia tecnica da perdere la visione d'insieme e sentirsi dio per una sua piccola conquista (accade in scienza, ripeto, e accade in qualunque ramo dello scibile).
Un esempio che posso portare a titolo esclusivamente personale è la Hack : è un effetto che fece su di me, ma è verissimo : la considerai una povera aridissima quando fu categorica nell'escludere l'esistenza di Dio, e proprio nell'atteggiamento scientista del "la verità è quello che verifichiamo noi!".
La stessa sensazione sgradevolissima riportai da Levi Montalcini, per ragioni parzialmente diverse: più la leggevo e più provavo tristezza e sconforto per una personalità che amava descriversi in voluta fuga da vita e sentimenti in nome "della scienza".
Con o senza Nobel...mi viene anche da dire che l'indefessa applicazione al telescopio come al microscopio...certamente possono portare frutti, ma insomma...a nessuna delle due dobbiamo alcuna ipotesi geniale che abbia cambiato la Storia.
Mentre chi lo ha fatto davvero (da scienziato) è spesso rimasto trafitto dal ben più ampio chiedersi "non è un caso" .

Assolutamente, difatti ci tengo a chiarire che la mia contestazione allo scientismo, tesi filosofica/metafisica, non ha nulla a che fare con una del tutto erronea critica indifferenziata al metodo scientifico, che nel suo campo di pertinenza, non ha alcun interesse a suffragare una fra le diverse posizioni in campo metafisico o teologico. Nessuna contraddizione dunque al fatto di essere scienziati e credenti in una religione.

E anzi, a ben guardare, le condizioni fondamentali (trascendentali volendo usare un linguaggio tecnico-filosofico), credo che proprio i presupposti di validità della conoscenza scientifica siano in linea con l'assunzione, certo implicita da parte degli scienziati che come tali (non come esseri umani), non hanno gli strumenti per indagare presupposti extra-scientifici della loro scienza, di posizioni metafisiche, se non religiose. Non parlo di religioni confessionali rivelate, ma di un generico riconoscimento di una concezione spirituale della realtà. Il discorso sarebbe lungo, e sarebbe preferibile approfondirlo nella sezione filosofica, qua mi limiterei a esprimere l'opinione che la possibilità di una conoscenza della natura da parte dell'uomo, presupposto della scienza, sia un paradigma molto più conciliabile con l'idea di un Principio creatore intelligente. La scienza presuppone una corrispondenza tra  razionalità umana soggettiva che indaga e una struttura razionale del mondo oggettivo della natura, che sia "disponibile" a lasciarsi comprendere dalle categorie concettuali dell'uomo. E questo paradigma è molto più conciliabile con l'idea che la natura sia stata progettata da una Mente intelligente, e che per questo porti con sì ordine interno che si presta, seppur limitatamente a farsi comprendere dalla razionalità umana, piuttosto che l'ipotesi ateista del caso, rompe qualunque concezione della regolarità dei fenomeni del mondo oggettivo e spezza quella corrispondenza razionalità soggettiva umana-razionalità oggettiva della natura, che la scienza assume come implicito presupposto.

Vorrei in merito postare il video di un discorso in cui Ratzinger accenna brevemente sull'argomento (in particolare, consiglierei di vedere da 2.00 a 7.00). Tenendo in considerazione che l'interesse per le sue parole nel nostro contesto, non va inteso come capo di una certa istituzione religiosa storica, ma come teologo e filosofo, che da quel punto di vista avrebbe potuto dire le stesse cose anche da luterano, calvinista, ebreo, islamico ecc. Un teismo generico: https://youtu.be/mvf1R6T1Adc
#14
Di scientismo oggi se ne trova a bizzeffe, tutti coloro che ritengono la scienza in grado di assumere un punto di vista totalizzante, al punto da poter  escludere la possibilità di qualunque tesi non si basi sul metodo scientifico, non solo in campo fisico, ma anche riguardo quello spirituale, anziché correttamente riconoscere i limiti relativi alle fondamenta din tale metodo, adeguato a studiare il mondo fisico ma non quello spirituale. Si tratta di posizioni che trovo oggi estremamente diffuse nel senso comune, specie, purtroppo nelle nuove generazioni. I social sono pieni di ragazzini saccenti che pongono il loro ateismo come basato su una superiorità scientifica rispetto alle credenze religiose e metafisiche, e questa posizione presuppone l'idea che la conoscenza scientifica non si limiti a indagare il mondo fisico, ma sia capace anche di entrare nel merito delle questioni filosofiche è giudicare, sulla base dei propri limiti, il valore di verità delle varie tesi. Ecco il florilegio di battutine sul fatto di associare la fede in Dio con la credenza in Babbo Natale, oppure la citazione di statistiche sul fatto che la maggior parte degli scienziati oggi sia atea, come se la questione dell'esistenza di Dio sia di tipo scientifico anziché filosofico/teologico. Lo stesso pensiero riguardo al mettere in discussione l'esistenza di Dio perché sulla Luna non si è visto, se si vuole è una forma, certo estremamente ingenua, di scientismo, si prende l'esperienza sensibile, fondamento delle scienze naturali come criterio di verità in base a cui valutare l'esistenza o inesistenza di enti per definizione spirituali e dunque oggetto di una conoscenza intelligibile come Dio. Il fatto che pensieri del genere vengano espressi da persone che si considerano cattolici e religiose cambia poco. Sia perché non basta partecipare ai riti o definirsi fedeli di una religione per coglierne lo spirito autentico, e poi anche perché in fondo una componente di materialismo è presente in seno a tutte le religioni fondate sulle rivelazioni storiche, nella misura in cui attribuiscono importanza a presunte manifestazioni fisiche del divino, miracoli, apparizioni. Per me uno che basa la sua fede su apparizioni o visioni "in carne ed ossa" di Dio, santi e madonne, è a tutti gli effetti un materialista. La persona veramente spirituale non vede Dio, lo pensa, lo esperisce non con gli occhi del corpo, ma dell'anima.
#15
Citazione di: Pio il 02 Aprile 2023, 12:20:02 PMOrmai sono tutti morti gli studenti degli anni 20 - 30. Adesso il problema non si pone perché, a parte chi studia teologia e fa un percorso proprio a parte, della metafisica non si occupa quasi più nessuno.
Apparentemente sì, la metafisica sembra da anni caduta nel dimenticatoio. Ma in realtà gli stessi annunciatori materialisti della morte della metafisica fanno inconsapevolmente metafisica, in quanto per affermare che "tutto è materia, tutto ciò che esiste è studiabile dalle scienze naturali, non c'è nulla di metafisico oltre la fisica", devono usare la categoria della totalità, di cui non abbiamo alcuna esperienza sensibile, cioè siamo fuori delle stesse possibilità delle scienze. E qua è il motivo della strutturale contraddittorietà interna di ogni scientismo, rinnegare la metafisica assumendo implicitamente un punto di vista metafisico.